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I DEPOSITI A PIOMBO± ARGENTO ± ZINCO

ASA1 M(1) M(2) X(3) Σ anion

S(1) 2×→0.364×↓ 0.302×↓ 1.063×↓ 2.08 S(2) 6×→0.32 1.92 Σ cationi 1.44 0.92 3.18 ASA2 M(1) M(2) X(3) Σ anioni S(1) 2×→0.354×↓ 0.322×↓ 1.043×↓ 2.06 S(2) 6×→0.33 1.98 Σ cationi 1.40 0.97 3.12

Il raffinamento strutturale dei due campioni si accorda con i dati chimici riportati nel paragrafo §4.2.3, come evidenziato dal buon accordo fra il site scattering raffinato e quello calcolato sulla base dei dati chimici (Tabella 4.7). La comparazione fra le distanze medie osservate e quelle calcolate per tali siti mostra come i valori osservati siano sistematicamente più piccoli rispetto a quelli attesi. Questa discrepanza è probabilmente da ricondurre alla scarsa ionicità dei legami presenti nella tetraedrite e quindi alla non perfetta adeguatezza dei parametri utilizzati per il calcolo dei valori attesi. La maggior differenza si osserva per il sito M(1). Come conseguenza, le somme dei bilanci di valenza riportati in Tabella 4.8 e calcolati utilizzando i parametri di legami di Brese & O’Keeffe (1991) risultano leggermente più alti dei valori attesi.

4.2.5 Classificazione dei campioni studiati

I dati chimici e strutturali raccolti sui due campioni di tetraedrite provenienti dall’Argentiera di Sant’Anna indicano che in tale località la specie della serie isotipica della tetraedrite presente può essere classificata come un termine intermedio fra “tetraedrite-(Zn)” e “tetraedrite-(Fe)”.

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4.3M

INIERA DEL

B

OTTINO

(S

TAZZEMA

)

La miniera del Bottino è ubicata tra la valle del torrente Vezza e lo spartiacque delimitato dai monti Ornato e Rocca. La storia di questo sito minerario si perde nei secoli e la mancanza di documentazioni storiche rende difficile definire l’epoca della prima apertura della miniera. Basandosi sulla sezione degli antichi scavi e sulle tecniche impiegate, si presume che già in epoca romana, se non addirittura nel periodo etrusco, la miniera fosse coltivata (Pilla, 1845; D’Achiardi, 1920; Sagui, 1921). D’Achiardi (1920) affermava che “la miniera del Bottino fosse escavata da antichissimo tempo (forse dagli Etruschi e poi dai Romani) lo

dimostrano le tracce degli antichi lavori che si ritrovano sui pizzi alpestri del monte, e dalle grandi caverne che si rinvengono nelle sue viscere ancora ben conservate, come pure le gallerie di forma elittica assai allungata, con le pareti mostranti sempre il lavoro paziente della puntarola”.

L’attività mineraria è documentata solo a partire dal 1219, come testimoniato dall’atto di divisione del territorio fra i Conti di Corvaia e Vallecchia. Nel 1241 la Repubblica di Lucca tolse a questi nobili il controllo del territorio e, dopo quasi due secoli di abbandono, nel 1515, Firenze si impadronì di queste miniere. Nel 1542 Cosimo I de’ Medici riattivò gli scavi e da quel momento si ebbe il massimo sviluppo dei lavori minerari. Tuttavia l’attività estrattiva risultò, con gli anni, in forte passivo e la produzione in notevole diminuzione. Basti pensare che dal 1565 al 1592 si erano cavati solamente 633 kg circa di argento, contro una produzione più che doppia nei primi anni di attività. Domenica 18 settembre 1592 Ferdinando I, spinto dal timore che vi fosse una frode da parte dei reggitori della miniera, interruppe i lavori (Benvenuti et al., 1992/93).

