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Giustizia ed etica: Paul Ricœur

3.1 Una società giusta

Nel capitolo precedente ci siamo occupati del tema politico e dell'orizzonte collettivo all'interno del quale vive, cresce e si confronta una società di liberi cittadini. Per questo ci teniamo ad evidenziare come la nostra trattazione cerchi continuamente di intrecciare argomenti attinenti e complementari fra loro. Infatti, lo stesso discorso giuridico, che affronteremo nelle prime battute di questo capitolo, presuppone ed integra l'argomento della società politica visto con Arendt, poiché se da un lato non può esserci un ordinamento giuridico al di fuori di un insieme di relazioni politicamente istituite, dall'altro non può esserci quella libertà del confronto senza l'ideale di una società giusta, che garantisca il suum cuique tribuere, come suggerisce Turoldo:

Il valore della giustizia richiama […] il tema dell'intersoggettività: questa volta in maniera molto chiara e diretta. La giustizia viene infatti definita, nel

Corpus iuris di Giustiniano, come il «dare a ciascuno il suo» (suum cuique tribuere), ossia come il criterio sul cui fondare una buona reciprocità,

ovvero dei rapporti intersoggettivi corretti, che sono la base imprescindibile dei rapporti intersoggettivi appaganti2.

1 P. Ricoeur, Le Juste 1, (1995); trad. it. Il giusto Vol. 1, Torino, Effatà, 2005, p. 215. 2 F. Turoldo, Bioetica e reciprocità, cit., p. 73.

Esiste allora una feconda reciprocità tra lo sfondo politico e le dinamiche etico- giuridiche espresse nelle opere di Paul Ricoeur, inoltre come trait d'union vedremo operare il giudizio riflettente kantiano ripreso in questi ambiti extra-estetici, a partire proprio dalla teoria del giusto elaborata dal filosofo francese, che può essere declinata in un contesto sia giuridico sia etico:

Una teoria filosofica del giusto trova, così, la sua prima formulazione nell'asserzione secondo la quale il sé costruisce la propria identità soltanto in una struttura relazionale, la quale fa prevalere la dimensione dialogica sulla dimensione monologica, che un pensiero erede della grande tradizione riflessiva sarebbe tentato di privilegiare3.

Reciprocità e relazionalità sono due delle parole chiave che utilizzeremo per connettere il discorso arendtiano con quello di Ricoeur, ovviamente sempre attraverso il tema del giudizio riflettente. Inoltre, per rimanere all'interno della questione terminologica, bisogna differenziare ciò che è giusto da ciò che è equo, perché un conto è praticare l'isonomia tanto cara a Pericle4, un altro è dare a ciascuno il suo5.

Propendere per una concezione di equità e giustizia piuttosto che per un'altra significa anche modificare l'equilibrio e le dinamiche intersoggettive di una società. Siamo quindi di fronte già ad una prima questione da dirimere, che vede in campo due termini universali con diversi significati possibili e tutto ciò proprio in relazione alla definizione del discorso stesso, a dimostrazione di quanto sia fondamentale adottare un atteggiamento saggio e prudente fin dalle battute iniziali, come segnala Ricoeur:

Il rispetto rinvia alla sollecitudine, preoccupata dell'alterità delle persone, ivi compresa quella delle «persone potenziali», nei casi in cui esso stesso è fonte di conflitti, in particolare nelle situazioni inedite generate dai poteri che la tecnica conferisce all'uomo sui fenomeni della vita. Ma non si tratta della sollecitudine in qualche modo «ingenua» […], bensì di una sollecitudine «critica», che ha attraversato il duplice esame delle condizioni morali del rispetto e dei conflitti suscitati da quest'ultimo. Tale sollecitudine

critica è la forma che la saggezza pratica assume nella regione delle

3 P. Ricoeur, Il giusto Vol. 1, cit., p. 26.

4 Segnaliamo un ulteriore testo “critico” di cui non tratteremo in questo lavoro, dove si prendono in esame il concetto di isonomia e la figura di Pericle: K.R. Popper, The Open Society and its Enemies. The Spell of Plato, (1945); trad. it. La società aperta e i suoi nemici. Platone totalitario – vol. I, Roma, Armando, 20032, p. 125 e p. 127.

relazioni interpersonali6.

