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Pierangela Fierro erborista

Paolo Gollo

architetto

Natale G. Trincheri

contadino

Falciatori a piedi nudi sui prati del Monte Faudo (archivio storico).

e marcate sono le opere di terrazzamento, dall’oliveto alle zone montane, dove venivano seminati i cereali e legumi poveri (grano, orzo e ceci), ma anche più sem- plicemente atte a migliorare le operazioni di sfalcio del fieno (dal Dizionario del Casalis del 1847: «Il territorio è formato di poggi e di valli: nella parte occidentale è terminato da una montagna denominata Faudo, su cui si veggono feraci praterie»).

Le mulattiere

«A stradda bona a l’è delongu a ciü cürta» (la strada buona è sempre la più breve) nel senso che la strada che ha un buon fondo, ben tracciata e ben mantenu- ta, anche se più lunga, si percorrerà in minor tempo. Oppure: «A stradda de cušte(r)a a l’è delongu a ciù cürta» e in questo caso vuole significare che i per- corsi che sfruttano tracciati longitudinali alle creste sono da ritenersi migliori, in quanto non dovendo su- perare dislivelli dovuti a fiumi, ruscelli, corsi d’acqua sono sicuramente più brevi e di più facile percorren- za. Dalla sintesi di questi due modi di dire locali, i no- stri progenitori hanno tracciato le importanti strade dette “Vie marenghe o marenche” o anche “Vie del sale”. Un sistema viario a tratti ancora perfettamente conservato, opportunamente pavimentato in pietre “rissöi” arrotondate dal passaggio di uomini e bestie, sistemato a gradoni “sapélli” dimensionati secondo l’andatura, impreziosito da opere di regimazione del- le acque “gi(r)aui” che li preservavano dall’erosione.

Le architetture

Due sono i manufatti tipici dei pascoli: “e casette da prai” che in altre zone sono dette caselle (o supén- ne), piccole e caratteristiche costruzioni monocellula- ri con copertura a tholos e “u casùn”, il casone, dove si viveva durante la fienagione.

Un altro manufatto frequente è detto “scaiô”, ovvero un mucchio di pietre che, partendo da un muretto di contenimento circolare, veniva riempito di piccole

scaglie che si raccoglievano nel prato, così da impe- dire che potessero danneggiare l’affilata lama delle falci. Per le operazioni di spietramento si utilizzava un apposito cesto rotondo con due manici, detto “cuf- fa”. Importante rilevamento fu fatto ad inizio Nove- cento, quando, sepolta sotto uno “scaiô”, che venne disfatto per l’utilizzo delle pietre, fu ritrovata un’ascia bipenne di fattura longobarda.

Unico e raro per tipologia è il casale, “u casô”, costru- zione a pianta rettangolare dove venivano ricoverate le greggi dei pastori brigaschi durante i mesi più fred- di. I casali hanno copertura a una falda, sostenuta lungo l’asse longitudinale di mezzeria da una sequen- za di archi in pietra in luogo della trave lignea rom- pitratta. Per il contadino ligure diventava importante raccogliere lo strame prodotto dalle greggi all’inter- no dei casali, da utilizzare come fertilizzante naturale nell’oliveto e nell’orto.

Altro manufatto destinato a un simile scopo era “u šbôru”: due muri ad angolo retto, solitamente con il lato corto rivolto a nord. Questa costruzione veniva riempita di foglie ed erba, raccolte sotto le roverelle, assestate mediante calpestamento e quindi ricoper- te con frasche e grosse pietre, per impedire che il vento le disperdesse. All’occorrenza il contadino si recava con il mulo presso lo “šbôru” e con l’ausilio di grossi teli detti “lènsu(r)assi” prelevava grandi quan- tità di materia organica che, trasportata presso “u casô”, veniva utilizzata come lettiera, detta “giassu”. La storia dall’area montana del Monte Faudo non può racchiudersi in questa sintesi che ha il mero obietti- vo di restituire un rapido scorcio fatto di colori vivi e riflessi di mare, di aria pulita che profuma di erba tagliata e di lavanda, di opere in pietra a formare pae- saggi e architetture. I riferimenti di questa storia van- no approfonditi e conosciuti. È necessario partire da qui per nuovi usi della montagna ligure: contempora- nei e sostenibili.

È forse plausibile pensare a un Ecomuseo del Monte Faudo? E qui ci fermiamo, questa è un’altra storia an- cora tutta da scrivere…

Cappella di Santa Brigida, 1425 (fotografia di Paolo Gollo). Antichi percorsi, sullo sfondo il Monte Faudo (fotografia di

LP

Nel periodo compreso fra il dopoguerra e gli anni ottanta, le aree alpine marginali si sono spopolate, le borgate sono state abbandonate e il territorio ha visto crescere il rischio di dissesto idrogeologico. Nell’attuale contesto di crisi economica, le stesse aree possono offrire una rinnovata opportunità di lavoro, in particolare nel settore primario, che inclu- de tutte le attività che riguardano l’agricoltura, la pe- sca, l’allevamento, la silvicoltura e possono essere un laboratorio per una nuova agricoltura contadina montana. Il fenomeno del ritorno della popolazione è documentato e importante: circa la metà dei comu- ni alpini registra un saldo migratorio positivo. I nuovi abitanti si stabiliscono spesso in realtà abbandona- te, e portano rinnovati valori sul territorio. La nuova territorialità passa anche attraverso una nuova figura contadina, la cui attività ha principalmente lo scopo di soddisfare il fabbisogno alimentare della famiglia, e avviare a un mercato locale a filiera corta le sole eccedenze della produzione. Inoltre chi torna a fare agricoltura in territori marginali è spesso attratto dal- la bellezza del luogo, e desidera cercare un equilibrio fra produttività, qualità del lavoro e qualità della vita nel rispetto del territorio.

Le macchine sviluppate a servizio dell’agricoltura industriale imprenditoriale di pianura spesso non sono in grado di soddisfare queste esigenze, e si apre quindi uno spazio di ricerca riguardante la con- cezione funzionale, la progettazione, la realizzazione di prototipi e la verifica sul campo di macchine agri- cole intermedie per agricoltura montana, che vanno a collocarsi in modo appropriato fra le attrezzature manuali della tradizione contadina, e le grosse mac- chine motorizzate.

In genere si tratta di macchine che, oltre a risolvere i problemi legati alla morfologia del territorio, devono essere semplici, a basso costo, flessibili, versatili, di facile e piacevole impiego, utilizzare prevalentemen-

Meccanizzazione