• Non ci sono risultati.

Articolo 1, comma 10

Nel documento Riforma del processo civile (pagine 58-61)

(Revocazione a seguito di sentenza emessa dalla Corte europea dei diritti dell'uomo)

Il comma 10 dell’articolo 1 delega il Governo a disciplinare la possibilità di esperire il rimedio della revocazione quando il contenuto di una sentenza passata in giudicato sia successivamente dichiarato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo contrario, in tutto o in parte, alla Convenzione ovvero a uno dei suoi Protocolli.

Si ricorda che nel sistema delineato dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, le sentenze della Corte europea sono vincolanti per gli Stati e tuttavia non spetta alla Corte europea indicare le misure per dare loro esecuzione. Corollario della natura dichiarativa delle sentenze della Corte europea è il margine di apprezzamento rimesso agli Stati nella scelta dei mezzi e dei modi per dare esecuzione alla decisione CEDU; fatta salva tale discrezionalità, sugli Stati grava l’obbligo, anzitutto, di porre fine alla violazione e, ove possibile, di porre il ricorrente nella situazione in cui si sarebbe trovato se la violazione non si fosse verificata (restitutio in integrum). Laddove la violazione abbia inciso sul diritto al giusto processo si pone la questione di stabilire se lo Stato debba revocare la sentenza definitiva che abbia concluso il processo dichiarato iniquo.

Sulla base di queste premesse, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 123 del 2017 ha dichiarato che nelle materie diverse da quella penale, dalla giurisprudenza CEDU non emerge, allo stato, l'esistenza di un obbligo generale di adottare la misura ripristinatoria della riapertura del processo su richiesta dei soggetti che hanno adito vittoriosamente la Corte EDU, allorquando ciò sia necessario per conformarsi alla sentenza definitiva di quest'ultima. Infatti, per i processi diversi da quelli penali e, in particolare, per quelli amministrativi, la Corte di Strasburgo si è limitata a incoraggiare l'introduzione della predetta misura, rimettendo, tuttavia, la relativa decisione agli Stati contraenti, e ciò in considerazione dell'esigenza - che differenzia i processi civili e amministrativi da quelli penali (oltre al fatto che nei primi non è gioco la libertà personale) - di tutelare i soggetti, diversi dal ricorrente a Strasburgo e dallo Stato, che, pur avendo preso parte al giudizio interno, non sono parti necessarie del giudizio convenzionale, e di rispettare nei loro confronti la certezza del diritto garantita dalla res iudicata. La delicata ponderazione, alla luce dell'art. 24 Cost., fra il diritto di azione degli interessati e il diritto di difesa dei terzi - necessaria nel nostro ordinamento per consentire la riapertura del processo non penale, con il conseguente travolgimento del giudicato interno - spetta in via prioritaria al legislatore, la cui opera sarebbe certamente resa più agevole da una sistematica apertura del processo convenzionale ai terzi, per mutamento delle fonti convenzionali o in forza di una loro interpretazione adeguatrice da parte della stessa Corte EDU.

Analogamente la Corte si è pronunciata con la sentenza n. 93 del 2018, rinnovando l’auspicio sia a un sistematico coinvolgimento dei terzi nel processo convenzionale,

ARTICOLO 1, COMMA 10

sia a un intervento del legislatore che permetta di conciliare il diritto di azione delle parti vittoriose a Strasburgo con quello di difesa dei terzi6.

In particolare, in base alla lettera a), il legislatore delegato dovrà prevedere che, a seguito di sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo che dichiari una sentenza (sulla quale si sia formato il giudicato) contraria alla Convenzione europea dei diritti oppure ad uno dei suoi Protocolli, sia ammessa l'impugnazione per revocazione ai sensi dell’art. 395 c.p.c. La disposizione specifica che si deve comunque evitare la duplicazione di ristori e che il rimedio dovrà essere esperibile ove non sia possibile rimuovere la violazione tramite tutela risarcitoria, per equivalente.

Si ricorda che l'art. 395 c.p.c. stabilisce che le sentenze pronunciate in grado d'appello o in unico grado possono essere impugnate per revocazione, nei casi ivi previsti7. L'art. 396 c.p.c. disciplina i casi in cui la sentenza è impugnabile per revocazione anche quando sia scaduto il termine per l'appello. La revocazione è proponibile dal pubblico ministero quando la sentenza è stata pronunciata senza che il medesimo pubblico ministero sia stato sentito oppure quando la sentenza sia l'effetto della collusione posta in opera dalle parti per frodare la legge (art. 397 c.p.c.).

