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I.2. Archeologia digitale: le aree di interesse

I.2.4 Archeologia quantitativa

“Se c’è una cosa che gli archeologi fanno, è contare”85. In effetti del record archeologico si conta tutto: frammenti di ceramica, metalli, small finds, monete, ossa, strutture, insediamenti, ecc. E non solo si conta, si misurano anche tutte le grandezze possibili come lunghezza, larghezza, peso, spessore, profondità, volume, area, colori. I dati archeologici dunque possono essere descritti anche da numeri, e la quantificazione di valori, le operazioni di calcolo e le statistiche possono acquisire un significato se forniscono istruzioni su come formulare delle osservazioni, sulla gestione efficiente di dati che altrimenti andrebbero a comporre un database senza fine e poco pratico da utilizzare e su come valutare differenze ed affinità86. Nello specifico le analisi statistiche e quantitative permettono di specificare le probabilità di errore e di conseguenza hanno un senso nell’individuare le cause sulle quali si costruiscono spiegazioni. La statistica gioca un ruolo importante nelle analisi archeologiche poiché è nella natura dell’archeologo fare affidamento sui dati. Tuttavia i dati che compongono il record archeologico descrivono solo una parte del materiale che si conserva, il quale, a sua volta rappresenta solo una parte del materiale che le comunità hanno prodotto. Di conseguenza gli archeologi sono costretti a comprendere e spiegare il passato usando un set di dati imperfetto e limitato, ed è proprio questo limite alla base dell’impostazione teoretica dell’archeologia quantitativa. Questo approccio infatti consente di impostare ragionamenti in maniera logica e coerente con i dati, in modo da favorire le valutazioni successive.

L’approccio quantitativo in archeologia è stato introdotto in ambito angloamericano alla fine degli anni ’50, e caratterizza tutti gli studi in cui i dati archeologici vengono trattati con metodi numerici propri di delle scienze matematiche e statistiche87.

L’archeologia quantitativa si sviluppa di pari passo con la New Archaeology, che proponeva un’introduzione del metodo scientifico nell’impostazione metodologica della ricerca

84 Magnaghi 2000.

85 VanPool, Leonard 2011, p.1. 86 VanPool, Leonard 2011. 87 Terrenato 2000d.

36 archeologica. Metodi probabilistici, classificazioni numeriche, diventano in questo contesto degli strumenti di analisi sempre più frequenti, messi in discussione soltanto dopo che l’ascesa della corrente postprocessualista. Come si è visto, questo trend non delinea affatto un quadro complessivo ed omogeneo, poiché in alcuni paesi come l’Italia, caratterizzati da una forte formazione storicistica, le novità proposte dall’archeologia processuale hanno sempre stentato a fare presa nelle pratiche quotidiane di indagine. Tuttavia anche nel nostro paese è stato a cavallo fra gli anni ’50 e ’60 che fecero la comparsa le prime analisi quantitative88.

Nello scenario attuale l’approccio dell’archeologia quantitativa gode di un’ampia considerazione, poiché i suoi metodi costituiscono un reale arricchimento per la documentazione e quindi per la formulazione delle ipotesi interpretative. Inoltre la riflessione teorica ha portato ad una rinnovata maturità della metodologia archeologica, dando il via ad un approccio che è stato chiamato neoprocessualista. Dati numerici e statistiche sono fondamentali e fanno regolarmente parte del set di documenti prodotti durante le indagini archeologiche, ma essi devono essere strumenti adatti a fornire visuali più definite nel discorso interpretativo dell’archeologo89.

Nell’approccio quantitativo, l’archeologia stessa è considerata come disciplina matematica90. L’investigazione archeologica, dunque, in quanto investigazione scientifica deve esprimersi in termini di problemi da risolvere. Così l’archeologo è incaricato di dover trovare risposte a questi problemi concreti, relativi ai dati che raccoglie. L’oggetto di studio riguarda quindi le conseguenze materiali dell’azione umana, ossia ciò che resta e si conserva fino a noi dell’azione sociale una volta che questa si è conclusa.

In quanto scienza sociale, anche l’archeologia si propone di risolvere due tipi o modalità di problemi:

- Quale tipo di azione sociale può porsi in relazione con collegamenti specifici di artefatti o frammenti di artefatti.

- Perché l’azione sociale in questione si produce, cambia o resta stabile.

