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La sentenza n 34768/2007 della Corte di Cassazione

CAPITOLO II LA NAVE – DAL TRASPORTO AL RIFIUTO

3. D A NAVE A RIFIUTO

3.2 La sentenza n 34768/2007 della Corte di Cassazione

Nonostante la linearità delle considerazioni sopra formulate, è d‘obbligo notare che nel solo precedente in cui la Corte di Cassazione si è trovata di fronte ad un caso riguardante un‘attività di demolizione di relitto nautico, le statuizioni a cui essa è pervenuta sono andate in senso completamente opposto. Infatti, nella sentenza 13 settembre 2007, n. 34768, la Terza Sezione della Corte di Cassazione Penale è giunta ad escludere la possibilità che l‘attività di demolizione di una nave sia riconducibile alla raccolta o allo smaltimento di rifiuti, stante l‘impossibilità di qualificare giuridicamente la nave arenata in questione come un rifiuto, sulla base delle seguenti considerazioni:

diesel pesante e olio lubrificante, e petroliere di portata uguale o superiore a 30000 tonnellate che trasportano idrocarburi diversi da quelli summenzionati, che soddisfano i requisiti applicabili alle petroliere nuove e definiti all‘allegato I di MARPOL; Categoria 3: petroliere di portata lorda uguale o superiore a 5000 tonnellate ma inferiore ai valori indicati nelle categorie 1 e 2.

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Articolo 1183 cod. nav. – Inosservanze relative alla demolizione di nave o di aeromobile: ―Il proprietario della nave o del galleggiante, che senza giustificato motivo non esegue nel termine stabilito nell‘art. 161 l‘ordine dell‘autorità marittima o di quella preposta all‘esercizio della navigazione interna di riparare, di destinare ad altro uso o di demolire la nave o il galleggiante, è punito con l‘ammenda da 30 euro a 516 euro. Chiunque demolisce una nave o un galleggiante nazionali ovvero demolisce o smantella un aeromobile nazionale senza l‘autorizzazione prescritta negli articoli 160 o 759 è punito con la sanzione amministrativa da 51 euro a 516 euro‖. L‘ammenda di cui al comma 1 è stata depenalizzata ad opera della Legge 24 novembre 1981, n. 689.

 è evidente che la demolizione di un relitto costituisca un‘attività che, per sua natura, produce rifiuti di diverse tipologie, che hanno necessità, una volta prodotti, di essere gestiti in conformità alle prescrizioni della normativa sui rifiuti, ma l‘attività di demolizione in sé non costituisce attività di gestione di rifiuti e non richiede quindi il possesso della relativa autorizzazione; infatti, non rientrano, di per sé, nella nozione di gestione di rifiuti le attività di demolizione di un edificio o di strutture presso cantieri mobili e temporanei quale quello in questione;

 la nave non rientra in alcuna delle categorie riportate nell‘allegato A del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152; in particolare, la nave non potrebbe rientrare né nella voce Q4 (sostanze accidentalmente riversate, perdute o aventi subito qualunque altro incidente, compresi tutti i materiali, le attrezzature, ecc. contaminati in seguito all‘incidente in questione), né nella voce Q14 (prodotti di cui il detentore non si serve più), né infine nella voce residuale Q16 (qualunque sostanza, materia o prodotto che non rientri nelle altre categorie e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l‘obbligo di disfarsi), non potendo una nave essere definita come sostanza, materia o prodotto;

 non si può assimilare il relitto di nave ai veicoli fuori uso, sia in considerazione del fatto che per questi esiste una specifica disciplina in materia (D.Lgs. 24 giugno 2003, n. 209), la cui applicabilità non può essere estesa al caso di specie, sia del fatto che per essi è previsto l‘inserimento nel Catalogo Europeo dei Rifiuti, che non è invece previsto per le navi;

 risulta pertanto chiaro, a parere della Corte, che non la nave, oggetto di eventuale demolizione, sia configurabile come rifiuto, bensì quelle parti della stessa (sostanze, prodotti, materie) che sono prodotte dalla demolizione e siano destinate al recupero o allo smaltimento.

L‘orientamento della Suprema Corte nella sentenza analizzata non appare immune da critiche: tralasciando l‘aspetto legato alla mancata individuazione di una categoria di rifiuti nella quale far rientrare la nave, in quanto ampiamente trattato in precedenza, emergono altri profili che portano a dubitare della correttezza delle conclusioni a cui è giunta la Corte, soprattutto nei confronti della cogente normativa comunitaria.

