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Dopo quattordici anni dal 26 novembre 1962, giorno in cui iniziarono le ricerche sistematiche nell’area di Ordona, Mertens sorprende i lettori scrivendo nell’introduzione al volume: “i

contorni della storia dell’antica Herdonia cominciano ad essere tracciati in pieno”241. Non si

tratta di ostentata modestia, ma della cura e dell’attenzione che lo studioso nutre nei confronti di un sito archeologico dalle potenzialità davvero straordinarie. E per poter cogliere appieno queste potenzialità auspica che le ricerche continuino ancora a lungo.

È così che il professor Mertens introduce il quinto volume della serie su Ordona, volume che raccoglie l’esperienza di cinque anni di scavo, dal 1970 al 1974.

Queste campagne hanno avuto luogo:  Dal 5 settembre al 18 dicembre 1970  Dal 3 settembre all’11 dicembre 1971  Dal 4 settembre al 13 dicembre 1972  Dal 10 settembre al 28 novembre 1973  Dal 2 settembre al 30 novembre 1974

Il programma di ricerche previsto per questo quinquiennio è stato:

 Lo studio topografico e stratigrafico degli elementi che costituiscono il centro monumentale della città romana.

 L’occupazione dell’ager herdonitanus in epoca romana.

 Problemi relativi all’abitato indigeno e ai suoi rapporti con la necropoli preromana e con la città romana.

 Studio topografico e stratigrafico di Ordona nel Medioevo.

TRINCEA ANNO DI INIZIO

SCAVO LOCALIZZAZIONE

70.1-18 1970 Quartiere fra domus B e porta Nord Est

(Wheeler)

71.2-29 1971 Collina sud (Wheeler)

71.30 1971 Foro

72.1 1972 Foro

72.5 1972 Terme

73-74 1973 Macellum

74.1 1974 Collina sud extra moenia

74.2 1974 Collina sud extra moenia

74.3 1974 Collina sud mura

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Il centro monumentale della città romana.

Durante la campagna 1970 fu completato lo scavo del vasto piazzale del foro; una ricerca sistematica ha favorito allo stesso tempo lo studio del criptoportico attorno alla piazza sui fianchi NE, SE e SO.

Nel 1973 e nel 1974 fu completato lo scavo del macellum, nell’angolo meridionale del foro, mentre, sempre nel 1970 fu intrapreso lo studio planimetrico e stratigrafico della zona estesa fra il foro e la porta NE.

Un altro edificio pubblico appartenente al centro monumentale e identificato come le terme della città, è stato recuperato e parzialmente scavato nel 1972.

Il criptoportico.

Questa vasta galleria sotterranea delimita la piazza del foro sui lati NE, SE e SO, e allo stesso tempo i contorni del piazzale che si estende davanti al tempio A. Sembra infatti costruita in funzione di quest’ultimo. Inoltre la piazza era circondata da un portico sul quale si aprivano le numerose botteghe disposte in serie regolari, secondo uno schema ben noto nell’urbanismo romano.

Le colonne del portico si appoggiavano sul paramento esterno e sulla volta del criptoportico. Questo si estendeva per una lunghezza totale di 123 metri, occupando tre lati di un rettangolo di 35 x 44 metri. La galleria è tagliata nella roccia, che in questo punto è un tufo molto tenero e facile da tagliare. La larghezza della galleria non è mai uguale: varia da 1,67 a 1,90 metri procedendo dal settore orientale a quello occidentale; l’altezza nell’asse della volta è di 2,48 metri. La volta, dal profilo ribassato, è stata colata in una cassaforma di legno poggiata sulle pareti, e queste ultime non presentano paramento né intonaco. Questo sotterraneo fu costruito secondo un procedimento molto moderno: le trincee di fondazione furono in effetti scavate direttamente nella roccia naturale e riempite con pietre e malta; solamente dopo la presa della malta che la galleria propriamente detta è stata scavata e sormontata da una volta.

Sembra che non sia stata prevista alcuna deambulazione: in effetti nell’angolo meridionale e in quello orientale il suolo è rialzato di mezzo metro, inoltre dei muri portanti di vario spessore si appoggiano alle pareti del sotterraneo intralciando il passaggio. La disposizione degli accessi sembra confermare questa ipotesi, e infatti nessun accesso praticabile è stato rinvenuto, a parte le tracce di una scala di cui si conservano tre gradini, ma che fu messa fuori servizio dalla costruzione del portico sovrastante.

