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Arendt e Kant agli occhi di Ricoeur

Giustizia ed etica: Paul Ricœur

3.2 Arendt e Kant agli occhi di Ricoeur

Partirò, dunque, dalla congiunzione del giudizio estetico e del giudizio teleologico sotto al concetto inglobante del giudizio riflettente.

8 Ivi, p. 47-48.

9 Anche in questo caso seguiamo l'indicazione di Ricoeur ritrovandoci nel seguente passo: “Nell'espressione «convinzioni ponderate», l'epiteto «ponderate» possiede altrettanto peso del sostantivo «convinzioni». In questo contesto, ponderato significa aperto alla critica dell'altro o, come direbbero Karl Otto Apel e Jürgen Habermas, sottoposto alla regola dell'argomentazione”. Ivi, p. 106.

10 Si veda ad esempio il seguente passaggio introduttivo: “Possiamo vedere Hannah Arendt che tenta di derivare una teoria del giudizio politico dalla teoria kantiana del giudizio di gusto nella Critica del giudizio. Oltre alla mia ammirazione, molte volte espressa, per l'opera di Hannah Arendt, sono stato spinto ad includere tale studio in questo volume, e in questa collocazione, a causa dell'importante riferimento all'«atto di giudicare» – titolo scelto dalla stessa Arendt per il terzo tomo, purtroppo condannato a rimanere incompiuto, della sua grande trilogia Thinking,

Diciamo, innanzitutto, che tale congiunzione esigeva un profondo rimaneggiamento della stessa concezione di giudizio. Tutta la tradizione filosofica fino a Kant riposava sulla definizione logica del giudizio come atto predicativo (attribuire un predicato a un soggetto). Il rovesciamento fondamentale, operato da Kant, consiste nel sostituire all'idea di attribuzione (o di predicazione) l'idea di sussunzione, vale a dire di un atto attraverso il quale un caso è «collocato sotto» a una regola. La grande novità della terza

Critica rispetto alla prima consiste nel fatto che essa ammette uno

sdoppiamento dell'idea di sussunzione: nella prima Critica, quella procede in qualche maniera dall'alto verso il basso, dalla regola verso il fatto di esperienza; è il giudizio determinante, così chiamato perché, nell'applicazione della regola a un caso, il giudizio conferisce all'esperienza il valore di verità, che consiste nell'oggettività […]. La Critica del giudizio si colloca lungo la linea dell'ipotesi di un funzionamento inverso rispetto alla sussunzione: per un caso dato si «deve cercare» la regola appropriata, al di sotto della quale mettere l'esperienza singola; il giudizio è «semplicemente» riflettente, poiché il soggetto trascendentale non determina alcuna oggettività universalmente valida, ma tiene conto esclusivamente delle procedure che lo spirito mette in atto nell'operazione di sussunzione, che in qualche sorta procede dal basso verso l'alto11.

Abbiamo riportato questa lunga citazione perché in essa ritroviamo tutti i punti principali su cui convergono sia Arendt sia Ricoeur in merito alla ripresa del dettato kantiano. Inoltre, essa ci permette di approfondire alcuni aspetti del giudizio riflettente che nel primo capitolo abbiamo volutamente omesso, onde evitare un andamento discorsivo eccessivamente nozionistico, dato che il nostro intento è quello di procedere per temi reciprocamente collegati, piuttosto che seguire un'esposizione meccanicamente o rigidamente impostata, senza per questo sottrarci ad un'analisi approfondita del corredo teoretico e terminologico kantiano. Vediamo in che senso.

L'incipit del passo di Ricoeur pone la distinzione fra giudizio estetico e giudizio teleologico, indicando il giudizio riflettente come iperonimo o arcilessema degli altri due. Mentre, durante la nostra trattazione, abbiamo sempre indicato il giudizio riflettente in maniera generica, senza affrontare la differenza fra i due sensi di questo concetto, pur avendola menzionata in alcuni momenti precedenti. In merito

a ciò, ci preme ricordare brevemente un aspetto molto interessante del lato teleologico del giudizio riflettente:

La teleologia, come scienza, non appartiene dunque ad alcuna dottrina [né alla scienza della natura né alla teologia], ma solo alla critica, e alla critica di una particolare facoltà di conoscere, cioè alla critica del Giudizio. Ma, in quanto contiene principii a priori, può e deve fornire il metodo con cui si deve giudicare della natura secondo il principio delle cause finali12.

