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Cristallochimica della serie isotipica della tetraedrite delle Alpi Apuane (Toscana, Italia)

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(1)

Corso di Laurea Magistrale

in Scienze e Tecnologie Geologiche

Cristallochimica della serie isotipica della tetraedrite delle Alpi Apuane

(Toscana, Italia)

Candidato: Silvia Musetti

Relatore: Dott. Cristian Biagioni

Correlatore:

Prof.

Marco

Pasero

(2)

2  

SOMMARIO

Riassunto

6

Abstract

7

1. Introduzione

8

2. I solfosali

9

2.1. Cosa sono i solfosali

9

2.2. Applicazioni tecnologiche dei solfosali

12

2.3. La serie isotopica della tetraedrite

14

2.3.1. La struttura

14

2.3.2. La variabilità chimica

16

2.3.3. Specie appartenenti alla serie della tetraedrite

19

2.4. Verso una nuova nomenclatura della serie della tetraedrite

23

3. Metodologie analitiche

25

3.1. Analisi chimiche

26

3.2. Analisi diffrattometriche

27

3.2.1. Diffrattometria di cristallo singolo

28

3.2.2. Diffrattometria di polvere

29

4. I depositi a piombo ± argento ±zinco

31

4.1. Introduzione

31

4.2. Argentiera di Sant'Anna (Stazzema)

32

4.2.1. Cenni geologici

35

4.2.2. Campioni studiati

36

4.2.3. Dati chimici

37

4.2.4. Dati strutturali

39

4.2.5. Classificazione dei campioni studiati

41

4.3. Miniera del Bottino (Stazzema)

42

4.3.1. Cenni geologici

45

(3)

3

 

4.3.3. Dati chimici

47

4.3.4. Dati strutturali

48

4.3.5. Classificazione dei campioni studiati

50

4.4. Monte Tambura (Vagli di Sotto)

51

4.4.1. Campioni studiati

52

4.4.2. Dati chimici

53

4.4.3. Dati strutturali

53

4.4.4. Classificazione dei campioni studiati

55

5. Depositi a pirite ± barite ± ossidi di ferro

56

5.1. Introduzione

56

5.2. Miniera di Buca della Vena (Stazzema)

58

5.2.1. Cenni geologici

60

5.2.2. Campioni studiati

61

5.2.3. Dati chimici

64

5.2.4. Dati strutturali

65

5.2.5. Classificazione dei campioni studiati

69

5.3. Miniera del Canale della Radice (Stazzema)

70

5.3.1. Cenni geologici

71

5.3.2. Campioni studiati

71

5.3.3. Dati chimici

73

5.3.4. Dati strutturali

74

5.3.5. Classificazione dei campioni studiati

75

5.4. Miniera di Fornovolasco (Fabbriche di Vergemoli)

76

5.4.1. Cenni geologici

78

5.4.2. Campioni studiati

79

5.4.3. Dati chimici

80

5.4.4. Dati strutturali

80

5.4.5. Classificazione dei campioni studiati

82

(4)

4   5.5.1. Cenni geologici

87

5.5.2. Campioni studiati

89

5.5.3. Dati chimici

92

5.5.4. Dati strutturali

94

5.5.5. Classificazione dei campioni studiati

98

5.6. Miniera del Pollone (Pietrasanta)

99

5.6.1. Cenni geologici

101

5.6.2. Campioni studiati

103

5.6.3. Dati chimici

105

5.6.4. Dati strutturali

107

5.6.5. Classificazione dei campioni studiati

111

6. Depositi a rame ± argento

112

6.1. Introduzione

112

6.2. Buca dell’Angina e località limitrofe (Stazzema)

113

6.2.1. Cenni geologici

117

6.2.2. Campioni studiati

117

6.2.3. Dati chimici

119

6.2.4. Dati strutturali

120

6.2.5. Classificazione dei campioni studiati

123

7. Depositi a rame ± ferro

124

7.1. Introduzione

124

7.2. “Coppite”, “frigidite” e tetraedrite

127

7.3. Dati e discussioni sulla tetraedrite della miniera del Frigido

129

7.3.1. Dati chimici

129

7.3.2. Dati strutturali

132

7.3.3. Classificazione dei campioni studiati

133

8. Cavità dei marmi

134

8.1. Introduzione

134

(5)

5

 

8.3 Storia degli studi sulla tetraedrite delle cavità dei marmi

139

8.4 Dati e discussioni sui campioni di tetraedrite dei marmi apuani

140

8.4.1. Campioni studiati

140

8.4.2. Dati chimici

142

8.4.3. Dati strutturali

143

8.4.4. Classificazione dei campioni studiati

147

9. Discussioni e conclusioni

148

10. Bibliografia

160

Appendice – Risultati raffinamenti strutturali

172

(6)

6

 

RIASSUNTO

La serie isotipica della tetraedrite è composta ad oggi da dieci specie mineralogiche differenti. Si tratta di solfosali cubici, tipici di giacimenti idrotermali, con formula generale M(2)A

6M(1)(B4C2)X(3)X4S(1)Y12S(2)Z dove

A = Cu+, Ag+, B = Cu+, Ag+, C = Zn2+, Fe2+, Hg2+, Cd2+, Mn2+, Cu2+, Fe3+, X = Sb3+, As3+, Bi3+, Te4+, Y

= S2-, Se2-, Z = S2-, Se2-, □. Tale complessità chimica è dovuta alla flessibilità della struttura che consente

molteplici sostituzioni iso- ed eterovalenti. La contemporanea presenza dei cationi B e C nel sito M(1), con un rapporto atomico fisso 4:2, è legata a motivi di natura elettrostatica e può essere definita come un caso di valency-imposed double site-occupancy.

La presenza di termini della serie della tetraedrite nelle mineralizzazioni ospitate nel Complesso Metamorfico Apuano è nota sin dal XVIII secolo. Tuttavia mancava uno studio sistematico di tali specie. Nell’ambito di questo lavoro di tesi sono stati eseguiti studi cristallochimici su trentuno campioni, provenienti dalle differenti tipologie di mineralizzazioni presenti nelle Alpi Apuane. Questi studi sono stati eseguiti attraverso l’utilizzo di analisi chimiche con sistema SEM-EDS e diffrattometria di raggi X da cristallo singolo, con lo scopo di comprendere la variabilità chimica delle specie appartenenti a questa serie.

I risultati ottenuti mostrano la variabilità chimica dei membri della serie isotipica della tetraedrite presenti nelle mineralizzazioni studiate. Seguendo l’attuale nomenclatura in uso per la loro classificazione, si possono individuare quattro distinte specie: tetraedrite, tennantite, argentotetraedrite ed argentotennantite. Tuttavia, riconoscendo l’importanza del ruolo svolto dai cationi C nella struttura di questi minerali, riteniamo che anche la natura di tali elementi debba essere utilizzata a fini classificativi. In tal modo si ottiene un quadro più completo relativo alla variabilità chimica delle tetraedriti apuane che corrispondono ai seguenti termini: “tetraedrite-(Fe)”, “tetraedrite-(Zn)”, ”tetraedrite-(Hg)”, “tennantite-(Zn)”, “argentotetraedrite-(Fe)” ed “argentotennantite-(Fe)”. Questa classificazione non solo consente di descrivere compiutamente la cristallochimica dei campioni studiati ma riflette anche la complessità geochimica delle mineralizzazioni apuane.

(7)

7

 

ABSTRACT

The tetrahedrite isotypic series is formed by ten different mineral species. It is a group of cubic sulfosalts, characteristic of hydrothermal ore deposits, having general formula M(2)A

6M(1)(B4C2)X(3)X4S(1)Y12S(2)Z where

A = Cu+, Ag+, B = Cu+, Ag+, C = Zn2+, Fe2+, Hg2+, Cd2+, Mn2+, Cu2+, Fe3+, X = Sb3+, As3+, Bi3+, Te4+, Y

= S2-, Se2-, Z = S2-, Se2-, □. This chemical complexity is related to the structural flexibility allowing several

iso- and heterovalent substitutions. The simultaneous occurrence of B and C cations at the M(1) site, with a fixed atomic ratio of 4:2, is related to electrostatic reasons and can be defined as a case of valency-imposed double site-occupancy.

The occurrence of members of the tetrahedrite series in the ores hosted in the Apuan Alps Metamorphic Complex has been known since the XVIII Century. However, a systematic study of these species was lacking. In the framework of this thesis, a crystal-chemical investigation on thirty-one samples collected in the different kinds of ore deposits from the Apuan Alps was performed. This study was carried out through the collection of chemical data (by means of SEM-EDS system) and single-crystal X-ray diffraction, with the aim to achieve a better knowledge of the chemical variability of the species belonging to this series.

