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Pompei L'immagine della strada

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere

Corso di Laurea Magistrale in Archeologia

Pompei

L’immagine della strada

CANDIDATO RELATORE

Andrea Piaggio Dott.ssa Anna Anguissola

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Sommario

Introduzione. La scoperta delle strade ... 3

1748 - 1860: la strada ai margini ... 6

La delusione del Grand Tour ... 10

1860 – 1923: la strada assume rilievo ... 13

Gli ultimi anni ... 14

Capitolo I Topografia della rete viaria ... 16

Lo spazio urbano ... 17

Classificazione delle strade... 23

La profondità topografica rispetto alle porte urbiche ... 23

La distanza dal foro ... 24

Traffico cittadino ... 27

Strade primarie e secondarie ... 32

Strade “formate” e “non formate” ... 34

Il numero di accessi ... 40

Capitolo II Organizzazione e infrastrutture ... 44

Parte I Via Ercolanense, l’accesso alla città ... 45

Via dei Sepolcri: storia degli scavi ... 45

Via dei Sepolcri: l’immagine della strada ... 47

Dalla via Ercolanense al circuito delle mura ... 61

Via Ercolanense: i marciapiedi ... 64

Parte II Un angolo residenziale adiacente al foro: da via delle Scuole a vicolo della Regina . 66 Regione VIII: storia degli scavi ... 66

Via delle Scuole e vicolo della Regina: l’immagine della strada ... 67

Via delle Scuole e vicolo della Regina: le fontane ... 77

Via delle Scuole e vicolo della Regina: i marciapiedi ... 79

Parte III Una strada nascosta: vicolo di Tesmo ... 83

Vicolo di Tesmo: storia degli scavi ... 83

Vicolo di Tesmo: l’immagine della strada ... 84

Capitolo III L’arredo urbano di Pompei: le panchine ... 97

Panchine: occasioni d’uso ... 98

Tra pubblico e privato ... 103

Panchine di Pompei: un campione ... 108

Panchine domestiche ... 109

Panchine pubbliche ... 111

Panchine semipubbliche e commerciali ... 112

(4)

Conclusione. Strade e paesaggio urbano ... 116

Immagini ... 121

Lista Immagini ... 143

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Introduzione. La scoperta delle strade

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L’obiettivo del mio lavoro è studiare la strada, non solo in quanto oggetto archeologico, ma anche come organismo capace di interagire con le strutture ed i servizi che la circondano. La società romana influisce sulla strada e la conduce in una dimensione più ampia: non ha più una funzione esclusivamente “carrabile”, ma anche sociale, luogo di incontro, di commercio e di riposo.

L'elemento archeologico della strada è al centro della maggior parte degli scavi di Pompei dei primi secoli: nel ‘700 gli archeologi seguiranno il tracciato della via dei Sepolcri (prima strada ad essere stata trovata e indagata insieme alle costruzioni che vi si affacciano) per scoprire porta Ercolano e quindi proseguire all’interno della città. Negli anni e nei secoli successivi le vie continueranno ad essere al centro dell’attenzione: per la liberazione delle varie insulae e regiones verrà seguito il tracciato viario cittadino. Ma è solo dalla fine dell’Ottocento che si inizierà a prendere coscienza di come anche le strade possano essere considerate oggetti archeologici a sé stanti, degni di essere studiati. Da questo momento le strade non verranno più liberate con l’unico scopo di ammirare le facciate degli edifici circostanti, ma vie ed edifici saranno intesi come un insieme, considerando entrambi all’interno di un unico e più ampio contesto.

Successivamente, verranno trattate le strade e i loro rapporti all’interno della città, come queste si relazionino con le strutture amministrative, gli edifici di spettacolo e religiosi e le abitazioni private. Grazie ad alcuni studi specialistici degli ultimi

anni, come i lavori di R. Laurence sull’assetto viario della città,1 quelli di C. Saliou

sui marciapiedi, le loro distinzioni di proprietà e i loro rapporti con gli edifici,2 o,

ancora, gli studi sugli ingressi alle abitazioni di A. van Nes3 e C. van Tilburg,4 che

arriva a paragonare nel suo lavoro, Streets and Streams, la rete viaria al corpo umano, si vuol far luce sugli aspetti della quotidianità pubblica, lungo le strade di una cittadina romana: si toccheranno questioni di amministrazione pubblica, fino ad arrivare ad aspetti più tecnici e meno frequentemente indagati, come il senso di marcia in una strada o la profondità dei solchi in rapporto al traffico cittadino. La

1 Laurence, 1994 e 2011.

2 Saliou, 1994 e 1999. 3 Nes van, 2014. 4 Tilburg van, 2015.

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descrizione tecnico - artistica della via romana parte dalla strada e passa attraverso il marciapiede alle abitazioni e agli altri edifici che vi si affacciano. In questo lavoro ho concentrato l’attenzione su alcune strade che ho ritenuto di peculiare interesse ai fini della ricerca: via Ercolanense o dei Sepolcri, via delle Scuole con la prosecuzione di vicolo della Regina e vicolo di Tesmo. La diversa collocazione fisica e i diversi edifici che vi si affacciano offrono un quadro abbastanza esauriente di come poteva essere la vita pubblica all’interno della città romana. Via dei Sepolcri si colloca al di fuori delle mura, oltre porta Ercolano, ed è fiancheggiata da due lunghe file di tombe, intervallate da alcune ville suburbane; questa strada può essere un ottimo punto di partenza per capire il passaggio dalla città alla campagna e alcuni aspetti delle aree esterne alle mura cittadine. Poiché, inoltre, fu la prima strada di Pompei ad essere scavata, la Via dei Sepolcri permette, meglio di altre, di osservare da vicino le sfide che la lettura integrata di uno spazio urbano ha posto agli studiosi nelle diverse epoche. Via delle Scuole e vicolo della Regina sono due strade estremamente simili e, allo stesso tempo, sostanzialmente diverse: entrambe sono affiancate sul lato sud, affacciato verso il mare, da grandi e ricche domus, che ne denotano il carattere di strade prestigiose. Tuttavia, la prima è molto larga e vi si accede direttamente dal foro; la seconda, invece, è estremamente stretta, soprattutto nel tratto occidentale. Queste due strade, situate nel perimetro sud della città, uniscono le due piazze principali, il foro e il Foro Triangolare. Infine, si prende in considerazione il vicolo di Tesmo, stradina che corre parallela a via di Stabia, estremamente importante per la circolazione interna fino alla sua chiusura, avvenuta dopo la costruzione delle terme Centrali in seguito al terremoto del 62 d.C. Lungo il vicolo si affacciano numerose entrate secondarie di abitazioni e di altre strutture, collocate lungo le vie principali circostanti, alcune domus di medie dimensioni e il retro delle vaste Terme Centrali. Ottimo esempio di strada secondaria, seppur centrale, si presta bene per uno studio su alcuni aspetti meno conosciuti e più nascosti della vita cittadina, che si svolgevano nelle zone meno trafficate e in vista. In questo modo si vuole offrire uno spaccato sulla fisionomia delle strade e sulla quotidianità all’interno di una cittadina romana di provincia.

Da ultimo si andrà a illustrare un arredo urbano liminare all’interno del contesto stradale: la panchina. Queste erano strumenti essenziali per alcuni momenti

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importanti della vita quotidiana: dalla pratica della salutatio matutina dei clientes ai loro domini, alla frequentazione degli esercizi commerciali affacciati sulle strade. Il presente lavoro propone un’indagine approfondita dei sedili esistenti: attraverso un’indagine sull’uso delle panchine e sul luogo di costruzione arriverò a descriverne dettagliatamente alcune che si possono trovare tuttora nella città.