171 Interessante lo studio del riempimento della galleria. Una volta scavato non ha rivelato alcun pavimento e neanche di uno strato netto di occupazione; inoltre esiste una differenza fra il riempimento del braccio orientale e quello del braccio occidentale. Il braccio orientale fu riempito sistematicamente in due riprese per consentire la sistemazione della fondazione delle colonne del portico, mentre quello occidentale fu riempito gradualmente, forse perché in quel punto non era necessario rinforzare la stabilità del portico.

La cronologia della galleria sotterranea può essere dedotta da elementi topografici e archeologici. La galleria è infatti allineata al tempio A e ad una serie di botteghe che copre degli ambienti precedenti allineati alla basilica e databili all’età augustea. Dunque la galleria è sicuramente posteriore. Inoltre l’uso pratico di questi sotterranei è cessato in seguito alla costruzione del portico soprastante.

Lo studio del materiale archeologico permette di precisare questa cronologia relativa: sembra infatti che la messa fuori servizio della galleria risalga agli inizi del II secolo d.C.

Il criptoportico di Herdonia sembra aver avuto una vita piuttosto breve: concepito nell’ambito di una sistemazione monumentale del foro può essere datato alla seconda metà del I secolo d.C. e fu colmato agli inizi del II. Quale sia stata la sua funzione è difficile da stabilire. Il ritrovamento di piccoli canali di scolo, posti durante i lavori di riempimento della galleria, ne rivelano comunque una funzione secondaria.

Il macellum.

Questo monumento situato nell’angolo meridionale del foro fu scavato a partire nel 1967 e completato soltanto nel 1974, considerato il notevole riempimento. I suoi muri, conservati per altezze anche superiori ai 6 metri, il pavimento mosaicato e le pitture parietali rendono il macellum uno degli elementi più spettacolari delle vestigia di Herdonia.

Il mercato fu integrato nell’insieme del foro durante il momento più recente di risistemazione, e cioè agli inizi del II secolo d.C. La tecnica costruttiva dei muri, l’opera mista di reticolato e laterizi, corrisponde alla terza fase del reticolato, collocata da Lugli fra il 50 e il 180 d.C. Non sorprende dunque il recupero di una base con dedica all’imperatore Adriano: è probabile che il mercato sia stato costruito sotto il suo regno.

La cronologia relativa dei diversi elementi di costruzione e delle decorazioni che compongono il macellum può essere facilmente stabilita.

172 La zona estesa tra il foro e la porta NE

Il principale obiettivo degli scavi in quest’area, dove la fotografia aerea ha rivelato la presenza di costruzioni di epoca tarda, è stato lo studio della sovrapposizione stratigrafica e dell’evoluzione della città antica, dall’epoca romana al Medioevo.

Una zona di 57 x 22 metri è stata suddivisa in 18 quadrati di 5 x 5 metri esaminati sistematicamente dalla superficie agli strati rocciosi. È la prima volta che Mertens adopera lo scavo con testimoni di terra (metodo Wheeler) ad Herdonia.

Il tracciato della prima strada romana, che successivamente farà parte della Via Traiana, ha condizionato tutta la sistemazione urbanistica del quartiere. Il gomito descritto dalla strada ha provocato lo spostamento delle strutture che, verso sud-ovest, sono allineate alle costruzioni che collegate al foro. Questi edifici presentano tutti una tecnica di costruzione piuttosto curata, opera incerta e reticolata, e successivamente opera laterizia e mista. Diversi pavimenti sono in opus signinum, a volte decorati con cubi di mosaici. La maggior parte di questi ambienti risale al I secolo a.C., ma subirono numerose trasformazioni, a volte radicali, nel corso dei primi tre secoli della nostra era. Il complesso attesta una occupazione piuttosto densa di questo settore.

Le terme.

