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L’arredo urbano di Pompei: le panchine

Nel documento Pompei L'immagine della strada (pagine 99-177)

Le vie di Pompei erano, oltre che arterie destinate al transito di veicoli e passanti, luoghi d’incontro e di aggregazione, all’interno di un ambiente urbano dotato sia di strutture funzionali alla vita dei cittadini, come i passaggi pedonali e le fontane, sia di elementi decorativi, come gli archi celebrativi, le statue, gli ornamenti delle facciate e il verde pubblico. In questo contesto si intende analizzare uno specifico elemento dell’arredo urbano, le panchine, studiando da un lato le loro strutture e i materiali utilizzati per la loro realizzazione, dall’altro gli intenti e le motivazioni di committenti ed utenti.

I dati raccolti da Jeremy Hartnett in un recente lavoro, riguardanti la collocazione, la fattura, la committenza e l’uso, lasciano pensare che a Pompei vi fossero, complessivamente, almeno un centinaio di panchine, pubbliche, private o semipubbliche, poste di fronte a circa sessantanove proprietà. Nonostante i committenti fossero sia privati (residenti facoltosi e negozianti) che pubblici, il suolo occupato era prevalentemente quello pubblico. I proprietari o committenti fornivano ai concittadini luoghi di riposo, di attesa o di semplice sosta. Quelle rimaste sono realizzate per lo più in laterizi o pietra squadrata, tagliata in blocchi, disposti in forma di parallelepipedo, con le facce laterali quadrate, di circa 40 cm di lato, e la faccia anteriore rettangolare, di lunghezza variabile, da poco meno di 1 m fino a 10 m. Esse erano appoggiate agli edifici in tre diverse posizioni: aderenti alle facciate e sporgenti sulla strada; in posizione “rientrante” negli spazi creati dagli angoli delle pareti esterne degli edifici; in nicchie o in aree ricavate all’interno delle pareti stesse, aperte lungo la strada: unico caso, quest’ultimo, in cui esse non

occupano il suolo pubblico.310

Panchine: occasioni d’uso

Comprensibilmente, non è possibile stabilire con certezza quale fosse il termine latino (subsellium, scamnun o sedile…) più utilizzato a Pompei per indicare una panchina stradale. Nessuna fonte descrive in dettaglio queste o analoghe strutture,

comunque prive di braccioli e schienale, peraltro difficilmente classificabili.311

310 Hartnett, 2008, 92.

311 Hartnett, 2008, 92-93. Subsellium è il termine più comune, descrive i sedili lignei organizzati per

più persone, come il pubblico alle recitazioni poetiche (Juv. 7.45, 7.86; Plin., Ep. 2.14.6; Svet., Cl. 41.1; Tac., Dial. 9.3), i giurati alle gare (Cic., Brut. 289-90, de Or. 1.32, 1.264, Fam. 8.8.1; Gel.,

Sul piano della vita quotidiana dei Pompeiani, la funzione della panchina si ricollega a momenti della vita civile ed evoca l’idea di una forma modesta di posto a sedere; ogni volta che sono presenti altri arredi con la stessa funzione, ma in materiali più nobili (marmo, bronzo…), come i sedili di Marcus Nigidius Vaccula, che furono trovati all’interno delle Terme del Foro, il modello in pietra, di cui abbiamo il maggior numero di esemplari, sembra essere collocato ad un livello

gerarchico più basso.312 Questa connotazione, probabilmente, deriva dalla natura

collettiva dei posti a sedere con una possibile promiscuità tra persone di estrazione sociale diversa, e dal fatto che questo sedile, essendo privo di braccioli e avendo solo la rigida facciata dell’edificio retrostante come schienale, era relativamente

scomodo.313

La decisione di sedersi in un determinato posto, in un determinato momento, dipendeva molto da ciò che le altre persone accanto stavano facendo: riposare, intrattenersi, mangiare, discutere di affari, o attendere. Un elemento importante, che ci consente di comprendere la funzione delle panchine, era la loro posizione; ad esempio, vi sono tre panchine, destinate ai clienti in attesa del loro turno, annesse al panificio I.12.1-2, a Pompei: due si affacciano sulla strada, mentre la terza, più

grande, è collocata nel cortile interno.314 A mio parere questa doppia collocazione

può essere spiegata in un unico modo: la panchina interna doveva essere riservata a cittadini di maggiore riguardo o allo stesso proprietario, che desiderava un luogo tranquillo di sosta o semplicemente voleva controllare l’andamento dei suoi affari,