Se non si conoscono dunque le azioni collettive che si sono verificate in un preciso momento e luogo, difficilmente si possono capire perché sono cambiate nel corso del tempo e neanche perché si sono cristallizzate in formazioni sociali distinte.

88 Guidi 2015.

89 Bertoldi et alii 2015. 90 Clarke 1968, Barcelò 2007.

37 All’interno delle scienze sociali, l’archeologia sembra in realtà una sorta di ingegneria inversa, ovvero una disciplina che intende “trovare la causa partendo dall’osservazione dell’effetto”91.

Quello che Barcelò chiama effetto non è altro che il materiale archeologico, caratterizzato da cinque proprietà basiche:

1. Forma 2. Dimensioni 3. Composizione 4. Superficie

5. Localizzazione (nel tempo e nello spazio)

Mentre le cause sociali delle proprietà osservabili nelle conseguenze materiali dell’azioni sociali possono essere riassunte in quattro grandi gruppi:

1. Produzione 2. Uso/Consumo 3. Distribuzione

4. Azioni post-deposizionali

Una schematizzazione di questo tipo può sembrare certo estremamente riduttiva e non rispecchiare una realtà così complessa e incerta come quella archeologica, che spesso non può essere interpretata con certezza. Quello che però secondo la disciplina dell’archeologia quantitativa è possibile sempre fare è osservare la proprietà materiali degli oggetti di un determinato contesto, metterle in relazione per cogliere le relative caratteristiche e misurare le differenze.

Le caratteristiche principali del linguaggio matematico più comuni in archeologia sono: - Quantità: proprietà delle entità che ammette una gradazione

- Qualità: è l’opposto della quantità. Dunque è una proprietà che non ammette gradi o ordini.

- Misurazione: operazione che permette di assegnare numeri che rappresentino il grado di proprietà quantitative.

- Descrizione: operazione che permette di assegnare etichette alfanumeriche che rappresentano le proprietà qualitative.

38 I metodi quantitativi e statistici sono applicati ai dati. I dati sono delle osservazioni, non delle cose, e neanche degli artefatti. Ciò che costituisce un dato è infatti determinato dalle domande della ricerca e da prospettive teoretiche. Un dato viene creato per servire ad uno scopo definito da una impostazione intellettuale preesistente.

La raccolta dei dati deve seguire un’impostazione sistematica, senza lasciare tracce di ambiguità alle misurazioni, e impostando quelle che sono le variabili misurate dai dati stessi. Una variabile è una qualsiasi qualità del mondo reale che possa essere caratterizzata in quanto possiede stati alternativi92. Ciascuna variabile può avere delle variate, ossia delle osservazioni individuali fatte sulla stessa variabile (ad esempio l’angolazione dell’orlo in una stessa forma ceramica). L’insieme delle variate costituisce i dati, che dunque non sono variabili.

Un fattore centrale per costruire dati nella maniera appropriata consiste nell’identificare a quale scala andrebbero misurati.

Gli strumenti statistici di analisi dipendono strettamente dalla scala di misurazione, che può essere distinta in quattro tipi93:

1. Nominale 2. Ordinale

3. Intervalli equivalenti 4. Rapporti equivalenti

I livelli nominali di misurazione si riferiscono a numeri utilizzati come etichette o per rappresentare l’abbondanza di una classe di fenomeni. Nel primo caso gli archeologi utilizzano etichette per codificare i dati, ma i valori assegnati non hanno alcun significato matematico e dunque non è possibile operare alcuna operazione aritmetica su di essi.

Per quanto riguarda il secondo caso la situazione cambia. Un ricercatore potrebbe infatti essere interessato a confrontare l’abbondanza e la distribuzione di particolari classi di reperti in un determinato paesaggio, in modo da ottenere informazioni su differenze tecnologiche o di funzione di alcuni siti. Per determinare se le differenze di abbondanza o distribuzione possano essere significative sono stati applicati in archeologia diversi test statistici, come ad esempio il test del chi quadrato94.

92 Il colore della terra ad esempio è una variabile. VanPool, Leonard 2011

93 I livelli di scala seguono un determinato ordine gerarchico. Più il livello è alto, maggiori sono le operazioni matematiche che si possono effettuare sui valori della scala. Stevens 1946.

39 In archeologia dunque i dati di livello nominale sono tipicamente attributi di variabili qualitative. Queste ultime sono chiamate variabili discrete, perché riflettono differenze rappresentate soltanto da un numero limitato di possibili risultati.

