L’archeologia di cui sono espressione i film di found footage è piuttosto un’archiviologia, secondo la fortunata definizione coniata da Joel Katz, artista e producer americano, nel suo saggio From Archive to Archiveology95. Portando all’attenzione le parole “archivio” e “archivistico”, nella prima Katz identifica un sostantivo sinonimo di un luogo fisico dove sono conservati documenti pubblici di ogni sorta, nella seconda invece un aggettivo dal significato ambiguo, che ha a che fare, sì, con l’archivio ma che si riferisce anche a beni di cui si voglia sottolineare un determinato stato di conservazione, un’età e una certa importanza, pur non dovendo
94 Idem, p. 79 (traduzione mia), corsivo nel testo. “Anything which was taken for granted as not
serious, not art, just things that are thrown away, were exactly what I paid attention to.”. “If you want to know what’s going on in a culture, look a at what everybody takes for granted. Put your attention on that, rather than on what they want to show you.”
95 Joel Katz, From Archive to Archiveology, in Eugeni Bonet (a cura di), Desmontaje: Film,
necessariamente essere contenuti in un archivio vero e proprio. La sua vera intuizione riguarda l’interpretazione della maggior parte delle forme di riappropriazione come possibili declinazioni del kitsch: a seconda dell’epoca in cui l’opera è realizzata e presentata, infatti, il materiale utilizzato assume connotazioni più o meno distanti da quelle pensate originariamente generando una rielaborazione totale che cambia di segno gli elementi in scena.
Ciò che nel decennio prima appariva melanconico, in questo decennio può risultare kitsch. Riciclando la storia come intrattenimento, il kitsch è una delle ultime sofisticate forme di cooptazione, in grado di illuminare eloquentemente l’aforisma che recita che la vita la prima volta è quasi una tragedia, la seconda una farsa.96
L’archivio comprende non tanto gli elementi della Storia con la S maiuscola, quanto il più sfaccettato panorama economico, sociale e culturale che caratterizza nello specifico ogni epoca. In questo senso la riappropriazione delle immagini abbandona la grande narrazione epica, di cui parlava Lyotard, per dare spazio alle miriadi di piccole storie che raccontano i fatti e i suoi contorni. Accogliendo e superando il pensiero di Conner, per Katz i brandelli di film non solo testimoniano le fattezze quotidiane e poco trionfalistiche di un’epoca, ma rivelano anche le intenzioni e l’identità di chi si è trovato a operare dietro la cinepresa, colui che, soprattutto agli albori della diffusione del mezzo, poteva avere un’identità probabilmente precisa: un uomo, bianco, originario di un paese industrializzato. Questa consapevolezza a 360° su ciò che avviene al di qua e al di là dello specchio, permette di rimettere in dialogo le due facce della medaglia. Oggetto filmato e sguardo che si profonde su di esso formano un binomio indispensabile nella lettura del materiale recuperato. La cinepresa, presentata come strumento della visione occidentale (bianca, patriarcale, privilegiata), incarna dunque uno status e un potere che solamente l’abilità di un “archiviologo” è in grado di smascherare, riportando ogni inquadratura - attraverso la riduzione, l’accelerazione, la stressatura, ecc. - alla sua intenzione originaria o alle sue potenzialità recondite.
Come afferma giustamente Hal Foster a proposito di quello che lui definisce “archival impulse” dell’arte contemporanea, il medium ideale dell’archival art non è, come si potrebbe pensare, il mega-archivio di Internet, o il network elettronico i cui termini “piattaforma”, “postazione”, “interattività” irrorano ormai continuamente anche il linguaggio dell’arte, ma è un materiale più tangibile, con cui sia possibile
96 Idem, p. 167, (traduzione mia). “That which was melancholic last decade can be kitsch in this one.
Recycling history as entertainment, kitsch is an ultimately sophisticated form of cooptation, and can eloquently illuminate the aphorism that life is first time around tragedy, second time a farce.”