La revocazione si propone, davanti allo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata, mediante citazione, da depositare entro venti giorni dalla notificazione, sottoscritta da un difensore munito di procura speciale, corredata dalla copia autentica della sentenza impugnata. La proposizione della revocazione non sospende il termine per proporre il ricorso per cassazione o il relativo procedimento. Il giudice davanti a cui è proposta la revocazione, su istanza di parte, può sospendere l'uno o l'altro fino alla comunicazione della sentenza che abbia pronunciato sulla revocazione, qualora ritenga non manifestamente infondata la revocazione proposta (articoli 398 e 399). Davanti al giudice adito si osservano le norme stabilite per il procedimento davanti al medesimo giudice, salvo le deroghe espressamente previste (art. 400). L'articolo 401 stabilisce che il giudice della revocazione può pronunciare, su istanza di parte inserita nell'atto di citazione, l'ordinanza di sospensione dell'esecuzione, ai sensi dell'articolo 373 c.p.c.

Riguardo alla decisione, il giudice con la sentenza di revocazione decide il merito della causa e dispone l'eventuale restituzione di ciò che sia stato conseguito con la sentenza revocata. Il giudice rimette con ordinanza le parti davanti all'istruttore, ove ritenga di dover disporre nuovi mezzi istruttori.

Riguardo all'impugnazione, l'art. 403 prevede che contro la sentenza pronunciata nel giudizio di revocazione sono ammessi i mezzi di impugnazione ai quali era

6 Per una analisi di diritto comparato su “Gli effetti delle sentenze di condanna della corte europea sulle sentenze dei giudici nazionali passate in giudicato”, si veda il dossier di documentazione della Corte costituzionale del settembre 2017 curato da P. Passaglia.

7 In sintesi: dolo di una delle parti in danno dell'altra; riconoscimento o comunque dichiarazione di falsità delle prove, ovvero produzione di documenti decisivi, dopo la sentenza; errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa; sentenza contraria ad altra precedente avente fra le parti autorità di cosa giudicata, purché non abbia pronunciato sulla relativa eccezione; la sentenza effetto del dolo del giudice, accertato con sentenza passata in giudicato.

originariamente soggetta la sentenza impugnata per revocazione, ad eccezione dell'impugnazione per revocazione.

Nell'ambito del procedimento di revocazione si dovrà prevedere che:

 i diritti acquistati dai terzi in buona fede, che non hanno partecipato al processo svoltosi innanzi alla CEDU, siano fatti salvi (lettera b));

 la legittimazione attiva a promuovere l'azione di revocazione spetti alle parti del processo svoltosi innanzi alla CEDU (nonché ai loro eredi o aventi causa) e al pubblico ministero (lettera c));

 l’impugnazione debba essere presentata entro massimo 90 giorni dalla comunicazione o, in mancanza della comunicazione, dalla pubblicazione della sentenza della CEDU (lettera d)).

Inoltre, ai sensi della lettera e), la riforma dovrà porre in capo all'Agente del Governo l'obbligo di comunicare la pendenza del procedimento davanti alla Corte di Strasburgo a tutte le parti del procedimento che ha dato luogo alla sentenza sottoposta all’esame della Corte europea e al pubblico ministero. In tal modo si intende consentire loro di fornire elementi informativi o, nei limiti consentiti dal regolamento della Corte europea dei diritti dell'uomo, di richiedere di essere autorizzati all'intervento.

Si ricorda che in base all’art. 15 del decreto-legge n. 113 del 2018, le funzioni di agente del Governo a difesa dello Stato italiano dinanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo sono svolte dall'Avvocato generale dello Stato, che può delegare un avvocato dello Stato.

L’agente del Governo assicura la difesa scritta e orale del Governo, cura i rapporti tra la Corte e le Autorità nazionali di volta in volta interessate e coordina le attività processuali necessarie, redigendo, in una delle due lingue ufficiali della Corte europea (inglese e francese) memorie in difesa dello Stato.

Dopo ogni sentenza della Corte, recante la constatazione di una violazione della Convenzione a carico dell’Italia, l’Agente segue, questa volta in qualità di esperto giuridico della Rappresentanza Permanente d’Italia presso il Consiglio d’Europa, la fase di esecuzione degli obblighi scaturenti dalla decisione (ai sensi degli articoli 41 e 46 della Convenzione stessa).

La lettera f) delega il Governo ad operare gli adattamenti necessari alla legislazione vigente a seguito dell'adozione delle norme attuative dei criteri di delega in esame.

Nel documento Riforma del processo civile (pagine 58-61)