1748 - 1860: la strada ai margini

Con l’inizio degli scavi condotti con metodologia scientifica da Giuseppe Fiorelli dal 1860, i resoconti degli archeologi offrono una visione complessiva dell’organizzazione della rete viaria pompeiana. Tuttavia, alla descrizione dettagliata della conformazione, dell’aspetto, della planimetria delle arterie cittadine sono dedicati solo sporadici cenni, senza alcuna sistematicità (fig. I.1). Il primo periodo in assoluto di scavi, all’indomani della scoperta nel 1748, non sembra aver prodotto elementi veramente utili in tal senso, nella misura in cui le esplorazioni, sotto la direzione di Roque Joaquín de Alcubierre, avevano come essenziale obbiettivo il recupero di tesori dell’arte antica, destinati alle collezioni borboniche, portati in superficie grazie al lavoro in gallerie sotterranee, i cosiddetti cuniculi. Nel 1756 viene individuata la prima strada: si tratta della via dei Sepolcri,

che costeggia la necropoli oltre la porta di Ercolano (fig. I.2).5 Ma solo all’inizio

degli anni ’60 del Settecento si capisce di essere di fronte ad una città, quando la porta di Ercolano è messa in evidenza. Da questo momento, nel 1763, l’assistente alla direzione degli scavi F. La Vega prende la decisione di lasciare le rovine a cielo

aperto.6

Per liberare la città dai detriti di varia origine, che si erano depositati durante l’eruzione e nei secoli successivi, si usano nuovi metodi di scavo, di consolidamento e di restauro. Sebbene i giornali degli scavi descrivano con precisione gli edifici e gli oggetti scoperti, tuttavia non forniscono nessuna descrizione o illustrazione specifica di una via. Ciononostante, le strade giocano un ruolo di primo piano nelle operazioni di scavo, poiché permettono di orientare la

5 Cassanelli, 1997,71.

6 Corti, 1963, 126-236. Zevi, 1981, 11-16. PPM disegnatori e pittori, 1995, 36-55. Cassanelli, 1997,

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liberazione e l’identificazione degli edifici. L’unico dato contenuto in questi giornali di scavo riguarda la presenza di iscrizioni e di insegne sulle facciate. Sembra costituire un’eccezione a questo generale disinteresse la cursoria descrizione tecnica che, nel 1777, è fornita della principale arteria fino ad allora scoperta, ossia Via Consolare: “si continua a scavare la via principale, il cui pavimento è molto rovinato dalle ruote dei carri, che dovevano circolare con frequenza nel suo antico stato”. D’altro canto, si nota un interesse dei primi viaggiatori-antiquari nei confronti delle strade, che l’immaginazione permetteva di

ripopolare di persone ed attività sulla scorta delle fonti letterarie latine.7

A partire dal 1756, quando l’accesso è consentito dalle autorità borboniche, i visitatori scoprono la Via dei Sepolcri, all’esterno della città, che costeggia una necropoli e conduce alla porta di Ercolano, costituendo quindi un prolungamento della Via Consolare, con le facciate di botteghe e ricche dimore. La loro visita terminava a sud, nell’altro settore della città in corso di scavo, con il tempio di Iside

(VIII.7.28),8 il quartiere dei teatri e poi, a est, l’anfiteatro.9 William Hamilton,

celebre figura d’antiquario, ambasciatore di Inghilterra a Napoli dal 1763, pubblica una delle prime viste della Via Consolare e rivela la scoperta di Pompei al pubblico

di Oltremanica nel 1777 (fig. I.3).10 Tra i primi resoconti del “gran Tour” dell’Italia,

si segnala quello di Bergeret di Grancourt, finanziere amante dell’arte, accompagnato da Fragonard nel corso del suo viaggio (1774-1775). Egli appare poco impressionato dalla scoperta del tempio di Iside (VIII.7.28), mentre accorda un’attenzione tutta particolare al paesaggio che offre la via Consolare: “Di là si passeggia in qualche casa comune e si cade nella principale strada d’arrivo, ancora pavimentata da quei grandi lastricati quadrati di lava come sono ancora oggi a Napoli. Bisogna confessare che questa strada tutta intera fa impressione: si vedono a destra e a sinistra tutte le botteghe che indicano diversi negozi dalla posizione

frontale”.11

7 Dessales, 2006, 41-42.

8 Eschebach, 1993, 393-394. P.P.M. IX, 1999, 732-849. Pesando, 2006, 68-72. 9 Eschebach, 1993, 94-95. Dessales, 2006, 42.

10 Hamilton, in Vesuvioweb.

11 Dessales, 2006, 42. B. de Grancourt (1774-1775), testo originale: “De là on se promène dans

quelques maisons communes et on tombe dans la principale rue d’arrivée, encore pavée de ces grands pavés quarrés de lave comme ils sont encore aujourd’hui dans Naples. Il faut avoüer que

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All’epoca appariva quasi obbligato il confronto fra la città antica e quella moderna, intendendo per questa Napoli, che non sembrano molto diverse nelle menzioni dei viaggiatori. Nel 1776 Francois de Paul Latapie si impegna a riconoscere la posizione dai banconi per la vendita al dettaglio di cibi e bevande, sulle facciate delle strade, che appunto gli ricordavano l’aspetto delle strade partenopee contemporanee. Oltre ad una delle prime piante conosciute della città, fornisce la prima descrizione tecnica di una strada (quella poi chiamata Via di Stabia), che costeggia il teatro, menzionando le dimensioni, la natura della pavimentazione e la presenza di iscrizioni parietali. In questo periodo si afferma la sensibilità preromantica, il gusto per l’esotico e il pittoresco, nonché la fascinazione per le rovine. Di conseguenza, le pubblicazioni di quest’epoca sono spesso arricchite da illustrazioni: rammentiamo ad esempio le viste romantiche di Jean Loius Desprez, raccolto nel secondo volume del Voyage Pittoresque (“Viaggio pittoresco”) dell’abate di Saint-Non (1781-1786). Questi autori non mancano di criticare i metodi di scavo impiegati a Pompei, soprattutto perché non sostenuti da una preliminare ricerca topografica e non corredati da successive dettagliate presentazioni grafiche; secondo il loro giudizio, inoltre, sono portati avanti con

lentezza, incuria e condotti con sciattezza (fig. I.4).12

Fra il 1808 e il 1815, nel periodo della dominazione francese, vengono intraprese liberazioni sistematiche su larga scala. L’attenzione si concentra sull’architettura e sull’urbanistica, offrendo una visione più organica del sito: il tracciato dei muri è seguito, la posizione delle porte stabilita con gli assi viari associati, come nel quartiere della Porta di Nola (fig. I.5). Si deve a Carolina Bonaparte l’idea di attribuire un nome convenzionale alle strade e di numerare sistematicamente gli ingressi, secondo un progetto tuttavia realizzato solo parecchi decenni dopo. Nello stesso momento, compaiono i primi studi scientifici con gli architetti-topografi François Mazois, francese, e William Gell, inglese. È Mazois, direttamente associato agli scavi francesi, a fornire la prima descrizione critica delle strade e dell’arredo urbano, in particolare delle fontane pubbliche. Nel secondo volume

cette rue bien entière fait impression. Elle conduit à la porte d’entrée qui est bien entière; on voite a droite et à gauche toutes les boutiques qui indiquent différents marchands par la position du devant”..

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della sua opera, citare titolo opera, scrive: “La disposizione delle strade e della circolazione delle acque hanno una tale influenza sulla salubrità e sul fascino di una città che credo dover dare qualche nozione sulle strade e sulle fontane di Pompei, prima di passare alla descrizione delle abitazioni”. È da notare che egli giustifica la ristrettezza delle strade, che poi verranno riconosciute come caratterizzanti il nucleo più antico della città, con la necessità di mantenerle all’ombra e quindi più fresche nei mesi estivi. Mazois passa quindi ad esaminare il fondo stradale delle vie, offrendo per la prima volta un’analisi che considera le tecniche di costruzione e i materiali: studia la struttura delle strade, il metodo di assemblaggio delle lastre di lava e identifica il sistema di canalizzazione ed evacuazione delle acque piovane e

di scarico.13

Fra il 1820 e il 1830 riprendono i lavori commissionati dalla dinastia borbonica ritornata al potere con la Restaurazione (figg. I.6 - I.7). Le liberazioni continuano in differenti settori della città, concentrandosi innanzitutto sul settore al nord del foro, con la scoperta della via di Mercurio. Nel 1821 con un’ordinanza reale si accorda la precedenza alla liberazione delle strade, con l’intento di seguire un criterio più funzionale nell’opera di scavo. I relativi giornali sembrano riflettere un interesse sempre più vivo per la struttura fisica della città. Come annota Héléne Dessales, per la prima volta in un giornale di scavi dell’agosto 1823 vi sono pagine

specificamente consacrate alla descrizione della liberazione di una strada.14 Esse

appaiono preliminari a ciò che qualche mese più tardi scrisse F. La Vega: “La lunga e magnifica via Mercurio, che, ricca di monumenti vari e preziosi, si estende quasi in linea retta dal Foro Civile alle mura, è ora totalmente scoperta. Ha necessitato di cinque anni di lavori e di sforzi, ed offre ora una prospettiva che nel suo genere è unica al mondo”. Con lo scavo di questa via il rapporto con le mura è stabilito; non solo, ma gli scavatori, grazie alla presenza dell’immagine di Mercurio scolpita sulla fontana che si trova a metà del tracciato della strada, si interrogano

sull’organizzazione religiosa e amministrativa dei quartieri. Si precisa la nozione

13 Cassanelli, 1997, 218. Dessales, 2006, 42. F. Mazois (1808-1815), testo originale: “La disposition

des rues et la circulation des eaux ont une telle influence sur la salubrité et les agréments d’un ville, que je crois devoir donner quelques notions sur les rues et les fontaines de Pompéi, avant de passer à la description des habitations”.