Benché fossero stati effettuati diversi tentativi di riprendere l’attività estrattiva, la miniera restò inattiva fino al 1829 quando la Società Mineralogica del Bottino tentò di coltivare nuovamente il giacimento. La suddetta società andò incontro a risultati poco soddisfacenti anche a causa dello scarso capitale a disposizione. Nel 1836 la società cambiò il nome in Compagnia del Bottino e successivamente, nel 1842, assunse la denominazione di Compagnia Anonima del Bottino. La direzione dei lavori fu affidata prima all’Ing. Vegni e dopo all’Ing. Blanchard. Sotto la guida di questi due ingegneri la miniera del Bottino divenne la miniera di piombo più importante della penisola italiana. A causa del ribasso dei prezzi dell’argento e del piombo, la Compagnia Anonima del Bottino fu messa in liquidazione nel 1880 e nel 1883 la miniera fu definitivamente chiusa (Benvenuti et al., 1992/93).

I lavori ottocenteschi furono notevoli. A partire dal 1836 fu ampliata la galleria Redola, allo scopo di poterla utilizzare come carreggio del minerale e furono aperte due nuove gallerie di coltivazione, la galleria Sansoni e la galleria Orsini. Nel 1840 fu iniziato lo scavo della galleria Paoli, posta a quota 385 m, che fu terminato dieci anni dopo, nel 1850. Lo scopo della galleria era quello di drenare le acque e di facilitare il trasporto del materiale. Nel 1859 venne scavato un pozzo denominato “Speranza” che raggiunse, 125 m più in basso, il livello Due Canali, il cui scavo venne intrapreso due anni prima. Lo scavo fu terminato nel 1865 mentre la galleria Due Canali, lunga ben 700 m, ne raggiunse il piede nel 1868.

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Dopo 35 anni di inattività, nel 1918 l’on. Attilio Cerpelli fondò la Società Anonima Miniere dell’Argentiera (S.A.M.A.) la quale intraprese la coltivazione del filone nelle zone sottostanti il livello Due Canali, fino a giungere con il pozzo Venezia, al livello – 100 m (Benvenuti et al., 1992/93).

Nel 1929 la miniera (Fig 4.9) venne nuovamente chiusa per motivi di natura economica. Negli anni Cinquanta e Sessanta, fino al triennio 1967-1969, si ebbe una fase di coltivazione esclusivamente nei cantieri del Monte Rocca. I cantieri della miniera del Bottino risultarono invece improduttivi, sia per le numerose frane presenti fra i livelli Paoli e Due Canali, sia per il completo allagamento dei livelli inferiori alla galleria Due Canali. Nel 1969 la miniera del Bottino fu definitivamente abbandonata (Benvenuti et al., 1992/93).

La Figura 4.10 mostra l’attuale estensione verticale dei lavori, dagli affioramenti coltivati in località Senicioni (quota 525 m) sino al Ribasso Venezia (174 m).

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Ad oggi, sono 61 le specie mineralogiche differenti identificate nella miniera del Bottino. Due di esse, bottinoite, NiSb2(OH)12 6H2O (Bonazzi et al., 1992), e meneghinite, CuPb13Sb7S24 (Bechi, 1852), hanno

qui la loro località tipo. Tra le 61 specie 24 appartengono alla classe dei Solfuri e solfosali (Tab. 4.9).

TABELLA 4.9– Solfuri e solfosali segnalati alla miniera del Bottino

Specie Formula chimica Specie Formula chimica

Acantite Ag2S Galena PbS

Argentopentlandite Ag(Fe,Ni)8S8 Gersdorffite NiAsS

Arsenopirite FeAsS Marcasite FeS2

Boulangerite Pb5Sb4S11 Meneghinite CuPb13Sb7S24

Bournonite CuPbSbS3 Pentlandite (FexNiy)9S8

Calcocite Cu2S Pirargirite Ag3SbS3

Calcopirite CuFeS2 Pirite FeS2

Cinabro HgS Pirrotina Fe1-xS

Covellite CuS Sfalerite ZnS

Cubanite CuFe2S3 Stibnite Sb2S3

Freibergite Ag6(Cu4Fe2)Sb4S13-x Ullmannite NiSbS

Nota: i solfuri e solfosali per cui il Bottino è località tipo sono indicati in grassetto

