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L‘art 113 del Testo Unico delle leggi sull‘ordinamento degli ent

1.2 Alle origini della gestione dei servizi pubblici locali

1.2.5 L‘art 113 del Testo Unico delle leggi sull‘ordinamento degli ent

La mutevolezza del sistema e la complessa stratificazione normativa della materia, hanno trovato un primo approdo nel testo unico degli enti locali, D.Lgs n. 267/200058, che ha sistematizzato il complesso di norme relative alle amministrazioni locali, tra cui quelle relative alla gestione dei servizi pubblici locali. Il TUEL ha ribadito la competenza degli enti territoriali in merito alla gestione dei servizi pubblici locali ed ha trasfuso nell‟art. 113 le forme di gestione già previste dall‟art. 22 della legge n. 142/1990.

L‟art. 113 del TUEL è stato oggetto di diversi interventi successivi, che ne hanno ridisegnato il volto, fino al completo mutamento.

Tra questi, si ricorda, innanzitutto, l‟art. 35, l.n. 448/2001, che ha introdotto l‟obbligo generale di impiego della procedura ad evidenza pubblica, escludendo ogni gestione diretta, in economia oppure tramite aziende speciali.

Lo scopo precipuo del legislatore era quello di uniformare la gestione dei servizi pubblici locali secondo il modello delle società di capitali, tra l‟altro, imponendo la trasformazione delle aziende speciali esistenti in società di capitali entro un determinato termine59.

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Cfr. D.Lgs 18 agosto 2000, n. 267.

59 Si fa riferimento al comma 8 dell‟art. 35, l. n. 448/2001. Tra i tanti commenti sui contenuti dell‟art. 35 si vedano, in particolare, L. R. Perfetti, I servizi pubblici locali. La riforma del settore operata dall‘art. 35 della L. N. 448 del 2001 ed i possibili profili evolutivi, in Dir. Amm., 2002, 4, 575; G. Caia, Le società con partecipazione

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La norma ha costituito un momento rilevante del processo di esternalizzazione dei servizi pubblici locali che il legislatore italiano ha tentato di portare a compimento e ne ha colto alcuni elementi fondamentali come, per esempio, la separazione tra gestione del servizio e gestione dei beni necessari allo svolgimento di esso.

Si è stabilito che la proprietà delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali, laddove pubblica, restasse in capo agli enti, salvo la cessione a società a partecipazione pubblica di maggioranz a, in cui vigeva il divieto di cessione delle azioni. La previsione si basava sulla considerazione che i beni pubblici siano oggetti a valore patrimoniale, in grado di essere valorizzati economicamente da parte di soggetti privati in grado di farlo. Ciò ha suscitato ampi dibattiti sull‟opportunità o meno dell‟operazione e, soprattutto, sul mantenimento della natura pubblica dei beni nonostante la proprietà privata degli stessi60, ma è stata accolta favorevolmente da chi l‟ha ritenuto un adeguamento del sistema italiano ad una pratica già diffusa in Europa, in grado di favorire l‟acceso al mercato di soggetti altrimenti impossibilitati a farlo per carenza di mezzi necessari allo svolgimento61. Il passaggio dominicale dei beni a società a partecipazione maggioritaria rendeva difficoltosa l‟attribuzione a tali società della gestione delle gare per l‟affidamento del servizio. In esse, la partecipazione di soci privati non poteva coesistere con lo svolgimento della funzione di stazione appaltante e, oltretutto, non era vietato ai privati, soci della società proprietaria delle infrastrutture, di essere contestualmente soci anche delle società che partecipavano alla gara per l‟affidamento del servizio62

; a ciò si aggiungeva il fatto delle cessioni prive di meccanismi d i recupero dei beni al momento della cessazione del servizio da parte queste delle società divenute proprietarie dei beni medesimi.

maggioritaria di Comuni e Province per la gestione dei servizi pubblici locali (dopo la legge finanziaria 2002), in www.giustizia-amministrativa.it.

60 Sul tema si veda l‟articolo di A.M. Altieri, Il servizio idrico integrato e il regime giuridico delle reti, in Gior. Dir. Amm., 2012, 8-9, 835 e riferimenti da esso riportati, che evidenziano le problematiche della materia.