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di isolato, con lo scavo delle quattro strade che delimitano l’isolato della Casa del

Fauno (VI.12.5).15 Altro segnale di questa nuova coscienza è il fatto che alle strade

e stradine scoperte siano attribuiti dei nomi convenzionali: Vico dei Dodici Dei, Via di Mercurio, Via della Fortuna, Vicolo di Augusto, Vicoletto di Mercurio,

Strada di Nola, Strada del Quadrivio, per citarne alcuni (figg. 1.8 – I.9 – I.10).16

È nata la consapevolezza di un paesaggio urbano, ma la strada non è ancora studiata come entità fondamentale della struttura urbanistica, con una sua dimensione spaziale e materiale. Piuttosto, è definita sulla base delle testimonianze della vita sociale che vi si svolgeva. Un passo avanti in questo percorso è rappresentato dall’opera di A. de Jorio nel 1836, o ancora di E. Breton nel 1855, che accordano un’attenzione particolare al sistema di costruzione del fondo stradale, come alle fontane, ai santuari degli incroci e ai negozi, tutti elementi

preziosi per ricostruire la vita quotidiana della città.17

La delusione del Grand Tour

Una delle prime caratteristiche annotazioni dei viaggiatori riguardava la

ristrettezza delle strade di Pompei. In mancanza di altri riferimenti letterari antichi, soprattutto per le piccole città, la fonte principale rimaneva il testo di Tacito (Annales XV,43), secondo il quale le strade strette e l’altezza dei tetti attenuano l’influenza del sole. L’angustia delle strade di Pompei sorprende e delude l’immaginario romantico di certi visitatori, abituati alle grandiose vestigia della Roma antica. Così, nel 1787, Goethe nota la ristrettezza delle strade e le proporzioni meno grandiose dei monumenti, paragonando il complesso abitativo alle case delle bambole: “Mi sono recato con Tischbein a Pompei, ammirando a destra e a sinistra tutte quelle magnifiche viste già note a noi grazie ai pittori di paesaggi, e che ora ci si presentavano nel loro splendido insieme. Con la sua piccolezza ed angustia di

15 Zevi, 1992, 45-72. Eschebach, 1993, 201-203. Pesando, 1997, 81-130. Saliou, 1999, 171.

Dessales, 2006, 42-45. Guidobaldi, 2006, 39-53.

16 Cassanelli, 1997, 25 e 219. Dessales, 2006, 42-45. F. La Vega (1764), testo originale: «La longue

et magnifique rue de Mercure qui, riche de monuments variès et prècieux, s’ètend presque en droite ligne du Forum Civil aux murailles, est maintenant totalement dècouvert […]. Elle a nècessitè cinq ans de travaux et d’efforts, et elle offre maintenant une perspective qui dans son genre est unique au monde».

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spazio, Pompei è una sorpresa per qualunque visitatore: strade strette, ma diritte e fiancheggiate da marciapiedi, casette senza finestre, stanze riceventi luce dai cortili e dai loggiati attraverso le porte che vi si aprono: gli stessi pubblici edifici, la panchina presso la porta della città, il tempio e una villa nelle vicinanze, simili più a modellini e a case di bambola che a vere case. Ma tutto, stanze, corridoi, loggiati, è dipinto nei più vivaci colori: le pareti sono monocrome e hanno al centro una pittura eseguita alla perfezione, oggi però quasi sempre asportata; agli angoli e alle estremità, lievi e leggiadri arabeschi, da cui i svolgono graziose figure di bimbi e di ninfe, mentre in altri punti belve e animali domestici sbucano da grandi viluppi di fiori. E la desolazione che oggi si stende su una città sepolta dapprima da una pioggia di lapilli e di cenere, e poi saccheggiata dagli scavatori, pure attesta ancora il gusto artistico a la gioia di vivere d’un intero popolo, gusto e gioia di cui oggi

nemmeno l’amatore più appassionato ha alcuna idea, né sentimento, né bisogno”.18

In maniera molto simile nel 1819 A. L. Castellan si sorprende per le dimensioni delle strade e delle piazze che sembrerebbero “abitate da un popolo di pigmei”. Pompei dunque non ha nessuna magnificenza, ma se ne scoprirà presto un’intimità segreta. Così se gli arredi, i dettagli architettonici e le pitture murali avevano già costituito fin dall’inizio motivo di ispirazione per i viaggiatori (basti pensare allo stile pompeiano diffuso in Inghilterra e nell’arte del Neoclassicismo), le strutture architettoniche conoscono assai minor fortuna di quanto, ad esempio, era accaduto per le città della Magna Grecia o della Sicilia. Largamente considerata come una città di “terz’ordine”, Pompei sembra esercitare un impatto tutto sommato limitato

sugli architetti del Grand Tour (figg. I.11 – I.12 – I.13).19

Per queste stesse ragioni, non ravvisando una continuità fra il paesaggio urbano pompeiano e i centri del Rinascimento italiano, i viaggiatori sono inclini a confrontare Pompei, ancora in parte sconosciuta, con alcune città orientali; paradossalmente si crea una sorta di discrasia tra tempo e spazio nell’immaginario artistico dell’epoca, in quanto Medioevo e Rinascimento vengono sentiti come presenti e vicini culturalmente, mentre la realtà del mondo antico, anche quando

18 Goethe, Viaggio in Italia, 219-220.

19 Aloja, 1817, c. 19 e c. 22. Cassanelli, 1997, 89. Ciarallo, 2006, 11-16. Dessales, 2006, 46.

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relativamente vicina dal punto di vista spaziale, viene trasfigurata in una dimensione esotica. Con il futuro inizio degli studi si riuscirà a collegare tutte queste epoche, ma gli studiosi del Grand Tour erano ancora lungi da una piena consapevolezza integrale della storia italiana e, più in generale, europea. Questa

prospettiva, che si incontra per la prima volta negli scritti di J. J. Winckelmann,20 è

in seguito largamente ripresa alla fine del XIX secolo, diventando luogo comune. J. Overbeck, nell’edizione del 1844, scrive: “Le strade di Pompei si allontanano dall’apparenza varia, viva e sociale delle città medievali e moderne, con le loro facciate più o meno dipinte e decorate, e l’impressione si avvicina più ad una città orientale. La casa antica non è in faccia alla strada, come la casa moderna, essa è

rivolta verso l’interno e gira la schiena alla strada”.21 L’argomento principale di

questa tesi è dunque l’assenza di finestre che si aprono sulla strada. I fratelli Nicolini nelle loro pubblicazioni lamentano la monotonia delle facciate delle case pompeiane, senza finestre, a cui si oppone, secondo loro, la disposizione dei negozi, largamente aperti sulle strade, la cui viva animazione sarebbe paragonabile a quella

di Napoli moderna.22 Alla fine del XIX secolo il francese Pierre Gusman si fa

ancora eco di questa tradizione, evocando l’aura orientale delle strette strade di

Pompei.23 Ed esattamente in opposizione a questo luogo comune si è costruito il

programma di scavi di Vittorio Spinazzola sulla Via dell’Abbondanza. Sulla porzione messa in evidenza, infatti egli ha potuto dimostrare l’apertura sulla strada della casa pompeiana, sia che si tratti di dimore aristocratiche che di abitazioni più modeste, con la presenza di finestre, di balconi, ma anche di loggiati sopraelevati. S’inaugura così una nuova prospettiva, che permette di recuperare una continuità tra l’immagine urbana di Pompei e le forme utilizzate successivamente nell’architettura italiana, e di conseguenza in quella europea, in base al ruolo accordato alla facciata. Il caso di Pompei non è più trattato come un’eccezione; al contrario, nella seconda metà del XX secolo, le strade, come tutte le testimonianze della quotidianità urbana, diventano segni distintivi di una città romana, pienamente funzionale e simile all’immagine restituita dalle fonti letterarie. Il caso di Pompei

20 Si ritrova nella maggior parte delle sue opere. 21 Overbeck, 1968.

22 Niccolini, Le case ed i monumenti di Pompei disegnati e descritti, Napoli, 1854. 23 Gusman, Pompei : la ville, les moeurs, les arts, Paris, L.-Henry May, 1899.