La presenza di tetraedrite nella miniera del Bottino fu riportata per la prima volta da Grattarola (1876). Egli descrisse un campione, fornitogli dal Prof. Roster nel 1875, nel quale questo solfosale si presentava sotto forma di individui epitattici su calcopirite. Grattarola (1876) descrisse così il campione: “Tale minerale

è la tetraedrite che si presenta sopra ai noti cristalli di calcopirite […]. La grossezza dei cristalli non passa mai il ½ centim. di diametro. La forma generale dei cristalli è il tetraedro ma solo apparentemente, poichè ogni faccia del tetraedro è sostituita

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da una piramide a tre facce, notevolmente ottusa e inoltre a superficie più o meno profondamente striate, per cui le facce appaiono, piuttostochè piane, curve.”.

Successivamente Pelloux (1923) descrisse tre campioni di tetraedrite provenienti dalla galleria Due Canali e consegnateli dal Sig. De Champs. Pelloux (1923) illustrò con queste parole il campione ritenuto da lui il più interessante: “è costituito da un piccolo gruppo formato da un cristallo completo di abito sfenoedrico di calcopirite

che misura 10 mm. circa di lato, sugli spigoli del quale sono impiantati 5 cristalli isorientati di tetraedrite, con lati di 3 o 4 mm., due dei quali sono geminati secondo (111). […] i cristalli di tetraedrite hanno colore grigio-ferro e, sebbene il loro aspetto sia quello del tetraedro, analogamente a quanto osservò Grattarola, ho notato che le facce di questa forma non sono visibili essendo sostituite da superfici drusiche formate da numerose e piccolissime piramidi triangolari appartenenti ad un emiicositetraedro.”

Dodici anni dopo, Dessau (1935) riportò la presenza di “plaghette” di colore grigio-verdognolo, con riflessi interni rossi, disseminate nella galena e nella meneghinite. Benvenuti et al. (1992/93) confermò quanto sostenuto da Dessau nel 1935, ovvero che la tetraedrite è piuttosto diffusa nelle masse di galena e meneghinite. Benvenuti et al. (1992) riportano anche le prime analisi chimiche quantitative eseguite con la microsonda elettronica. Esse mostrarono una composizione fortemente argentifera (~ 22 wt% di Ag). Ricalcolando tale analisi sulla base della somma di 4 atomi di (As+Sb), si ottiene la seguente composizione: Cu2.51Ag3.49(Cu3.36Fe1.87)Sb4S11.57, idealmente (Ag3.5Cu2.5)(Cu4Fe2)Sb4S12. Benvenuti et.al.

(1992/93) utilizzano il termine freibergite per indicare il termine argentifero presente nella miniera del Bottino. L’ultima descrizione relativa a un termine del gruppo della tetraedrite si deve a Orlandi et al. (2002a) i quali descrivono un campione della collezione Cerpelli oggi conservato presso il Museo di Storia Naturale dell’Università di Pisa con numero di catalogo 17662. In questo campione la tetraedrite compare sotto forma di un individuo tetraedrico di 1 cm di spigolo formato da una fitta alternanza di piccole facce di triacistetraedro, in associazione a galena, sfalerite, boulangerite, quarzo e clorite.

4.3.1 Cenni geologici

La miniera del Bottino è ubicata nella porzione meridionale delle Alpi Apuane. Il deposito è caratterizzato da una serie di corpi mineralizzati a Pb-Ag-Zn distribuiti lungo una fascia orientata NW-SE, che corre dal piccolo paese di Gallena fino al Monte Rocca. Tali corpi sono ospitati nella formazione delle Filladi Inferiori e nei Porfiroidi e Scisti Porfirici e sono intimamente associati a tormalinoliti.