Our results show the chemical variability of the members of the tetrahedrite isotypic series occurring in the studied occurrences. Following the current nomenclature, four distinct species can be identified: tetrahedrite, tennantite, argentotetrahedrite, and argentotennantite. However, taking into account the role played by C cations in the crystal structure of these minerals, we suggest to use the nature of these elements for classification purposes. In this way, a clearer picture of the chemical variability shown by tetrahedrite isotypes from Apuan Alps can be obtained. The following species can be distinguished: “tetrahedrite-(Fe)”, “tetrahedrite-(Zn)”, “tetrahedrite-(Hg)”, “tennantite-(Zn)”, “argentotetrahedrite-(Fe)”, and “argentotennantite-(Fe)”. This classification allows to fully describe the crystal-chemistry of the studied samples; moreover, this complex crystal-chemistry mirrors the geochemistry variability of the ore deposits from Apuan Alps.

(8)

8

1

INTRODUZIONE

Le Alpi Apuane rappresentano una zona privilegiata per studiare le parti più profonde della catena appenninica, qui rappresentate dalle rocce del Complesso Metamorfico Apuano. Tali rocce ospitano delle mineralizzazioni di natura idrotermale, le quali hanno raggiunto l’attuale assetto strutturale e mineralogico durante gli eventi tettono-metamorfici alpini.

La grande varietà di mineralizzazioni presenti nelle Alpi Apuane, così come la lunga storia geologica che le ha interessate, sono all’origine della ricca varietà di specie mineralogiche differenti identificate in questo settore di Appennino Settentrionale. Fra le oltre 300 specie mineralogiche qui identificate, 33 specie mineralogiche sono state scoperte qui per la prima volta al mondo. Di esse, 21 appartengono alla classe dei solfosali, particolari solfuri complessi contenenti tipicamente Pb, Hg, Tl, Ag, Cu, As, Sb e Bi. Pertanto le Alpi Apuane possono essere considerate nel loro insieme una località di riferimento per lo studio dei solfosali in ambiente metamorfico.

In questa tesi ci soffermeremo sullo studio della serie isotipica della tetraedrite, un gruppo di solfosali relativamente frequente nelle mineralizzazioni idrotermali. Il loro interesse è legato alla grande variabilità chimica che li contraddistingue, variabilità consentita dalla flessibilità strutturale di questi minerali. La presenza di membri della serie della tetraedrite nelle mineralizzazioni delle Alpi Apuane è nota a partire dalla fine del XVIII secolo (Targioni Tozzetti, 1773). Da quel momento in poi molti autori ne hanno segnalato il ritrovamento in diverse località di questo massiccio montuoso. Tuttavia, ad oggi manca uno studio sistematico di questo gruppo di minerali.

Scopo di questa tesi è quindi quello di fornire una caratterizzazione cristallochimica dei minerali della serie isotipica della tetraedrite presenti nelle mineralizzazioni idrotermali delle Alpi Apuane, attraverso analisi chimiche e diffrattometriche a raggi X, in modo tale da comprenderne la complessità cristallochimica. L’accurata caratterizzazione di queste specie non solo consente di approfondire le conoscenze cristallochimiche su questo gruppo di minerali ma può anche fornire utili indizi sulle condizioni fisico-chimiche del loro ambiente di formazione, aggiungendo ulteriori dati al quadro delle conoscenze sulla formazione delle mineralizzazioni apuane.

(9)

9

 

2

I SOLFOSALI

2.1

C

OSA SONO I SOLFOSALI

Il termine “solfosale” indica una famiglia di solfuri complessi. Il nome fu coniato dai chimici del XIX secolo per l'analogia presentata con i sali dell'ossigeno (solfati, fosfati, arseniati, antimoniati, arseniti e antimoniti). Nei solfosali il ruolo dell'ossigeno è svolto dallo zolfo, il quale si combina con diversi cationi per formare anioni complessi (Moëlo et al., 2008).

I solfosali sono calcogenosali con formula chimica generale: (Me+, Me2+, etc.)

x[(Bi, Sb, As)3+, Te4+]y[(S, Se, Te)2-]z

in cui un calcogeno (S2-, Se2- Te2-) si combina ad uno o più cationi metallici o semimetallici. In Tabella

2.1 sono elencati diversi tipi di calcogenosali, suddivisi in base all'anione dominante, accompagnati da esempi dei relativi minerali, alcuni dei quali sono mostrati in Fig. 2.1. I composti contenenti S sono relativamente comuni mentre quelli con Se e Te sono estremamente rari o addirittura eccezionali.

TABELLA 2.1– Differenti tipi di solfosali (in corsivo) e calcogenosali correlati

Anioni Cationi Nome chimico Esempi minerali

S 2-As3+ solfoarseniti tennantite Sb3+ solfoantimoniti boulangerite Bi3+ solfobismutiti cosalite Te4+ solfotelluriti goldfieldite P5+ solfofosfato - As5+ solfoarseniato enargite Sb5+ solfoantimoniato famatinite Bi5+ - - Te6+ - - Sn4+ solfostannato stannite Ge4+ solfogermanato briartite V5+ solfovanadato sulvanite Mo6+ solfomolibdato hemusite W6+ solfotungstato kiddcreekite Se 2-As3+ selenio-arseniti giraudite Sb3+ selenio-antimoniti hakite Bi3+ selenio-bismutiti bohdanowiczite Sb5+ selenio-antimoniato permingeatite Te2- Bi3+ telluro-bismutiti volynskite

(10)

10

 

Figura 2.1 – Alcuni esempi di calcogenosali. (a) tennantite, cristallo equidimensionale superficialmente iridescente. Valle di Binn, Svizzera. Area inquadrata: 2 mm. (b) boulangerite, cristalli aciculari grigi. Apollo mine, Raubach, Germania. Area inquadrata: circa 2 cm; (c) sulvanite, cristallo prismatico di 1 mm, Carrara, Italia; (d) cristalli prismatici striati neri di enargite fino a 2 mm. Cave Madielle, Massa, Italia; (e) hakite, massa microcristallina argentea. Předbořice, Repubblica Ceca. Area inquadrata: circa 2 mm (foto da www.mindat.org).

Il termine “solfosali” è limitato ad un gruppo di calcogenosali aventi come anione S2- e contenenti As3+

(solfoarseniti), Sb3+ (solfoantimoniti), Bi3+ (solfobismutiti) e Te4+ (solfotelluriti).

I solfosali sono caratterizzati da una chimica a volte molto complessa, in cui elementi minori giocano un ruolo fondamentale per la stabilizzazione delle specie (es., il Cl- nella dadsonite, Pb

23Sb25S60Cl).

Anche qualora gli elementi minori non rivestano alcun ruolo per la stabilizzazione di una struttura, è sempre consigliabile la loro analisi poiché possono dare importanti informazioni sulla geochimica dell’ambiente di formazione e sulla metallogenesi regionale.

La complessità chimica è principalmente dettata dalle molteplici sostituzioni (omovalenti ed eterovalenti) che possono avvenire, sia a livello cationico che anionico (Tab. 2.2).

(11)

11

 

TABELLA 2.2– Possibili meccanismi di sostituzione chimica osservati nei solfosali naturali

Sostituzioni anioniche S 2-↔Se 2-(Se,S)2-→Te 2-Sostituzioni cationiche Bi3+↔Sb3+ Sb3+↔As3+ As3+→Bi3+ 3Pb2+→2Bi3++□ 2Pb2+↔Ag++Bi3+ 2Pb2+↔Ag++Sb3+ Fe2+↔Zn2+↔Mn2+↔Cd2+↔Hg2+ Ag+↔Cu+

2Fe2+↔Fe3++Cu+

Fe3++Cu+↔2Cu2+

(Fe2+,Zn2+...)+(As,Sb)3+↔Cu++Te4+

Cu++(Sb,As)3+↔□+Te4+

La complessità chimica rispecchia una generale complessità strutturale caratterizzante i solfosali. Nel caso di strutture complesse si può ricorrere all’analisi modulare per la loro descrizione. Tale analisi è basata sulla individuazione di sotto-unità strutturali denominate "building blocks" le quali si uniscono per formare una struttura tridimensionale. Queste unità strutturali posso essere di diversi tipi (Moëlo et al., 2008):

 0D: frammenti, molecole, cluster;  1D: catene, rods, nastri o colonne;  2D: layer, fogli, slabs;

 3D: caso in cui l’intera struttura approssima un archetipo.

Con il termine “archetipo” si intende quella struttura semplice che racchiude tutte le fondamentali proprietà geometriche e di legame atomico tipiche di una certa struttura. Due principali tipi di strutture archetipo sono riconosciute nei solfosali: tipo PbS, caratteristica di fasi nelle quali il semimetallo presenti una bassa attività del doppietto elettronico spaiato (lone-pair) oppure tipo SnS, nel caso in cui si abbia un lone-pair attivo ed in grado di distorcere la struttura. In altri solfosali, come ad esempio quelli appartenenti alla serie della tetraedrite, l’eccesso di cationi a piccolo raggio ionico (es., Cu, Ag) induce la formazione di impalcature tetraedriche con i semimetalli ospitati nelle cavità della struttura.