Ad un centinaio di metri a nord ovest della basilica, una seri di blocchi in muratura lasciava supporre l’esistenza di un importante edificio in quest’area, a maggior ragione perché situato in prossimità della Via Traiana. Nel corso della campagna 1972, l’area fu scavata su una superficie di 10 x 20 metri, mentre una trincea di 66 metri di lunghezza e di 2 metri di larghezza è stata scavata in direzione del foro. Tutte le macerie presenti in questa zona appartenevano dunque ad un unico complesso architettonico crollato al di sopra di ambienti con pavimenti a mosaici. L’elemento centrale di questo settore è costituito da un ambiente quadrato di 4 x 4 metri (amb. 34), con muri in opera reticolata regolare ed angoli in laterizi, ricoperti da due strati di malta rosastra e rivestiti di marmo bianco e rosso. Un gradino di 98 centimetri si estende tutto intorno all’ambiente. Il pavimento è composto da un bordo di marmo bianco largo 30 centimetri e da un mosaico bianco con tessere di circa 1 x 1 centimetri.

In questa parte dello scavo sono stati recuperati enormi frammenti di una volta crollata, di cui la decorazione in stucco è particolarmente considerevole: presenta motivi di ramoscelli, acini e grappoli di uva, mentre degli amorini vendemmiatori e un satiro inseguono una menade. I pannelli sono circondati da un fregio di foglie di acanto.

Questa vasca si apre a sud su un grande ambiente (amb. 35), largo 9,70 metri e lungo 11,25 metri. I muri sono in opera reticolata, ricoperti di intonaco rosa e da lastre di marmo bianco; il

173 pavimento è ornato da un mosaico a motivi geometrici che presenta un’alternanza di quadrati e rettangoli bianchi e neri. Il muro occidentale è ornato sulla facciata esterna da una serie di nicchie semicircolari ricoperte da intonaco; nel muro orientale invece è stata posizionata una porta larga 1,45 metri, dotata di una soglia in calcare bianco. Da questa porta si accede all’ambiente 66, che al momento della scrittura del volume non era ancora stato scavato completamente. Lungo i muri di questo ambiente corre una pedana poco sopraelevata, ornata da mosaici e lastre di marmo che a sua volta circonda un tappeto in mosaico di 7,80 x 7 metri, decorato da una doppia banda nera all’interno della quale si alternano fiori rossi e neri su fondo bianco. Al centro di questo pavimento c’è un secondo pannello inquadrata da una treccia policroma rossa e bianca su fondo blu.

Tutto questo complesso risale agli inizi del II secolo d.C., considerata la analoga tecnica edilizia con le botteghe del foro, ma è stato preceduto da almeno due grandi periodi di costruzione, di cui uno in opera reticolata. Tuttavia al momento della pubblicazione lo scavo era ancora parziale. Numerose strutture sono state costruite successivamente: canali di scolo verso la Via Traiana o muri di epoca medievale costruiti sui pavimenti in mosaico.

La lunga trincea 72/5 che parte dall’ambiente 66 in direzione del foro, ha permesso di scoprire altre strutture annesse a questo complesso ed anche delle stradine. Vanno ricordati il corridoio 71, con mosaico a cerchi secanti neri su fondo bianco e una serie di muretti che compongono l’ipocausto 85. A questo fa seguito un secondo ipocausto delimitato a sud da una strada rivestita di ciottoli, larga 4,50 metri, che delimitava a sud il complesso termale.

Al di sotto di queste vestigia è stata ritrovata una struttura preromana con muri in tegole, assieme a delle fosse e a del materiale di IV e III secolo a.C.

L’occupazione dell’Ager Herdonitanus all’epoca romana.

L’interpretazione della fotografia aerea rientra in questi anni a pieno titolo nella metodologia di ricerca archeologica, e anche l’équipe belga guidata da Joseph Mertens ne fa largo uso per estendere i propri orizzonti di ricerca al di là delle mura urbiche di Herdonia e comprendere modalità insediative ed organizzative delle campagne circostanti.

Il patrimonio fotografico rilasciato da John Bradford, a partire dal 1943, aveva infatti costituito una risorsa di informazioni preziosissima, in quanto aveva permesso di localizzare numerosi villaggi neolitici, tracce di centuriazione e di occupazione romane e anche villaggi e fortificazioni medievali: un palinsesto diacronico che testimonia la vocazione agricolo- pastorale della pianura del Tavoliere.