Sappiamo bene che Kant assegna al giudizio estetico «il compito di trovare nel gusto la corrispondenza di questo prodotto con le nostre facoltà di conoscere»13 e ciò

non «mediante l'accordo con concetti, ma per mezzo del sentimento di piacere»14,

mentre il giudizio teleologico «determina le condizioni sotto le quali qualche cosa sia da giudicarsi secondo l'idea di uno scopo della natura»15. In questo senso egli indica il

giudizio teleologico non come una facoltà, ma semplicemente come giudizio riflettente in generale, in quanto:

[…] procede non soltanto secondo concetti, come in generale nella conoscenza teoretica, ma, riguardo a certi oggetti naturali, secondo principii particolari, vale a dire come un Giudizio puramente riflettente, che non determina oggetti; sicché, considerato nella sua applicazione, esso appartiene alla parte teoretica della filosofia, e in virtù dei suoi principii particolari che non sono determinanti, come dovrebbero essere in una dottrina, deve costituire anche una parte speciale della critica; mentre il Giudizio estetico non porta alcun contributo alla conoscenza dei suoi oggetti, e deve essere riportato perciò soltanto alla critica del soggetto giudicante e delle sue facoltà conoscitive, – che è la propedeutica di ogni filosofia, – in quanto queste facoltà son capaci di principii a priori qualunque possa essere il loro uso (teoretico o pratico)16.

Dopo aver richiamato sia il dettato kantiano sia la ripresa ricoeuriana possiamo ora cogliere al meglio tutte le indicazioni provenienti da entrambi gli autori. Infatti, compiendo un passo ulteriore, dobbiamo evidenziare le peculiarità che differenziano

12 I. Kant, Critica del Giudizio, cit., p. 519. 13 Ivi, p. 59.

14 Ibidem. 15 Ibidem. 16 Ivi, p. 61.

il giudizio estetico da quello teleologico, per poter proseguire avendo ben chiaro quale dei due si confà maggiormente al nostro discorso. Innanzitutto, è bene ricordare, sulla scia di Ricoeur, che il ribaltamento effettuato da Kant nella terza

Critica modifica completamente la definizione stessa di giudizio, riabilitando la

singolarità del particolare ed aprendo la strada per il dibattito politico messo a tema da Arendt, grazie alla ricerca dell'universale più adatto che, problematicamente17, non

si limita a negare il giudizio determinante, ma incarica il soggetto di una responsabilità nuova, quella che Turoldo indica come rem-ponderare18, dove

«occorre mettere in atto una fine dialettica tra universalismo della regola da un lato e particolarismo della situazione, singolarità dell'agente, dall'altro»19. Dobbiamo quindi

capire come sia possibile operare la ricerca dell'universale più idoneo al contesto in questione, poiché nell'applicazione del giudizio riflettente non possiamo affidarci a quella sussunzione meccanica dall'alto verso il basso a cui fa riferimento Ricoeur, ma bisogna stabilire il fine da perseguire per poter indirizzare in qualche modo l'andamento del giudizio riflettente. Stando a quanto emerso fin qui, pare quasi possibile istituire un'uguaglianza o un'interscambiabilità fra i termini riflettente e teleologico, dato che il giudizio estetico non sembra avere alcuna utilità al di fuori del suo campo di appartenenza. Invece, proprio grazie a Ricoeur possiamo apprezzare meglio la sua portata innovativa:

Il gusto è suscettibile di una forma molto originale di universalità, e cioè la

comunicabilità. Il gusto è un senso condiviso. Ciò che viene condiviso è,

precisamente, la riflessione sul libero gioco delle facoltà rappresentative. Il gusto è, dunque, universalizzabile in una maniera diversa dalle rappresentazioni oggettive o dalle massime pratiche del libero arbitrio. L'equazione fra universalità e comunicabilità non ha, così, precedenti nelle due altre Critiche. […] Staccare l'universalità dall'oggettività, annetterla a ciò che piace senza concetti e, di più, a ciò che presenta la forma della finalità senza dover essere trattato come il mezzo di uno scopo progettato e voluto, costituisce un avanzamento estremamente audace nella questione

17 Cfr. il riferimento a Spirito di p. 23.

18 F. Turoldo, Bioetica e etica della responsabilità, cit., p. 33, dove si legge infatti che vi è: “l'esigenza di una maggiore flessibilità e di una più attenta sensibilità al contesto, alle emozioni e alla storia personale dei soggetti agenti. La complessità dei singoli contesti e la particolarità delle dimensioni personali del soggetto agente sembrano infatti inattingibili da prospettive astratte e formali, che entrano inevitabilmente in difficoltà di fronte ai cosiddetti dilemmi morali”.

dell'universalità20.