N.A. 13.11.3, 14.2.11; Juv. 16.44), e i senatori in curia (Cic. Catil. 1.16, de Or. 2.143, Phil. 2.19,

5.18; Liv. 3.64.6; Svet., Aug. 44, Cl. 23). Il termine, comunque, non è limitato agli arredi lignei, ma anche per i sedili marmorei del teatro (Mart. 1.29.2, 5.8.2, 5.27.3; Pl., Am. 65; Svet., Aug. 43.4, 44.1,

Nero 26.2; e anche CIL 6 2104, menziona subsellia marmorea). Anche all’interno delle case si

possono trovare, è un sedile che supplisce i lettini da cena (Dig. 1.14.31, 20.11.9, 33.10.3; Pl., Capt. 471, St. 93-5, 488-89, 703-4; Sen., Dial. 4.25.4). Scamnum, di contro, è leggermente diverso e meno frequente; è usato allo stesso tempo, come interscambiabile per descrivere gli scranni riservati agli

equites a teatro (Mart. 5.41; CIL 4 1066 scamna marmorea), c’è anche una descrizione di un

poggiapiedi, chiamato allo stesso modo, quindi può essere inteso l’arredamento umile in tutte le sue forme (Cod. Theod. 3.1.2: “subsellia vel, ut vulgo discunt, scamna”; Ov., Fast. 6.305; Val. Max. 4.3.5; Var., L. 5.168).

312 Bonucci, 1827, 128. Hartnett, 2008, 116-117. I sedili bronzei sono estremamente elaborati,

poiché sono sorretti anche da gambe a forma di zampa con zoccoli decorate ai lati da caratteristiche teste di mucca: si può pensare a un interpretazione figurativa del cognome del donatore dei sedili, Marcus Nigidius Vaccula, che vi ha anche orgogliosamente fatto inscrivere il suo nome: “M.

Nigidius Vaccula S. P.” CIL 10 818.

313 Hartnett, 2008, 105-106. 314 Hartnett, 2008, 106.

affidati a un liberto, se non a uno schiavo. Altro esempio è fornito dalle cauponae e dalle taverne, ambienti quasi sempre estremamente piccoli, molto affollati, caldi e con una moltitudine di odori sgradevoli; per rimediare in parte a questi disagi e nello stesso tempo aumentare i posti a sedere, lungo la strada o in cortili interni venivano costruiti dei sedili in pietra, per fornire agli avventori anche un’alternativa all’aria aperta: così nella caupona addossata ai Praedia di Iulia Felix (II.4.1-12) sono collocati dei banchi sia lungo la facciata sia all’interno, dove si trovano pure

un piccolo triclinium e due insiemi di tavoli con panche in muratura.315

Una panchina realizzata fuori da una bottega può svolgere una funzione importante anche per un’adiacente abitazione privata: come sottolinea Hartnett, così pensano Maiuri e da altri archeologi (non nominati esplicitamente), che hanno esteso la visione pratica della funzione delle panchine di taverne e negozi alle

private abitazioni, pur in un diverso contesto relazionale e sociale.316 Non mancano

infatti esempi di panchine collegate nello stesso tempo sia ad abitazioni che a botteghe: davanti alla Casa di D. Octavius Quartio (II.2.2, fig. IV.4) due lunghi sedili si dispongono ai lati della porta d’ingresso e il sedile posto ad ovest si estende

lungo la facciata, fino ad arrivare alla soglia dell’ampia bottega.317 In questo caso,

la panchina ha due funzioni, legate allo spazio della casa e del commercio, e la loro sovrapposizione dimostra che, in molti casi, questi due piani si intrecciano all’interno della vita quotidiana della città. Anche se i clienti del locale godevano della comodità di un posto a sedere per consumare il loro pasto, sedendosi all’esterno della domus rivelavano, in un certo senso, la loro inferiore posizione socio-economica, in netto contrasto con il relativo isolamento di cui potevano godere i personaggi di riguardo che si riunivano nella domus accanto, dove si svolgevano banchetti nascosti agli occhi dei passanti. Così, allo stesso tempo, i frequentatori della strada potevano concedersi un momento di riposo, consumando un pasto o restando in attesa dell’acquisto di prodotti alimentari e di altri beni, sedendosi però su una panchina di proprietà di una domus e mettendosi perciò simbolicamente nella posizione subalterna tipica dei clientes. In tal modo, gli stessi