Il principale corpo mineralizzato, noto come filone del Bottino, ha direzione NE-SW con un’inclinazione verso SE di 50°-70°. Esso taglia a basso angolo (10°-30°) la foliazione metamorfica formatasi durante la deformazione alpina di età miocenica. Il corpo ha spessore, giacitura e composizione mineralogica variabili. Vi sono infatti due zone ad alto tenore, chiamate colonne Sansoni ed Orsini, separate da una zona a basso tenore e talvolta sterile. Localmente il corpo mineralizzato ha uno spessore di circa tre metri;

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la zona intermedia, fra le due colonne, è caratterizzata da rocce fortemente deformate, pervase da vene di quarzo con spessore centimetrico, contenenti disseminazioni di solfuri (Biagioni et al., 2018b).

La zona ad alto tenore consiste in solfuri massivi di ganga carbonatica e quarzosa. Tale zona è formata da un’alternanza di bande composte da galena, sfalerite, pirrotina e pirite microcristalline, alternate a bande e lenti costituite da galena, sfalerite e calcopirite con grana maggiore. La presenza di masse disseminate di tetraedrite-freibergite, pirargirite, argentopentlandite associati a galena argentifera conferisce l’alto tenore in argento ai corpi minerari (Biagioni et al., 2018b).

4.3.2 Campioni studiati

Il campione della miniera del Bottino, studiato nell’ambito di questa tesi, è stato raccolto nel 2005 nel cosiddetto “Pozzetto delle Blende”, una zona intermedia fra il livello Paoli e il livello Redola nell’area della colonna Sansoni (Fig. 4.11).

Esso fu raccolto in corrispondenza di una piccola frattura di taglio posta parallelamente al tetto del filone e tappezzata da carbonati (dolomite, calcite, siderite), quarzo e solfuri, in prevalenza rappresentati da individui equidimensionali neri di sfalerite e, più raramente, galena e calcopirite. Sui cristalli di sfalerite e,

Figura 4.11 – Block diagram dei lavori della miniera del Bottino lungo il corpo minerario. In figura è indicato il Pozzetto delle blende (da Biagioni et al., 2018b).

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talvolta, di galena, Biagioni et al. (2008a) descrissero la presenza di cristalli prismatici di pirargirite. Su un unico campione sono stati osservati alcuni millimetrici individui tetraedrici, di colore grigio e con patine verdastre di malachite, direttamente impiantati sui cristalli di sfalerite (Fig. 4.12).

4.3.3 Dati chimici

Il campione studiato è stato caratterizzato chimicamente tramite spettroscopia di raggi X in dispersione di energia. In Tabella 4.10 sono riportati le concentrazioni degli elementi in wt% e gli apfu.

TABELLA 4.10 – Dati chimici del campione del Bottino

Elemento wt% apfu Cu 19.28 5.60 Ag 25.06 4.30 Fe 5.92 2.00 Zn 0.93 0.30 Sb 26.30 4.00 S 22.51 13.00 Ev(%) +1.4

I dati chimici mostrano un importante contenuto in Ag, paragonabile ai tenori riportati da Benvenuti et

al. (1992). Il catione divalente dominante risulta essere il Fe, nettamente più abbondante di Zn. Il catione X(3) è rappresentato esclusivamente da Sb. Il totale di atomi di S (13 apfu) è perfettamente coincidente

con il numero di atomi di S presenti nella formula ideale della tetraedrite. Il valore del parametro Ev(%) è solo leggermente positivo (+1.4) ed indica che la formula è quasi perfettamente bilanciata da un punto di vista elettrostatico.

Sulla base dei dati chimici riportati in Tabella 4.10 è possibile proporre la seguente formula idealizzata del campione: M(2)(Ag

4.3Cu1.7)M(1)(Cu4Fe1.7Zn0.3) X(3)Sb4S13

Figura 4.12– Cristallo tetraedrico di 1.5, mm su sfalerite con calcite, dolomite e siderite. “Pozzetto delle blende”; livello Paoli, miniera del Bottino. Foto C. Biagioni.