61 In tal senso si espresse l‟AGCM, 8 novembre 2001, Parere AS222, in www.agcm.it. 62

Si veda in merito a questo tema M. Dugato, I servizi pubblici locali, in Trattato di diritto amministrativo, a cura di S. Cassese, Parte speciale, vol. II, Milano, 2003 , 2595; ID, La disciplina dei servizi pubblici locali , in Giorn. Dir. amm., 2, 2004, 121.

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Il successivo D.L. n. 269 del 2003, ha riformato ulteriormente l‟art. 113 TUEL, stabilendo la possibilità di conferire la pr oprietà delle reti a società a capitale interamente pubblico, anche in questo caso con la previsione di incedibilità delle azioni. E‟ stato, però, aggiunto il vincolo che l‟ente locale esercitasse sulla società un controllo analogo a quello esistente nei c onfronti dei propri servizi e che la società realizzasse la parte più importante della propria attività con l‟ente pubblico (o enti pubblici) controllante. Si trattava, dunque, di società in house providing63, al di fuori delle quali vigeva il divieto assoluto di trasferimento. Veniva sancito, in altre parole, il principio generale della separazione tra la proprietà della rete, gestione della stessa ed erogazione del servizio, salvaguardando l‟accesso alla rete ai soggetti scelti per erogare il servizio.

Il regime giuridico dei beni patrimoniali, strumentali all‟esercizio dei servizi pubblici locali, non ha trovato disciplina, se non marginale, negli interventi di riforma susseguitisi, principalmente focalizzati sulle modalità di gestione dei servizi64, sebbene si debba registrare un‟importante sentenza della Corte Costituzionale che, medio tempore, ha dichiarato l‟abrogazione tacita del comma 13 dell‟ art. 113 TUEL, che stabilisce la separazione tra reti e servizio, poiché contrastante con le successive dispo sizioni normative, che non hanno proceduto all‟abrogazione esplicita65

; il tema rimane, comunque, di assoluta rilevanza in un contesto che si evolve verso l‟aggregazione dei servizi per ambiti territoriali66.

Un ulteriore aspetto su cui si è soffermato l‟art. 35 della legge n. 448/2001 riguarda la distinzione tra servizi pubblici di rilevanza industriale e servizi privi di rilevanza industriale, disciplinati questi ultimi dall‟art. 113bis

63 Il modello in house providing e la sua applicazione alle società di capitali verranno trattate più diffusamente nel prosieguo del presente lavoro.

64 Sul tema si veda S. Ferla, Le società patrimoniali delle reti dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 320/2011, in Appalti e Contratti, 2012, fasc. 3, 58.

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Abrogazione esplicita che, tra l‟altro, viene richiesta dal TUEL stesso per la legittima abrogazione delle proprie disposizioni. La norma con cui il comma 13, art. 113 TUEL contrastava era l‟art. 23 bis, D.L. n. 112/2008 e, secondo la Corte Costituzionale, l‟abrogazione permarrebbe anche dopo l‟abrogazione referendaria dell‟art. 23 bis, ma non fornisce motivazioni in merito a questo punto.

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L‟art. 3bis, co. 1, D.L. n. 138/2011, conv. in L. N. 148/2011 impone agli enti locali attribuire le funzioni relative ai servizi pubblici locali a rete ad enti di governo territoriale. La fattispecie verrà presa in conside razione nel prosieguo del presente studio.

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TUEL. Il limite della norma, tuttavia, è stato quello di non fornire un a definizione di rilevanza industriale. Gli interpreti, a riguardo, hanno fatto ricorso al grado di complessità del processo produttivo, le cui caratteristiche oggettive lo collocavano all‟interno del mercato concorrenziale67

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Con la richiamata riforma apportata dal d.l. n. 269/2003, l‟espressione rilevanza industriale è stata sostituita con quella di rilevanza economica, definizione che comprende tutte le attività suscettibili di produrre ricavi a copertura di costi di produzione e, quindi, che siano in gr ado, potenzialmente, di autofinanziarsi.

I servizi privi di rilevanza economica sono identificati, invece, in quelli in cui i costi permangono in capo all‟amministrazione pubblica e, quindi, in capo alla fiscalità generale.