Per mostrare la complessità strutturale tipica di molti solfosali, illustriamo brevemente tre tipologie di solfosali caratterizzati dalla presenza di una, due o tre unità strutturali (Fig. 2.2):

 un solo tipo di building blocks. Ne è un esempio la struttura della boulangerite, Pb5Sb4S11,

costituita da un blocco principale che coinvolge delle unità strutturali, chiamate rods, a forma di losanga che si estendono infinitamente lungo [001] (Ventruti et al., 2012);

(12)

12

 

 due tipi di building blocks. Un esempio è dato dalla struttura della marcobaldiite, Pb12(Sb3As2Bi)6S21, formata dall'alternanza 1:1 di due tipi diversi di strati ottaedrici distorti. Il

primo è composto da 4 ottaedri (N = 4), in maniera simile a quanto osservato nella coppia jordanite/geocronite, mentre l'altro, spesso 3 ottaedri (N = 3), simile alla kirkiite. Questi strati sono separati da uno strato formato da prismi trigonali centrati da Pb e piramidi di As (Biagioni

et. al., 2018a);

 tre distinti building blocks: Si tratta di strutture estremamente complesse, un esempio delle quali è della chovanite, Pb28Sb30S72O (Biagioni & Moëlo, 2017a), la cui struttura, definita boxwork, è

formata da tre tipi di moduli: i “muri” (C1+C2), le “partizioni” (A) e gli “elementi riempitivi” (B).

Figura 2.2 – Alcuni esempi di strutture di solfosali con diverso numero di building bloks. In senso orario: boulangerite, marcobaldiite e chovanite.

2.2

A

PPLICAZIONI TECNOLOGICHE DEI SOLFOSALI

Lo studio delle proprietà termodinamiche e delle proprietà fisiche dei solfosali ha permesso di comprendere le loro potenzialità di impiego in diversi ambiti tecnologici (Dittrich et al., 2009). Fra le proprietà sfruttabili possiamo ricordare la reversibilità del passaggio di stato dalla fase amorfa alla fase cristallina, la capacità di formare film di spessore molto sottile, l’anisotropia nella velocità di crescita dei cristalli (che permette la formazione di cristalli con un alto rapporto d’aspetto, anche superiore a 1000 – Fig. 2.3) ed infine le affinità con i semiconduttori.

(13)

13

 

Figura 2.3 – Aggregato tubulare di robinsonite, formato dall’avvolgimento di micrometrici individui nastriformi. Miniera di Monte Arsiccio. Foto SEM C. Biagioni.

I più importanti settori di applicazione risultano essere i seguenti (Dittrich et al., 2009):

1. costruzione di pannelli fotovoltaici, grazie all’alto coefficiente di assorbimento nella regione del visibile dello spettro solare che ne consente l’uso sotto forma di sottili film nelle celle solari; 2. termoelettrica;

3. memorie riscrivibili, sfruttando il passaggio di stato (reversibile) dallo stato amorfo a quello cristallino che avviene a basse temperature (100° - 200°C), apportando insignificanti variazioni di volume;

4. catalizzatori, sintetizzando delle microsfere di composizione AgBiS2 tramite l’uso di glicole

polietilenico (PEG), usate come catalizzatori per la produzione di silano;

5. detector raggi X, in virtù dell’alta densità, di un numero atomico medio di 71, e di una banda di conduzione sopra i 2.2 eV;

(14)

14

 

2.3

L

A SERIE ISOTIPICA DELLA TETRAEDRITE

I minerali appartenenti alla serie isotipica della tetraedrite sono i solfosali più comuni dei depositi idrotermali. Il termine “isotipismo” indica la natura isostrutturale di questi composti. La complessità chimica di questa serie è dovuta alla flessibilità della struttura che consente di accogliere molteplici sostituzioni iso- ed eterovalenti. Il gruppo viene spesso descritto con il nome di “Fahlores” (King, 2001), nome tecnico derivante dall’antico termine tedesco “fahlerz” (fahl = colore della polvere, erz = colore grigio-nero) assegnato al minerale nel 1758 dal chimico e mineralogista svedese Axel Fredrik Cronstedt (1722–1765).

Si tratta di fasi che assumono colorazioni dal grigio acciaio al nero, con lucentezza metallica e frattura concoide. I minerali del gruppo della tetraedrite cristallizzano nel sistema cubico, nella classe di simmetria -43m. La morfologia dei cristalli è generalmente tetraedrica (Fig. 2.4); comuni i geminati di contatto o compenetrazione secondo il tetraedro {111}.

Figura 2.4 – Tipica morfologia di un cristallo di tetraedrite, con facce di tetraedro {111} e triacistetraedro {211}. Hérault, Francia (foto da www.mindat.org).

2.3.1 La struttura

La struttura della tetraedrite fu inizialmente risolta da Machatschki (1928a, 1928b) assumendo come composizione ideale Cu3SbS3. Egli notò una certa similitudine tra il diffrattogramma di polveri della

tetraedrite e quello della sfalerite. Successivamente Pauling & Neumann (1934), basandosi su questa osservazione, risolsero la struttura andando a descrivere la complicata relazione tra i due minerali e dedussero che la struttura della tetraedrite derivasse da una substruttura tipo sfalerite. Essi inoltre

(15)

15

 

definirono la composizione ideale come Cu12Sb4S13. Una descrizione accurata della struttura della

tetraedrite fu infine riportata da Wuensch (1964).

La tetraedrite cristallizza nel sistema cubico, gruppo spaziale I-43m. La sua struttura presenta tre siti cationici indipendenti [M(1), M(2), X(3)] e due siti anionici [S(1), S(2)] (Fig. 2.5):

 M(1), con posizione di Wyckoff 12d, con coordinate atomiche (¼, ½, 0);  M(2), con posizione di Wyckoff 12e, e coordinate atomiche (x, 0, 0);  X(3), con posizione di Wyckoff 8c, e coordinate atomiche (x, x, x);  S(1), con posizione di Wyckoff 24g, e coordinate atomiche (x, x, z);  S(2), con posizione di Wyckoff 2a, e coordinate atomiche (0, 0, 0).

Figura 2.5 – I siti indipendenti nella struttura della tetraedrite.

La formula strutturale del gruppo delle tetraedriti può essere scritta pertanto come [III]M(2)

6[IV]M(1)6X(3)4S(1)12S(2)

(Z = 2).

In tale struttura, il sito M(1) è coordinato tetraedricamente da quattro siti S(1). Il sito M(2) assume coordinazione triangolare planare ed è coordinato da due siti S(1) e da un sito S(2), mentre il sito X(3) presenta una coordinazione trigonale piramidale con tre siti S(1). La coordinazione del sito X(3) è asimmetrica a causa dell’attività del doppietto elettronico spaiato. I siti anionici S(1) e S(2), assumono rispettivamente coordinazione tetraedrica ed ottaedrica (Fig. 2.5). Il sito S(2) è ospitato all’interno di una cavità

(16)

16

 

strutturale avente la forma di un tetraedro troncato, noto come poliedro di Laves (Fig. 2.6) e presente all’interno di una impalcatura tridimensionale formata dai poliedri M(1), uniti fra loro per condivisione di vertici (Fig. 2.7).

Figura 2.7 – La struttura della tetraedrite, vista lungo [111].

2.3.2 La variabilità chimica

La struttura della tetraedrite risulta abbastanza flessibile chimicamente, in quanto può ospitare atomi a diverso raggio ionico (da piccolo a medio) e aventi carica variabile (da +1 a +4). La presenza di vacanze o atomi interstiziali è stata confermata da dati strutturali. Le sostituzioni possono avvenire anche a livello anionico, con la sostituzione dello S da parte del Se o tramite la formazione di una vacanza. La tetraedrite è stata definita “solfo-anfibolo” in virtù dell’ampia variabilità di possibili sostituzioni chimiche che possono essere accomodate dalla sua struttura (Sack & Loucks, 1985).

La formula semplificata può essere scritta come M(2)A

(17)

17   A = Cu+, Ag+, □; B = Cu+, Ag+; C = Zn2+, Fe2+, Hg2+, Cd2+, Mn2+, Cu2+, Fe3+; X = Sb3+, As3+, Bi3+, Te4+; Y = S2-, Se2-; Z = S2-, Se2-, □.

Johnson et al. (1986) esaminarono 1271 campioni naturali e 295 campioni sintetici di tetraedrite per poterne definire l'intervallo di variabilità chimica per i seguenti elementi: Cu, Ag, Fe, Zn, Hg, Cd, As, Sb, Bi, S, Pb, Te, Mn e Se. Circa l'85% dei campioni studiati mostrarono un contenuto di anioni (S+Se) di 13 atomi per unità formula (apfu).

Per quanto riguarda i cationi trivalenti (Sb+As+Bi) fu evidenziato un contenuto massimo di 4 apfu. Inoltre venne confermata l’esistenza di una soluzione solida completa tra Sb e As (Fig. 2.8). Il contenuto in Bi è limitato.

Il contenuto in Cu+Ag osservato nella maggior parte dei campioni studiati fu di 10 apfu (componenti A+B). Analizzando il contenuto di Cu nelle tetraedriti naturali,

Johnson

et al.

(1986) descrissero tre trend distinti, aventi 4, 5 e 6 atomi di Cu nel sito M(1), per un totale di 10, 11 e 12 atomi A+B. Come si nota in Fig. 2.9, il trend più popolato corrisponde ad un contenuto di 10 apfu.

