Articolo 1, comma 11
(Procedimenti di impugnazione dei licenziamenti)
L'articolo 1, comma 11, reca i princìpi e criteri direttivi per la riforma del rito del lavoro, con particolare riferimento alle controversie sui licenziamenti.
In particolare, il disegno di legge delega il Governo ad unificare e coordinare la disciplina dei procedimenti di impugnazione dei licenziamenti anche quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro, adottando le opportune norme transitorie.
Il tema dell’unificazione dei procedimenti si pone perché, per alcuni rapporti di lavoro instaurati prima del 7 marzo 2015 si applica alla controversia sui licenziamenti il c.d. Rito Fornero, previsto dall’art. 1, commi da 47 a 66, della L.
28 giugno 2012, n. 92. In sintesi, il "rito Fornero" prevede una prima fase istruttoria, al termine della quale il giudice emette un'ordinanza, immediatamente esecutiva, di accoglimento o di rigetto della domanda, con successiva eventuale opposizione contro l’ordinanza medesima. L'efficacia esecutiva di quest'ultima non può essere sospesa o revocata fino alla pronuncia della sentenza con cui il giudice definisca il giudizio eventualmente instaurato con l'opposizione.
Per i rapporti di lavoro instaurati successivamente8, invece, in caso di licenziamento trova applicazione la disciplina processuale generale relativa alle controversie in materia di lavoro.
Nell’esercizio della delega il Governo dovrà prevedere:
che la trattazione delle cause di licenziamento, in cui sia proposta domanda di reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, sia prioritaria (lettera a);
che le azioni di impugnazione dei licenziamenti dei soci delle cooperative, anche se contestuali alla cessazione del rapporto associativo, debbano essere introdotte con ricorso, applicandosi il rito del lavoro di cui agli artt.
409 e ss. c.p.c. (lettera b).
Con riguardo alle modifiche ai procedimenti per le controversie in materia di lavoro nella relazione conclusiva dei lavori della Commissione Luiso si sottolinea che «la delega è finalizzata al superamento dell’attuale previsione di un duplice rito nella materia dei licenziamenti del lavoratore dipendente: il primo, disciplinato dall’articolo 1, commi 48 ss., della legge 12 giugno 2012, n. 92, per i lavoratori assunti fino al 7 marzo 2015; il secondo, ossia il riso del lavoro, di cui agli articoli 409 ss. c.p.c., per i lavoratori assunti dopo quella data. Con il principio di delega in oggetto si stabilisce che il solo rito
8 I rapporti di lavoro a tempo indeterminato instaurati a decorrere dal 7 marzo 2015 sono esclusi dall’applicazione del Rito Fornero ai sensi dell'articolo 11 del D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 23. Nella fattispecie suddetta di esclusione rientrano anche (ai sensi dell'articolo 1, commi 2 e 3, del citato D.Lgs.
n. 23): i rapporti a tempo indeterminato derivanti dalla trasformazione di precedenti rapporti di lavoro a termine, qualora la trasformazione sia successiva al 6 marzo 2015; i casi in cui i limiti minimi dimensionali di cui al citato articolo 18 della L. n. 300 vengano raggiunti solo in seguito ad assunzioni a tempo indeterminato successive al 6 marzo 2015.
applicabile per queste controversie sia il processo del lavoro, con la previsione, tuttavia, di una corsia preferenziale. Ciò contribuirà, da un lato, a semplificare ed a chiarire il quadro normativo della disciplina processuale nella materia dei licenziamenti, superando la scelta attuale – peraltro di dubbia compatibilità con il principio di ragionevolezza – di prevedere discipline processuali molto diverse fra loro sulla base del solo elemento formale dell’assunzione del lavoratore interessato dal licenziamento avvenuta in date differenti; dall’altro lato, a superare le difficoltà interpretative e applicative che ha fatto emergere l’articolo 1, commi 48 ss., della legge 12 giugno 2012, n. 92, fin dalla sua introduzione, con inevitabili ricadute per i rapporti fra datore di lavoro e lavoratore.
D’altro canto, la previsione di un unico rito per le controversie in materia di licenziamenti determinerà anche il superamento delle difficoltà a trattare unitariamente le controversie che riguardino lavoratori assunti in tempi diversi, con inevitabili ricadute sia sull’economia processuale, sia sulle possibilità di successo delle eventuali proposte conciliative.
Per il resto la delega è diretta a rimediare ad altrettante situazioni d’incertezza interpretativa e applicativa che permangono nei casi in cui i licenziamenti vengano impugnati per motivi di discriminazione o da parte del lavoratore che sia anche socio della cooperativa.».