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s’inserisce dunque in un percorso storico di progressiva trasformazione nel tempo delle strutture urbane, che in ultima analisi si riconduce alla trasmissione di modelli culturali antichi non solo per l’edilizia pubblica più prestigiosa, ma anche per quella

privata.24

1860 – 1923: la strada assume rilievo

Durante la direzione di Giuseppe Fiorelli (1860-1875), nel contesto del

Risorgimento, s’inaugura un periodo di profonde mutazioni, che culminerà nel 1923 con gli scavi di Vittorio Spinazzola, che giunge a collocare la strada al primo posto dell’archeologia urbana (fig. I.14). Gli assi viari vanno progressivamente a rivestire un ruolo centrale nella storia degli studi. Vengono intrapresi i primi scavi stratigrafici, che permettono la rilevazione sistematica degli isolati. Gli scavi non seguono più la traccia delle strade, poiché le liberazioni si effettuano d’ora in avanti dal livello superiore degli edifici, in modo da capire le modalità del crollo e la struttura interna di ogni abitazione. La strada come struttura urbana fondamentale è sempre al centro della riflessione di Fiorelli, ma il suo studio non rappresenta più l’obiettivo primario delle opere di scavo. Si tenta per la prima volta di identificare i diversi cardines e decumani, deducendo e ricostruendo la topografia dei settori della città ancora sepolti, ma non senza errore. Questo lavoro si appoggia a nuove tecniche e supporti topografici e all’elaborazione di un modello, materialmente costituito da una parte da una cartografia dettagliata della città, elaborata da

Giacomo Tascone, e dall’altra da un plastico in scala 1/100 (figg. I.15- I.16 - 1.17),

che è stato recentemente digitalizzato.25 È proprio Giuseppe Fiorelli che divide la

città in nove zone, con una numerazione sistematica di insulae e proprietà (figg. I.18 – I.19). L’invenzione della tecnica dei calchi in gesso permette di ricostruire con precisione, oltre ai corpi delle vittime dell’eruzione (figg. I.20 – I.21), anche gli elementi che contribuiscono a formare il paesaggio della via, come le porte e finestre in legno sulle facciate, che si possono osservare, ad esempio, nella domus

24 Dessales, 2006, 46-47.

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di O. Quartio (II.2.2),26 di M. Ampliatus (II.2.4)27 o nella Villa dei Misteri (figg.

I.22 – I.23).28

Questa opera sarà portata avanti dai suoi successori (fig. I.24); fra i quali spicca Vittorio Spinazzola (fig. I.25): dal 1910 al 1923 l’archeologo intraprende la liberazione di un decumanus della città, lungo 600 metri, ancora inesplorato: la via dell’Abbondanza. L’obiettivo è di mettere in evidenza un asse viario principale in rapporto alle facciate. Lo scavo è rivolto all’esterno dell’abitazione, con la sua facciata, non più all’interno. Le liberazioni seguono due direttrici fondamentali: una in lunghezza, partendo dal punto di scoperta della strada ad ovest e giungendo fino al suo estremo est, tenendo come punto di riferimento parallelo l’anfiteatro; una in larghezza, con la rilevazione delle due linee parallele alle facciate sui lati settentrionale e meridionale (figg. I.26 – I.27). La pubblicazione della opera di Spinazzola sullo scavo di via dell’Abbondanza, Pompei. Alla luce degli Scavi Nuovi

di Via dell’Abbondanza (Anni 1910 – 1923), avviene postuma, nel 1953, e avrà una

risonanza considerevole in tutta Europa. Il piano adottato rileva bene questo approccio strutturale all’immagine urbana, affrontando prima di tutto le “architetture di strade” con una riflessione tipologica sugli elementi costitutivi delle facciate: coperture, finestre, “cenacoli” e balconi, pergulae e solaria. Una seconda parte dell’opera si apre sui “colori della strada”, costituendo un inventario delle pitture in facciata. La terza e quarta parte sono consacrate all’analisi delle case scavate. Infine un’ultima sezione lascia il posto alle “voci della strada”, studio

dettagliato del ricco corredo di iscrizioni.29

Gli ultimi anni

Solo nel 1996 viene pubblicata una sintesi, ad opera Bjorn Gesemann, sull’organizzazione viaria di Pompei. Fino al 2000 e oltre sono state pubblicate numerose indagini, molto interessanti, che contengono un innovativo approccio allo studio della città, a partire dalle sue strade o dagli elementi che ad essa sono

26 PPM III, 1991, 42-108. Eschebach, 1993, 88-89. 27 PPM III, 1991, 102-111.

28 Corti, 1963, 196-236. Zevi, 1981, 16-19. Cassanelli, 1997, 52, 54, 64 e 219. Ciarallo, 2006,

51-72. Dessales, 2006, 45. Guidobaldi, 2006, 164-175. alchetron.com.

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associati; ne verranno citate di seguito solo alcune delle più importanti: quella di Sumiyo Tsujimura, del 1990, che, attraverso una lettura molto fine dei solchi di strada, ha potuto ricostruire l’immagine di tutto il traffico stradale all’interno di Pompei, successivamente ripresa anche da E. Poehler, che insieme allo studioso giapponese ha redatto il trattato “The Circulation of Traffic in Pompeii’s Regio VI”; quella di Catherine Saliou, del 1999, che riguarda la sistemazione dei marciapiedi ed è ricca di indicazioni sui rapporti di proprietà e sulle forme dello spazio urbano; quella di William Van Andringa, del 2000, che affronta il ruolo dei santuari di strada come testimonianza dell’organizzazione in vici. E ancora: Héléne Dessales nel 2006 tratta, in un ottimo riassunto generale, tutta la storia degli scavi delle strade a Pompei dal principio ai giorni nostri. Nel 2009 esce il trattato completo di Foss, Dobbins e Westfall, intitolato “The World of Pompeii”, che tratta di svariati e differenti aspetti della città in una visione ampia e particolareggiata: da uno studio sull’antica città osca e sannitica, fino alle più recenti ricerche in diversi campi dell’archeologia pompeiana; mentre J. Ellis amplia, con uno studio del 2011, la visione complessiva della storia e dell’architettura dell’assetto urbano di Pompei. Infine vale la pena ricordare lo studio di van Ness del 2014 sulla “vitalità” in una

città riportata alla luce.30

(18)

Capitolo I

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Lo spazio urbano

La struttura dello spazio urbano di Pompei presenta un’organizzazione generale in più sottoinsiemi, che si distinguono per la specifica organizzazione interna e la funzione o la cronologia della loro costruzione. Lo studio della morfologia degli isolati, in particolare, ha permesso all’equipe di Geertman di distinguere cinque grandi settori (1, 2, 3, 4, 5), entro i quali sono intercalati degli isolati di transizione (2 bis, 3 bis, 5 bis), che appartengono verosimilmente a fasi diverse della

sistemazione urbana (fig. II.1). 31 La divisione tradizionale di Pompei in nove

regioni, risalente al 1858, non corrisponde all’organizzazione antica in vici, né ad

un’analisi storica dello sviluppo urbano della città.32 Al contrario, i lavori

dell’equipe di Leida hanno dimostrato come la Regione I, ad esempio, raggruppi in realtà porzioni di due settori distinti. Per praticità, tuttavia, continuerò ad usare in questo lavoro la divisione tradizionale adottata dalla quasi totalità della letteratura scientifica e divulgativa.

Le mura osche del VI sec. a.C., circondavano esclusivamente il nucleo primitivo della città, chiamato Altstadt, che corrispondeva a grandi linee alle regioni VII e

VIII (fig. II.2). 33 Con il passare del tempo la città continuò ad espandersi, a partire

31 Geertman, 1998, 17. Saliou, 1999, 184-185. Il settore 1 corrisponde grosso modo alle Regioni VII

e VIII, senza comprendere tutte le Insulae che si affacciano lungo le vie delle Terme, della Fortuna e di Stabia; il settore 2 corrisponde alla quasi totalità della Regione VI, mentre il 2 bis alle Insulae ai lati di via di Vesuvio, VI.14, VI.16, V.1 e V.6, e all’Insula VI.1 lungo via Consolare; il settore 3 corrisponde alle Insulae delle Regioni I e IX comprese fra via di Stabia e i vicoli di P. Proculus e del Centenario, mentre il 3 bis corrisponde alle Insulae V.2 e V.7; il settore 4 corrisponde a tutte le

Insulae delle Regioni VII e VIII che affacciano lungo le vie delle Terme, della Fortuna e di Stabia;

il settore 5 corrisponde alle Regioni II, da via dell’Efebo continuando verso est, V e IX, da via di L.

Frontone continuando verso est, e le rimanenti Regioni II, III e IV, mentre il 5 bis corrisponde alle Insulae 7 e 19 della Regione II, alle Insulae 8 e 11 della regione IX e all’Insula 3 della regione 5.