48 4.3.4 Dati strutturali

Il cristallo utilizzato per l’analisi chimica è stato anche impiegato per condurre uno studio diffrattometrico con tecniche di cristallo singolo. La Tabella 4.11 riassume le condizioni sperimentali e i dettagli del raffinamento strutturale. Le metodologie analitiche e le strategie seguite per i raffinamenti strutturali sono riportati nel Capitolo 3.

TABELLA 4.11 – Dettagli delle raccolte e del raffinamento del campione della miniera del Bottino

Dati cristallografici

Sistema cristallino, g.s. Cubico, I-43m

a (Å) 10.5814(4)

V (Å3) 1184.76(13)

Z 2

Dati raccolta e raffinamento

Radiazione (Å) MoKα, λ = 0.71073 Temperatura (K) 293 2θmax(°) 65.01 Riflessi misurati 1735 Riflessi unici 426 Riflessi con Fo>4σ (Fo) 391 Rint 0.0423 0.0366 Intervallo indici h, k, l -15 ≤ h ≤ 16; -5 ≤ k ≤ 11; -14 ≤ l ≤ 16 R[Fo>4σ (Fo)] 0.0667 R (tutti i dati) 0.0750 wR(su F2) 0.1609 GooF 1.204

Numero dei parametri raffinati 23 Massimi e minimi residui (e/Å3) +2.71; -1.76

Il raffinamento strutturale condotto sul campione della miniera del Bottino converge a un valore finale di R1 = 0.067. Si tratta di un valore relativamente alto rispetto ai raffinamenti strutturali condotti sugli

altri campioni studiati nell’ambito di questa tesi di laurea. Le coordinate atomiche e i parametri termici equivalenti sono riportati in Tabella 4.12, mentre la Tabella 4.13 fornisce le distanze atomiche osservate per i siti cationici M(1), M(2) e X(3).

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TABELLA 4.12 – Coordinate atomiche e parametri termici equivalenti (in Å2) del campione della miniera del Bottino

x y z Ueq M(1) ¼ ½ 0 0.0134(16) M(2) 0 0 0.7880(8) 0.055(3) X(3) 0.26857(14) 0.26857(14) 0.26857(14) 0.0095(6) S(1) 0.1215(4) 0.1215(4) 0.3680(5) 0.011(2) S(2) 0 0 0 0.12(4)

TABELLA 4.13 – Distanze atomiche (in Å) del campione della miniera del Bottino

M(1) – S(1) ×4 2.335(3)

M(2) – S(2) 2.243(8)

– S(1) ×2 2.456(7)

X(3) – S(1) ×3 2.439(6)

Così come osservato nei campioni dell’Argentiera di Sant’Anna, il parametro termico del sito M(2) risulta decisamente più grande rispetto all’equivalente parametro del sito M(1). La caratteristica più evidente nei risultati riportati in Tabella 4.12 è rappresentata dal valore del parametro termico del sito S(2), un ordine di grandezza maggiore di quello del sito S(1) (Fig. 4.13).

Figura 4.13 – La struttura del campione della miniera del Bottino (a), rappresentata con gli ellissoidi termici, comparata con quella del campione ASA1 (b) dell’Argentiera di Sant’Anna. Si noti la differente dimensione dell’ellissoide termico di S(2).

Un alto valore del parametro termico può indicare sia un inaccurato raffinamento dell’occupanza del sito in questione oppure un disordine posizionale. Il raffinamento dell’occupanza del sito S(2) punta alla

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presenza di 0.86 S pfu. Se imponiamo che i parametri termici di S(1) e S(2) siano uguali, l’occupanza di S(2) scende a 0.24 S pfu. In quest’ultimo caso, avremmo un totale di 12.24 S pfu. Questo presupporrebbe la presenza di clusters (Ag6)4+, con corti legami Ag–Ag. L’esame delle distanze M(2)–M(2) nella struttura

del cristallo studiato mostra tuttavia distanze di 3.17 Å, troppo lunghe rispetto ai legami Ag–Ag presenti nell’argento nativo (2.89 Å - Suh et al., 1988). Ne consegue che probabilmente la causa dell’alto valore del parametro termico potrebbe risiedere nel disordine posizionale, con le distanze Cu–S e Ag–S differenti e tali da indurre localmente differenti posizioni dell’atomo di S.

