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Il collage è la vera forma rivoluzionaria del XX secolo. Esso cristallizza tutte le problematiche accennate dalle ricerche artistiche precedenti (Cézanne in primis) e accenna le questioni che muoveranno gli animi di tutto il periodo successivo.

D’accordo con William C. Wees:

Invasi da “frammenti di realtà” […] il collage non può apparire come un paradiso per puro godimento estetico, né presentarsi come autosufficiente e vincolato solo da regole proprie di rappresentazione e significato. Infatti, esso dispone senza ripensamento la sua forma e il suo contenuto frammentari,

annunciando apertamente la sua affiliazione al mondo quotidiano fatto di oggetti ordinari, prodotti di consumo e cultura popolare.90

E più avanti, citando Donald Kuspit:

Il collage ci invita a spostare la nostra attenzione dai frammenti alle motivazioni per cui essi sono stati selezionati. Questi, semplicemente per essere frammenti, esistono in forme attenuate come stimoli - ma senza nessuna assolutezza, solo riguardo all’attenzione di ogni singolo individuo.91

Il collage è la forma che meglio identifica la mancanza di coerenza tipica del Novecento. Questa assenza produce nello spazio di rappresentazione una condizione di sorpresa che si ripercuote nel destinatario costretto a esperire l’opera d’arte secondo nuovi parametri estetici e secondo un nuovo tipo di lettura. Il collage, prelevando brandelli di realtà e incastrandoli all’interno di una cornice, è sempre stato grande alleato della vita reale. Esso non solo sfida l’autonomia dell’arte (più di ciò che fa la riproduzione meccanica nei confronti dell’aura e del valore dell’opera d’arte originale), ma opera anche una democratizzazione delle immagini, qualsiasi siano la loro fonte e la loro funzione, riposizionandole tutte sullo stesso piano visivo e sottomettendole tutte allo stesso livello di analisi critica.

Wees riconduce la tecnica del collage a quella del montaggio, rilevandone le analogie. Come il collage, anche il montaggio, infatti, lavora per giustapposizioni di elementi preesistenti estratti dal loro contesto originario, détournés (secondo la terminologia situazionista92) dal loro impiego primario e successivamente ceduti a

90 William C. Wees, Recycled images: the art and politics of found footage films, cit., p. 50 (traduzione

mia). “Invaded by ‘reality fragment’ […] the collage work cannot offer a haven for purely aesthetic appreciation, nor can it present itself as self-sufficient and bound only by its own rules of representation and signification. Just as it unapologetically displays its fragmentary form and content, it openly announces its affiliation with the everyday world of ordinary objects, consumer products, and popular culture.”

91 Idem, p. 51 (traduzione mia). “The collage forces us to turn from the fragments to the attention that

selected them… They themselves, simply by being fragments, exist in attenuated form as stimuli – but never with any absoluteness, only relative to an individual’s attention”.

92 Per détournement, secondo la logica situazionista, si intende infatti uno “spiazzamento di elementi

estetici prefabbricati”, l’integrazione di prodotti artistici attuali o passati in una costruzione superiore dell’ambiente, come spiega Mirella Bandini nel suo libro, ovvero la citazione, la ri-scrittura, la riappropriazione, soprattutto per ciò che riguarda i testi. Anche l'arte usa il détournement ma con una differenza: mentre il détournament artistico conduce alla creazione di una nuova opera d'arte, quello situazionista porta alla negazione dell'arte e della sua vocazione alla comunicazione immediata. Si tratta di decontestualizzare la provenienza dell’elemento deviato e di inserirlo in un nuovo insieme di significati che gli conferisca anche un nuovo valore. Un esempio sul campo è ciò che Debord compie all’inizio de La società dello spettacolo, “deviando” l’incipit del Capitale di Karl Marx secondo la sua

significati prima non reperibili. Una tecnica creativa che è anche un metodo critico, il collage/montage obbliga lo spettatore a riconoscere prima di tutto le motivazioni che hanno spinto alla scelta dei frammenti estratti, e solo successivamente il significato della nuova giustapposizione.