32 Fiorelli, 1858.

33 Zevi, 1992, 7-20. Laurence, 1994, 17. Guidobaldi, 2006, 11-15. Pesando, 2006, 18-20. Foss, 2009,

637. Geertman, 2009, 82-97. Ellis, 2011, 11-18. Van Tilburg, 2015, 57. Il primo archeologo a parlare di Altstadt è Haverfield nel 1913; con i successivi scavi di Spinazzola e Maiuri si cerca di ricostruire l’origine e la storia della struttura urbana. Seguendo Haverfield, von Gerkan, nel 1940, riconobbe un’Altstadt e una Neustadt. La strada suburbana attorno all’Altstadt, la città pre-Sannitica, fornì, nel tardo periodo sannitico, un punto di partenza per l’espansione dell’area urbana e la costruzione delle nuove mura e porte. Inoltre Haverfield cerca di dimostrare l’infondatezza della teoria di Fiorelli sulla divisione della città in nove Regiones e ammette nel caso dell’Altstadt una possibile limitatio; più avanti anche Nissen e Mau seguiranno le sue teorie. Gerkan considera la Neustadt come il prodotto di un singolo progetto: spiega la differenza di forma, dimensione e orientamento delle Insulae partendo dai rilievi del sito e dalla presenza di strade suburbane. Dalla pubblicazione delle sue tesi, nessuno ha mai contestato le sue idee in maniera radicale, solo alcuni studiosi, come H. Eschebach e J. W. Perkins, hanno proposto che il successivo ampliamento della città non fu un prodotto di un

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dal periodo compreso fra il 474 e il 424 a.C., quando sotto l’influenza greca viene costruita la cosiddetta regione VI. Con la dominazione sannitica nel IV sec. la città si espande a oriente, fino a raggiungere le dimensioni attuali e, di conseguenza, anche le mura vengono ampliate (figg. II.3 – II.4). Il cardo della città osco-greca corrispondeva a via Mercurio, che conduceva fuori dalle mura attraverso una porta non più esistente, obliterata dalla torre XI delle mura sannitiche (fig. II.5). La strada principale, che prima correva fuori dalle mura, diventava il cardo massimo, la cosiddetta via Stabiana, strada più centrale e ampia (figg. II.6 – II.7). Il decumano (corrispondente a via dell’Abbondanza) fu prolungato fino a porta di Sarno (fig. II.8); a nord di questa strada fu anche prolungata la linea via delle Terme – via della Fortuna con la nuova via di Nola, che diventava decumano minore, fino a porta di Nola (fig. II.9). All’esterno delle mura verosimilmente correva una strada anulare attorno alla città, come possiamo vedere dai tratti rimanenti all’esterno di porta Ercolano e di porta Nocera (figg. II.10 – II.11): probabilmente era il pomerium della città, al cui interno (fra strada e mura) non poteva essere costruito nulla, limite fra

la città e la campagna.34 La città sannitica, con l’ampliamento definitivo, ebbe sette

porte: a ovest porta Marina (fig. II.12), a nord ovest porta Ercolano (fig. II.13), andando verso est porta Vesuvio (fig. II.14), porta di Capua (fig. II.15), porta di

singolo progetto, ma ebbe diverse fasi. Nel 1956, F. Castagnoli si concentrò su questo aspetto e sostenne che l’espansione avvenne dopo la battaglia di Cuma (474 a.C.), quando la presenza dei Greci era dominante lungo la costa campana: l’ampliamento avvenne secondo lo schema Ippodameo. P. Sommella, nel 1989, criticò queste teorie sostenendo che l’impianto fosse greco, ma con influssi italici e in particolar modo romani, e l’ampliamento sia avvenuto fra il IV e il III sec. a.C., quando Roma stabilizzò il suo potere in sud Italia. Per quanto riguarda le mura, esse vengono trattate in modo indipendente: se da un lato Gerkan e Castagnoli sostengono che la prima fase appartenga al progetto della Neustadt, dall’altro Sommella accetta i risultati degli scavi di S. De Caro, che ha rivelato l’esistenza di un primo corso delle mura, in tufo di pappamonte, che circondava la città e gli orti interni nella prima metà del VI sec. a.C., quando non vi sono ancora tracce della

Neustadt; il motivo della sua costruzione è da ricercarsi, probabilmente, nelle tensioni fra la

popolazione indigena e i Greci e gli Etruschi. Riassumendo, tramite le conclusioni di De Caro, si può dire che vi furono due diversi fenomeni di espansione: un primo che consisteva nella costruzione di nuove mura per l’inclusione degli spazi agricoli e un secondo, più graduale, di nascita di nuovi quartieri. Le fasi di ampliamento dell’Altstadt sono varie e di incerta cronologia, l’unico dato certo è che la cerchia delle nuove mura risale alla tarda età sannitica, quando i Romani erano già da tempo nella zona; ma la collocazione delle nuove porte non è in asse all’antico nucleo cittadino, poiché questo, a differenza delle nuove aree, non fu costruito secondo un modello urbanistico Ippodameo, ma seguendo le linee del suolo. Infine, le ultime ricerche suggeriscono che i nuovi quartieri furono costruiti secondo un preciso schema e in tempi cronologicamente distinti: in una prima fase fu edificata buona parte della Regione VI, successivamente tutta l’area, delle Regioni VI e V, adiacente a via Vesuvio, per finire con l’area delle Ragioni VII e VIII attorno al nucleo originario e le Insulae, delle Regioni II e IX, affacciate su via di Stabia e l’asse vicolo del Citarista e vicolo di Tesmo e l’Insula V.2.

(21)

Nola (fig. II.16) e porta di Sarno (fig. II.17), infine a sud porta Nocera (fig. II.18) e porta di Stabia (fig. II.19). Tutte queste porte sono ad un fornice, tranne porta Marina a due e porta Ercolano a tre. Dopo l’ultima estensione, tutte le porte furono costruite più piccole perché, in questo modo, erano più facilmente difendibili; inoltre la città non aveva un flusso di traffico tale da dover dotare le sue porte di

ampi fornici.35

Le strade di Pompei sono tutte di diversa ampiezza, da circa 2 m a 12 m, con due valori predominanti, 4-6 m e circa 8 m, di solito più ampie degli 8 piedi romani

(circa 2,4 metri) richiesti dalla Legge delle XII Tavole.36 Nel II sec. a.C. inizia ad

essere posata la pavimentazione, utilizzando blocchi di lava poligonali; nel 79 d.C. alcune strade erano in riparazione e ricostruzione. La pavimentazione, oltre a facilitare il movimento delle persone e dei mezzi, drena l’acqua in modo migliore, che esce dalle porte senza erodere il sottosuolo, grazie anche ai canali di scolo laterali. La porzione sud-est della città, corrispondente alla Regione II (piazzale dell’Anfiteatro, via di Castricio e le strade perpendicolari che conducono verso via dell’Abbondanza) e a parte della I (i tratti marginali delle strade che si trovano a sud-est di via della palestra), non è pavimentata. I marciapiedi sono su due lati nelle strade principali, su uno solo lungo quelle più strette, ma spesso sono assenti; la lunghezza dei marciapiedi corrisponde alle facciate delle case e, del resto, i

proprietari erano i diretti responsabili della manutenzione (figg. II.20 – II.21).37 A

questo proposito C. Saliou nel 1999 ha suddiviso i marciapiedi (ovvero i cordoli, che si conservano meglio) a seconda dei loro materiali:

 omogenei: la cordonatura davanti una singola facciata è formata da uno stesso materiale;

 quasi omogenei: la cordonatura davanti una singola facciata è formata da diversi materiali segmentati e mescolati; spesso si può trovare un materiale dominante.

35 Zevi, 1992, 21-44. Guidobaldi, 2006, 15-20. Pesando, 2006, 29-34. Chiaramonte, 2009, 140-149.

Van Tilburg, 2015, 57-58.

36 Oliviero D., Materiali per la palingenesi delle XII Tavole, Cagliari, Biblioteca di studi e ricerche,

1992-1998. Oliviero D., Bibliografia ragionata delle edizioni a stampa della Legge delle XII Tavole

(secoli XVI-XX), Roma, Robin Ed., 2001. Humbert H., Le Dodici Tavole. Dai Decemviri agli Umanisti, Pavia, IUSS Press, 2005.