174 Per quanto riguarda l’epoca romana, il caso più interessante per descrivere l’organizzazione dell’ager herdonitanus è quello della zona situata a 3,5 km a NNO della città antica, chiamata Posta Crusta. L’interpretazione delle fotografie aeree dell’Istituto Geografico Militare aveva permesso di localizzare numerose tracce rettilinee che avevano fatto pensare in un primo momento alla presenza di una città scomparsa, ma che furono poi correttamente interpretate come i resti di un antico catasto.

La riforma agraria realizzata negli anni 1958 e 1959 però, stravolsero completamente l’aspetto della zona. Tuttavia grazie ad una ricognizione terrestre effettuata nel novembre del 1969, è stato possibile confermare il carattere rurale di questa aerea, grazie a materiale archeologico che va dal II secolo a.C. al IV d.C. Furono localizzate quasi 16 ville disposte lungo un asse NNO-SSE e distanti fra loro quasi 500 metri.

In un punto leggermente sopraelevato e con un notevole spargimento di laterizi e macerie di muratura è stato indagato nel 1972, ma con scarsi risultati a causa del pessimo stato di conservazione delle strutture. Si è deciso dunque di effettuare un sondaggio in un’altra area caratterizzata sempre dalla presenza di materiale da costruzione, dove è stata completamente scavata una villa romana che si estendeva su una superficie di 47 x 50 metri. Questo sito sembra essere stato occupato dal II secolo a.C. al IV d.C., e in questo lungo periodo ha subito diverse trasformazioni senza però alterazioni del suo orientamento, che non corrisponde affatto a quello della centuriazione.

Sono state distinte circa dieci fasi costruttive di questo edificio. Della prima fase non restano che tronconi di fosse rettilinee tagliate nella roccia. Quanto ai muri, essi devono essere stati distrutti per poi essere sostituiti da muri successivi. I materiali ceramici consentono di datare questa fase dal III al I secolo a.C.

La seconda fase è ben documentata ed è il momento in cui viene costruito l’edificio a pianta quadrangolare, orientato NNO-SSE, esteso su una superficie di 20,70 x 19,20 metri. Questa superficie è divisa in due parti di uguali dimensioni da un muro assiale. La parte meridionale è composta da una facciata e da una serie di piccoli ambienti che affacciano su un largo corridoio dove erano allocate delle giare di approvvigionamento. Il corridoio fungeva da raccordo con la zona settentrionale dell’edificio, dove ci sono ambienti di più larghe dimensioni destinati al ciclo produttivo dell’olio di oliva. Al centro dell’edificio un oecus di 6 x 3,65 metri, pavimentato in opus signinum ornato da frammenti di marmo e da tessere nere e bianche. Questa fase può essere datata alla piena età augustea.

Se la terza e la quarta fase non presentano modifiche rilevanti all’edificio, la quinta fase rappresenta una svolta notevole. Le strutture sono rimpiazzate da un edificio più grande, con

175 due ali disposte ad L e aperte sul lato occidentale. La funzione di questo edificio resta sempre legata alla produzione dell’olio di oliva.

Le fasi 6, 7, 8 e forse anche la nona, non sono altro che delle sistemazioni dello stesso edificio; ciò che sembra cambiare è la produzione, da quella dell’olio a quella del grano.

Gli studi effettuati fino a questo punto non consentivano una datazione puntuale, ammette Mertens, ma questo ingrandimento è senza dubbio segno di un periodo di grande attività economica a cavallo fra III e IV secolo, anche se il palinsesto della cultura materiale non sembra denotare alcuna ricchezza. Mertens ipotizza perciò che quella di Posta Crusta possa essere stata solo una parte di possedimenti più grandi legati ad attività produttive rurali, con elementi sparsi un po’ ovunque nell’ager.

Difficoltà di datazione esistono anche per l’ultima fase individuata in questo primo studio, dove l’ala orientale viene demolita e livellata per far posto ad un piccolo edificio con funzione funeraria, circondato da tombe prive di corredo ma perfettamente allineate.

L’abitato indigeno e la città romana.

L’analisi del rapporto fra l’insediamento daunio e la città romana è un obiettivo ricorrente nel progetto di ricerca di Mertens per la ricostruzione storica e archeologica di Herdonia.

Anche nei primi anni ’70, due campagne di scavo sono state incentrate sullo studio delle tracce dell’abitato indigeno, in particolare quella del 1971 e quella del 1974. Le ricerche sono state concentrate nel settore meridionale della città, dove l’occupazione romana è stato meno intensivo.