Inoltre, lo studio di campioni di tetraedriti argentifere (Riley, 1974) ha mostrato una correlazione diretta tra l'espansione del parametro di cella a ed il contenuto in

Figura 2.8 – Numero di atomi di Sb vs numero di atormi di As in campioni naturali di tetraedriti (da Johnson et al., 1986).

Figura 2.9 – Numero di atomi di Ag vs numero di atomi di Cu per campioni naturali di tetraedrite. Le linee tratteggiate andando dall’alto verso il basso rappresentano contenuti di Cu, nel sito M(1), pari a 6,5,4 atomi rispettivamente (da Johnson et al., 1986).

(18)

18

 

Ag fino ad un massimo di 4 apfu; campioni con contenuto maggiore di 4 Ag pfu mostrarono invece una contrazione del parametro di cella (Fig. 2.10).

 

Figura 2.10 – Atomi di Ag vs parametro di cella in campioni naturali di tetraedriti (modificato da Johnson et al., 1986).

La presenza dei cationi bivalenti (Fe, Hg, Zn, Cd e Mn), è limitata ad un massimo di 2 apfu (Fig. 2.11).

(19)

19

 

2.3.3 Specie appartenenti alla serie della tetraedrite

Ad oggi l’IMA-CNMNC riconosce dieci specie mineralogiche appartenenti alla serie della tetraedrite (Tab. 2.3). Fra di esse, l’annivite è considerata questionabile e non sarà discussa nel prosieguo.

TABELLA 2.3– Membri della serie isotipica della tetraedrite

A B,C X Y Z Tetraedrite Cu6 Cu4(Fe,Zn)2 Sb4 S12 S Tennantite Cu6 Cu4(Fe,Zn)2 As4 S12 S Freibergite Ag6 Cu4Fe2 Sb4 S12 S1-x Argentotennantite Ag6 Cu4(Fe,Zn)2 As4 S12 S Argentotetraedrite Ag6 Cu4(Fe,Zn)2 Sb4 S12 S Rozhdestvenskayaite Ag6 Ag4Zn2 Sb4 S12 S Goldfieldite Cu4□2 Cu6 Te4 S12 S Hakite Cu6 Cu4Hg2 Sb4 Se12 Se Giraudite Cu6 Cu4(Fe,Zn)2 As4 Se12 Se Tetraedrite

Questa specie fu così chiamata da Wilhelm Karl von Haidinger (1845) in seguito alla caratteristica morfologia tetraedrica dei cristalli. La tetraedrite è un minerale tipico dei depositi idrotermali, spesso in associazione con altri solfuri (Fig. 2.12a) e con minerali di ganga (es. carbonati - Fig. 2.12 a,b,d). Talvolta, può formare aggregati monomineralici (Fig. 2.12c).

Figura 2.12 – Alcuni campioni di tetraedrite. (a) Cristalli tetraedrici associati calcopirite e calcite. Cavnic Mine, Maramureş, Romania. Dimensioni del campione: 6.6×3.7 cm; (b) tetraedrite associata a rodocrosite e quarzo. Pasto Bueno, Ancash, Perù. Area inquadrata: 1.3 cm; (c) cristalli tetraedrici color bronzeo. Casapalca, Lima, Perù. Dimensioni del campione: 13×10 cm; (d) cristallo geminato di tetraedrite, superficialmente iridescente. Mas Dieu, Francia. Area inquadrata: 2.3 mm (foto da www.mindat.org).

(20)

20

 

Nel passato questa specie è stata descritta con diversi nomi: originariamente chiamata “argentum rude

album” da Agricola (1546), fu successivamente indicata come “Fahlerts” da Johan Gottschalk Wallerius

(1747), mentre Axel Cronstedt (1758) utilizzò la parola tedesca “Fahlerz” in relazione al colore grigio nero del minerale. Il nome “tetraedrite” fu introdotto da Haidinger (1845).

La natura chimica del campione originariamente descritto da Haidinger (1845) non è nota; egli fa riferimento alla presenza di Fe e Zn nella tetraedrite. Questi due elementi, assieme a Cu2+, sono i più

comuni metalli bivalenti presenti nella tetraedrite. Un altro catione divalente noto nelle tetraedriti è il Hg. Il comportamento del Fe nelle tetraedriti è stato studiato da diversi autori (Makovicky et al., 1990; Makovicky et al., 2003; Andreasen et al., 2008; Nasonova et al., 2016). Studi Mössbauer hanno permesso di capire come avviene la sostituzione del Cu da parte del Fe nel sito M(1). Inizialmente viene

incorporato Fe3+, fino a che, giunti ad un livello di sostituzione tale che la formula risulti

M(2)Cu

6M(1)(Cu5.5Fe0.5)(Sb,As)4S13, comincia ad essere incorporato Fe2+; da questo momento si innesca una

graduale conversione del Fe3+ in Fe2+ che cessa nel momento in cui si raggiunge la composizione finale M(2)Cu

6M(1)(Cu4Fe2)(Sb,As)4S13 (Makovicky et al., 1990, Makovicky et al., 2003).

La struttura della tetraedrite fu raffinata da Wuensch (1964) utilizzando un cristallo proveniente da Horhausen, Westerwald, Germania.

Tennantite

Il nome tennantite le fu attributo in onore del chimico inglese Smithson Tennant (1761-1819). La si ritrova spesso in cristalli in cavità di vene idrotermali, associata ad altri solfuri e solfosali (Fig. 2.13).

Figura 2.13 _ Alcuni campioni di tennantite. (a) Cristallo di tennantite in ina cavità delle vene di dolomite. Cava di Lengenbach, Valle di Binn, Svizzera. Area dell’immagine: 1.4 mm; (b) cristallo di tennantite con calcopirite epitattica. Knöttel, Ústí, Repubblica Ceca. Dimensioni del cristallo: circa 2 mm,; (c) tennantite su baumhauerite. Cava di Lengenbach, Valle di Binn, Svizzera. Area dell’immagine: 3 mm (foto da www.mindat.org).

(21)

21

 

La tennantite fu descritta per la prima volta dai fratelli W. Phillips & R. Phillips (1819) su campioni provenienti dalla Cornovaglia, Inghilterra. R. Phillips (1819) basandosi sui dati ricavati dall’analisi chimica per via umida definì Cu, Fe, As e S quali costituenti essenziali di questo minerale. Da ciò si evince che il minerale, da loro analizzato, avesse la seguente composizone: Cu6(Cu4Fe2)As4S13.

Nonostante Pauling & Neuman (1934) abbiano proposto un modello strutturale di questo il minerale, la struttura della tennantite è stata raffinata da Wuensch et al. (1966) utilizzando un cristallo di “binnite”, nome indicante una varietà morfologica di tennantite proveniente dalla cava di Lengenbach, valle di Binn, Svizzera. Il campione aveva una composizione Cu6(Cu4Zn2)As4S13.

Ferro e Zn sono i cationi divalenti dominanti più comuni nelle tennantiti; essi definiscono le due composizioni end-member: Cu6(Cu4Fe2)As4S13 e Cu6(Cu4Zn2)As4S13. Mozgova et. al. (1979) riportarono

la presenza di tennantite con 2 apfu di Hg., corrispondente ad una composizione ideale Cu6Cu4Hg2As4S13.

Freibergite

Il termine freibergite fu utilizzato per la prima volta da Kenngott (1853) per indicare una tetraedrite ricca in Ag proveniente da Freiberg, Sassonia, Germania.

La definizione della freibergite è stata fortemente dibattuta, in quanto facilmente confondibile con tetraedriti ricche in Ag o argentotetraedriti. Kalbskopf (1972) infatti raffinò una tetraedrite ricca in Ag (con circa 13 wt% Ag) anzichè una freibergite come da lui indicato; ad ogni modo questo studio consentì di osservare che l'Ag entra preferenzialmente nel sito M(2). Successivamente Peterson & Miller (1986) raffinarono la struttura di un altro esemplare di freibergite proveniente da Keno Hill, Yukon, Canada. Tale campione è stato recentemente ridefinito come argentotetraedrite da Welch et al. (2017a). A partire dagli studi di Riley (1974), molti autori riportarono che l'aumento del contenuto in Ag nella freibergite fosse accompagnato da una diminuzione del parametro di cella a e da un aumento del contenuto di vacanze nel sito S(2). Al contrario, la sostituzione del Cu da parte dell'Ag, nella serie tetraedrite-tennantite, induce un regolare aumento del parametro di cella a. Solo quando il contenuto di Ag supera i 4 apfu (circa il 23 wt%) il parametro di cella diminuisce. Tale comportamento si osserva tipicamente nella freibergite, il cui parametro di cella risulta essere a=10.56 Å.

La struttura della freibergite fu risolta per la prima volta da Rozhdestvenskaya et al. (1993) indicando che nel sito M(2) il Cu è quasi totalmente sostituito da Ag. Il sito S(2) viene progressivamente svuotato, permettendo la formazione di clusters ottaedrici (Ag6)4+ aventi legame metallico. La formula risultante è

Ag6Cu4Fe2Sb4S12. La freibergite può essere considerata una specie distinta dalla argentotetraedrite.