Per concludere questo paragrafo introduttivo, vogliamo ribadire come a nostro avviso non debba esserci una separazione netta fra un contesto discorsivo ed un altro, perciò come i primi due capitoli non possono essere letti separatamente, così accade all'interno di questa sezione relativa all'opera di Ricoeur, la quale non sarà scissa “manualisticamente” in una parte giuridica e in una parte etica, dal momento che in entrambi questi ambiti, così come in quelli estetici e politici prima e bioetici poi, l'atteggiamento critico in merito alla ripresa ed all'applicazione del giudizio riflettente sarà sempre presente ed operante. Da un certo punto di vista potremmo dire di voler ricreare l'orizzonte speculativo del phronimos greco, in cui non vi era una settorializzazione a compartimenti stagni fra le diverse discipline, ma l'amore per il sapere concorreva a delineare uno sguardo onnicomprensivo, che rimandava ad un quadro olistico dinamico. Per ovvie ragioni non possiamo sviluppare qui una ricognizione di tutti i possibili scampoli dello scibile umano, ma nella limitatezza del nostro discorso, vorremmo giungere alle battute finali avendo fornito una chiave di lettura ben precisa e delineata, che consenta di cogliere un'organicità di fondo intorno al problema dell'unicità del singolo caso ed alla sua relazione con la regola universale di riferimento. Su questa coordinata possiamo quindi integrare e connettere il discorso arendtiano esposto in precedenza, poiché lo stesso Ricoeur ne riconosce il valore e l'importanza in diversi passaggi della sua opera:

La politica, in senso ampio, costituisce, così, l'architettonica dell'etica. Possiamo dire la stessa cosa con un linguaggio più vicino a Hannah Arendt: nell'inter-esse l'auspicio di vivere bene compie il suo corso. Come cittadini noi diventiamo umani. L'auspicio di vivere all'interno di istituzioni giuste non significa altro7.

E ancora:

Siamo giunti al punto in cui il politico appare come l'ambito per eccellenza di compimento delle potenzialità umane. Tra i mezzi attraverso i quali esso esercita questa funzione c'è, innanzitutto, l'insediamento di quello che

6 P. Ricoeur, Soi-même comme un autre, (1990); trad.it. Sé come un altro, Milano, Jaca Book, 2011, p. 381-382. 7 P. Ricoeur, Il giusto Vol. 1, cit., p. 29-30.

Hannah Arendt chiamava «spazio pubblico dell'apparire». L'espressione prolunga un tema venuto dai Lumi, quello di «pubblicità», nel senso di messa in evidenza, senza coercizione né dissimulazione, di tutta la rete di dipendenze, nel cui seno ogni vita umana dispiega la sua breve storia. La nozione di spazio pubblico esprime, innanzitutto, la condizione di pluralità che risulta dall'estensione dei rapporti interumani a tutti coloro che il faccia a faccia fra l'io e il tu lascia fuori a titolo di terzi. […] Con Hannah Arendt, ancora, chiameremo potere la forza comune che risulta da questo voler vivere insieme e che esiste soltanto per tutti il tempo che esso è effettivo8.

In entrambe le citazioni possiamo notare come i diversi ambiti del discorso si intersechino fra loro, senza che vi sia un confine netto rilevabile, questo perché inevitabilmente le tematiche politiche sfociano in quelle etico-giuridiche e viceversa. Avremo allora una relazione di reciprocità fra i contesti che andremo via via ad affrontare ed è per questa ragione che cercheremo di procedere con un approccio ponderato9 e prudente.

Prima di entrare nel vivo della discussione etico-giuridica, ci pare interessante commentare l'interpretazione del testo arendtiano messa in campo da Ricoeur10,

poiché, oltre a richiamare brevemente le questioni dibattute nel capitolo precedente, potremo sicuramente godere di un arricchimento ulteriore ed utile al nostro scenario argomentativo, in modo da poter prendere in considerazione le varie sfaccettature della ripresa arendtiana del giudizio riflettente ed acquisire così una consapevolezza maggiore nel tematizzare l'ulteriore proposta originale di Ricoeur.