315 Eschebach, 1993, 92-94. Ellis, 2004, 371-384. Guidobaldi, 2006, 153-164. Pesando, 2006, 141-

145. Olivito, 2013, 13-36.

316 Maiuri, 2000, 20-21. Hartnett, 2008, 106-107.

clienti degli esercizi commerciali circostanti contribuivano indirettamente alla

popolarità e alla fama del proprietario della casa.318

Anche il rituale del clientelismo a Pompei assume modalità collegate con i caratteri specifici degli spazi urbani pubblici e privati, in una situazione che presenta analogie, ma anche notevoli differenze rispetto a quanto tramandato dagli

autori latini. A Roma la salutatio matutina, nella testimonianza di Gellio319 e

Macrobio320, come citati da T. P. Wiseman, avveniva di consueto nel vestibulum, o

comunque nella pars prior della domus del patronus,321 la cui delimitazione non è

affatto definita in modo univoco. Neppure a Roma, tuttavia, era inconsueto che i

clientes attendessero il momento della salutatio ante ianuam, ossia nella zona di

transizione che aveva la doppia funzione di dare accesso alla casa e separarla dalla strada, sebbene la normativa stabilisse che le porte d’ingresso delle abitazioni si aprissero verso l’interno, in modo da non ridurre l’ampiezza delle strade

appropriandosi indebitamente di uno spazio pubblico.322 La definizione giuridica di

questo spazio esterno era tanto ambigua e indefinita da suscitare curiosi diverbi in campo legale sul sussistere o meno di una violazione di proprietà privata nel caso

in cui fosse impedito al proprietario l’accesso nella sua abitazione.323

Nel caso di Pompei, come Wiseman mette in rilievo, il vestibulum all’interno delle domus è spesso assente: egli ipotizza dunque che i clientes aspettassero il proprio turno all’esterno dell’abitazione, all’aperto, ad esempio seduti fuori sul

marciapiede davanti alle case del Menandro (I.10.4, fig. IV.1)324 e di Sallustio

(VI.2.4, fig. IV.2),325 o sulle panchine che fiancheggiavano l’entrata, come poteva

318 Hartnett, 2008, 107.

319 Gel.,N. A. 16.5.1-2. Leach, 1993, 23. 320 Macr.,Sat. 6.8.8. Leach, 1993, 23. 321 Cic.,de Or.1.200.1-2; Stat., Sil. 4.4.41-42. 322 Leach, 1993, 23-24.

323 Wiseman, 1982, 28-49 (tutto il paragrafo). Cic., Caec. 35, 39 e 89, dove l’imputato, accusato di

aver impedito ad un uomo l’accesso alla propria dimora, considera quest’area come proprietà di tutti, mentre Cicerone ne afferma il possesso privato e sostiene che si tratta di un reato identico a quello compiuto in caso di estromissione dalla proprietà.

324 P.P.M. II, 1990, 240-397.Eschebach, 1993, 52-54. Guidobaldi, 2006, 113-124. Pesando, 2006,

121-126.

325 Eschebach, 1993, 156. P.P.M. IV, 1993,87-147. Pesando, 1997, 183-190.Guidobaldi, 2006, 79-

avvenire davanti alla domus di L. Ceius Secundus (I.6.15).326 Ancor più specificamente lo studioso constata che l’ingresso a molte abitazioni era “arretrato

in più di un modo come per lasciare un’area esterna, sostanzialmente rettangolare, aperta sulla strada, ma non di proprietà pubblica”:327 alcuni esempi di questo sono

l’ingresso della Casa di Epidius Rufus (IX.1.20, fig. IV.3),328 lungo via

dell’Abbondanza, preceduto da un podio rettangolare, che si estende lungo tutta la facciata e si collega al marciapiede con due scalini, o l’ingresso della domus di