(22)

Successivamente, grazie ai diversi materiali che formano i cordoli ha potuto creare una tabella standard per individuare i limiti di proprietà lungo le facciate degli edifici: questi solitamente variano al variare della proprietà delle strutture, ma a volte possono essere residui di più vecchi limiti caduti in disuso o possono essere

semplicemente dei restauri, in altri materiali, posteriori alle delimitazioni.38

Tipo Descrizione Esempio A Corrispondente strettamente a dei limiti tra le unità

architettoniche o di proprietà(1)

1 Un segmento di marciapiede davanti ad ogni unità architettonica

I, I, W (fig.21)

2 a Raggruppamento di dipendenze della casa IX, I, W (fig.18) b Associazione di diverse case o edifici I, 3, E (fig. 4)

c a e/o b VI, 14, S

3 Differenziazione del marciapiede davanti ad un’unità architettonica

VI, 13, E

B Corrispondente parzialmente a dei limiti di proprietà

1 Non conformità attribuibile a degli imperativi tecnici (rifacimento)

VI, 16, W

2 Non conformità attribuibile all’autonomia di una parte dell’edificio

IX, 4, W (fig. 10)

3 Non conformità attribuibile ad una volontà di valorizzazione

VI, 8, E

4 Non conformità attribuibile alla presenza di limiti preesistenti in disuso

I, 15, N (fig. 26-27)

C Non corrispondente ad alcun limite

1 Rifacimento I, 8, E

2 Unica unità di proprietà II, 4, N 3 Nessun principio di spiegazione apparente VI, 4 , W

(1) Unità architettonica: insieme di parti dei fabbricati accessibili dalla strada dalla stessa entrata; unità di proprietà: insieme di unità architettoniche appartenenti ad uno stesso proprietario

38 Saliou 1999, 175-182 e 211, tav. 8.

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I marciapiedi erano sopraelevati circa 30 cm dal suolo, con un cordolo di pietra e un riempimento in terra battuta, al cui interno passavano le fistulae, ovvero i tubi dell’acqua (fig. II.22); un sistema di tombini conduceva ai pozzi neri. Sui cordoli possiamo trovare spesso dei fori nell’angolo superiore, forse utilizzati per legare

corde di tendoni o animali (fig. II.23).39 Rivela un’attenzione particolare da parte

dei proprietari, di solito i più ricchi, la pavimentazione superficiale marmorea, o a mosaico, della zona antistante l’ingresso, a volte anche con frasi di benvenuto, come

la scritta HAVE, davanti alla Casa del Fauno (VI.12.5, fig. II.24).40 Spesso non si è

conservata la superficie di calpestio, ma grazie ai moderni restauri è stata ricostituita con una colata di cemento dal colore rosato. Vi sono poi passaggi pedonali, creati con blocchi arrotondati di pietra vulcanica, perpendicolari alla direzione della strada

e ad altezza pari a quella dei marciapiedi (fig. II.25).41 Le pietre di passaggio

permettevano ai pedoni di non sporcarsi attraversando la strada sulla pavimentazione polverosa o fangosa, soprattutto nei giorni piovosi. Queste pietre di passaggio si trovano tuttora collocate all’altezza degl’incroci stradali o in corrispondenza di edifici pubblici come le Terme del Foro, o di abitazioni particolarmente prestigiose, come la Casa del Fauno (VI.12.5). Probabilmente le prime venivano poste dall’autorità cittadina a spese pubbliche, mentre per le seconde era presumibile che fossero costruite dai privati a proprie spese. Questi passaggi pedonali rappresentano un inusuale lusso urbano che non si ritrova in tutte le città romane; anche a Pompei in alcune zone, come nella regione II, sono assenti. Marciapiedi e pietre pedonali occupano una posizione liminale nel paesaggio urbano, a cavallo fra la sfera pubblica e quella privata, essendo a pieno titolo parte sia degli edifici (pubblici e privati) che della strada. Le panchine sono comuni sui marciapiedi, dimostrandosi un ulteriore segno di attenzione dei padroni degli edifici verso i passanti o visitatori; come avremo modo di esaminare più avanti in questo

39 Weiss, 2010, 364.

40 Zevi, 1992, 45-72. Eschebach, 1993, 201-203. Pesando, 1997, 81-130. Saliou, 1999, 171.

Guidobaldi, 2006, 39-53. La scritta di benvenuto sul pavimento dell’entrata, con tessere multicolore che riportano il saluto HAVE, serviva a esibire la cultura del proprietario, conoscitore della lingua latina: in quel periodo, infatti, a Pompei si parlava ancora la lingua osca (la casa del Fauno risale al primo periodo sannitico, attorno al 120 a.C.).

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lavoro, B. Gesemann e J. Hartnett sostengono che servissero ad offrire un posto

dove potersi fermare a riposare (fig. II.26).42I blocchi al traffico assumono diverse

forme (figg. II.27 – II.28 – II.29): possono essere cordoli che bloccano l’entrata, pietre in verticale al centro della carreggiata, parti di edifici, oppure fontane o archi sempre in mezzo alla strada; in molti casi sono stati aggiunti dopo la deduzione

della colonia sillana, nell’80 a.C.43 Ne è dimostrazione il fatto che le Terme Centrali

(IX.4.5-18), al momento dell’eruzione, erano ancora in costruzione: il retro della struttura andava ad occupare parte del vicolo di Tesmo, per questo motivo interdetto

al traffico.44 Un altro esempio è la rampa di 30 cm fra vicolo Storto e via della

Fortuna, che sale solo verso una direzione, in modo da imporre alla circolazione un senso unico. Un elemento importante, nel tentativo di ricostruire l’immagine delle strade di Pompei, è l’illuminazione serale e notturna: anche in tarda ora le botteghe, gli ingressi delle maggiori domus e le strutture pubbliche (come templi e terme) dovevano essere illuminati da una moltitudine di lucerne di diverse forme e

dimensioni e di vari materiali; altra luce filtrava dalle finestre delle abitazioni.45 In

città erano eretti cinque archi; l’arco degli Holconii è l’unico di cui si ricordi ancora la dedica (figg. II.30 – II.31 – II.32). Tre all’interno del foro (quello cosiddetto di Caligola all’intersezione con via di Mercurio, un altro a nord del foro e il terzo, quello cosiddetto degli Holconii, all’incrocio fra via di Stabia e dell’Abbondanza), altri due lungo strade dirette al foro. La vista di uno di questi archi faceva

immediatamente capire di essere vicini al foro.46 I santuari ai Lares Compitales, in

muratura o mattoni, si trovano spesso agli angoli degli edifici e per la maggior parte sono decorati da un semplice affresco (figg. II.33 – II.34 – II.35). Infine, all’interno della città vi sono alcune piazze, chiuse al traffico: la più importante è il foro (fig.

II.36),47 mentre nel quartiere dei teatri troviamo il Foro Triangolare, con all’interno

42 Hartnett, 2008, 115-116.

43 Kaiser, 2015, 72.

44 De Vos, 1982, 206-209. Richardson, 1989, 286-289. Eschebach, 1993, 419-421. Pesando, 2006,

85-87. Koloski-Ostrow, 2009, 224-254.

45 Pano, 1919.

46 Richardson, 1989, 206-209 e 215-216. Small, 2009, 184-211. Kaiser, 2015, 73 e 88-89. 47 Dobbins, 2009, 150-183. Ling, 2009, 119-128. Richardson, 1989, 88-89. Pesando, 2006, 40-45.

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l’ormai distrutto Tempio Dorico (VIII.7.31), vero e proprio parco cittadino, che

costituiva all’epoca l’unica area tranquilla all’interno dell’abitato(fig. II.37).48

Classificazione delle strade

La profondità topografica rispetto alle porte urbiche

Da quasi tutte le strade di Pompei si raggiunge facilmente un accesso cittadino: dalla maggior parte di esse è necessaria una sola deviazione per arrivare a una porta. Grazie alla sua rete viaria, la città è molto semplice da percorrere, soprattutto nelle zone a nord e ad est. A sud-ovest, nella parte più antica, l’itinerario che conduce alle porte urbiche aumenta di una strada. L’unico tratto stradale che richiede tre deviazioni, il più remoto in assoluto dalle porte, è rappresentato dalla scalinata che dal Foro Triangolare porta al quartiere dei teatri. Le strade più esterne hanno maggior numero di intersezioni con altre strade e sono più importanti per la circolazione; le strade collocate più in profondità nel tessuto urbano sono meno

connesse e maggiormente isolate (fig. II.38). 49 È importante misurare anche il

numero di ingressi lungo una strada, come ha fatto R. Laurence.50 Una minor

distanza fra gli ingressi comporta un numero maggiore degli stessi e, al contempo, le strade con più ingressi sono le più prossime alle porte e le più frequentate. Lungo queste strade più frequentate si affacciano strutture di quattro categorie: commerciali, produttive, residenziali, e inoltre servizi per l’igiene (figg. II.39 –

II.40).51 Evidentemente, si tratta della posizione scelta da chi desidera maggiore

visibilità o dagli esercizi commerciali con più clienti. Sulle altre strade si affacciano le stesse categorie di edifici, ma in minor quantità e con minore densità. I laboratori artigiani si trovano, in genere, nei luoghi a più alta visibilità. Un discorso a parte meritano due categorie, che ritroviamo in zone ben precise: le osterie (fig. II.41) e i lupanari (fig. II.42). Le osterie e taverne sono dislocate soprattutto lungo le strade che portano più velocemente alle porte e vicino ad esse, facilmente individuabili

48 Richardson, 1989, 67-73. Eschebach, 1993, 394-396. De Waele, 2001, 315-331. Pesando, 2006,

40-60. De Caro, 2009, 73-81. Ling, 2009, 119-128. Kaiser, 2015, 73.