Moëlo et al. (2008) riportano la formula ideale come (Ag4+2xCu2-2x)[(Cu,Ag)4(Fe,Zn)2]Σ6Sb4S12S1-x (0 < x <

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22

 

Argentotennantite

L'argentotennantite fu descritta per la prima volta da Spiridonov et al. (1986a) utilizzando un grano di piccole dimensioni proveniente dal deposito di Kvartsitoviye Gorki, Kazakhstan. Nella località tipo il minerale di trova in associazione con altri membri della serie della tetraedrite. Ad oggi la struttura non è ancora stata risolta. La formula chimica ricavata dall'olotipo è (Ag5.67Cu0.33)(Cu4.15Zn1.52Fe0.37Pb0.01Cd0.01)(As2.14Sb1.89)S12.90. Idealmente può essere scritta come

Ag6(Cu4Zn2)As4S13

Argentotetraedrite

L'argentotetraedrite fu descritta per la prima volta da Spiridonov et al. (1986b), sulla base di analisi chimiche ottenute in microsonda elettronica, come una argentotennantite ricca in Sb. Più tardi, Zhdanov et al. (1992) esaminarono un end-member di solo Ag, con formula ideale Ag6Ag4(Fe,Zn)2Sb4S13

misurando un parametro di cella a = 10.92 Å. Nessuna proposta formale fu presentata alla CNMCN. Moëlo et al. (2008) riportano questa specie come un membro della serie della tetraedrite, andando però a sottolineare che sarebbe necessaria una ridefinizione formale da parte della CNMNC. Pertanto, Welch

et al. (2017a) hanno ridefinito l'argentotetraedrite, con formula semplificata Ag6Cu4(Fe,Zn)2Sb4S13,

utilizzando un campione proveniente dal deposito a Ag-Pb-Zn di Keno Hill, Yukon, Canada.

Rozhdestvenskayaite

La rozhdestvenskayaite è stata descritta recentemente da Welch et al. (2017b) come un termine della serie isotipica della tetraedrite, avente formula Ag6Ag4Fe2Sb4S13. La località tipo del minerale è la miniera

di Moctezuma, Sonora, Messico. Foit & Ulbricht (2001) hanno descritto campioni provenienti da O’Keefe, Oregon, USA, nei quali il catione bivalente dominante è rappresentato da Hg; la composizione dell’end-member mercurifero risulta Ag6Ag4Hg2Sb4S13. Zhdanov et al. (1992) esaminarono

un esemplare avente Fe dominante in M(1), definito dalla composizione Ag6Ag4Fe2Sb4S13.

Goldfieldite

La goldfieldite, proveniente dalla miniera di Mohawk, Goldfield, Nevada, USA, fu inizialmente identificata da Sharwood (1907) e successivamente descritta da Ransome (1909).

La sua reale natura fu molto dibattuta e fu Thompson (1946) a confermare l’appartenenza del minerale alla serie della tetraedrite. Kato & Sakurai (1970) e Kalbskopf (1974) capirono che il Te non sostituisce lo S, bensì si comporta come As e Sb nella serie tetraedrite-tennantite. Kese (1986) propose che la sostituzione di trivalenti come As e Sb da parte del Te4+ fosse compensata dall'aumento di monovalenti

(per lo più Cu) da 10 a 12 apfu a spese dei bivalenti (es: Fe, Zn) attraverso la seguente sostituzione doppia: Te4++Cu+→Sb3++(Fe,Zn)2+.

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23

 

Quanto appena detto è valido per contenuti di Te fino a 2 apfu; per contenuti maggiori, secondo alcuni autori (Dmitrieva et al., 1987), il bilancio di carica è mantenuto andando a creare delle vacanze in M(2), attraverso il seguente meccanismo sostitutivo: Te4++→Sb3++Cu+. Tale ipotesi è stata confermata da

Trudu & Knittel (1998).

Hakite

L'hakite è un seleniosale descritto per la prima volta da Johan & Kvaček (1971) sotto forma di grani anedrali con dimensioni fino a 300 μm, in un campione proveniente da Předbořice, Boemia, Repubblica Ceca. Johan & Kvaček (1971) proposero l'esistenza di una soluzione solida estesa tra hakite e tetraedrite. Škácha et al. (2016) hanno descritto campioni di hakite provenienti da Příbram, Boemia, Repubblica Ceca. Essi sottolineano la presenza di esemplari con diversa composizione chimica, caratterizzati da diversi cationi bivalenti dominanti (Hg2+, Zn2+ e Cd2+). Tali varietà composizionali sono

state indicate da questi autori con i nomi “Hg-hakite”, “Zn-hakite”, e “Cd-hakite”, le cui composizioni sono rispettivamente Cu6(Cu4Hg2)Sb4Se13, Cu6(Cu4Zn2)Sb4Se13, and Cu6(Cu4Cd2)Sb4Se13. La risoluzione

della struttura della “Hg-hakite” confermò la relazione isotipica con la tetraedrite e la presenza di Hg2+

nel sito M(1).

Giraudite

Il minerale venne descritto per la prima volta da Johan et al. (1982). Essi descrissero tre nuovi minerali (geffroyite, chaméanite, giraudite) ritrovati nel deposito uraninifero a seleniuri e solfuri di Chaméane, Puy-de-Dôme, Francia. Gli autori definirono la giraudite, come l'analogo di As dell'hakite, con formula ideale Cu6Cu4Zn2As4Se13. La sua struttura non è ad oggi stata risolta.

 

2.4

V

ERSO UNA NUOVA NOMENCLATURA DELLA SERIE DELLA TETRAEDRITE

Hawthorne (2002) ha proposto che le formule dei minerali debbano essere espresse tramite la loro composizione end-member. Tale composizione deve seguire le seguenti regole:

a) la formula chimica deve essere fissa, non sono possibili variazioni chimiche;

b) la formula end-member deve essere compatibile con la struttura cristallina del minerale;

c) la composizione chimica di ogni sito dev’essere fissata; una formula end-member, se necessario ad ottenere la neutralità delle cariche, può prevedere al più la presenza di due cationi o anioni (con rapporto fissato) all’intero di un singolo sito strutturale. Non è consentita la presenza di due cationi o anioni in più siti. Questo perché ogni formula chimica deve essere irriducibile.

Le formule chimiche dei minerali della serie della tetraedrite riportate nell’IMA List of Minerals non seguono questo principio. Ad esempio, la formula della tetraedrite è data come Cu6[Cu4(Fe,Zn)2]Sb4S13,

(24)

24

 

In queste formule, un sito [M(1)] è occupato contemporaneamente da Cu e Fe e da Cu e Zn, ossia da una combinazione di elementi formalmente monovalenti e bivalenti con rapporto fissato a 4:2. La doppia occupanza del sito M(1) è legata a motivi di natura elettrostatica e può essere definita come un caso di valency-imposed double site-occupancy in accordo con Hatert & Burke (2008).

Pertanto, la presenza dei bivalenti non è un aspetto di importanza secondaria, ma svolge un ruolo importante nello stabilizzare la struttura dei membri della serie della tetraedrite. La natura del catione bivalente dominante nei campioni studiati viene generalmente identificata dai vari autori utilizzando dei prefissi (ad es. “Fe-tennantite” e “Zn-tennantite”; Kemkin & Kemkina, 2013) oppure aggiungendo delle descrizioni chimiche tipo “ricca in Zn” o “arricchita in Ag”. Poiché la grande variabilità chimica mostrata dai membri della serie della tetraedrite riflette i processi geologici che ne hanno presieduto la cristallizzazione, una classificazione che consenta di descrivere tale variabilità chimica potrà avere valenza sia per i mineralisti che per i geologi in generale.

Pertanto, tenendo in considerazione soltanto le specie in cui gli anioni Y e Z sono rappresentati da S, potremo usare il root-name “tetraedrite” per quei campioni con Sb dominante in X(3) e “tennantite” per quei campioni con As dominante in tale sito. Se il sito M(2) è dominato da Ag, anziché da Cu, possiamo utilizzo il prefisso “argento” davanti al root-name (es. “argentotetraedrite” o “argentotennantite”). Infine, per tenere conto del catione bivalente dominante presente in M(1), si può introdurre un suffisso riportante il simbolo chimico dell’elemento, posto tra parentesi tonde e separato dal root-name attraverso l’ausilio di un trattino [es., “tetraedrite-(Fe)”, “tetraedrite-(Zn)”].

Nel corso di questa tesi di laurea faremo ricorso a questo approccio nomenclaturale, in modo da poter rendere più chiare le differenze cristallochimiche esistenti fra i campioni studiati. Ciò potrà auspicabilmente consentirci anche di evidenziare eventuali differenze fra i campioni provenienti dalle diverse giaciture studiate.

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25   

3

METODOLOGIE

ANALITICHE

Il presente lavoro di tesi si è articolato in tre fasi:

 esame dei campioni di tetraedrite provenienti dalle mineralizzazioni idrotermali delle Alpi Apuane e conservati nelle collezioni mineralogiche del Museo di Storia Naturale o resi disponibili per studio da collezionisti privati tramite microscopio stereoscopico Zeiss Discovery V8;

 selezione di frammenti per condurre analisi chimiche qualitative e quantitative tramite l’utilizzo di un microscopio elettronico a scansione con sorgente ad emissione di campo FEI Quanta 450 ESEM FEG con sistema microanalitico a dispersione di energia Bruker QUANTAX XFlash Detector 6|10;

 studio con tecniche di cristallo singolo dei cristalli selezionati, tramite diffrattometro per cristallo singolo Bruker Smart Breeze con rivelatore areale CCD.

