• Non ci sono risultati.

L'invito di Nancy: seguire e oltrepassare Kant

Il giudizio riflettente in ambito politico

2.5 L'invito di Nancy: seguire e oltrepassare Kant

Precisiamo subito che in questo paragrafo ci limiteremo a richiamare alcuni passaggi del secondo capitolo dell'opera La creazione del mondo o la

mondializzazione48 con l'intento di mostrare come il giudizio riflettente possa essere

fecondo e stimolante in un ambito ulteriore rispetto a quelli menzionati finora, ossia in relazione al concetto di creazione e dell'ex nihilo nihil fit, su cui si è soffermato a lungo anche lo stesso Gentile. Vediamo subito il testo di Nancy:

Dell'interesse di Lyotard per il giudizio che Kant chiama «riflettente», in quanto giudizio per il quale «non è dato l'universale» – formula kantiana per

47 “L'uomo si vede nello specchio, che vede in sé; e pure vede nella propria immagine quegli occhi con cui guarda la propria immagine”. G. Gentile, Sistemi di logica come teoria del conoscere, Vol. II, cit., p. 40; e anche: “Se non che

gli occhi nostri non possiamo guardarli se non nello specchio”, G. Gentile, Teoria generale dello spirito come atto

puro, cit., p. 8.

48 J.L. Nancy, La création du monde ou la mondialisation, (2002); trad. it. La creazione del mondo o la

indicare ciò che oltrepassa i confini dell'oggetto fisico-matematico del giudizio «determinante» e dello schematismo trascendentale – e che è diventato in Lyotard la formula generale della «postmodernità», mi sembrava importante riprendere questo: se l'universale non è dato, non è perché esso sia da mimare o da sognare (formula debole di una filosofia del

fare come se, formula più o meno latente delle sedicenti filosofie «dei

valori»), ma da fare. In altre parole, mi sembrava necessario non limitarsi a porre un «giudizio senza criteri» (altra formula di Lyotard), esso stesso definito come un giudizio «che massimizza i concetti al di fuori di ogni conoscenza della realtà» (soprattutto per quanto riguarda il concetto di fine ultimo o di destinazione del mondo e dell'uomo). Ma è importante comprendere inoltre che qui la «conoscenza» manca, non per un limite intrinseco dell'intelletto umano (finitezza relativa rispetto al modello di un

intellectus intuitivus) bensì per un'assenza pura e semplice della «realtà» che

effettivamente non è data (finitezza assoluta di un Dasein che vi mette in gioco il senso – infinito dell'essere)49.

Ecco che si ripropone il problema dell'assenza di un universale dato in anticipo, dove la causa di tutto ciò non è un deficit della nostra facoltà, ma una vera e propria assenza. Nel nostro caso riteniamo che quest'assenza sia dovuta principalmente all'unicità del piano singolare, dove a volte nascono delle problematiche che aprono un dibattito completamente nuovo50, in cui le soluzioni non sono da costruire, ma da

creare. Tuttavia bisogna dire qualcosa in più in merito al modo in cui Nancy si rapporta al giudizio riflettente, dal momento che:

Bisogna quindi mettersi alla ricerca di un giudizio regolato da tale schematismo – un giudizio che non determini (non presenti), né rifletta (rappresenti come se), un giudizio che in altri termini non sia né matematico né estetico (nel primo senso che il termine ha in Kant) e, quindi, forse insieme etico ed estetico (nel secondo senso del termine), ma anche né etico

49 Ivi, p. 44-45.

50 Sul tema della novità si veda anche: “Il giudizio sui fini, e di conseguenza la decisione segreta o manifesta che accompagna sempre il gesto filosofico, il suo ethos, la decisione su ciò cui occorre mirare – ad esempio «un mondo» o un mondo «degno di questo nome» – non può configurarsi con una scelta tra diverse possibilità, ma soltanto ed ogni volta come una decisione per qualcosa che non è né reale né possibile: per qualcosa che non è dato in anticipo, ma che fa irruzione, o che irrompe come il nuovo, imprevedibile poiché privo di volto, profilandosi in tal modo come quel «cominciamento di una serie di fenomeni» che definisce, secondo Kant, il rapporto tra la libertà e il mondo”. Ivi, p. 43.