La maggior differenza fra i site scattering osservati e quelli calcolati (Tabella 4.14) si ha per il sito M(2); il dato strutturale indicherebbe infatti una occupanza Cu0.51Ag0.49. Le discrepanze più evidenti si osservano

tuttavia nel calcolo del bilancio di valenza. Il sito M(2), a fronte di un valore atteso attorno a 1 unità di valenza, ha un eccesso di forza di legame (1.40 unità di valenza) e risulta eccezionale la sovrasaturazione del sito S(2), pari a 3.96 unità di valenza, contro un valore atteso di 2. Questo è ancora sintomo di una scarsa accuratezza delle distanze di legame fra M(2) e S(2).

TABELLA 4.14 – Comparazione fra numero di elettroni raffinati e calcolati (in elettroni per unità formula) sulla base

della occupanza proposta e paragone fra distanze medie osservate e calcolate (in Å)

XRD EDS Occupanza <Me–S>oss <Me–S>calc

M(1) 27.9 28.2 Cu0.67Fe0.28Zn0.05 2.335 2.382

M(2) 37.9 41.9 Ag0.72Cu0.28 2.385 2.475

X(3) 47.2 51 Sb 2.439 2.450

TABELLA 4.15 – Bilancio delle forze di legame (in unità di valenza).

M(1) M(2) X(3) Σ anioni

S(1) 2×→0.364×↓ 0.372×↓ 1.033×↓ 2.12

S(2) 6×→0.66 3.96

Σ cationi 1.44 1.40 3.09

4.3.5 Classificazione dei campioni studiati

La relativa cattiva qualità del raffinamento strutturale e le analisi chimiche condotte in modalità EDS possono lasciare alcune problematiche aperte riguardo alla corretta classificazione del membro della serie della tetraedrite presente nel campione studiato.

Se assumiamo che i dati chimici siano ragionevolmente corretti e che non esistano evidenze della presenza di clusters (Ag6)4+, in accordo con i dati strutturali, il campione dovrebbe essere classificato come

“argentotetraedrite-(Fe)”, idealmente Ag6Cu4Fe2Sb4S13. L’esistenza di lacune in S(2) superiori al 50%

dell’occupanza del sito porterebbe al contrario a classificare la specie come freibergite. Crediamo che siano necessari migliori dati strutturali e una accurata analisi chimica in modalità WDS per confermare la classificazione che proponiamo nell’ambito di questo lavoro di tesi.

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4.4M

ONTE

T

AMBURA

(V

AGLI DI

S

OTTO

)

Il Monte Tambura (Fig. 4.14) è alto 1890 m s.l.m.m. ed è la terza cima, per altitudine, delle Alpi Apuane. In prossimità del Passo Tambura (1620 m s.l.m.m.) si hanno modeste mineralizzazioni a Pb e ossidi di Fe. La mineralizzazione a Pb si trova poco sotto la cresta del medesimo monte, al nucleo di scisti paleozoici dell’anticlinale omonima (Carmignani et.al., 1972).

Figura 4.14 – Veduta panoramica del Monte Tambura e del Passo della Tambura visti da SW.

Su questo giacimento sono reperibili scarse informazioni. La scoperta di questa miniera si deve a Girolamo Guidoni che ne espose la descrizione, la storia e l’importanza all’allora governo di Modena; questi documenti andarono persi e non sono pertanto consultabili (Bertoloni, 1863; D’Achiardi, 1872/73). Le notizie più antiche che siamo riusciti a reperire risalgono a Bertoloni (1863) il quale nella sua opera “Cose naturali osservate nei monti italiani” riportò la visita, effettuata grazie alla guida dell’allora capo minatore, presso la “cava di piombo argento” della Tambura.