Secondo l’International Mineralogical Association (IMA), la definizione di minerale è la seguente: “a mineral is

an element or chemical compound that is normally crystalline and that has been formed as a result of geological processes”

(Nickel, 1995). Il loro studio pertanto non può prescindere da indagini chimiche e diffrattometriche, atte a verificarne la composizione chimica e la cristallinità.

Lo studio dei campioni è iniziato con il loro esame alla mesoscala e al microscopio binoculare, finalizzato al riconoscimento delle proprietà fisiche quali colore, lucentezza, frattura, sfaldatura e abito dei cristalli. Questo ha consentito di individuare i campioni potenzialmente appartenenti alla serie della tetraedrite. Sono quindi stati selezionati dei frammenti da sottoporre ad indagini chimiche e diffrattometriche con cristallo singolo. Le fasi associate sono state caratterizzate con l’utilizzo della diffrazione di polveri, usando la camera di Gandolfi o il diffrattometro di polveri in funzione della quantità di materiale disponibile.

Infine, una serie di campioni sono stati inglobati in resina epossidica e lucidati in modo da poter essere sottoposti ad indagini in microscopia elettronica a scansione. Nelle prossime pagine descriveremo brevemente i vari metodi analitici utilizzati nel corso di questa tesi.

(26)

26   

3.1

A

NALISI CHIMICHE

Una delle informazioni necessarie per la caratterizzazione di ogni singolo campione è rappresentata dalla sua composizione chimica. Essa è stata ottenuta tramite l’utilizzo di un microscopio elettronico a scansione con sorgente ad emissione di campo FEI Quanta 450 ESEM FEG con sistema microanalitico a dispersione di energia Bruker QUANTAX XFlash Detector 6|10 (Fig. 3.1) appartenente al CISIM (Centro Interdipartimentale di Scienza ed Ingegneria dei Materiali) dell’Università di Pisa.

Figura 3.1 – Il sistema SEM-EDS utilizzato nel corso di questo lavoro di tesi (da

http://cisim.unipi.it/en/facilities/microscopy/electron-microscopy).

Questo strumento è formato dall’unione di un microscopio elettronico a scansione (SEM, Scanning

Electron Microscope) con un dispositivo per la microanalisi in dispersione di energia (EDS, Energy Dispersive Spectrometry). Questo strumento rappresenta lo stato dell’arte nella caratterizzazione dei

materiali, consentendo di acquisire immagini ad altissimo ingrandimento.

Il campione è irradiato mediante un fascio elettronico sottoposto a una differenza di potenziale di 20 kV. L’interazione elettroni incidenti – campione è all’origine di vari fenomeni che possono essere utilizzati per ottenere informazioni sulla chimica del campione e per raccogliere immagini dettagliate della morfologia superficiale dell’oggetto. Un primo tipo di segnale è costituito dagli elettroni secondari

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27   

(SE, Secondary Electrons); si tratta di elettroni con energia inferiore ai 50 eV, emessi dalla porzione più esterna del campione. Questo tipo di segnale è pertanto usato per lo studio della topografia superficiale del campione stesso. Un altro tipo di segnale è rappresentato dagli elettroni retrodiffusi (BSE,

Back-Scattered Electrons), ossia quella porzione del fascio incidente che è riflessa dal campione. Le loro energie

sono comprese fra 50 eV sino a quella di incidenza. La quantità di BSE emessi dipende, oltre che dalla morfologia della superficie del campione, anche dal numero atomico medio degli atomi costituenti l’esemplare esaminato. Questo fatto consente di individuare eventuali disomogeneità composizionali all’interno del campione studiato. Infine un ulteriore segnale che si origina per l’interazione fra il fascio elettronico e gli atomi del campione è rappresentato da raggi X caratteristici che consentono di conoscere la composizione chimica della porzione di campione bombardata dagli elettroni. Lo spettrometro opera, come detto sopra, in modalità EDS e riceve simultaneamente tutti i fotoni della radiazione X, separandoli successivamente in funzione delle loro energie.

3.2

A

NALISI DIFFRATTOMETRICHE

Oltre alle informazioni di tipo chimico, l’altro dato necessario per la caratterizzazione di ogni singolo campione è rappresentato dalla definizione della sua struttura. Un cristallo è infatti caratterizzato dalla ripetizione, secondo le traslazioni reticolari, di un aggregato di atomi o ioni; la determinazione della struttura del cristallo, quindi, implica la definizione sia del periodo di ripetizione, ossia del reticolo, sia della disposizione spaziale degli atomi o ioni che costituiscono il motivo associato a ciascun punto reticolare. La diffrazione di raggi X è un utilissimo strumento per la definizione dei due aspetti ora ricordati attraverso la determinazione delle direzioni di diffrazione e delle intensità delle onde diffratte. Tali direzioni sono funzione degli aspetti geometrici della cella elementare e pertanto dalla conoscenza delle direzioni di diffrazione è possibile ottenere informazioni sul tipo di cella e sulle sue dimensioni. L’intensità delle onde diffratte dipende invece dalla distribuzione spaziale degli elettroni (che sono le entità fisiche che diffondono i raggi X) e pertanto, tramite la misura delle intensità dei singoli riflessi, è possibile ottenere informazioni sulla distribuzione degli atomi (o ioni) all’interno della cella elementare. Le indagini diffrattometriche possono essere eseguite secondo differenti tecniche le quali differiscono per :

 tipologia di sorgente dei raggi X;

 tipologia del campione (polveri o cristallo singolo);  uso di radiazioni poli- o monocromatiche;

 geometria dell’apparecchiatura;

 mezzo di rilevazione (pellicola fotografica, contatori a gas o a scintillazione, rilevatori areali, ecc.).

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28   

Nel corso di questa tesi di laurea, abbiamo utilizzato sorgenti di raggi X convenzionali con radiazione monocromatica e tecniche di cristallo singolo con rivelatore areale CCD. Le tecniche di polveri (Gandolfi, diffrattometria di polveri) sono stati invece impiegati per effettuare l’identificazione delle fasi associate ai membri della serie della tetraedrite.

3.2.1 Diffrattometria di cristallo singolo

Gli studi diffrattometrici di cristallo singolo sono stati condotti usando un diffrattometro Bruker Smart Breeze equipaggiato con un rivelatore areale CCD raffreddato ad aria (Fig. 3.2). Il CCD opera a una temperatura di -25°C. Il generatore è posto a 50 kV e 30 mA, e il campione è irradiato con radiazione Mo Kα monocromatizzata con un cristallo di grafite. Il cristallo da studiare, precedentemente montato su una fibra di vetro o altro materiale amorfo (es. fibra di carbonio), è stato posizionato su una testina goniometrica ed opportunamente posizionato al centro del fascio di raggi X incidenti. Gli effetti di diffrazione così prodotti giungono al rilevatore areale. La distanza di lavoro detector-campione è stata mantenuta a 50 mm per tutti i campioni analizzati. Le scansioni sono fatte muovendo i cerchi ω e φ. Il sistema di acquisizione raccoglie gli effetti di diffrazione consentendone l’indicizzazione dei riflessi e il raffinamento dei parametri di cella, permettendo così l’identificazione del campione in studio. È possibile raccogliere anche i dati di intensità della diffrazione, al fine della soluzione e/o del raffinamento strutturale con opportuni software (es. Shelx-2014 – Sheldrick, 2015).

Figura 3.2 – Il diffrattometro da cristallo singolo utilizzato nel corso di questo lavoro di tesi (da

http://cisim.unipi.it/en/facilities/microscopy/electron-microscopy).

Durante il procedimento di raffinamento della struttura dei campioni di tetraedrite si è partiti dalle coordinate del modello strutturale di Wuensch (1964). L’occupanza dei siti M(1), M(2) e X(3) è stata

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generalmente raffinata usando le curve di diffusione atomica di Cu vs □ nei siti M(1) e M(2) e Sb vs □ per i siti X(3). Nel caso di campioni particolarmente ricchi in Ag si è proceduto a raffinare Ag vs □ nel sito M(2). Dopo una serie di cicli di raffinamento isotropo, si è proceduto a raffinare in maniera anisotropa prima i cationi e successivamente i due siti anionici indipendenti. A causa della natura acentrica della tetraedrite, è stata raffinata la geminazione racemica. La bontà del raffinamento strutturale può essere valutata tenendo in considerazione alcuni fattori di accordo:

R1 = Σ[|Fo| - |Fc|]/Σ|Fo|;

wR2 = {Σ[w(Fo2 – Fc2)2]/Σ[w(Fo2)2]}1/2, con w = 1/σ2(Fo2)+(0.0613Q)2+1.22Q] e Q = [max(Fo2,0) + 2

Fc2]/3.