Octavius Quartio (II.2.2, fig. IV.4),329 che ha l’entrata arretrata a formare un piccolo

spazio in cui furono costruite le panchine.330 Vi è poi il caso specifico della stanza

d’entrata della Casa di Iulius Polybius (IX.13.3, fig. IV.5),331 chiamata

comunemente “Primo Atrio”, che, pur essendo uno spazio interno, in quanto oltre la soglia di ingresso, resta distinto, quasi come uno spazio esterno coperto, dal complesso degli ambienti della domus ed estraneo alla vita privata che vi si

svolgeva;332 d’altro canto la decorazione in Primo Stile di questo ambiente lo rende

simile ad un vestibulum. La stanza è collegata alla strada con brevi fauces; alla sua sinistra, già all’interno della casa, vi è un secondo ambiente, la “Stanza A”, diversa nella decorazione, ma simile nella struttura al “Primo Atrio”, condividendo con esso un tetto testudinato: esso occupa la posizione tipica di un atrium, ma è priva dei

cubicula laterali e soprattutto dell’impluvium; solo l’ “Atrio O”, in posizione assiale

rispetto alla porta d’ingresso principale, risponde alle caratteristiche proprie di

questo ambiente.333 Nella domus, perciò, vi è una netta distinzione tra spazio

pubblico (“Primo Atrio”) e privato.

326 P.P.M. I, 1990, 407-482. Eschebach, 1993, 37. Leach, 1993, 23. Pesando, 1997, 199-202.

Pesando, 2006, 105-107.

327 Wiseman, 1982, 28-49.Leach, 1993, 23.

328 Eschebach, 1993, 401-402. P.P.M. VIII, 1998, 916-955.Guidobaldi, 2006, 76-79. Pesando, 2006,

234-235.

329 P.P.M. III, 1991, 42-108. Eschebach, 1993, 88-89. Guidobaldi, 2006, 147-153. Pesando, 2006,

138-140.

330 Wiseman, 1982, 28-49.Leach, 1993, 23.

331 Richardson, 1989, 119-120. Allyson, 1992, 116-150.Eschebach, 1993, 449-450. Pesando, 1997,

137-141.P.P.M, 2003, 183-356. Pesando, 2006, 242-244.

332 Wiseman, 1982, 28-49.Leach, 1993, 23.

333 Wiseman, 1982, 28-49. Richardson, 1988.Leach, 1993, 23. De Franciscis, 2001, 215-228. De

Franciscis considera l’Atrio A come quello principale, e lo compara alla Casa a Due Atri a Ercolano (Cardo III, Insula VI), mentre Richardson attribuisce la duplicazione alla storia architetturale della casa, vedendo nella stanza d’entrata una sopravvivenza dell’atrium originale caduto in disuso con la nuova costruzione più interna. La prima ipotesi, però, non può essere considerata valida, poiché

Si può quindi immaginare che le domus pompeiane fossero spesso circondate al mattino da numerosi clientes, che attendendo all’aperto, con il favore del clima, sottolineavano l’importanza del loro patronus, tanto maggiore quanto più numerosa era la folla in attesa sulle panchine e negli spazi antistanti, che assumevano talora forme idiosincratiche caratteristiche della singola dimora.

Tra pubblico e privato

La proprietà delle panchine, che caratterizzano il paesaggio urbano di Pompei, non era pubblica, ma, salvo l’isolata eccezione costituita dalle panchine adiacenti al foro (VII.9.12) e alle terme (VII.5.1), privata, sebbene il loro utilizzo fosse condiviso da tutti. I proprietari, per lo più commercianti e cittadini abbienti, le commissionavano per scopi personali, ma anche per la cittadinanza, ed è ragionevole che subissero pressioni nel quartiere dove abitavano per la loro costruzione e per il luogo dove costruirle, arrivando a collocarle anche in spazi interdetti per evitare il blocco di strade importanti; in cambio, però, i proprietari

ricevevano la gratitudine dei concittadini.334 Sovente, le panchine venivano

costruite occupando abusivamente una parte dei marciapiedi, che talora, lungo le strade piuttosto trafficate come via dell’Abbondanza, potevano diventare così stretti da rendere difficile il passaggio a più di due pedoni, difficoltà aggravata dall’ingombro creato dalla merce dei negozi, regolarmente esposta fuori dai locali,

sul suolo pubblico.335 Si può quindi dedurre che le panchine di Pompei fossero per

la maggior parte abusive, a meno che non fossero realizzate sfruttando le rientranze delle facciate delle case e non andando quindi ad impedire il quotidiano flusso di passanti.