In definitiva, qualunque classificazione dà origine ad una scala nominale, e questa classificazione qualitativa può essere utilizzata per esaminare abbondanza e differenze di distribuzione.

Il secondo livello di scala è quello ordinale permette di ordinare gerarchicamente i dati stabilendo solo rapporti di uguaglianza e relazioni fra valori maggiori e valori minori. Non è possibile tuttavia stabilire quanta distanza esiste fra un valore e l’altro.

I numeri che vengono associati alle categorie esprimono la relazione d’ordine, sono dei semplici codici che servono a distinguere e ordinare, ma non dicono nulla sulla grandezza delle distanze tra le categorie. Inoltre non corrispondono alla quantità della proprietà misurata, ma rappresentano soltanto la relazione d’ordine tra le modalità (“più grande di”, “superiore a”, “precedente a”,).

Una scala ordinale descrive soltanto l’ordine di rango tra le modalità A e B ma non dà nessuna indicazione di quanto A sia più grande di B.

Non è possibile effettuare alcuna operazione aritmetica sui numeri di questa scala perché i valori numerici sono arbitrari, posto che venga preservata la relazione d’ordine tra i valori della scala. Le misurazioni a livello di intervallo consentono invece di partizionare una grandezza in parti simmetriche utilizzando un valore di riferimento arbitrario (valore zero). Un esempio di misurazione di questo tipo è proprio la datazione per anni. Un anno infatti riflette il passaggio della stessa quantità di tempo e quindi permette di misurare il tempo con porzioni misurate simmetriche, ma l’anno 0 non indica l’inizio del tempo, bensì un punto scelto arbitrariamente.

Infine le misurazioni a livello di rapporti equivalenti sono analoghe a quelle precedenti ma con una differenza: l’aggiunta di un valore iniziale reale. Se si considera la temperatura, il valore 0 non indica un’assenza di temperatura, ma, se si prende come esempio la scala centigrada, il punto di questa grandezza in cui l’acqua congela passando allo stato solido. Al contrario, se si considera la misurazione di distanza lineare, il valore 0 sta ad indicare la totale assenza di lunghezza. Pertanto rientrano in questa categoria tutte le misurazioni effettuate utilizzando il sistema metrico.

Non esiste la scala di misurazione migliore, e una variabile può essere misurata a più livelli. Pertanto la scala più appropriata sarà determinata dalle contingenze e dalle domande del progetto di ricerca. È importante però che l’archeologo conosca la maniera in cui sono stati

40 costruiti i dati: non ha senso infatti tentare di effettuare calcoli aritmetici su dati che molto spesso possono essere misurati soltanto a livello nominale e ordinale.

Per evitare errori di valutazione, in archeologia quantitativa è necessario verificare la validità dei dati. Rendere un dato valido significa renderlo ben fondato o giustificabile, e quindi allo stesso tempo rilevante e significativo. I processi di validazione non sono affatto semplici e servono a confermare se la base dei dati è costruita in maniera tale da poter rispondere a specifiche domande. Un esempio in cui la validità dei dati ha portato a conferme interessanti proviene dalla dendroclimatologia, ossia lo studio ricostruttivo delle temperature e degli schemi di piovosità del passato. È stato dimostrato infatti che esiste una stretta correlazione fra la larghezza dei cerchi di crescita dei tronchi e specifici fattori ambientali come la temperatura e la quantità di acqua disponibile. Per altri tipi di calcolo, come ad esempio quello della popolazione in determinate aree geografiche, a livello di sito o di regione, non sono stati individuati metodi universalmente riconosciuti, poiché non c’è accordo sulla validità delle variabili archeologiche utilizzate come unità di misura.

Non è soltanto la validità a dover essere verificata. Infatti bisogna valutare anche se gli strumenti di calcolo siano accurati e precisi. Accuratezza e precisione non sono sinonimi, ma sono due concetti distinti che possono essere definiti, il primo come la vicinanza di un valore

misurato o calcolato al suo vero valore, mentre la precisione consiste nella vicinanza di ripetute misurazioni ad una stessa quantità95. Misurare in maniera accurata e precisa è un’operazione

che dipende strettamente dalla struttura teoretica e analitica dell’impostazione della ricerca, e non dall’impiego di unità di misura piccole. Bisogna infatti scegliere unità di misura che possano mettere in evidenza variazioni significative in base al campione che si sta analizzando.