Diciassette anni dopo, Testore (1880) redasse un verbale in cui descriveva dettagliatamente la visita presso il Monte Tambura: “Il giacimento della Tambura è un filone strato inserito in un banco di scisti cloritici pirotosi di colore

verdognolo. Questo banco di scisti segna la separazione fra i marmi che gli stanno sotto e i grezzoni che lo ricoprono. Marmi, scisti e grezzoni concordano costantemente fra di loro e hanno presso la Tambura la direzione media di N 20°E, poi verso sud poco a poco ripiegandosi diventano quasi esattamente NS e finalmente piegano verso ovest dopo tagliando il canale Basso a distanza considerevole sulla regione nella quale furono fatti i lavori dei permissionari. L’inclinazione generale è sempre di 60 e 70° verso ovest.”

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L’autore riportò la presenza di diverse gallerie e scavi, appartenenti ad antichi lavori, ubicati nei pressi del Passo della Tambura. Queste gallerie sono state denominate da Testore (1880) attraverso l’utilizzo di lettere dell’alfabeto. L’autore si sofferma a descrivere due di queste gallerie, denominate A e B, ubicate lungo il Canale della Neve. La galleria A è posta al letto del giacimento e ha direzione N 30°E. La galleria segue una vena di galena, quasi pura, avente spessore medio di 5 cm, fino a un massimo di 10 cm. Dalla galleria, che ha una lunghezza di circa 30 m, furono estratte circa 15 tonnellate di minerale con un contenuto del 50% di Pb. La galleria B è posta 18 metri sotto la precedente. Questa galleria fu scavata con lo scopo di verificare l’arricchimento, in profondità, della vena di galena intercettata dalla galleria A. Infine Zaccagna (1932) descrisse con queste parole il giacimento argentifero del Monte Tambura “si

presenta nel versante Sud del M. Tambura in quella stessa zona di scisti permiani che formano il nucleo della piega anticlinale corrispondente a quella montagna […]. Presso il Passo, l’affioramento di questi scisti sparisce sotto ai grezzoni per ricomparire poco più a Nord in un lembo staccato e spostato fra i marmi ed i grezzoni […]. In questo breve lembo di scisti, invece della ematite che trovasi al Casone, sta racchiuso il giacimento piombo-argentifero di cui parliamo. Si tratta di una piccola vena di galena di 5 o 6 cent. di spessore che segue la direzione degli scisti, inclinando di 60 a 70° verso Ovest. La vena trovasi presso il contatto coi marmi ed include frammenti di scisto superiormente ad un conglomerato calcareo alla parte inferiore.”

4.4.1 Campioni studiati

Il campione proveniente dal giacimento argentifero del Monte Tambura è rappresentato da un frammento di scisto con una vena deformata composta principalmente da dolomite (Fig. 4.15). All’interno della vena si osservano cristalli anedrali neri, con lucentezza metallica e frattura concoide, appartnenti a un termine della serie della tetraedrite. In associazione si osservano granuli anedrali di galena e sfalerite gialla.

Figura 4.15 – Campione di scisto con vena deformata di dolomite (a) e particolare di un aggregato di cristalli di un termine della serie della tetraedrite. Monte Tambura, Vagli di Sotto. Foto S. Musetti.

53 4.4.2 Dati chimici

I campioni studiati sono stati caratterizzati chimicamente tramite spettroscopia di raggi X in dispersione di energia. In Tabella 4.16 sono riportati le concentrazioni degli elementi in wt% e gli apfu.

TABELLA 4.16 – Dati chimici del campione della Tambura

Elemento wt% apfu Cu 39.75 8.42 Fe 2.62 0.63 Zn 5.20 1.07 As 20.27 3.64 Sb 3.26 0.36 S 28.90 12.13 Ev(%) -1.8

I dati chimici mostrano che il catione divalente dominante risulta essere lo Zn, seguito da Fe. Si osserva anche un significativo deficit di Cu. Il catione trivalente dominante è l’As, con un rapporto atomico

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