intessere uno scambio “relazionale” intimo, ravvicinato, che non contempli l’intermediazione di ulteriori interfaccia. L’archivio, prosegue Foster, non è qui inteso come un database, ma come una raccolta volutamente discontinua in grado di conservare la propria natura fisica, frammentaria, palpabile, e di appellarsi all’interpetazione umana più che alla semplice rielaborazione meccanica.97
La grande difficoltà che circonda la pratica del riuso e dell’investigazione archivistica, è senz’altro il rischio di cedimento emotivo, nostalgico, nei confronti del materiale, la cui componente fantasmagorica si pone al limite con la necrofilia. A livello chimico-fisico la pellicola tende, infatti, col passare del tempo, a perdere lo strato di nitrato che la protegge, sbiadendosi, graffiandosi e distorcendosi, così come avviene con i ricordi. Un dipinto, una scultura, una installazione non producono nostalgia, perchè testimoniano un’epoca riadattandosi ad ogni successiva. Il loro messaggio, se si tratta di una vera opera d’arte, è immutabile quanto universale. Al contrario, la fotografia, e dunque anche il film, rimane ancorata al dato reale e alla sua evoluzione temporale. La fotografia, infatti, come precisava già Barthes ne La camera
Chiara, è fortemente connessa alla morte, perché “immortala” un istante che svanisce
e trapassa nel momento stesso in cui è registrato dall’occhio della macchina. Le immagini sono riflessi di persone, luoghi, eventi che probabilmente non esistono più o, almeno, si sono modificati. Lo spazio della foto, secondo le parole di Barthes, è un crocevia di tre emozioni e tre momenti differenti: fare, subire, guardare. L’Operator, ovvero il fotografo, fa, lo Spectator, ovvero il ricevente, guarda, e lo Spectrum, ovvero il referente, l’oggetto fotografato, subisce. Proprio lo Spectrum è il termine chiave di questo meccanismo, perché conserva in sé il riferimento allo spettacolo, ma richiama anche “quella cosa vagamente spaventosa che c’è in ogni fotografia: il ritorno del morto.”98
La Fotografia (quella che io assumo) rappresenta quel particolarissimo momento in cui, a dire il vero, non sono né un oggetto né un soggetto, ma piuttosto un soggetto che si sente diventare oggetto: in quel momento io vivo una micro- esperienza della morte (della parentesi): io divento veramente spettro.
[…] io non so che cosa la società fa della mia foto, che cosa vi legge […]; ma quando mi scopro sul prodotto di questa operazione, ciò che vedo è che io sono diventato Tutto-Immagine, vale a dire la Morte in persona; gli altri – l’Altro – mi espropriano di me stesso, fanno di me, con ferocia, un oggetto, mi hanno in loro
97 Hal Foster, An Archival Impulse, in “OCTOBER”, n. 110, fall 2004, MIT Press Journals pp. 3-22, p.
5.
98 Roland Barthes, La chambre claire. Note sur la photographie, Éditions Gallimard-Seuil, Parigi,
1980, La camera chiara. Nota sulla fotografia, Einaudi, Torino, 1980 (2003), trad. it. di Renzo Guidieri, p. 11.
mano, a loro disposizione, sistemato in uno schedario, pronto per tutte le sottili manipolazioni. 99
Gli effetti di cui parla Barthes nei riguardi della fotografia possono facilmente essere trasposti nella manipolazione operata dai film di found footage. Considerare le immagini come materiale congelato, testimonianza di un evento trapassato e pronto a essere ripreso e modificato, traduce lo spirito di una cultura che affonda le sue radici nella duplicazione e nella mimesis.
Mentre le altre arti si servono, infatti, del potere di astrazione per rappresentare, non solo fatti, ma idee e concetti, la fotografia e, dunque, il cinema, pur capaci di elaborare pensieri astratti, rimangono comunque legati a un dato di realtà più convincente. Questo “difetto” determina quella che Emiliano Morreale chiama “l’invenzione della nostalgia”100 tipica del secolo appena trascorso e del nostro. In
equilibrio tra atteggiamento romantico e critica delle fonti, i cineasti e gli artisti propendono sia per l’una che per l’altra formula spesso facendole coesistere in un unico lavoro. La nostalgia nasce dall’esperienza di forme di auto-percezione e auto- definizione costruite sulle proprie memorie di consumatori di merci e di spettatori. La nostalgia (letteralmente “dolore del ritorno”, parola composta dal greco νόστος, ritorno, e άλγος, dolore) è uno stato psicologico di tristezza e di rimpianto per la lontananza da persone o luoghi cari o per un evento collocato nel passato che si vorrebbe rivivere, spesso ricordato in modo idealizzato. L’origine di questa condizione psicologica va fatta risalire al XVII secolo e distingue in modo particolare il sentimento di doloroso ricordo nei confronti della casa e delle origini lasciate per partire in guerra o per emigrare in terre lontane. Già a metà dell’Ottocento essa assume un significato differente. Il ritorno non è più identificato con un luogo fisico ma con un luogo mentale, un’esperienza vissuta, una condizione che rimane lontana nel tempo, come la definisce lo studioso David Löwenthal nel titolo del suo saggio
The Past is a foreign Country101. La nostalgia abbandona le sue coordinate sincroniche, legate esclusivamente a un luogo, per svilupparne di diacroniche, in balia di tempi impossibili da recuperare. Nel passaggio dal desiderio di luoghi a quello di tempi passati, la nostalgia si cronicizza come forma patologica senza possibilità di soluzione: mentre infatti il ritorno in un luogo può annullare la causa del male, il ritorno a un determinato stadio temporale risulta impraticabile. La nostalgia si innesta sulle forme della modernità per trovare nuovi spunti al volgere del secolo. Le evoluzioni tecnologiche e mediali, sempre più veloci a partire dall’inizio del XX
