piani proiettanti e quale fosse la differenza da quelli secanti. E poi ancora che cos’era la forza del taglio e la presso-flessione.
Più avanti capii che i migliori architetti non sono quelli che conosciamo celebrati in patinate pagine di costosi libri ma i pastori, i margari, i montanari che costruirono malghe, alpeggi, baite, casali perfetta- mente inseriti nel paesaggio rispettando il territorio, sapientemente localizzati dove mai una frana gli ro- vinava addosso, mai un torrente tracimando li inve- stisse. Non c’era bisogno di lauree, calcoli strutturali, verifiche statiche e geologiche per tirare su perfet- ti complessi nella loro semplicità colmi di soluzioni essenzialmente coerenti alle necessarie funzioni. Gli spazi interni, le dimensioni, le distribuzioni non han- no dovuto aspettare interior designer, ambientisti per trovare la loro corretta razionalità.
Andando su per tratturi in valli e pascoli ho capito che l’anima del formaggio ha ispirato i casari a realiz- zare perfette opere creative senza l’uso di laboratori iperigienici, piastrellature, pavimentazioni arroton- date infinite e sciocche imposizioni ministeriali, ma richiedendo solamente grande dedizione coscienza e amore. Solo così sono nate centinaia di diversità casearie, da quando un analfabeta pastore errante strapazzò un poco di latte nella sua bisaccia di pelle di capra assieme a qualche rametto puntuto di cardo. Ma ho anche appreso che il cacio è la summa della perfezione non soltanto organolettica, ma anche for- male.
Gli eruditi studiosi d’arte, gli spocchiosi critici di estetica, pur non avendolo mai ammesso, debbo- no convenire che il formaggio impersona il pensiero filosofico greco della kalokagathia il sublime ideale di sublimazione dell’essere umano, l’armonioso in-
sieme del bello e del buono2. Se poi si acquisisce la
stupenda intuizione di Leon Battista Alberti3 da cui si
evince che la pulcritudo in architettura è insieme di faber, utilitas per giungere alla voluptas, non è logico affermare che il formaggio ne è il compendio?
Il casaro, insomma, inconsapevolmente nel realizza- re questa meraviglia estrinseca il medesimo pathos creativo dell’artista aggiungendo alla voluptas, la lae- titia del consumatore. Canoni fondamentali per alcu- ne correnti di pensiero estetico. Quindi il cacio è ars: esaltazione del talento spirituale umano.
Ma vorrei spingermi oltre.
Se utilizziamo altri precetti che nel tempo sono stati usati per definire bello, pulcher, un’opera d’arte, ci accorgiamo che tali principi ci permettono di catalo- gare il formaggio anch’esso come opera d’arte. Con- vinzioni da tempo espresse in un libro che stolti mio- pi e soprattutto avari editori non hanno il coraggio di
Il Partenone, esempio della perfezione architettonica rispecchia i canoni dell’eurythmia, le misure dell’ar- monia per i greci, essenziale raggiungimento della bellezza, che assieme al rapporto armonico della sezione aurea e del modulus ne cadenza il ritmo. Ebbene se prendiamo una forma di formaggio, ap- plichiamo tali concetti con opportune misurazioni e proporzioni ci accorgiamo che queste misure, questi rapporti sono rispettati legittimandoci a catalogare il prodotto caseario come esempio ideale di bellezza. Ma volgendo lo sguardo su di un altro fronte, se analizzassimo gli elementi fondamentali delle varie espressioni dell’arte moderna del passato e presente secolo, scopriremmo che esiste inconsciamente uno stretto legame con la forma casearia.
Così, raffrontando una crosta di Toma della Valoise a un’opera di Ad Reinhardt, non registreremo alcu- na differenza o dissonanza cromatico-figurale, così pure per un dipinto di Jean Dubuffet (principale arte- fice della corrente pittorica “art brut” e “mirabulus”) che non ha nulla di diverso dalla parte superiore di un Comtè stagionato, o una fetta di Pannerone con i “concetti spaziali” di Lucio Fontana. Le sinuosità dei marmi di Viani o le sculture di Moore sono identiche a quelle di alcune scamorze di bufala. Gli impacchet- tamenti del signor Christo e signora non sono simi-
li a formaggi di fossa? E i rapporti euritmici di anzi fugacemente menzionati misurati nei templi greci, i modulor, le scansioni auree, non sono riscontrabili in una forma di fontina? Qui allora si entra in un campo minato e complesso che coinvolge una molteplicità di fattori, le nuove tendenze dell’arte, i mirabolanti esercizi lessical-concettuali dei critici. Infatti, se ci si deve scompisciare ascoltando i gargarismi di qual- che erudito critico davanti a un povero pescecane messo in formalina (pagato con la medesima cifra del debito pubblico di una nazione) che lo paragona alla più alta espressione artistica del secolo, potrem- mo affermare che mettere una modesta tometta sa- pientemente collocata in una teca di cristallo in una galleria d’arte altro non è che un atto dovuto: con- siderare cioè “quell’oggetto”, la dolce buona mode- sta perfetta caciottella opus magnum di anonimo del ventesimo secolo.
Provare per credere.
Note
1 M. Parenti, De arte resecandi casei, Torino 2001. 2 Platone, Opere, Bari 1971.
3 L.B. Alberti, De re aedificandi, Firenze 1452. 4 M. Parenti, De pulcritudo casei, Torino 2009.
LP
All’interno della sconfinata produzione artistica che ha variamente rappresentato la montagna negli ultimi due secoli, a tratti anche il particolare ambito dell’a- gricoltura ha ottenuto spazi significativi, offrendo in- teressanti visioni e diverse modalità interpretative. C’è chi, come Giovanni Segantini verso il finire dell’Ot- tocento sulla rappresentazione dell’Alpe agricola ha segnato la cifra di un’intera carriera. Assecondando un desiderio di ascesi personale il pittore trentino mi- gra infatti dalla pianura lombarda ai Grigioni e all’En- gadina. La sua produzione, dal linguaggio sempre più divisionista e simbolista, si incentra su pacificate rap- presentazioni di paesaggi alpini e di una vita contadi- na dignitosa e austera, esplorata attraverso allegorie e metafore del legame uomo-natura, della similitu- dine tra mondo umano e mondo animale, della vita e della morte. L’esperienza elvetica di Ernst Ludwig Kirchner è invece di pochi decenni successiva, ma dagli esiti radicalmente diversi. Anch’egli reduce da un profondo travaglio psicologico, l’espressionista tedesco si rifugia nel buen retiro di Davos, spesso vissuto conflittualmente. Se prima le sue pennellate violente e radicali descrivevano visioni di personag- gi e panorami urbani frenetici e distorti, il soggetto muta poi nel paesaggio agricolo e naturale dei Gri- gioni, rappresentato secondo modalità sempre più astratte e dai cromatismi quanto mai sperimentali. Anche la piena contemporaneità gode di diverse fa- scinazioni artistiche sviluppate intorno ai temi dell’a- gricoltura alpina.