Il discorso ricoeuriano possiede sicuramente una levatura e una chiarezza che ben pochi altri hanno saputo mettere in campo nel dibattito intorno al giudizio riflettente ed è per questo che attingiamo con piacere dalle opere del filosofo francese, poiché con ed attraverso esse possiamo, a nostro avviso, onorare al meglio la straordinaria operazione kantiana messa a tema nella Critica del Giudizio. Ma torniamo ora un momento alla questione estetica per concludere la parte relativa all'interpretazione ricoeuriana dell'opera kantiana attraverso una riflessione che ci permette di incrociare sia l'ambito politico trattato da Arendt sia il contesto giuridico delle prossime pagine:

Dobbiamo tenere a mente questa ampiezza della nozione di giudizio riflettente per la discussione ulteriore. E nemmeno è possibile passare sotto silenzio la priorità che lo stesso Kant attribuisce al giudizio estetico rispetto al giudizio teleologico. Tale priorità risulta dal fatto che l'ordine naturale, pensato all'insegna dell'idea di finalità, possiede esso stesso una dimensione

estetica in virtù della sua relazione al soggetto e non all'oggetto. L'ordine ci

tocca in quanto ci piace. Nello stesso tempo, il giudizio estetico è rivendicato dal giudizio teleologico come la prima componente del giudizio riflettente, dunque al riguardo della riflessione pura21.

Grazie a questo contributo vogliamo azzardare un passaggio ulteriore che ci permette di entrare nel contesto politico prima e giuridico poi, così da riprendere in parte22 la dialettica dello spettatore e dello spettacolo vista nel capitolo precedente23.

Per quale motivo Kant assegna un ruolo primario al giudizio estetico? A nostro avviso, la risposta va ricercata a partire dallo sfondo costante dell'Io trascendentale. Infatti, questo «ordine che ci tocca in quanto ci piace» di cui parla Ricoeur, chiama in causa direttamente il tema della coscienza del soggetto. Un Io empirico che in certi frangenti prende consapevolezza della propria appartenenza all'orizzonte onnicomprensivo del pensiero; e ciò può avvenire per i motivi più disparati, a quanto

20 P. Ricoeur, Il giusto Vol. 1, cit., p. 153. 21 Ivi, p. 151.

22 Anche Ricoeur si occupa della questione sollevata da Arendt in merito al ruolo dello spettatore, si veda ad esempio: “Bisognerebbe sottolineare il primato del punto di vista retrospettivo dello spettatore sul punto di vista prospettico degli attori della storia”. Ivi, p. 161.

sembra, poiché l'esemplarità del particolare può essere sia esterna, come nel caso dell'estetica con la bellezza e il piacere che suscita un'opera d'arte, sia interna o singolare, quando ad essere interpellata è la nostra persona nell'ambito di una società politicamente determinata. In queste circostanze allora sarà necessario istituire un nesso fra il singolo Io e l'orizzonte trascendentale della collettività in senso lato, ossia includendo le istituzioni, lo Stato, gli apparati in generale, ecc.... Per quale motivo sosteniamo tutto ciò? Semplicemente perché senza una presa di coscienza di questa relazione fra il piano universale delle norme e il piano singolare di ogni soggetto non può avviarsi alcun tipo di applicazione del giudizio riflettente kantiano, il quale, come giustamente segnala Ricoeur, prima di muovere verso un fine, deve attivarsi rispetto a se stesso. Inoltre, questa attivazione del soggetto può avvenire solo a partire da una situazione “problematica” nel senso più ampio che questo termine può avere: sia in senso negativo (un procedimento giudiziario avviato da o contro la propria persona oppure l'insorgere di una patologia non immediatamente risolvibile) sia in senso positivo (nell'ambito estetico con il piacere e l'apprezzamento di un'opera d'arte o in un contesto politico quando si innesca un dibattito pubblico democratico). In entrambi i casi avremo a che fare con la seguente dinamica comunicativa:

Si può seguire Hannah Arendt nel suo tentativo di accostare la comunicabilità del giudizio estetico alla «partecipazione», che un grande evento politico può suscitare nell'«animo di tutti gli spettatori» […]. Avremo modo più avanti di inquietarci per i danni provocati da una estetizzazione del politico, ma dobbiamo rendere giustizia alla felice trovata, grazie a cui l'Estetica si vede, di rimando, innalzata al punto di vista politico e, perché non dirlo, al punto di vista cosmopolitico. Infatti, nella misura in cui il cittadino del mondo kantiano è, come dice Hannah Arendt, di fatto un Weltbetrachter, uno spettatore del mondo, allora lo sguardo distaccato dello spettatore consente di riaprire la strada della speranza ai desolati testimoni degli orrori della storia24.