99 Idem, p. 15-16.
100 Emiliano Morreale, L’invenzione della nostalgia, Donizelli Editore, Roma, 2009.
secolo, generano uno scarto temporale tra soggetto e oggetto del desiderio mano a mano più corto. Ciò vuol dire che il lasso di tempo che separa l’apparizione originale del materiale e il suo recupero nostalgico diventa molto più breve rispetto a quello che si verificava in passato. La nostalgia si proietta sempre più spesso su prodotti vicinissimi nel tempo, ma sufficientemente distanti da approfittare del leggera patina che produce l’effetto.
Si può dunque dire che nostalgia e modernità nascono insieme e non sorprenderà allora che il cinema diventi […] oggetto e soggetto privilegiato di ritorni del passato prossimo, mode e nostalgie. Il cinema nasce dalle stesse condizioni culturali e sociali che producono quel che oggi chiamiamo nostalgia. E le maniere di gestire e negoziare la nostalgia rimarranno sempre uno dei suoi punti di forza, e lo saranno anche per gli altri strumenti che ne prenderanno il posto alla guida del sistema dei media.102
Il culto del vintage si trasforma in feticismo per oggetti pescati dalla cultura bassa che richiamano un’epoca senza rappresentarla. “La nostalgia, questo è evidente, non ci dice niente del periodo che rimpiange, ma ci parla in maniera obliqua della situazione presente. […] ‘La nostalgia usa il passato […] ma non ne è un prodotto’.”103 Con l’avvento dei mezzi di comunicazione e riproduzione delle immagini, la nostalgia assume una declinazione ancora differente. La mediazione del dispositivo fotografico e cinematografico genera la possibilità di conoscere in maniera più o meno diretta persone, fatti ed eventi che non si sono vissuti in prima persona, e di costruire nella mente dello spettatore una forma di ricordo non originale che si insinua e confonde con il resto dei ricordi reali. Il sentimento che ne scaturisce è ovviamente geneticamente modificato perché fa appello a un comparto memoriale che in realtà è sovrapposto all’originale, e spesso sostituito o deprivato delle sue fondamenta, “come se l’Italia degli anni Cinquanta, i contadini, le partite di calcio, gli edifici, gli alberi, fossero davvero stati in bianco e nero.”104 Questa nostalgia, che
Appadurai definisce surrogata105, si distingue da quella considerata primaria e sollecita in quantità maggiore la produzione e la commercializzazione di massa. La patina del tempo che ricopre i prodotti invecchiati, nel nostro caso la sbiaditura e la graffiatura delle pellicole o la sgranatura delle immagini video, si presenta come un ulteriore elemento di forza nelle dinamiche di potenziamento nostalgico, poiché si