In primo luogo, l‘assimilazione dell‘attività di demolizione di una nave con quella di demolizione di un edificio o di strutture di altro tipo appare fuorviante: infatti, la Corte sembra aver perso di vista la natura di bene mobile della nave, sancita indiscutibilmente dall‘art. 245 cod. nav.; il fatto che essa sia considerata res connexa, ossia il risultato della congiunzione di più elementi costitutivi, non significa certamente che essa non costituisca un singolo bene materiale, al pari, ad esempio, dei veicoli, i quali sono considerati rifiuti nella loro interezza sin dal momento in cui siano destinati alla demolizione o si trovino in uno stato di abbandono. Il fatto che per questi ultimi esista una specifica disciplina in materia non comporta affatto che la nave non possa essere considerata un rifiuto, bensì viceversa che per essa valgono le regole generali sulla gestione dei rifiuti.

L‘assimilazione di cui sopra pare ulteriormente non opportuna anche in considerazione dell‘intento espresso nella normativa europea sui rifiuti – prima nel quarto considerando della direttiva 2006/12/CE ed ora nel decimo considerando della direttiva 2008/98/CE – per cui ―una regolamentazione efficace e coerente del trattamento dei rifiuti dovrebbe applicarsi, fatte salve talune eccezioni, ai beni mobili di cui il detentore si disfi o abbia l‘intenzione o l‘obbligo di disfarsi‖. Si constata, pertanto, come la disciplina comunitaria sia orientata nel senso di sottoporre la generalità dei beni mobili alle sue previsioni, con l‘esclusione delle sole fattispecie espressamente previste.

Secondariamente, si nota come la Corte di legittimità abbia omesso qualsiasi considerazione sul comportamento tenuto dal detentore della nave, tralasciando in toto l‘aspetto principale legato alla qualificazione di rifiuto. Al contrario, come recentemente ribadito dalla Corte Costituzionale151, ―la normativa comunitaria fa leva anche su fatti

estrinseci e sui comportamenti dei soggetti produttori ed utilizzatori e non si arresta pertanto alla mera indicazione della natura intrinseca del materiale‖; la Corte

sottolinea inoltre ―l‘esigenza, derivante dalla disciplina comunitaria, di verificare in

concreto l‘esistenza di un rifiuto o di un sottoprodotto‖. ―In questo senso si è espressa la Corte di Giustizia dell‘Unione europea, la quale ha sottolineato come l‘effettiva esistenza di un rifiuto debba essere accertata «alla luce del complesso delle circostanze, tenuto conto della finalità della direttiva e in modo da non pregiudicarne l‘efficacia» (sentenza 18 dicembre 2007, in causa C-194/05, Commissione c. Repubblica Italiana)‖.

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Premesse le considerazioni preliminari sopra formulate, il punto di contrasto più stridente che si ritrova nella sentenza n. 34768/2007 è quello costituito dal rapporto con la disciplina comunitaria sulla spedizione dei rifiuti precedentemente accennata: infatti, le navi destinate ad essere smantellate sono considerate rifiuti ai sensi del diritto internazionale e del diritto comunitario sui rifiuti. Esse, in particolare, sono considerate rifiuti pericolosi quando contengono notevoli quantitativi di sostanze pericolose o se non sono state adeguatamente svuotate del loro carico di materiali pericolosi. Pertanto, sulla base di tale constatazione, si giungerebbe alla conclusione che la nave destinata alla demolizione acquisterebbe la natura di rifiuto solo qualora se ne prevedesse il trasferimento al di fuori dell‘ambito nazionale, il che è palesemente assurdo, in particolar modo se si prende in considerazione l‘intento comunitario di interpretare in maniera estensiva la nozione di rifiuto.

In conclusione, se si vuole rispettare la volontà dichiarata dall‘Unione Europea di mirare alla tutela della salute umana e dell‘ambiente contro gli effetti nocivi della raccolta, del trasporto, del trattamento, dell‘ammasso e del deposito dei rifiuti, ed applicare in materia ambientale i principi della precauzione e dell‘azione preventiva, la nave, di cui il proprietario si disfi, abbia l‘intenzione oppure l‘obbligo di disfarsi, attraverso un comportamento che determini, in qualunque modo, la destinazione alla demolizione della stessa, non può non essere considerata un rifiuto.

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