Inoltre, la consistenza fisica dei modelli strutturali ottenuti è stata verificata comparando la densità elettronica determinata per ogni sito tramite il raffinamento strutturale e quella calcolata sulla base dei dati chimici ottenuti, paragonando le distanze medie osservate con quelle attese sulla base delle occupanze proposte e, infine, calcolando i bilanci delle forze di legame utilizzando i parametri di legame di Brese & O’Keeffe (1991).

3.2.2 Diffrattometria di polvere

Le tecniche diffrattometriche di polveri hanno rappresentato soltanto una parte marginale di questo lavoro di tesi e sono state impiegate per verificare l’identità di alcune fasi associate ai cristalli di tetraedrite.

Due tecniche sono state utilizzate:

 diffrazione con camera Gandolfi (Fig. 3.3);

 diffrazione di polveri con diffrattometro Bruker D2 Phaser (Fig. 3.4).

La tecnica Gandolfi consente di applicare il metodo delle polveri a un cristallo singolo oppure a quantità esigue di materiale, attraverso la rotazione del campione attorno a due assi posti a 45° l’uno dall’altro. La registrazione degli effetti di diffrazione avviene su pellicola; su di essa compaiono archi di circonferenza, simmetrici rispetto ai fori di entrata e di uscita dei raggi X, rappresentanti i coni di diffrazione dei vari piani reticolari. Misurando la distanza, sulla “mezzeria” della pellicola, fra gli archi simmetrici e conoscendo il diametro della camera utilizzata, si risale al valore dell’angolo di diffrazione θ; applicando l’equazione di Bragg si calcola infine il valore della corrispondente distanza dhkl. I tempi di esposizione dei vari campioni sottoposti ai raggi X sono stati variabili, in funzione della qualità degli stessi. In generale i diffrattogrammi sono stati ottenuti tramite esposizione di 48 ore alla radiazione Cu

Kα (λ = 1.54178 Å) con camera Gandolfi di diametro pari a 114.6 mm (Fig. 3.1). Ogni pellicola così

ottenuta è stata sottoposta a scansione a 300 dpi (dots per inch; risoluzione pari a circa 0.05 mm) ed elaborata con il programma X-RAY (O’Neill et al.,., 1993) al fine di ottenere un set di dati “I-2θ”.

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30   

Attraverso una successiva elaborazione con il programma WINFIT (Krumm, 1997) è stato ottenuto un diagramma “I-dhkl” che ci ha consentito di identificare le fasi esaminate.

Figura 3.3 – Camere di Gandolfi (da http://thalmigen.dst.unipi.it/).

Il diffrattometro per polveri Bruker D2 Phaser è stato invece impiegato qualora fosse presente una sufficiente quantità di campione da poter essere opportunamente macinata per produrre una polvere di granulometria opportuna. Il diffrattometro opera a 30 kV, 10 mA, con radiazione Cu Kα e filtro di Ni. Le raccolte sono state eseguite da 4 a 65° in 2θ con geometria θ-θ. Gli effetti di diffrazione sono stati raccolti tramite un rivelatore lineare 1D Lynxeye con il software di acquisizione Diffrac.suite XRD. I diffrattogrammi sono stati interpretati usando il software Diffrac.suite Eva.

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4

I DEPOSITI A PIOMBO±

ARGENTO ± ZINCO

4.1

I

NTRODUZIONE

Il basamento paleozoico delle Alpi Apuane ospita una serie di depositi a piombo, argento e zinco che furono oggetto di coltivazione fino alla fine degli anni Sessanta del XX secolo, raggiungendo il picco di produzione nel corso del XIX secolo (Lattanzi et al., 1994). Fra i vari siti estrattivi, il complesso minerario più importante fu certamente rappresentato dalla miniera del Bottino di Seravezza (Stazzema) (Fig. 4.1), considerata in passato la più importante miniera di Pb dell’Italia continentale. Questa miniera coltivava il principale di una serie di corpi mineralizzati a galena, sfalerite, calcopirite e solfosali di piombo e antimonio. Corpi minerari minori furono coltivati anche nelle miniere di Gallena e di Monte Rocca, sul versante settentrionale del gruppo Monte Ornato – Monte Rocca. Sul versante meridionale di questo rilievo furono invece aperte le gallerie del complesso minerario dell’Argentiera di Sant’Anna (Fig. 4.1). Tali corpi minerari sono legati a livelli di tormaliniti, una roccia costituita da un intimo aggregato di quarzo e tormalina nera (Benvenuti et al., 1989), usata in passato dai minatori come guida nella ricerca e coltivazione delle mineralizzazioni (D’Achiardi, 1885).

La miniera del Bottino è nota per la ricchezza di campioni di solfuri e solfosali ben cristallizzati, che hanno arricchito collezioni pubbliche e private. Il Museo di Storia Naturale dell’Università di Pisa conserva quella che probabilmente è la più ricca collezione di minerali della miniera del Bottino: la collezione Cerpelli (Orlandi et al., 2002a). Questa località ha fornito fra i migliori esemplari al mondo di boulangerite (Biagioni et al., 2018b), oltre ad essere la località tipo di meneghinite (Bechi, 1852) e bottinoite (Bonazzi et al., 1992). Ad oggi sono note oltre sessanta specie mineralogiche diverse identificate in questa località.

Benché meno ricco di specie mineralogiche rispetto alla miniera del Bottino, il complesso minerario dell’Argentiera di Sant’Anna è ben conosciuto per la presenza di locali concentrazioni di solfuri e solfosali, a volte ben cristallizzati (es. bournonite – D’Achiardi, 1871; Panichi, 1910a), di barite, cerussite e magnetite (Dini & Lorenzoni, 2010).

I minerali del gruppo della tetraedrite sono accessori di queste mineralizzazioni a solfuri e rappresentano spesso uno dei principali minerali responsabili dell’alto tenore in Ag che rese possibile la coltivazione di queste miniere.

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32

Figura 4.1 – Ubicazione dei filoni e dei lavori minerari nell’area di Monte Ornato – Monte Rocca (da Biagioni et al., 2018b).

4.2

A

RGENTIERA DI SANT

ANNA

(S

TAZZEMA

)

Il complesso minerario dell’Argentiera di Sant’Anna (Stazzema) si sviluppa fra 470 e 790 m s.l.m.m. sui versanti meridionali dei monti Ornato e Rocca, sulla destra orografica del Fosso dell’Argentiera (Fig. 4.2). L’attività mineraria, iniziata almeno nel Medioevo, raggiunse l’apice durante il periodo mediceo, sotto Cosimo I ed i figli Francesco I e Ferdinando I; quest’ultimo decise di chiudere la miniera, assieme a quella del Bottino, nel 1592.

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Figura 4.2 – Ubicazione delle gallerie del complesso minerario dell’Argentiera di Sant’Anna (modificato da Nannucci, 1989).

Fu soltanto nel 1833 che le miniere furono riaperte ad opera di Nano Perez per conto della Etablissement

Metallurgique. La società fallì poco dopo. Vi furono un susseguirsi di passaggi di proprietà, accompagnati

da fasi di attività e di abbandono, fino a che nel 1918 la Società Anonima Miniere dell’Argentiera (S.A.M.A.) intraprese diversi lavori tra cui lo scavo della galleria Cerpelli, galleria che avrebbe dovuto raggiungere i livelli più profondi della miniera del Bottino. Tale galleria non fu mai portata a termine per la cessazione delle attività della S.A.M.A. nel 1931. Nel dopoguerra la l’E.D.E.M. prese in concessione la zona ed eseguì solamente lavori di manutenzione e ricerca, abbandonando l’area nel 1973 (Biagioni, 2009).

Le gallerie del complesso sono 17, per uno sviluppo complessivo noto di 2200 m. Esse sono state scavate in periodi storici differenti. I primi lavori minerari furono intrapresi alle quote superiori e consistono in brevi gallerie con una sezione molto ridotta. In tempi successivi gli scavi si spostarono a quote inferiori, con gallerie di maggiori dimensioni; fino ad arrivare a gallerie, scavate nel dopo guerra, munite di carrelli e binari per il trasporto del materiale (Biagioni, 2009).

Tra i vari livelli, il più importante è rappresentato dalla galleria Santa Barbara (585 m s.l.m.m.), con i suoi 540 m di sviluppo. Fu creata con lo scopo di incontrare la parte profonda delle mineralizzazioni coltivate nelle gallerie Fontana e Rava. Dopo 80 m dall’imbocco, questa galleria, incontra una mineralizzazione di galena argentifera.

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I campioni dell’Argentiera di Sant’Anna studiati in questa tesi provengono dal Ribasso Santa Barbara (Fig. 4.3), galleria scavata nel Dopoguerra con lo scopo di esplorare il contatto tra il basamento paleozoico e i Grezzoni.

Figura 4.3 – Ingresso della galleria Ribasso Santa Barbara, Argentiera di Sant’Anna. Foto C. Biagioni.

Le specie minerali ad oggi identificate nel complesso minerario dell’Argentiera di Sant’Anna sono 29, di cui 13 appartenenti alla classe dei solfuri e solfosali (Tab. 4.1).

