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Arianna Avondola *

Nel documento 1. Il lavoro autonomoe il lavoro agile (pagine 123-127)

Non posso far riferimento all’ultimissima normativa in mate-ria (troppo recente per essere commentata sul piano degli effet-ti), ma mi richiamo alla precedente legge sull’equo compenso in materia di lavoro giornalistico: la legge n. 233 del 31 dicem-bre 2012.

Questa normativa prevede la corresponsione di un equo com-penso, inteso come remunerazione proporzionata alla quantità e qualità di lavoro svolto dal giornalista «non lavoratore subor-dinato», estendendo di fatto l’ambito di applicazione dell’art. 36 Cost. ben oltre l’area del lavoro subordinato.

In questo senso, l’estensione applicativa dell’art. 36 Cost. tro-verebbe giustificazione nella volontà manifestata dal legislatore di «riequilibrare» le sorti di soggetti considerati deboli, am-pliandosi sostanzialmente l’ambito di applicazione di alcuni di-ritti a favore di soggetti considerati più vulnerabili, in quanto privi di tutela (spesso a causa dell’assenza di un’esplicita previ-sione contrattuale). E mi riferisco ai collaboratori di testate giornalistiche, per il caso di specie, ma anche ad avvocati o altri liberi professionisti, tutti accomunati – in quest’ottica – da un’unica (presunta) debolezza contrattuale.

Soggetti ai quali, secondo il legislatore, deve essere ricono-sciuta una retribuzione «proporzionata alla quantità e qualità di lavoro svolto», con un’estensione di fatto della disciplina del-l’art. 36 Cost.

Benché questa «estensione» del dettato costituzionale sia cer-tamente auspicabile per ogni lavorista, è però necessario con-frontarsi con la realtà. Una realtà in cui l’ampliamento astratto delle tutele non sempre trova adeguato riscontro nel dettato normativo. Le leggi sull’equo compenso, rectius la legge sull’e-quo compenso giornalistico (preferisco non commentare la nor-mativa più recente in materia, che sembra comunque già aver fatto tesoro degli errori di quella pregressa) ha dato infatti ri-sultati certamente non positivi, se non addirittura fallimentari.

Nella specie, benché il tariffario allegato alla delibera avreb-be dovuto porsi «in coerenza con i trattamenti previsti dalla contrattazione collettiva» (come richiesto dalla legge del 2012) e in coerenza con l’art. 36 Cost., la Commissione di valutazione (deputata alla stesura del tariffario medesimo) ha fissato non un «equo compenso», ma piuttosto un salario minimo garantito,

rinviando peraltro non alla contrattazione collettiva, bensì alla contrattazione individuale con il singolo editore la determina-zione del compenso per prestazioni di lavoro superiori al mi-nimo, stabilendo parametri di determinazione della retribuzio-ne talmente bassi e lontani dai minimi garantiti contrattual-mente da far parlare di «iniquo» (e non certo di «equo») com-penso.

Ne è conseguito un aggravamento di fatto della posizione di lavoratori già contrattualmente deboli, in quanto non tutelati dal CNLG, «regolamentandosi» in pratica la diseguaglianza re-tributiva già esistente tra giornalisti subordinati e giornalisti au-tonomi, i quali ultimi potrebbero rischiare di trovarsi sempre più alla mercé di datori di lavoro pronti a sfruttare la loro vul-nerabilità.

Ai tanti (troppi) giornalisti sottopagati, in questo modo, sem-brerebbe essere stata sottratta qualsiasi possibilità di rivendicare compensi adeguati o comunque superiori ai minimi «equamen-te» stabiliti, escludendosi anche l’eventuale applicazione a que-sti stessi del contratto di lavoro giornalique-stico, anche se svolgono – come spesso avviene – attività che di autonomo hanno ben poco.

È altamente improbabile, infatti, che un giornalista autono-mo sia in grado di contrattare con il proprio editore compensi più elevati di quelli prefissati dalla delibera, non foss’altro per-ché produzioni superiori al minimo annuo previsto potrebbero far ipotizzare la sussistenza di un rapporto di lavoro dipenden-te, smascherando conseguentemente falsi contratti di lavoro au-tonomo. Così, sotto le mentite spoglie di un ampliamento del-l’efficacia dell’art. 36 Cost., si è di fatto sdoganata una sorta di «sfruttamento obbligato».

Concludo. Procedere ad un’estensione dell’art. 36 Cost., dun-que, per quanto auspicabile anche nei termini di «dignità» per il lavoratore (tema che connota la seconda parte dell’articolo costituzionale), significherebbe procedere di fatto all’estensione di un principio di giustizia distributiva.

Prima di realizzare un simile (condivisibile) ampliamento, però, bisognerebbe esser certi che esista un soggetto, chiamia-molo «negoziatore», che (diversamente da quanto accaduto con la Commissione nominata per l’equo compenso nel lavoro

gior-nalistico) sia effettivamente in grado di dare attuazione al detta-to costituzionale, interpretando le intenzioni del costituente coerentemente con le richieste e con le esigenze del mercato, reali, effettive e concrete.

Pur non essendo tra gli interventi programmati, stimolata dalla discussione, ho chiesto di parlare per riferire quelle che sono le iniziative che abbiamo messo in campo, come SLC CGIL, settore Produzione Culturale sul lavoro autonomo.

Gli artisti devono versare i contributi all’ex ENPALS. Sin dal 1943 la legge istitutiva dell’ENPALS si è limitata a dire che i la-voratori (senza specificare le tipologie) sono assicurati ai fini pre-videnziali e, successivamente, per la malattia a questo Istituto.

Da allora l’ENPALS tratta indifferentemente i lavoratori su-bordinati, parasubordinati e autonomi per quanto riguarda il versamento e le tutele per la previdenza. Anche per i lavoratori autonomi è quindi in capo al committente il versamento del contributo, nella percentuale del 33%, di cui solo il 9,19% è in carico al lavoratore (la danza paga circa un punto percentuale in più). Unica eccezione è costituita dal musicista autonomo, che ha un proprio codice ATECO. In questo caso l’artista paga da sé i contributi, nella stessa percentuale e nelle medesime mo-dalità dei lavoratori dipendenti.

Quindi già dal 1943 il legislatore, guardando al settore dello spettacolo ha saputo trovare tutele a questi lavoratori. Il settore dello spettacolo è caratterizzato da una parte ridotta di lavora-tori stabili. Circa l’80% dei lavoralavora-tori ha rapporti di lavoro a termine, nella tipologia della subordinazione e della parasubor-dinazione. Insiste anche una percentuale, che varia da categoria a categoria, di lavoro autonomo. In generale questi lavoratori

* SLC CGIL.

Nel documento 1. Il lavoro autonomoe il lavoro agile (pagine 123-127)