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Una ricognizione sul concetto di imperium Mariangela Ravizza

3. Aspetto sacrale dell’investitura regia

A Roma, non c’era atto pubblico rilevante che potesse sottrarsi all’approvazione divina, non c’era luogo che non fosse pervaso dall’osservanza religiosa e dalla presenza degli dei; questi ultimi esprimevano il loro consenso o la loro disapprovazione con l’invio di segni celesti in spazi rigorosamente augurati. Il rispetto e l’osservanza rigorosa dei loro suggerimenti, la pietas, intesa come venerazione del sacro, e l’adempimento dei riti erano comportamenti imprescindibili per poter godere della loro amicizia e protezione. La divinazione costituiva una componente fondamentale nella vita dei romani dove ogni piccolo segno poteva rappresentare un avvertimento circa l’opportunità o meno di

11 Plut. Num. 5.7-8; sulla fase d’inauguratio del re Numa cfr. Dion. Hal. 2.60.3. 12 Con quest’atto l’augure trasmetteva al futuro re potenza ed energia.

13 Si fas est hunc [...] regem Romae esse; dopo la risposta favorevole, il prescelto veniva riconosciuto re

(declaratus): Liv. 1.18.6-10; cfr. anche Cic. de nat. deor. 2.2.6. L’approvazione di Giove attribuiva alla persona prescelta il titolo di re; Giove confermava così la creatio e assicurava al nuovo re protezione. Il sovrano, ricevendo lo scettro di Giove, si collocava tra gli dei e gli uomini.

14 Liv. 1.18.6-10. Lo spazio aereo destinato all’osservazione e ripartito in settori ideali, veniva

denominato templum caeleste: Serv. ad Aen. 3.89. La parola latina templum aveva una connotazione molto diversa da quella moderna: non indicava, o perlomeno non sempre, un edificio, ma una porzione di suolo “inaugurata” da sacerdoti specializzati che, tramite un rito speciale, creavano una particolare relazione con gli dei. Il templum, cioè uno spazio inaugurato, era condizione imprescindibile per poter prendere gli auspiciaàòvbobf0: in proposito, v. le puntuali osservazioni di M. Beard, “Gli spazi degli dei, le feste”, in A. Giardina (a cura di) Roma antica, Roma-Bari, Laterza, 2000, p. 50 ss., ma il templum, molto spesso, era anche un luogo politico, riservato alle riunioni del senato o il luogo in cui venivano affisse le leggi, i trattati, i fasti: J-M. David, “I luoghi della politica”, in Roma antica, cit., p. 58 ss.

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intraprendere un’azione. Il romano, di conseguenza, doveva essere sempre attento ad ogni piccola variazione della quotidianità, possibile segnale di qualcosa che, inatteso, stava per accadere15. Nulla poteva essere trascurato.

Tutto questo rende l’idea di quanto fosse importante l’osservazione del volo degli uccelli nella scelta del nuovo re la cui cerimonia prevedeva la fondamentale presenza dell’augure. A lui spettava tracciare col lituo i contorni dello spazio aereo destinato all’osservazione nonché precisare le condizioni con cui il segno divino avrebbe dovuto manifestarsi; se la risposta di Giove fosse stata favorevole, la persona scelta sarebbe stata riconosciuta come re; se al contrario il dio avesse manifestato il suo disappunto, i patres avrebbero dovuto proporre un altro nome16. L’arte dell’augure consisteva essenzialmente

nel consultare la divinità e nell’interpretare i segni che rivelassero il suo volere e ciò avveniva solo per ordine del re17; Romolo si rivolse direttamente a Giove soltanto perché

egli stesso era un augure18. L’inauguratio aveva lo scopo di aggiungere alla creatio, cioè

alla scelta della persona più idonea ad essere re compiuta dai patres, il consenso divino, “incrementando” il potere del futuro sovrano con l’approvazione degli dei19. Il consenso

divino era di estrema importanza nella vita dei romani e richiedeva necessariamente l’intervento degli auguri per l’interpretazione dei segni celesti, inviati nel corso di una procedura rigida e complessa che vedeva anche il fondamentale contributo del senato. Il re esercitava dunque i suoi poteri perché investito dai patres i quali, durante il periodo di

interregnum20 conseguente alla morte del precedente sovrano, esercitavano a turno il

potere per un periodo di cinque giorni ciascuno e ad ognuno di essi veniva così assicurato l’esercizio della sovranità. Gli auspicia, infatti, non potevano essere un fatto collettivo,

15 È il c.d. “legalismo religioso”, cioè la somma di atti e comportamenti che la comunità era tenuta ad

osservare per poter ottenere il favore divino: cfr. P. Voci, “Diritto sacro romano in età arcaica”, in SDHI, XIX, 1953, p. 50.

16 Dion. Hal. 4.40.2. Sul tema del rapporto tra diritto e spazio e sulla relativa incidenza dell’aspetto

religioso v. C. Schmitt, Der Nomos der Erde im Volkerrecht des Jus Publicum Europaeum, Berlin, Duncker&Humblot, 1974, trad. it. Il Nomos della terra nel diritto internazionale dello “jus publicum europaeum”, Milano, Adelphi, p. 59 ss.

17 G. Grosso, Lezioni di storia del diritto romano, Torino, Giappichelli, 1960, p. 54; F. De Martino,

Storia della costituzione romana, I, Napoli, Jovene, 1972, p. 106; U. Coli, “Regnum”, in Scritti di diritto romano, I, Milano, Giuffrè, 1973, p. 407.

18 Cic. de div. 2.3.

19 De Martino, Storia, I, cit., p. 106; L. Capogrossi Colognesi, Storia di Roma tra diritto e potere,

Bologna, Il Mulino, 2009, p. 47.

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ma dovevano essere raccolti da un’unica persona. Ogni interrex pertanto nominava il successore auspicato così che l’ultimo avrebbe goduto degli auspici di tutti i patres e,

primus inter pares, avrebbe soddisfatto la volontà del senato. Gli auspicia, alla morte del

re, sarebbero dovuti tornare necessariamente ai patres, come si evince dalla frase auspicia

ad patres redeunt, in quanto erano gli unici a poter assumere, nel periodo di vacanza del

trono, la gestione della comunità.

Per quanto riguarda il terzo organo dell’apparato costituzionale, è prematuro parlare del popolo riunito nei comitia curiata durante l’età di Romolo perché ancora non esisteva il concetto giuridico di popolo, inteso come organo cui partecipassero tutti i membri della comunità21. Appare invece più verosimile collocare l’esistenza di quest’assemblea ai

tempi di Numa, quindi nella fase della monarchia latino-sabina precedente quella etrusca. Fu probabilmente uno sviluppo graduale a portare, prima dei Tarquini, all’organizzazione di una comunità sulla base delle curie22.