né estetico in un senso noto di questi termini. Per far questo, bisogna ripartire da ciò che si tratta di giudicare: da fini, quindi, ma più precisamente da fini che si discostano tanto dalla semplice assenza di fine (la matematica) quanto dal fine intenzionale (il fine tecnico, cioè quello dell'«arte» in generale, fosse anche «senza fini»)51.

Si tratta allora di seguire fino in fondo il testo kantiano, poiché senza la distinzione fra il giudizio determinante delle scienze esatte e quello riflettente dell'estetica, non si può cogliere a pieno la facoltà giudicante nel suo complesso. Inoltre, nonostante le peculiarità del giudizio messe a tema con la terza Critica, bisogna, secondo Nancy, oltrepassare l'orizzonte estetico per far fruttare a pieno quell'amore per la ricerca di cui parlava Arendt, riprendendo il testo kantiano52;

compiendo quest'operazione, a nostro avviso, da un lato non si dimentica la grande importanza del giudizio riflettente, tentando sempre di onorarne a pieno il valore, e dall'altro si mostra un possibile sviluppo ulteriore in ambito creazionistico, che ovviamente non si ritrova nelle opere di Kant. Vediamo in che senso.

Ciò che quindi si delinea come un problema inedito della «creazione» è la questione di un giudizio sui fini che sia non soltanto un giudizio estrapolato al di là dei limiti dell'intelletto, ma anche o piuttosto il giudizio di una ragione per la quale non sono dati in anticipo né fine(i) né mezzo(i), né niente che possa far pensare a una qualsiasi specie di «causalità che noi conosciamo». Il giudizio sulla «fine di tutte le cose» deve avere a che fare con una condizione d'essere che non deve niente né alla causalità né alla finalità, niente quindi al concatenamento meccanico, né all'intenzione soggettiva. Destituendo il Dio creatore e l'ens summum, ragion sufficiente del mondo, Kant mette a nudo che la ragione del mondo non può consistere in una causalità produttrice. Egli apre all'interno e fuori della teologia una questione inedita della «creazione»53.

Nel primo capitolo ci siamo concentrati particolarmente sul confronto fra il giudizio determinante e quello riflettente nella prima e nella terza Critica. In questo frangente ci può tornare utile riprendere il confronto fra le due opere, ricordando

51 Ivi, p. 50.

52 Cfr. p. 58 nota 28. 53 J.L. Nancy, op. cit., p. 54.

alcune sezioni54 del terzo capitolo del secondo libro della Dottrina trascendentale degli elementi, dove Kant affronta le prove dell'esistenza di Dio ed arriva a dichiarare

l'Essere Supremo come un principio regolativo55 della ragione. Da qui, infatti,

ripartirà per svolgere la Critica della ragion pratica56, la quale deve essere anch'essa

intesa fino in fondo, onde evitare di cadere in errore come giustamente segnala Turoldo:

Le prime due critiche kantiane […] hanno infatti una struttura diametralmente opposta. Mentre la Critica della ragion pura critica la ragione teoretica nella misura in cui essa rimane pura, cioè scissa dall'esperienza, producendo così i “fantasmi della metafisica”; al contrario la Critica della ragion pratica critica la ragione pratica nella misura in cui essa non riesce ad essere pura, facendosi condizionare dalla sensibilità. Insomma: la ragione teoretica non deve essere pura, mentre la ragione pratica lo deve essere, esercitando la propria autonomia dai condizionamenti sensibili57.