49 Kaiser, 2015, 77. 50 Laurence, 1994 e 2011.

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dai viaggiatori che entravano in città. I lupanari, invece, sono lontani, defilati, lungo strade secondarie, più difficili da trovare per gli stranieri, ma ben noti agli abitanti,

una destinazione sconveniente da frequentare con discrezione.52 Le case dell’élite

sono lungo le arterie principali; la loro visibilità doveva essere incrementata dall’abitudine di lasciare le porte delle case aperte, controllate però da un guardiano, per mostrarne l’interno. Ai lati degli accessi spesso troviamo delle panchine, utilizzate, con ogni evidenza, soprattutto per la sosta dei clientes, durante la loro visita mattutina, per il rituale della salutatio. Le panchine, il cui numero cresce con l’aumentare dell’importanza della strada, erano usate per far attendere i clienti dei negozi, per dar sollievo ai passanti, per permettere la quotidiana socialità di una città affollata. I servizi per l’igiene, a loro volta, sono strutture molto facili da trovare: le fontane sono distribuite regolarmente in tutta la città, mentre le terme sorgono lungo le grandi arterie, per lo più intorno al foro, visibili a tutti. I due

teatri,53 con il quadriportico (cd. Ludus gladiatorius)54 e l’anfiteatro,55 sono in

luoghi simili, vicino alle porte, marginali rispetto al centro cittadino, ma facilmente raggiungibili per i visitatori che, dal contado o da altre località, fossero giunti a

Pompei per assistere agli spettacoli.56 Anche la topografia dei luoghi, la pendenza

del terreno in corrispondenza dei teatri e il terrapieno contro il muro dell’anfiteatro, deve aver incoraggiato la costruzione delle imponenti strutture in quei punti della

città.57

La distanza dal foro

Le strade meglio collegate con il foro sono anche quelle meglio raggiungibili dalle porte urbiche, dove le persone s’incanalavano; molti incroci integravano la rete

viaria e di comunicazione (fig. II.43).58 Le strade più remote, invece, avevano un

diverso assetto, con un solo punto di accesso che le rendeva assai isolate, un principio che Lynch chiama “directionality”. Le strutture commerciali e produttive,

52 Si parla genericamente di lupanari, ma all’interno dell’abitato se ne può riconoscere solamente

uno con certezza, lungo vicolo del Lupanare, il VII.12.18-19.

53 Eschebach, 1993, 391. Pesando, 2006, 62-66. 54 Eschebach, 1993, 390.

55 Eschebach, 1993, 94-95. Pesando, 2006, 72-74.

56 Parslow, 2009, 212-223. Richardson, 1989, 131-138 e 216-218.

57 Eschebach, 1993, 94-95. Laurence, 1994, 77-79. Hartnett, 2008, 105-106. Kaiser, 2015, 79-83. 58 Kaiser, 2015, 84.

(27)

nonché i servizi, si collocano per la maggior parte sulle strade di maggior traffico, come si è sopra accennato, con qualche eccezione. In particolare, le strutture amministrative si trovano nel foro, come ci si può aspettare da un confronto con

altre città romane e con la stessa Roma.59 Rispetto al foro, i lupanari risultano

collocati in una zona centrale della città, seppure, come si è detto, lungo strade a bassa visibilità. Le residenze della popolazione dei livelli sociali più umili spesso sono collocate lungo le strade poste nella prossimità del foro, nel quadrante sud-ovest della città, lontano dalle vie più frequentate dai visitatori, che vanno alle porte,

come via di Nola, via dell’Abbondanza e via Stabiana.È probabile che coloro che

appartenevano ad un ceto medio - basso volessero distinguersi rispetto ai loro concittadini di simile condizione, scegliendo di vivere in strade centrali che erano luoghi di incontro e di scambio dei ceti più popolari e che consentivano maggiore visibilità. Di contro i più ricchi ostentavano il loro status, ormai consolidato all’interno della comunità, anche con i forestieri nelle vie di maggior traffico verso l’esterno delle mura. A riprova dell’estrema complessità di un organismo urbano reale, che spesso sfugge all’imposizione di nette categorie, nell’ubicazione delle residenze si osserva, a Pompei, una diversa ed opposta tendenza: infatti un numero di residenze popolari superiore a quello che ci si potrebbe aspettare si pone a tre vie di distanza dal foro. Kaiser ipotizza per questa dinamica alcune spiegazioni: anzitutto, queste strade erano meno trafficate e senza dubbio offrivano immobili a più basso prezzo; un altro motivo sarebbe stato quello di evitare il convulso traffico

cittadino.60

Le attività religiose sono in stretta relazione con il foro. La prossimità e l’accesso al foro rivestono anche un forte valore simbolico: maggiore è l’importanza del luogo di culto, maggiore è la sua vicinanza al cuore della vita pubblica. La metà dei

templi ha accessi direttamente sul foro: il Santuario di Apollo (VII.7.32)61 ha la

prima entrata su via Marina, mentre la seconda è sul foro (fig. II.44);62 l’altare di

59 Eschebach, 1993, 351-352. P.P.M. VIII, 1998, 1-23. La collocazione di tali edifici e della Basilica

a sud del foro è però solo ipotizzata, poiché non si ha alcun indizio sul loro uso.

60 Lynch, 1960, 85. Richardson, 1989, 95-99. Laurence, 1994, 59-60, 62-63, 65-66 e 77. Kaiser,

2015, 84-88.

61 Eschebach, 1993, 305. P.P.M. VII, 1997, 286-304. Pesando, 2006, 37-40. 62 Richardson, 1989, 89-95.

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Giove (VII.8.1, fig. II.45),63 il Tempio della Fortuna Augusta (VII.4.1, fig. II.46)64 e l’edificio associato sorgono lungo strade che immettono nel foro. Quattro importanti luoghi di culto sono ubicati lungo strade molto frequentate: il Santuario

di Venere Fisica Pompeiana in via Marina (VIII.1.3, fig. II.47);65 due santuari e il

Tempio di Zeus Melichios (VIII.7.25) in via di Stabia.66 Tuttavia, alcuni luoghi di

culto non hanno relazione diretta con il foro: il Tempio Dorico (VIII.7.31) è nel Foro Triangolare ed è antecedente allo stesso, tanto che al tempo dell’eruzione era

già in rovina (fig. II.48);67 il Santuario di Iside (VIII.7.28) si trova nel quartiere dei

teatri ed è delimitato da un alto recinto, che lo rende appartato, forse per la natura

misterica dei culti che vi si svolgevano (fig. II.49).68 Infine il Giardino di via Nocera

(II.1.12), sede di maghi ed indovini, è il luogo di culto più lontano dal foro, essendo

caratterizzato da una dimensione strettamente privata.69 D’altro lato, esso è situato

in una posizione estremamente favorevole dal punto di vista commerciale, vicino

ad una porta e all’anfiteatro.70 Le strutture di svago sono situate più vicino alle porte

per ragioni specifiche, come ad esempio facilitare l’accesso ed evitare le risse, pensiamo ai celebri disordini causati dallo scontro contro i Nocerini del 57 d.C. (fig.

II.50).71 Del resto, era probabile che in queste zone si radunassero faccendieri e, in

generale, individui turbolenti o poco raccomandabili. In generale, la disposizione delle strutture di svago, frequentate da una massa di persone indigene ed estranee

63 Richardson, 1989, 138-145. Eschebach, 1993, 306-307. P.P.M. VII, 1997, 305-311. Pesando,

2006, 45-46.

64 Richardson, 1989, 202-206. Eschebach, 1993, 137. Pesando, 2006,54-55. 65 Richardson, 1989, 277-281. Eschebach, 1993, 352-353. Pesando, 2006, 34-37.

66 Eschebach, 1993, 392-393. Small, 2009, 184-211. Richardson, 1989, 80-82. Pesando, 2006,

66-68.

67 Richardson, 1989, 67-73. Eschebach, 1993, 394-396. De Waele, 2001, 315-331. Pesando, 2006,

40-60. De Caro, 2009, 73-81. Ling, 2009, 119-128. Kaiser, 2015, 73.

68 Eschebach, 1993, 393-394. Kaiser, 2015, 89. Small, 2009, 184-211. Richardson, 1989, 281-286.

P.P.M. IX, 1999, 732-849. Pesando, 2006, 68-72.