Ecco intrecciarsi nuovamente sia gli autori sia i diversi contesti della nostra trattazione. Ma in che senso questa «partecipazione» scaturisce negli animi degli spettatori? In una parola si potrebbe affermare, banalmente, che se un problema non si relazionasse direttamente con il soggetto, quest'ultimo non andrebbe mai alla

ricerca di alcuna soluzione. Tuttavia, se questa fosse l'unica risposta che il nostro discorso sapesse fornire, avremmo potuto stare tranquillamente in poltrona senza sprecare carta inutilmente. Ma allora qual è il cuore della questione che il nostro argomento solleva? Ci sentiamo di rispondere in questi termini: grazie alla problematicità di alcune situazioni nel rapporto fra universale e singolare, possiamo innescare quell'applicazione del giudizio riflettente che ci permette di apprezzare sia il valore del concetto di esemplarità, con tutte le sfaccettature del caso, sia l'importanza di quell'atteggiamento critico visto in precedenza, dove la presa di coscienza da parte del soggetto è prodromica rispetto al criticismo stesso. La questione può essere intesa anche così: se ci si trova all'interno di una situazione problematica, vale a dire in un caso dove l'universale non è rintracciabile immediatamente, allora sarà necessario prendere coscienza dell'impossibilità di procedere con una sussunzione meccanica del particolare e, pertanto, sarà possibile adottare l'applicazione critica del giudizio riflettente kantiano, ovviamente a seconda dell'ambito in cui emerge il problema. Dopodiché saremo in grado di approdare ad una soluzione adeguata alla situazione ed è in questo senso che il concetto di esemplarità acquisirà una rilevanza primaria:

L'esemplarità riconosciuta alle opere d'arte così come ai grandi avvenimenti non costituirebbe una garanzia di speranza se l'esemplarità non servisse da punto di appoggio, se non da banco di prova, alla speranza. In che modo lo sguardo di speranza potrebbe trasformarsi in aspettativa rivolta all'avvenire senza una qualche teleologia soggiacente? La speranza appare in Kant come un ponte gettato fra lo sguardo del testimone e l'attesa del profeta25.

Tralasciamo per ora il riferimento alla bioetica evocato da quel “ponte gettato”, visto che il richiamo al precursore storico del termine, ossia il bridge to the future potteriano, è forte e merita una riflessione a sé. Restiamo invece all'altra parte della citazione ricoeuriana, in cui, oltre a ritornare il tema della speranza spiritiana26 e

dell'aspettativa nei confronti degli esperti27, vediamo entrare in azione il concetto di

esemplarità più volte chiamato in causa in contesti diversi, mentre nelle parole di Ricoeur esso è accostato ai termini «punto di appoggio» e «banco di prova». In questo frangente ci preme rimarcare l'importanza del secondo termine, poiché il

25 P. Ricoeur, Il giusto Vol. 1, cit., p. 164.

26 Si veda l'aspirazione ad un Assoluto a-dialettico di p. 23.

primo era già stato affrontato in precedenza, evidenziando come il suffisso generalizzante del concetto in questione, suggerisse indirettamente una dualità intrinseca all'esemplarità stessa, fornendo quindi lo spunto per connettere l'unicità dell'esempio con il piano universale dell'oggettività, onde evitare di incorrere in un relativismo arbitrario ed inconcludente che andrebbe soltanto ad elencare una serie di impressioni soggettive irrelate ed irrilevanti. Il nostro intento, invece, è proprio quello di onorare al meglio la cifra generale di questo concetto, perché solo collegando i due piani si può ottenere una soluzione ponderata che sia precisa e non aleatoria rispetto alla situazione in questione. Detto ciò, vediamo allora il rapporto del concetto di esemplarità con quel «banco di prova» sopraccitato.

In più occasioni abbiamo fatto riferimento al criticismo e, proprio per questo, nel primo capitolo abbiamo chiamato in causa anche la figura di Popper28, che torna

ad esserci utile anche in questo passaggio argomentativo. Infatti, nelle pagine precedenti, abbiamo sottolineato come non sia possibile applicare meccanicamente il giudizio determinante in contesti extra-scientifici, proprio a causa del rischio di commettere errori irreparabili sulla pelle delle persone; mentre quando si ha a che fare con dei semplici oggetti inanimati, ad esempio quelli con cui le scienze esatte operano in laboratorio o in sede di esperimento, il procedimento popperiano per prove ed errori può essere adottato tranquillamente. La domanda che ci poniamo allora è: in ambito giuridico come stanno le cose? Quali sono le dinamiche operanti all'interno di questo particolare contesto? Proviamo ad analizzarle in dettaglio.