Per onorare il più possibile l'insegnamento del criticismo kantiano, bisognerà allora prendere le distanze da ogni tipo di assolutizzazione dogmatica. In questo modo potremo accogliere anche le indicazioni che ci fornisce l'opera di Nancy, all'interno della quale il giudizio riflettente viene a configurarsi come ciò che consente di aprire nuove possibilità in merito al tema della creazione58, andando a

rimuovere tutti i pre-giudizi che anticipavano e, in qualche misura, inficiavano il rapporto fra particolare e universale. Siamo, inoltre, consci del fatto che togliendo questi antecedenti, si va incontro ad una prospettiva in cui non ci sono ancoraggi prestabiliti o eventi passati di riferimento, infatti la palla passa al soggetto creatore (direbbe Gentile):

Mentre il modello di una produzione causale e secondo fini dati è stato chiaramente individuato e classificato dal lato dell'oggetto, della rappresentazione, dell'intenzione e della volontà, il non-modello o il senza- modello di un essere senza dato – senza universale dato, senza agente dato e

54 Ci riferiamo alle ultime quattro, ossia da pag. 379 in I. Kant, Critica della ragion pura, cit.. 55 Ivi, p. 393.

56 I. Kant, Kritik der praktischen Vernunft, (1788); trad. it. Critica della ragion pratica, Bari, Laterza, 20034.

57 F. Turoldo, L'etica di fine vita, (2010), Roma, Città Nuova, p. 56-57.

senza fine presupposto né mirato, insomma senza o con niente di dato, senza o con un niente di dono dato – ha fatto sorgere il suo reale incommensurabile e ha sfidato il giudizio che Kant, in realtà, aveva raccolto a suo modo, iscrivendo indirettamente l'enigma della creazione59.

Avviandoci verso la conclusione di questo paragrafo, vediamo apparire nuovamente sia la dialettica fra soggetto e oggetto sia il problema del modello (o universale) di riferimento, che viene a mancare. Come possiamo quindi muoverci se di fronte a noi sono scomparsi i modelli canonici, ovvero quelli che, anticipando meccanicamente, sussumevano i singoli casi in maniera sì quasi automatica e impersonale, ma al contempo anche sicura e necessaria? La risposta a questa domanda sarà in parte contenuta nelle pagine successive (con tutti i limiti del caso), mentre in parte è già stata impostata nelle righe precedenti. Infatti, nel corso di questi primi due capitoli abbiamo toccato diversi temi che possono indicare, quantomeno, un accenno di risposta. Ci stiamo riferendo da un lato a quella «contingenza regolativa»60 e a quell'«apertura alla libertà e alla contingenza grazie al giudizio

riflettente»61 di cui abbiamo parlato nel capitolo precedente; dall'altro lato, a nostro

avviso, possiamo chiamare in causa anche il dibattito intorno al rapporto fra qualità e quantità in relazione al tema degli oggetti vaghi62, dove non c'è alcuna distinzione

aprioristicamente data e, pertanto, spetta al soggetto scegliere liberamente quando e come dirimere la vaghezza della questione. Ecco il motivo che ci ha portati a formulare il titolo di questo capitolo, dal momento che la proposta di Nancy ci pare proprio quella di far fruttare a pieno il valore e la fecondità del giudizio riflettente, senza però pensare di aver risolto la questione così, poiché, anzi, è proprio a questo punto che «c'est à nous de nous décider»63. Ed è per questo che possiamo ritornare ora

all'opera di Arendt, poiché con i due contributi di Gentile e Nancy, oltre ad intendere ancora meglio la portata e l'importanza del giudizio riflettente, potremo affrontare direttamente il tema della decisione e del confronto pubblico, per avviarci poi al capitolo successivo in cui entreremo nell'ambito dell'etica e della giustizia, dove il dibattito sulla libertà di scelta si farà ancora più pregnante e, questo è il nostro auspicio, interessante.

59 Ivi, p. 58. 60 Cfr. p. 23. 61 Cfr. p. 37. 62 Cfr. p. 53.