69 Eschebach, 1993, 87-88. Pesando, 2006, 137-138. 70 Small, 2009, 184-211. Kaiser, 2015, 89.

71 Di questa zuffa si conserva il ricordo, testimoniato dal celebre affresco scoperto nella Casa della

Rissa nell'Anfiteatro (I.3.23, MAN, id. 112222). P.P.M. I, 1990, 77-81. Eschebach, 1993, 24. Bragantini, 2015, 512. Mentre dalla Casa dei Dioscuri (VI.9.6) proviene un graffito che fa riferimento all'accaduto: «Campani Victoria una/cum nucerinis peristis». P.P.M. IV, 1993, 860-1004. Zevi, 1992, 45-72. Eschebach, 1993, 201-203. Pesando, 1997, 81-130. Saliou, 1999, 171. Guidobaldi, 2006, 39-53. 190-191. Guidobaldi, 2006, 56-67. CIL IV 1293 = ILS 6443 a. Di seguito la traduzione: «O Campani, siete morti insieme ai Nocerini in quella vittoria». Hunink, Glücklich ist

(29)

alla città, doveva rispondere ai criteri fondamentali dell’accessibilità e del controllo pubblico.

Traffico cittadino

Le strade principali erano per la maggior parte a due sensi, quelle minori a uno; il criterio seguito per determinare il senso di marcia seguiva un principio di funzionalità prestabilito, ma non rigido, per quanto finora si è potuto constatare. Per il doppio senso di marcia era fondamentale un’ampiezza della carreggiata che consentisse il passaggio di due mezzi. Occasionalmente, a causa di impedimenti, come la presenza di fontane pubbliche, le strade potevano restringersi e poi tornar larghe: in questo caso vigeva una sorta di senso unico alternato. Talora, la strada non aveva sbocco: non per questo si rinunciava al traffico commerciale necessario alla vita economica quotidiana, ma le manovre dei carri e degli animali dovevano risultare piuttosto complesse, in mancanza di spazi per una vera inversione di

marcia.72 Condurre un carro all’interno della città era, in generale, un processo

complicato, perché bisognava tener conto del flusso variabile di traffico nell’abitato.

La mappa stradale poteva subire modifiche permanenti o temporanee, come la chiusura di un singolo vicolo poco importante per il traffico cittadino, o il blocco di una grande arteria, operazione che modificava l’intero flusso sulla rete stradale (fig. II.53). Ad esempio, il vicolo del Fauno, a nord del foro, era stato chiuso al traffico, risultando inaccessibile da entrambe le estremità (fig. II.54); il vicolo era infatti interessato da un programma di ripavimentazione in atto al momento dell’eruzione, finalizzato ad eliminare le tracce di usura sul manto stradale. È impossibile sapere se successivamente la strada sarebbe stata riaperta al traffico. Una situazione simile è testimoniata dal vicolo del Labirinto, che era stato tagliato fuori dal traffico

attraverso un blocco in mezzo alla carreggiata.73 Dopo il terremoto del 62 d.C.,

furono apportati ampliamenti che determinarono una differente viabilità: le nuove Terme Centrali (IX.4.5-18) bloccavano, con la loro espansione, parte del vicolo di

72 Poehler, 2006,53-56.

(30)

Tesmo (fig. II.29).74 Il Santuario di Apollo (VII.7.32)75 e i Praedia di Iulia Felix

(II.4.1-12),76 a loro volta ampliati, rendevano inaccessibili strade circostanti. Il

santuario, contrassegnato dall’entrata VII.7.32, in un primo momento risultava diviso da un vicolo dalla successiva sezione di Insula, che inizia con la bottega 7.1

(fig. II.55).77 In particolare, Hartnett ha studiato l’impatto, a quanto pare

sconvolgente per un intero quartiere, che il programma di ampliamento del Santuario di Apollo (VII.7.32) ha avuto sul traffico della porzione sud ovest della

città.78

Chi poteva modificare a tal punto la rete stradale urbana? Evidentemente, solo il governo cittadino era in grado di stabilire, secondo un piano urbanistico complessivo, quali di questi lavori, che possiamo considerare “pubblici”, sebbene talora fossero realizzati da privati, dovessero o potessero essere eseguiti. Così, il senato cittadino aveva bloccato via dell’Abbondanza dopo l’incrocio con via di Stabia, per impedire il passaggio ai carri nella parte finale che conduceva al foro

(fig. II.27).79 Ogni intervento privato, invece, poteva essere posto in atto solo dopo

una regolare richiesta, e la sua attuazione era garantita solo se non modificava l’immagine e la viabilità di una strada, o quella urbana complessiva, anche se si trattava semplicemente di una singola pietra sulla carreggiata, utilizzata per sostenere una struttura esterna; a maggior ragione se si trattava dell’ampliamento

di un edificio che invadeva la strada.80 Alcuni accorgimenti contribuivano a

controllare il traffico, che spesso congestionava la città. Laurence sostiene che i marciapiedi separassero il traffico veicolare da quello pedonale, e che i pedoni camminassero esclusivamente sui marciapiedi. Ciononostante, è probabile che i

74 De Vos, 1982, 206-209. Richardson, 1989, 286-289. Eschebach, 1993, 419-421. Pesando, 2006,

85-87. Koloski-Ostrow, 2009, 224-254.

75 Eschebach, 1993, 305. P.P.M. VII, 1997, 286-304. Pesando, 2006, 37-40.

76 Eschebach, 1993, 92-94. Guidobaldi, 2006, 153-164. Pesando, 2006, 141-145. Olivito, 2013,

13-36.

77 Kaiser, 2015, 95.

78 Eschebach, 1993, 305. Pesando, 2006, 37-40. Hartnett in Laurence, 2011, 137-143. Pesando,

2006, 37-40. Con l’ampliamento del Santuario e la conseguente chiusura sia del vicolo che da via Marina conduceva al vicolo del Gallo, sia della stessa via Marina, il traffico che entrava dalla porta omonima, dopo la salita, deviava verso nord in vicolo del Gigante: il risultato era un percorso più tortuoso e stretto. L’ampliamento dei Praedia di I. Felix rendevano inaccessibile il vicolo omonimo al traffico veicolare, che era dirottato verso il vicolo dell’Anfiteatro, collocato più ad est.

79 Kaiser, 2015, 95. 80 Kaiser, 2015, 95.

(31)

pedoni dovessero spesso scendere in strada poiché i negozianti invadevano i

marciapiedi con i loro prodotti in mostra.81

Per quanto riguarda il lato di guida, S. Tsujimura ed E. Poehler hanno dimostrato la preferenza dei romani per la guida su di un solo lato, probabilmente il destro, anche se in alcune strade delle città romane è stato notato un cambio del lato di

marcia.82 Il volume del traffico in realtà era scarso, poiché una minima parte dei

cittadini poteva permettersi un carro e vi erano pochi luoghi all’interno della città dove poter parcheggiare, spesso vicino alle porte cittadine e all’interno dell’abitato, nella maggior parte dei casi, come parte integrante di costruzioni adibite a stalla,

come la struttura IX.I.28 lungo vicolo di Tesmo, sul retro dell’Insula I.83 Gli autori

latini fanno riferimento ai cursores o corridori, che precedevano i carri con una frusta per facilitare l’avanzare del mezzo, per controllare il traffico, ed eventualmente bloccarlo. Le strade più trafficate sembrano essere state l’asse via Vesuvio – via di Stabia, sulla direttrice nord-sud, che poteva sostenere facilmente la maggior parte del traffico; via dell’Abbondanza e l’asse via di Nola – via della Fortuna – via delle Terme, sulla direttrice da est a ovest; infine, nella regione VI, via Consolare e vicolo di Mercurio. Relativamente pochi edifici, soprattutto residenziali, si aprono lungo queste strade; sembra che i Pompeiani preferissero vivere lungo le strade un po’ meno trafficate. Il traffico delle strade era correlato alla loro ampiezza, come nei casi citati: qui, un carro poteva facilmente sostare per scaricare senza bloccare del tutto la strada, mantenendo una certa possibilità di manovra. Il trasporto per mezzo di asini o facchini doveva essere preferito, perché più agevole. Il foro era area interdetta al traffico e i carri provenienti da porta Marina, quindi dal porto, erano costretti a un percorso alternativo, più lungo e tortuoso, dovendo passare attraverso il vicolo del Gigante e immettersi nel vicolo del Soprastante (fig. II.56). La piazza offriva un luogo tranquillo dove parlare, discutere e incontrarsi, mentre gli edifici amministrativi, lì ubicati, beneficiavano

della gravitas dello spazio senza traffico (fig. II.36).84 Quattro dei nove templi si

affacciano direttamente sul foro, ma non sono gli unici ubicati su strade chiuse al

81 Laurence, 2011, 134-159. 82 Poehler, 2006, 53-74.

83 Della Corte, 1965, 176. Eschebach, 1993, 404. 84 Kaiser, 2015, 96.

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