102 Emiliano Morreale, L’invenzione della nostalgia, cit., p. 24, corsivo nel testo. 103 Idem, p. 5, corsivo nel testo.
104 Ibidem.
105 Arjun Appadurai, Modernity at Large: Cultural Dimensions of Globalization, University of
trasforma in un invito accattivante, garanzia di autenticità e di valore assoluto. Jameson (1989) già anticipava la genesi di una sfumatura particolare di questo fenomeno, la cosiddetta “nostalgia del presente”, individuandola in quella produzione cinematografica che, soprattutto a partire dagli anni Settanta, usa proiettare le proprie storie in futuri possibili costruendo uno sguardo “nostalgico” sul proprio passato che si rivela in realtà il presente attuale di chi fruisce il film. La conseguenza diretta è che il presente si mostra come qualcosa di sfuggente per lo spettatore contemporaneo all’opera, mentre appare come una falsa testimonianza, una ricostruzione arbitraria, per lo spettatore futuro, che guarderà a quel passato con curiosità e a quel presente con divertimento, scoprendo illusioni non avverate e sviluppando una forma di sentimento rievocativo nei confronti del suo stesso presente. Il cortocircuito temporale è inevitabile, trascinandosene dietro anche uno percettivo non irrilevante. Un esempio di questo fenomeno è 2001: A Space Odyssey di Stanley Kubrick che nel 1968 disegna un possibile futuro prossimo permettendo allo spettatore contemporaneo al film di fantasticare su scenari non troppo lontani, ma anche di verificare una trentina di anni dopo, probabilmente di persona, la veridicità o meno di quella profezia, innescando meccanismi memoriali incrociati.
La nostalgia come la intendiamo qui è senza dubbio un prodotto dell’epoca moderna. Soprattutto a partire dagli anni Settanta, essa ha cominciato a generare afflati e desideri di ritorno anche nei confronti di epoche mai vissute in prima persona, estendendo la sua azione a forme di sentimento positivo verso qualsiasi passato, sia esso remoto o storico, addirittura situato prima della propria nascita biologica. Quella che Morreale definisce nostalgia di massa o nostalgia mediale, è un fenomeno creato dai media stessi che, nel tentativo di incrementare i propri guadagni, si ripiegano su se stessi fagocitandosi. Potremmo dire che la nostalgia mediale è una forma evoluta di Società Spettacolare debordiana: in una società in cui lo spettacolo è diventato merce di scambio e prodotto, esso, e soprattutto i suoi programmi passati, sono oggetto di rigurgiti intermittenti in modo da non far estinguere la sua memoria e da non far cessare la macchina produttiva nella creazione di domanda e desiderio. Non è un caso che da qualche anno alcuni canali della tv satellitare siano interamente dedicati alle repliche di vecchie trasmissioni. Come anche i messaggi pubblicitari facciano spesso leva sulle nostalgie del consumatore: esempio calzante è una pubblicità circolata per qualche tempo di una nota azienda italiana di prodotti alimentari per bambini (Mio). Vantandosi di una esperienza pluriennale, essa guarniva il proprio messaggio pubblicitario con un riferimento ai medesimi prodotti consumati dai bimbi di venti anni prima, ormai diventati genitori/consumatori consapevoli, facendo perno sulla dinamica memoriale dei loro ricordi positivi e inducendo visivamente il potenziale consumatore (con una grafica accattivante vicina a quella dell’epoca) a ricollegare un
momento felice della propria esistenza con il sapore di quel prodotto, e sollecitandolo a replicare le lontane abitudini sia per sé che per i propri figli.
La fotografia e ancora più il cinema sono le principali fucine di questi atteggiamenti nostalgici nei confronti del passato, ma, allo stesso tempo, sono anche i contesti più idonei in cui mostrare, se non la critica del mito, almeno la possibilità di un suo riuso creativo. Tutta l’evoluzione della nostalgia si alterna tra creazione di miti e riflessione indulgente o polemica su di essi. D’accordo con Morreale, che cita Davis:
la nostalgia è indispensabile alla gestione dell’io e delle sue discontinuità: le paure e i disagi del presente, minacce per la conservazione dell’identità personale dei soggetti, vengono bilanciate dal richiamo a un sé precedente, che al limite può essere anche più bizzarro ed esclusivo di quello presente.106
La massima emergenza d’affezione nostalgica coincide molto spesso con periodi personali o storici di maggiore incertezza o con fasi delicate di passaggio. L’aspetto consolatorio di questo fenomeno costituisce uno dei punti da indagare, mentre la necessità del ritorno al passato racconta anche la necessità di un rifugio dove ripensare il presente. Il cinema diventa perciò un serbatoio di immagini, il passato e la storia un magazzino e un guardaroba nel quale la figura del bricoleur o del robivecchi agisce prelevando frammenti alla ricerca di ciò che il passato ancora può raccontare, ma soprattutto di ciò che il presente vede attraverso la lente del passato stesso.