I proprietari degli immobili cercavano per la realizzazione delle panchine posizioni dove la loro iniziativa acquistasse visibilmente un carattere pubblico, così da sollecitare la gratitudine dei concittadini ed incrementare il proprio prestigio. Ciò avveniva anche nel caso di panchine erette per fini puramente commerciali ed entro

considera una casa che ha due atri, tanto più che dall’ “Atrium O” si accede anche al vicino tablinum, solitamente collegato a questa stanza

334 Hartnett avanza questa ipotesi tentando di ricostruire le relazioni sociali e di vicinato promosse

dalle panchine.

i limiti del quartiere dove risiedeva il committente. A tale scopo, ove possibile, si prediligevano contesti stradali ampi ed aperti, ma non minore considerazione era rivolta alle attività economiche, il traffico e l’affollamento della strada, in parte

definiti anche dal numero di ingressi che vi si affacciavano.336

Per quanto riguarda l’ampiezza di una strada, è possibile proporre un ulteriore sistema di classificazione basato sulla frequenza delle panchine rispetto al numero di proprietà: la classifica delle strade di Pompei che ne risulta corrisponde esattamente a quella data dalla misura dell’ampiezza stessa, che varia da circa 2 m a 12 m, con due valori predominanti: 4-6 m e circa 8 m. Quasi tutte le principali arterie della rete urbana, che conducono da una porta della città all’altra, si conformano alla seconda misura, mentre la prima caratterizza soprattutto le strade che segnano longitudinalmente il confine dei quartieri urbani. La lista riportata nella tabella 1 dimostra indubbiamente che le strade più ampie, offrendo uno spazio più ampio anche sui marciapiedi, rispondevano maggiormente alle esigenze di visibilità dei proprietari che ponevano panchine ai lati delle entrate, tanto più se la facciata della loro domus era imponente e si apriva verso una via principale. La casa dei Dioscuri (VI.9.6-7), ad esempio, affacciandosi sulla via di Mercurio, prestigiosa nella prospettiva urbana pompeiana per l’arco onorario posto all’inizio e per l’ampiezza degli edifici, presenta panchine ai fianchi dell’entrata sulla via

principale, mentre ne è priva sugli altri lati, che confinano con strette strade.337 Una

simile immagine offrono anche le altre prestigiose domus della stessa via, ponendosi quasi in competizione per attrarre sulla facciata lo sguardo dei

passanti.338

La frequenza delle panchine si può stabilire anche in relazione al numero degli

ingressi, partendo ancora dagli studi di R. Laurence,339 ma considerando gli

approfondimenti di J. Hartnett, volti specificamente a studiare questa relazione (cfr.

336 Hartnett, 2008, 111.

337 P.P.M. IV, 1993, 860-1004. Zevi, 1992, 45-72. Eschebach, 1993, 201-203. Pesando, 1997, 81-

130. Saliou, 1999, 171. Guidobaldi, 2006, 39-53. 190-191. Guidobaldi, 2006, 56-67.

338 Guidobaldi, 2006, 56-67. Hartnett, 2008, 109-111.

339 Laurence, 2011, 100-117. Laurence, 1994, 88-103.Vd. Cap. 1: La profondità topografica rispetto

tabella 2).340 Contrariamente a quanto Hartnett inizialmente si aspettava, il numero delle panchine non raggiunge la massima frequenza in rapporto al più elevato numero di ingressi (ogni 0 – 5 m), anche per la mancanza di spazi, bensì quando vi è un ingresso ogni 6 – 10 m, frequenza comunque molto elevata che indica la presenza non solo di numerose abitazioni, ma anche di attività commerciali, e una conseguente vivace attività di persone e di traffici lungo la strada.