Il collage/montage enfatizza l’aspetto costruttivo del processo anziché il soggetto in esso rappresentato. La scelta, e le motivazioni che la avvalorano, diventano il fulcro dell’operazione. Il soggetto è considerato solo in qualità di frammento. Benjamin spiega efficacemente questo meccanismo richiamandosi alla figura dell’“interruzione”. Essa affonda le sue radici oltre il terreno dell’arte: è, infatti, considerata l’origine della citazione. “Citare un testo implica interrompere il suo contesto.”93 Il materiale vive abitualmente in un contesto dato in cui sembra muoversi in maniera naturale. Interromperlo vuol dire creare un vuoto all’interno dell’ambiente originario e modificarne la cornice. L’interruzione opera una lettura forzata; nel venire interrotto, ogni artefatto è portato a mettere allo scoperto le proprie funzioni meno ovvie e ideologiche. Tutti i found footage sono, nel senso benjaminiano, delle citazioni. La giustapposizione di materiali estremamente disomogenei genera, dunque, relazioni metaforiche, tematiche, grafiche, o ritmiche che soddisferanno il bisogno dello spettatore di trovare una giustificazione plausibile a questi accostamenti. D’altra parte, il senso di vuoto, di interruzione, appunto, nello scorrere del film, come se il materiale fosse frantumato continuamente dalle virgolette, non permette mai una visione rilassata e omogeneizzante. Questa forma di discorso incoraggia, quindi, lo spettatore a pensare il materiale in maniera più critica. Parafrasando Brecht, rendere un gesto, un’azione, una sequenza o un brano degno di citazione, è una delle maggiori conquiste dell’espressione artistica novecentesca. Il film, meglio di qualsiasi altra forma, si presta, per sua natura, a qualsiasi operazione di frazionamento, vivisezione, analisi al microscopio. Le immagini selezionate e poste tra le virgolette, sono estrapolate dal flusso narrativo di origine e asservite a un duplice significato: da una parte, quello legato alla situazione di partenza di cui richiamano volenti o nolenti le atmosfere e i contenuti, dall’altra, quello orchestrato dal nuovo contesto di destinazione che nutre la materia di argomenti inediti.

Il primo significato è sempre direttamente proporzionale alla conoscenza da parte dello spettatore del contesto d’origine: questo può essere un film specifico, un periodo storico, un archivio. Più il materiale è in sé capace di rivelare la propria

visione: “Tutta la vita delle società moderne in cui predominano le condizioni attuali di produzione si presenta come un’immensa accumulazione di merci”.

93 William C. Wees, Recycled images: the art and politics of found footage films, cit., p. 53 (traduzione

mia). “Quoting a text implies interrupting its context.” Wees cita le parole di Walter Benjamin che si riferiscono al teatro epico di Brecht, traslandole nel collage epico del found footage.

provenienza, più l’abilità del fruitore a sviluppare connessioni e interpretazioni sarà determinante nella ricezione del lavoro. Come nel caso del reperto archeologico, il frammento testimonia, rievoca, rappresenta, racconta, riassume ed è quel tutto a cui fa riferimento e di cui si sono perse completamente le tracce. Solo lo studio filologico riporta l’oggetto superstite al suo ambiente originario, spiegandone le funzioni e gli usi; ciò non toglie che, nella qualità di unico, esso comunica e racconta molto più di ciò per cui era stato creato. Il frammento è una sineddoche che dà vigore alla parte per il tutto. E come lo stesso Benjamin argomenta, si tratta di una parte che molto spesso esula dalle eccellenze o da ciò che la sua epoca reputava più significativo, per dare voce alla spazzatura, ai residui, a ciò che resta e a cui la civiltà di appartenenza non ha dato importanza. E’ proprio qui che si ritrova la vita reale. Negli scavi archeologici non sono le colonne dei fasti e i monumenti chiamati ad essere aeterni a raccontare gli usi, i costumi, la vita vissuta, ma i frammenti delle murature, delle anfore, le monete e tutto ciò che non è stato creato per restare ma per essere usato e dimenticato. I film di found footage alternano perciò le loro fonti tra le sequenze già rese eterne e i documenti senza nome democratizzando tutte le immagini sotto l’occhio indagatore dell’artista-archeologo. Come afferma il filmmaker Bruce Conner “Tutto ciò che è stato dato per scontato, non serio, non arte, cose da buttare via, è esattamente il materiale a cui rivolgo la mia attenzione”, e più avanti, “Se vuoi sapere cosa sta succedendo in una determinata cultura, guarda a ciò che tutti danno per scontato. Dai attenzione a questo, piuttosto che a ciò che la gente vuole mostrarti”.94

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