L’artista bricoleur prova un certo gusto nel “rimasticare le parole dei morti”, per dirla con Pirandello.107 Il passato è un luogo di regressione collettiva ma anche il garante della nostra identità. Esso si presenta come un catalogo di merci desuete che è possibile richiamare in vita, a costo di profondi coinvolgimenti sentimentali.
Trash e vintage sono due tra le sfumature principali con cui si attinge alle
immagini del passato, soprattutto a partire dagli anni Ottanta. Il trash sembra aver sostituito ciò che il kitsch greenberghianamente inteso108 rappresentava a metà del
106 Emiliano Morreale, L’invenzione della nostalgia, op. cit, p. 15. Morreale fa più volte rifermento al
testo di Francis Davis, Yearning for Yersteday. A Sociology of Nostalgia, The Free Press, New York, 1979, in particolare per ciò che riguarda l’analisi delle diverse tipologie e ordini di nostalgia, che lui definisce: semplice, riflessiva, interpretata.
107 Luigi Pirandello, Enrico IV, Giulio Einaudi Editore, Torino, 1993, p. 54.
108 Clement Greenberg, Avantgarde and kitsch, “Partisan Review”, marzo 1939, http://permanent-
kitsch.blogspot.it, ultimo accesso: 12 maggio 2012. “Per far fronte alla domanda del nuovo mercato, venne inventato un nuovo prodotto, la cultura "ersatz", il kitsch, destinato a coloro che, insensibili ai valori della vera cultura, sono tuttavia avidi di quelle distrazioni che soltanto la cultura, di qualsiasi genere essa sia, è in grado di fornire. Il kitsch, utilizzando come materia prima i simulacri degradati e
Novecento, senza ereditarne però l’accezione fortemente negativa e repulsiva nei confronti del materiale a cui fa riferimento, ma esprimendo piuttosto il significato di scarto, rifiuto, detrito di una cultura più ampia; il vintage invece sembra aver preso il posto di quello che il camp rappresentava negli anni Sessanta, così come lo definisce Susan Sontag in un suo celebre articolo del 1964 uscito su “Partisan Review”109, conservandone il concetto di preziosità e ricercatezza degli oggetti senza ereditarne la dimensione di fruizione d’élite. L’uso delle immagini del cinema, della televisione, degli archivi, dei film di famiglia si muove su un terreno disomogeneo in cui trash e
vintage si confondono costruendo storie e ritratti dai connotati differenti. Ciò che è
funzionale alla nostra ricerca all’interno del concetto di vintage, è la capacità di abolire gradualmente il discrimine tra recupero “alto” e recupero “basso”, non selezionando più solo oggetti preziosi dal mondo del lusso e del superfluo, ma recuperando insieme a questi anche oggetti di uso comune, ammiccando spesso all’eccesso e quindi al trash. Solitamente il vintage guarda al periodo che lo precede di almeno vent’anni e fa attenzione che il revival avvenga al momento giusto.
La nostalgia si distingue dalla memoria, da cui discende per via diretta, per una particolare sfumatura emotiva. Come sintetizza Morreale:
La memoria è un procedimento mentale, che riguarda certo i sentimenti e le emozioni, ma appartiene anche (anzi soprattutto) alla sfera della conoscenza. La nostalgia è un sentimento, una passione avrebbero detto i filosofi. […] Come definizione di base, la nostalgia può essere definita, al suo grado zero, come il
accademizzati della vera cultura, gradisce e coltiva questa insensibilità che è la fonte stessa del suo profitto. Il kitsch è meccanico e opera secondo formule. Il kitsch è esperienza vicaria e false sensazioni. Il kitsch muta a seconda dello stile, ma resta sempre lo stesso. Il kitsch è la sintesi di tutto quanto c'è di spurio nella vita del nostro tempo. Il kitsch pretende di non volere nulla dai suoi clienti, tranne il loro denaro, non chiede neppure il loro tempo. La condizione preliminare del kitsch, la condizione senza la quale il kitsch non sarebbe possibile, è la completa disponibilità di una tradizione culturale matura delle cui scoperte, acquisizioni e piene consapevolezze il kitsch possa approfittare per i suoi propri scopi. Da essa il kitsch ricava dispositivi, artifici, stratagemmi, pratiche, temi, li converte in sistema e scarta il