Posto quindi che la vivacità di attività economiche e di passaggio era proporzionale alla frequenza degli ingressi, i dati evidenziati da Hartnett nella tabella 3 dimostrano che le strade più ampie, in cui sono presenti anche panchine,

ospitano solitamente un intenso traffico.341 Nella tabella, le vie che si trovano nella

parte superiore della classifica per ampiezza e per attività, contengono complessivamente 67 delle 88 panchine note a Pompei. D’altra parte, risulta pure evidente che 19 panchine sono state costruite su strade trafficate, ma relativamente strette. Così, tralasciando altri valori secondari, si può concludere che le panchine si concentrano essenzialmente in due contesti: vie larghe o strette, ma in ambedue

i casi intensamente trafficate.342

Sulle vie larghe e affollate era intenso anche il traffico veicolare, come si può stabilire tramite gli studi di Tsujimura (già citati nel capitolo 1) sulla posizione e profondità dei solchi sulla pavimentazione, lungo tutta la rete urbana pompeiana: l’alta concentrazione di veicoli costringeva i pedoni a passare sui marciapiedi, spesso parzialmente occupati da merci in esposizione, che intralciavano il passaggio, e da diverse strutture dell’arredo urbano che offrivano un ristoro, come

le fontane ole panchine stesse.343 Queste erano addossate alle abitazioni e costruite

sui marciapiedi che, nelle vie più ampie, hanno una larghezza media di circa2,1 m, comunque notevolmente maggiore rispetto a quella delle strade più strette. Quando il marciapiede è più largo le panchine occupano mediamente il 18,4% della superficie calpestabile e lasciano circa 1,71 m per il passaggio pedonale (tabella

340 Hartnett, 2008, 110-112. 341 Hartnett, 2008, 111-112. 342 Hartnett, 2008, 111.

343 Hartnett, 2008, 111-113. Tsujimura, 1991. Poehler, 2006, 53-74.Vd. Cap. 1: I solchi delle strade,

4).344 Nelle vie più ampie, inoltre, i proprietari, generalmente più abbienti, volevano colpire i passanti, oltre che per la loro munificenza, anche attraverso il pregio dei

materiali utilizzati: la superfici dei sedili è spesso realizzata in marmo.345

Nelle strade più strette caratterizzate da numerosi ingressi e panchine, il volume delle attività commerciali e del traffico era di solito paragonabile a quello delle strade più ampie, con conseguenti difficoltà logistiche. Essendo qui più stretti anche i marciapiedi, le panchine, mediamente tutte della stessa lunghezza, circa 1,44 m, lasciano solo un piccolo spazio per il passaggio dei pedoni, creando per così dire un conflitto di interessi tra chi le possedeva o le utilizzava e chi doveva scendere

dal marciapiede per evitarle.346 Di conseguenza, dove minore era il volume del

traffico e delle attività commerciali, come nel quartiere densamente popolato e con strade abbastanza strette immediatamente ad est del foro, le panchine sono poche o assenti.

Dato il quadro descritto, si potrebbe pensare che le panchine fossero collocate in aree prossime al centro cittadino, ma si evidenzia sul campo una realtà diversa: spesso, in grandi arterie, come via delle Terme - via della Fortuna e via di Stabia, vi è una sorprendente scarsità di panchine, che invece sono maggiormente concentrate nelle sezioni marginali di via di Nola e di via dell’Abbondanza. In altre parole, sebbene si trovino comunque lungo percorsi principali e molto frequentati, le panchine appaiono soprattutto nei quartieri esterni al centro della città, contrariamente a quanto potrebbero suggerire le statistiche, essendovi qui meno ingressi e presumibilmente una minor attività di scambi lungo la strada. Pertanto la distribuzione delle panchine è un fattore abbastanza particolare, che apre una prospettiva ancora più specifica sulla vita di Pompei: senza dubbio il centro cittadino risultava già molto affollato, senza ulteriori fattori di disturbo sui marciapiedi, e osservando una pianta della città con la loro localizzazione, sembra che si preferisse una distribuzione in zone meno frequentate e più tranquille, come

344 Hartnett, 2008, 111 e 114.

345 L’unica panchina che conserva le lastre di marmo è la 3.20, lungo vicolo di Tesmo, all’interno

dell’Insula IX, che appartiene alla grossa panetteria denominata di A. Vettius Caprasius Felix (IX.3.19-20); mentre si può supporre che panchine appartenenti a ricche domus, come quella di D.

O. Quartio (II.2.2), fossero ricoperte da materiali pregevoli, come il marmo.

l’interno della Regio I, o in zone marginali, come la parte terminale di via

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