Inoltre, in base alla lettera c), per quanto riguarda i licenziamenti discriminatori, la riforma dovrà consentire che le azioni di nullità siano proposte ricorrendo, alternativamente, al rito del lavoro di cui all’art. 414 c.p.c., ovvero ai riti speciali previsti:
dall’art. 38 del Codice delle pari opportunità tra uomo e donna (d.lgs. n.
198 del 2006);
Il procedimento contro le discriminazioni disciplinato dall'art. 38 Codice delle pari opportunità costituisce uno strumento di tutela processuale versatile in risposta alle discriminazioni dirette o indirette, cui possono fare ricorso non soltanto le persone discriminate, ma anche, per loro delega, le organizzazioni sindacali, le associazioni rappresentative dell'interesse leso e, infine, il Consigliere o la Consigliera di Parità territorialmente competenti. Per promuovere e tutelare la parità di trattamento tra uomo e donna, l'art. 37, comma 1, Codice delle pari opportunità, riconosce, inoltre, la legittimazione processuale al Consigliere o alla Consigliera di Parità nel caso di discriminazioni collettive, qualora vi siano atti, patti o comportamenti discriminatori rivolti alle lavoratrici o ai lavoratori non individuabili in modo immediato e diretto.
La competenza è attribuita al tribunale in funzione di giudice del lavoro che, nei due giorni successivi alla presentazione del ricorso, convocate le parti e assunte sommarie informazioni, se ritiene sussistente la violazione, oltre a provvedere, se richiesto, al risarcimento del danno anche non patrimoniale, nei limiti della prova fornita, ordina all'autore del comportamento denunciato, con decreto motivato ed immediatamente esecutivo, la cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti. L'efficacia esecutiva del decreto non può essere revocata fino alla sentenza con cui il giudice definisce il giudizio instaurato nel merito.
ARTICOLO 1, COMMA 11
Contro il decreto è ammessa entro quindici giorni dalla comunicazione alle parti opposizione davanti al giudice che decide con sentenza immediatamente esecutiva.
Si osservano le disposizioni degli articoli 413 e seguenti del codice di procedura civile.
Nel giudizio antidiscriminatorio per motivi di genere, è opportuno ricordare che l'art. 40 del Codice delle pari opportunità sull'onere della prova prevede che
"quando il ricorrente fornisce elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico relativi alle assunzioni, ai regimi retributivi, all'assegnazione di mansioni e qualifiche, ai trasferimenti, alla progressione in carriera ed ai licenziamenti, idonei a fondare, in termini precisi e concordanti, la presunzione dell'esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori in ragione del sesso, spetta al convenuto l'onere della prova sull'insussistenza della discriminazione".
dall’art. 28 del d.lgs. n. 150 del 20119.
In base al Capo III del decreto legislativo n. 150 del 2011 sono ricondotte al rito sommario di cognizione le cause in materia di discriminazione (articolo 28). È competente il tribunale del luogo in cui il ricorrente ha il domicilio e nel giudizio di primo grado le parti possono stare in giudizio personalmente.
Anche questo rito prevede l’inversione dell’onere della prova: quando il ricorrente fornisce elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico, dai quali si può presumere l'esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori, spetta al convenuto l'onere di provare l'insussistenza della discriminazione. I dati di carattere statistico possono essere relativi anche alle assunzioni, ai regimi contributivi, all'assegnazione delle mansioni e qualifiche, ai trasferimenti, alla progressione in carriera e ai licenziamenti dell'azienda interessata.
Con l'ordinanza che definisce il giudizio il giudice può condannare il convenuto al risarcimento del danno anche non patrimoniale e ordinare la cessazione del comportamento, della condotta o dell'atto discriminatorio pregiudizievole, adottando, anche nei confronti della pubblica amministrazione, ogni altro provvedimento idoneo a rimuoverne gli effetti. Al fine di impedire la ripetizione della discriminazione, il giudice può ordinare di adottare, entro il termine fissato nel provvedimento, un piano di rimozione delle discriminazioni accertate. Nei casi di comportamento discriminatorio di carattere collettivo, il piano è adottato sentito l'ente collettivo ricorrente.
Ai fini della liquidazione del danno, il giudice tiene conto del fatto che l'atto o il comportamento discriminatorio costituiscono ritorsione ad una precedente azione giudiziale ovvero ingiusta reazione ad una precedente attività del soggetto leso volta ad ottenere il rispetto del principio della parità di trattamento.
Resta inteso che la proposizione dell’azione nell’una o nelle altre forme, preclude la possibilità di agire successivamente con un rito diverso.
9 D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell'articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69.