L’ultimo concetto di estrema importanza nell’impostazione di una ricerca di archeologia quantitativa implica la valutazione sull’insieme dei dati. Bisogna infatti definire se esso rappresenti la popolazione o un campione della popolazione. In statistica la popolazione è considerata come la totalità dei fenomeni riferita a ciò su cui si vogliono trarre delle conclusioni, mentre un campione è un sottoinsieme della popolazione. Sia la popolazione che i campioni sono finiti nel tempo e nello spazio, e sono definiti dagli investigatori. In archeologia è quasi impossibile misurare la totalità di fenomeni, perciò è molto più comune analizzare campioni in modo da comprendere alcune caratteristiche della popolazione in esame.

Forse è proprio l’inferenza, ossia la possibilità di ricavare informazioni su una popolazione a partire dallo studio e dalle analisi di un campione, il contributo più grande dell’archeologia

41 quantitativa96. Per raggiungere questo obiettivo vengono effettuati dei test di significatività, volti a quantificare la probabilità che un fenomeno archeologico rilevato possa costituire un dato da interpretare.

Esistono diversi tipi di test di significatività, ma quello più noto è senz’altro il test chi quadrato (χ²),che può essere applicato anche a variabili nominali. In questo test i valori osservati nella realtà vengono confrontati con quelli che ci si aspetta qualora la loro distribuzione fosse del tutto casuale. La differenza fra valori osservati e valori attesi produce un χ², che rapportato al numero di gradi libertà del campione, ossia al numero delle variazioni possibili del campione, permette di far ricavare il livello di significatività. Test come quello del χ²consentono dunque di tradurre in percentuali le sensazioni personali sulla significatività dei dati, anche se si limitano a fornire informazioni sulla casualità del fenomeno analizzato, senza misurare alcuna grandezza o anomalia.

Per questa ragione vengono utilizzate misure più complesse, anche derivate dal χ², ma le elaborazioni più precise possono essere effettuate soltanto su variabili di tipo numerico, come dimensioni di manufatti o di parti di essi. Le elaborazioni matematiche possono essere rappresentate per mezzo di grafici di distribuzione, come ad esempio lo scattergram, che consiste in un sistema di assi cartesiani in cui ciascun valore misurato è rappresentato tramite un punto. Questi punti possono far notare subito quali sono i raggruppamenti più corposi o se esistono relazioni lineari, e che quindi indicano proporzionalità diretta o inversa, o relazioni curvilinee fra le variabili prese in esame.

Un campo in cui l’archeologia quantitativa ha apportato notevoli contributi è quello della classificazione numerica, tramite la quale è stato possibile definire tipologie di manufatti attraverso l’introduzione di misure di similarità. A tal proposito hanno trovato largo impiego le

cluster analysis97, che consentono di aggregare oggetti simili sulla base di parametri numerici,

e dunque di stabilire gradi di prossimità a più livelli, dal manufatto al gruppo.

Esistono anche altri tipi di analisi che prendono il nome di multivariate, che possono essere applicate a diverse variabili, in modo da comprimere i dati che si vogliono confrontare in un numero minore di variabili.

L’archeologia quantitativa infine, ha avuto il merito di introdurre metodi statistici anche nell’archeologia dei paesaggi, dando inizio a procedure analitiche di tipo spaziale. In particolare, le analisi descritte finora acquisiscono un significato anche al fine di studiare la configurazione di siti o di particolari rinvenimenti sul singolo scavo. Sono sempre più numerosi

96 Terrenato 2000d. 97 Cowgill 1968.

42 gli strumenti informatici che permettono di effettuare queste analisi, soprattutto nel vasto mondo dei GIS, ormai muniti di tool per effettuare diversi calcoli.

Inoltre l’uso di strumenti informatici per il calcolo statistico sono sempre più utilizzati anche in archeologia. Ne è un esempio il crescente impiego di R98, che consiste in un linguaggio per il calcolo statistico e la rappresentazione grafica99.

Un altro software particolarmente indicato per analisi di archeologia quantitativa è Past, sviluppato dall’Università di Oslo100. Si tratta di un software gratuito per analisi di dati scientifici, statistiche univariate e multivariate, analisi ecologiche e spaziali, con specifici strumenti per la codifica e l’analisi di stratigrafie101.