Nella campagna del 1971 gli scavi sono stati effettuati al centro della collina meridionale, fra i due grandi sondaggi aperti nel 1966. Tutta la zona in esame è stata sistematicamente quadrettata con 29 quadrati di 5 metri, analizzati minuziosamente tanto dal punto di vista stratigrafico quanto da quello planimetrico. Mertens dunque non si oppone all’adozione di pratiche di scavo in linea con i principi teorici di quegli anni, ma non nasconde una certa insofferenza nei confronti del metodo di scavo per quadrati con testimoni verticali, il metodo Wheeler, e ammette: “i risultati furono rivelatori e hanno dimostrato che solo uno scavo di una grande

superficie può restituire risultati maggiori e scientificamente validi”242.

Le trincee del 1974 invece, furono tracciate in modo da intercettare la cinta romana, il fossato che la costeggiava e una parte della zona che si estendeva immediatamente davanti alle strutture difensive. Uno dei risultati più importanti di queste ricerche è stata la constatazione che, al momento dello scavo del fossato attorno alla città romana, la terra asportata è stata in parte

176 rigettata dietro alla cinta muraria, formando un aggere, e in parte stesa verso l’esterno, al di là del fossato. Questo strato di ghiaia piuttosto omogeneo e spesso anche un metro, ha fornito un riferimento cronologico ben preciso. Esso copre infatti tutto un insieme di abitazioni, strade e tombe appartenenti al vasto abitato daunio, che è diventato zona extraurbana, e pertanto una parte di esso è stata abbandonata e ricoperta al momento dell’installazione della città romana, agli inizi del III secolo a.C.

La comparazione fra le strutture trovate nel 1974 extra muros e quelle scavate nel 1971 all’interno della città permette di cogliere il carattere fondamentale dell’apporto romano nel corso dei primi secoli di esistenza della città, tanto dal punto di vista della tecnica di costruzione che da quella della tipologia degli edifici o dell’impianto urbanistico.

Sulla collina meridionale l’esame archeologico ha confermato i risultati ottenuti nel 1966: alle primitive capanne in legno, di cui restano le buche di palo tagliate nella roccia, succedono abitazioni rettangolari costruite con ciottoli e mattoni crudi. Queste strutture si compongono in generale di due ambienti, il pavimento è in semplice terra battuta e a volte le pareti sono coperte da intonaco di calcare o di marna. La disposizione regolare di queste abitazioni, in senso NO – SE, è segno, in un certo senso, di una consapevolezza in materia urbanistica. Ciò che più rappresenta una scoperta importante per Mertens è che lo stesso orientamento sarà mantenuto anche dopo la costruzione degli edifici in muratura romani, quasi senza soluzione di continuità. Mertens inoltre traccia un primo quadro di riferimento cronologico in cui gli elementi più antichi risalgono al VIII secolo a.C., ma è solo a partire dal VI che si assiste ad una occupazione sistematica, costituita da un’alternanza fra aree funerarie e aree insediative che si infittisce specialmente fra V e IV secolo.

Esemplare il caso del sondaggio 71.26, di 5 x 5 metri, in cui sono rappresentate quattro fasi differenti: una tomba di infante degli inizi del V secolo viene obliterata da una abitazione in mattoni crudi risalente al pieno V secolo; questa struttura viene in parte distrutta alla fine del IV per far posto ad una tomba a grotticella. Quest’ultima viene a sua volta coperta da un edificio pavimentato con uno dei tipici mosaici geometrici in ciottoli di fiume.

In appena due secoli dunque, la funzione di quest’area cambia quattro volte.

Sono stati indagati anche dei settori al di fuori del circuito murario, con l’obiettivo di verificarne analogie e differenze. Il materiale archeologico, non molto ricco, copre il V e il IV secolo fino agli inizi del III. In questo settore è significativa l’assenza totale di edifici in pietra e di pavimenti rivestiti, che sembrano essere dunque particolarità tecniche apportate dai coloni romani. Le strutture sono in legno o in mattoni crudi, mentre le strade e l’impianto urbanistico riflettono una disposizione meno rigida rispetto a quella registrata all’interno delle mura.

177 Tuttavia ciò che sembra mantenersi costante è la giustapposizione e la successione fra abitato