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CAPITOLO II LA NAVE – DAL TRASPORTO AL RIFIUTO

4. I FATTORI ECONOMICI LEGATI AL MERCATO DELLA DEMOLIZIONE NAVALE

4.4 Aspetti pratici

Dopo aver delineato le dinamiche teoriche del mercato della demolizione navale, appare utile accennare a qualche aspetto pratico di quanto sinora analizzato, avendo già affrontato nel primo capitolo i profili quantitativi e qualitativi in gioco. È comunemente riconosciuto161 che la maggior parte (ma non tutti) degli operatori marittimi dei Paesi industrializzati dismette le proprie navi quando raggiungono la soglia dei 15 anni di età per ricavare vantaggio da una flotta moderna in grado di rispondere agli altalenanti e diversificati bisogni del mercato del noleggio marittimo. Un aspetto collaterale di ciò è rappresentato dalle situazioni in cui i proprietari vengono condotti a svendere le proprie unità che, senza essere ancora divenute obsolete, non di meno appaiono essere meno adatte alle configurazioni del mercato o troppo dispendiose in termini di consumi.

In aggiunta, i richiamati mutamenti nella legislazione internazionale giocano un ruolo fondamentale nell‘incoraggiare l‘anticipo dei tempi di dismissione; in questo caso, l‘esempio più noto è quello costituito dalle navi cisterna prossime alla soglia dei 25 anni di età e che, secondo la regola 13-G della Convenzione MARPOL, devono essere equipaggiate con un doppio scafo.

Questi criteri razionali non sono però adottati sistematicamente dalla generalità degli operatori. Facendo riferimento alle statistiche relative alla dismissione attraverso la demolizione suddivise per ambiti geografici, si può notare che i soggetti dei Paesi industrializzati, che nel passato, come detto, hanno venduto la maggioranza delle loro unità all‘età di 15 anni, a volte mostrano una propensione a mantenere parte della flotta fino ad un‘età molto avanzata. Le cd. ―flags of convenience‖ evidentemente si accaparrano la percentuale maggiore a tale riguardo (60.9%) delle navi demolite, seguite dai Paesi in via di sviluppo (27.4%) ed infine dai Paesi OCSE (11.8%).

Da quanto visto, si può riassumere che il punto determinante risiede – con l‘eccezione di una limitata parte dei casi (ad esempio per il recupero di un relitto) – nel fatto che nessuno attualmente è obbligato da alcuno standard internazionale ad inviare una nave che abbia raggiunto determinate caratteristiche alla demolizione; è altrettanto vero che è proibito affondare volontariamente navi in mare, come è proibito abbandonare una nave, ma la ricorrenza di tali pratiche dimostra come essi siano solo obblighi teorici. Premesso ciò, può essere affermato che la decisione di demolire un‘unità viene presa tenendo in considerazione solamente un bilanciato processo

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Interdepartmental Committee on the Dismantling of Civilian and Military End-of-Life Ships (MIDN), ―Report‖, 2007, annesso I pag. 6.

economico: se gli interessi che possono indurre i proprietari ad avviare a smaltimento le loro navi si riducono o diventano inesistenti, si instaura un meccanismo ipso facto che riconosce la priorità di continuare nella navigazione a dispetto dell‘aumento di navi obsolete.

Qualora il valore residuale di una nave non ecceda più il valore per la vendita per demolizione, rimangono comunque aperte per l‘operatore numerose scelte:

1. continuare nella navigazione ―a qualsiasi costo‖ nonostante le deteriorate condizioni di sicurezza;

2. abbandonare l‘unità su una spiaggia o all‘estremo limite di un porto, dopo aver preso le necessarie precauzioni affinché l‘attuale proprietario non possa essere rintracciato;

3. organizzare il suo affondamento, che sia autorizzato o meno;

4. mettere in disarmo la nave in un sito che può essere o meno adatto, in attesa di tempi più favorevoli per la sua vendita ad un cantiere di demolizione o per riprendere la sua operatività;

5. venderla per demolizione.

Evidentemente, le soluzioni da 1 a 3 non ricadono in un approccio economico, ma riflettono un atteggiamento criminale; le soluzioni 4 e 5 sono invece quelle in linea con i ragionamenti fatti finora e garantiscono un rispetto maggiore dei profili economici e normativi coinvolti.

La diretta conseguenza di questi atteggiamenti è un sempre maggiore rischio del ricorso a pratiche illegali in vista di un possibile risparmio, ad esempio attraverso l‘abbandono o il naufragio doloso. Ciò può essere dedotto anche da alcune statistiche, che indicano una stima di 1500 navi all‘anno di cui si può ipotizzare la demolizione; se si considera che 300 navi all‘anno vengono perdute in mare per eventi reali, e che, prendendo ad esempio l‘anno 2006, sono state smantellate solamente 313 unità, sembra palese ipotizzare che circa 900 navi ogni anno vengono mantenute in servizio nonostante l‘età avanzata, o, peggio, vengono affondate o abbandonate su spiagge od in porti non identificati162.

Va inoltre considerato che in molti casi l‘ultimo operatore non porta avanti in proprio le operazioni per la vendita della nave ad un demolitore, ma queste vengono affidate ad intermediari, i cosiddetti «cash buyer». Viene così a verificarsi un‘ulteriore

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Interdepartmental Committee on the Dismantling of Civilian and Military End-of-Life Ships (MIDN), ―Report‖, 2007, annesso I pag. 3.

frattura tra i soggetti coinvolti nella demolizione di una nave, non essendoci contatto diretto tra l‘ultimo proprietario e la compagnia che mette in atto le operazioni di smantellamento, che non giova affatto alla trasparenza di tutto il procedimento.

In base a quanto analizzato, appare evidente concludere che l‘intenzione di demolire una nave, il cui significato usuale rimanda al concetto di nave come rifiuto alla luce di alcune normative, allo stato concreto dei fatti assume caratteri alquanto incerti fino ad un avanzato stato del processo di trasferimento. Il rapido ritorno di investimenti, il basso livello di capitale investito e requisiti tecnici limitati depongono per una ―attrazione fatale‖ dell‘industria della demolizione navale verso i Paesi semi- industrializzati o in via di sviluppo, diventando un importante fattore di impiego per un‘abbondante forza lavoro163

. Il potenziale di demolizione incrementa con il passare del tempo, ed è plausibile pensare che un elevato numero di navi verrà demolito contemporaneamente in un periodo come questo, durante il quale il livello dei noli ha avuto un consistente ribasso. Spetta pertanto alle politiche di regolamentazione a livello internazionale cercare di arginare un fenomeno che potrebbe avere effetti veramente nefasti sull‘ambiente e sulla salute a livello globale.

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Come conseguenza di ciò, un cantiere di demolizione non esiterà a pagare tra 200 e 250 dollari per tonnellata per una nave se è alla ricerca di materie prime per la lavorazione dell‘acciaio (come nel caso di Cina e Turchia), 375 dollari se vi è l‘intenzione di recuperare anche altro armamento riciclabile (Pakistan), 425 se l‘obiettivo principale è il recupero dell‘equipaggiamento (India), e fino a 475-490 dollari se non vi sono risorse locali di acciaio e vi è scarsa disponibilità economica ad acquistare i rottami importati dall‘Europa (Bangladesh).

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