TABELLA 4.1– Solfuri e solfosali presenti all’Argentiera di Sant’Anna

Specie Formula chimica

Acantite Ag2S Boulangerite Pb5Sb4S11 Bournonite CuPbSbS3 Calcopirite CuFeS2 Covellite CuS Digenite Cu9S5 Galena PbS Meneghinite CuPb13Sb7S24 Pirite FeS2 Pirrotina Fe1-xS Sfalerite ZnS Stibnite Sb2S3

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In questa località, la presenza di tetraedrite è descritta da Nannucci (1989) il quale riporta una serie di analisi chimiche ottenute utilizzando il sistema SEM-EDS. Le analisi mostrano contenuti di Sb sempre superiori a 3.75 apfu e Ag generalmente inferiore a circa 2 apfu. Inoltre Nannucci (1989) osserva come i campioni più ricchi in Ag siano intimamente associati alla galena, mentre la tetraedrite più povera in Ag è associata a calcopirite e sfalerite.

4.2.1 Cenni geologici

L’area dell’Argentiera di Sant’Anna è caratterizzata dalla sovrapposizione di più unità tettoniche appartenenti sia al Complesso Metamorfico Apuano che alla Falda Toscana (Fig. 4.4). Le rocce strutturalmente più profonde sono rappresentate dalle Filladi Inferiori e dai Porfiroidi e Scisti porfirici del basamento paleozoico. Ad ovest del Monte Ornato affiora l’Unità di Massa, rappresentata da filladi a sericite e clorite. Infine il Calcare cavernoso della Falda Toscana ricopre le precedenti unità (Carmignani

et al., 1976).

Nel complesso minerario dell’Argentiera di Sant’Anna si trovano due principali tipi di mineralizzazioni:  mineralizzazione a solfuri e solfosali di Pb e Sb (Fig. 4.5): è la mineralizzazione coltivata fin

dall’antichità. Comprende una serie di corpi mineralizzati con dimensioni che variano da qualche metro fino a un centinaio di metri. Nelle associazioni a solfuri e solfosali la galena è la fase più abbondante e frequentemente include la tetraedrite argentifera (Nannucci, 1989). Altri solfosali presenti sono meneghinite, bournonite e boulangerite;

Figura 4.4 – Sezione geologica dell’area dell’Argentiera di Sant’Anna. Falda Toscana: Cv-“Calcare Cavernoso”; Unità di Massa: fn-filladi; Unità delle Apuane: fi-Filladi inferiori, Psp-Porfiroidi e Scisti porfirici, gr-Grezzoni, m-Marmo. Da Carmignani et al., 1976.

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Figura 4.5 – Mineralizzazione a galena microcristallina e solfosali incassata nelle filladi del basamento. Ribasso Santa Barbara, Argentiera di Sant’Anna. Foto C. Biagioni.

 mineralizzazione ad ossidi di ferro e pirite: consiste in ammassi lentiformi ubicati al contatto tra basamento paleozoico e Grezzoni. Il corpo minerario più importante di questo tipo è stato coltivato tra i livelli Santa Barbara e Ribasso Santa Barbara. Le mineralizzazioni a ossidi di ferro e pirite hanno come minerale più abbondante la magnetite seguita da minori quantità di pirite ed ematite e tracce di galena. La ganga è costituita da quarzo e calcite (Carmignani et al., 1976).

4.2.2 Campioni studiati

Nel corso di questo lavoro di tesi sono stati esaminati due campioni di tetraedrite provenienti dal Ribasso Santa Barbara (Tab. 4.2; Fig. 4.6).

TABELLA 4.2 – Campioni studiati provenienti dalla Argentiera di Sant’Anna Sigla Descrizione

ASA1 Complessi cristalli euedrali neri, striati, in cavità di una vena di quarzo ASA2 Rozzi cristalli tetraedrici neri inclusi in calcite e dolomite ferrifera con pirite

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Figura 4.6 – Ubicazione dei siti di campionamento (stella rossa) degli esemplari studiati.

I campioni studiati provengono dalle vene quarzoso-carbonatiche incassate nelle filladi del Ribasso Santa Barbara, in prossimità del corpo mineralizzato a solfuri di Pb.

Il campione ASA1 è rappresentato da una vena di quarzo latteo nelle cui cavità sono ospitati cristalli equidimensionali neri, metallici, grandi fino a 1 mm, associati a pirite.

Il campione ASA2 (Fig. 4.7) proviene dal medesimo sistema di vene ed è rappresentato da rozzi cristalli tetraedrici neri, grandi fino a 5 mm, evidenziati tramite acidatura con HCl della calcite presente nelle vene quarzoso-carbonatiche. In questi campioni la tetraedrite, oltre che con calcite e quarzo, è associata a dolomite ferrifera e pirite.

4.2.3 Dati chimici

I campioni studiati sono stati caratterizzati chimicamente tramite spettroscopia di raggi X in dispersione di energia. Le immagini in elettroni retrodiffusi mostrano che i campioni studiati sono omogenei (Fig. 4.8). I risultati delle analisi chimiche sono riportati in Tabella 4.3.

Figura 5.5 – Cristallo tetraedrico di 2 mm di spigolo con barite. Campione BdV2.

Figura 4.7 – Rozzo cristallo tetraedrico di 5 mm con dolomite ferrifera e quarzo. Campione ASA2. Ribasso Santa Barbara, Argentiera di Sant’Anna. Foto C. Biagioni.

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TABELLA 4.3 – Dati chimici dei campioni dell’Argentiera di Sant’Anna

Entrambi i campioni presentano contenuti in Ag paragonabili a quelli riscontrati da Nannucci (1989). Il catione divalente che sostituisce il Cu è rappresentato da Zn e Fe, con rapporti Fe/(Zn+Fe) variabili fra 0.35 e 0.5. Il catione trivalente è rappresentato da Sb, con soltanto una modesta sostituzione da parte di As nel campione ASA2. Entrambe le analisi mostrano un notevole deficit di S, con valori compresi fra 11.88 e 12.2 apfu. Come vedremo più avanti, tale deficit non è confermato dai risultati dello studio strutturale ed è probabilmente un artefatto analitico. A causa di questo deficit di anioni, il valore del parametro Ev(%) è costantemente positivo, variando da +3.6 a +8.6.

Sulla base dei dati chimici riportati in Tabella 4.3 è possibile proporre le seguenti formule chimiche idealizzate per i due campioni studiati:

ASA1:M(2)Cu

5.5Ag0.5 M(1)(Cu4FeZn) X(3)Sb4S13  ASA2: M(2)Cu

5.8Ag0.2 M(1)(Cu4Zn1.3Fe0.7) X(3)(Sb3.8As0.2)S13

ASA1 ASA2

Elemento wt% apfu wt% apfu

Cu (wt%) 35.47 9.10 37.85 9.59 Ag 3.49 0.50 1.20 0.18 Fe 3.22 0.90 2.43 0.70 Zn 3.70 0.90 5.33 1.31 Cd - - - - Hg - - - - As - - 1.13 0.24 Sb 30.02 4.0 28.40 3.76 S 24.11 12.2 23.65 11.88 Ev(%) +3.6 +8.6

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39 4.2.4 Dati strutturali

Oltre alla caratterizzazione chimica, abbiamo eseguito anche lo studio diffrattometrico con tecniche di cristallo singolo dei due campioni provenienti dall’Argentiera di Sant’Anna. La Tabella 4.4 riassume le condizioni sperimentali e il risultato del raffinamento strutturale. Le metodologie analitiche e le strategie seguite per i raffinamenti strutturali sono riportati nel capitolo 3.

TABELLA 4.4 – Dettagli delle raccolte e del raffinamento dei campioni dell’Argentiera di Sant’Anna

ASA1 ASA2 Dati cristallografici

Sistema cristallino, g.s. Cubico, I-43m

a (Å) 10.3865(7) 10.3939(7)

V (Å3) 1120.5(2) 1122.9(2)

Z 2

Dati raccolta e raffinamento

Radiazione (Å) MoKα, λ = 0.71073 Temperatura (K) 293 2θmax(°) 59.76 64.86 Riflessi misurati 1508 1295 Riflessi unici 333 344 Riflessi con Fo>4σ (Fo) 330 339 Rint 0.0203 0.0266 Rσ 0.0255 0.0318 Intervallo indici h, k, l -12 ≤ h ≤ 11; -14 ≤ k ≤ 14; -13 ≤ l ≤ 12 -11 ≤ h ≤ 12; -10 ≤ k ≤ 15; -4 ≤ l ≤ 14 R[Fo>4σ (Fo)] 0.0124 0.0149 R (tutti i dati) 0.0126 0.0151 wR(su F2) 0.0277 0.0359 GooF 1.089 0.997

Numero dei parametri raffinati 22 22

Massimi e minimi residui (e/Å3) +0.34; -0.44 +0.57; -0.43

I raffinamenti convergono a R1 = 0.012 e 0.015 per i campioni ASA1 e ASA2, rispettivamente. Le

coordinate atomiche e i parametri termici equivalenti sono riportati in Tabella 4.5, mentre la Tabella 4.6 fornisce le distanze atomiche osservate per i siti cationici M(1), M(2) e X(3).

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