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Una ricognizione sul concetto di imperium Mariangela Ravizza

9. Negligentia auspiciorum

Abbiamo visto come la procedura d’investitura regia sia diventata più complessa col passaggio dalla monarchia latina a quella etrusca e si sia evoluta in concomitanza di nuovi interessi politici, economici e religiosi. C’è tuttavia un elemento che è rimasto immutato ed è quello degli auspicia. La loro interpretazione era importante non solo per accertare che il futuro re fosse gradito agli dei, ma anche per verificare che i prodigi fossero espiabili, che le guerre godessero del consenso divino, che ogni avvenimento importante ricevesse l’approvazione degli dei. All’inizio venivano osservati e interpretati di preferenza i signa ex avibus e la procedura era estremamente rigorosa: bastava infatti una

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piccola imprecisione, un semplice rumore, per annullarla e ricominciare tutto daccapo. Da qui l’importanza dell’arte divinatoria svolta dall’augure che veniva interpellato sia per l’interpretazione degli auspicia oblativa, cioè quelli che si presentavano spontaneamente, sia di quelli impetrativa che venivano inviati dagli dei solo se sollecitati; gli auguri non avevano il compito di predire il futuro, ma di inaugurare e indagare sulla volontà divina riguardo ad un dato evento63. Mantennero a lungo una posizione privilegiata e il loro

numero col tempo aumentò sensibilmente. Anche durante la repubblica nessuna azione importante per la comunità, sia in patria sia in guerra, poteva essere iniziata senza aver prima preso gli auspicia64: il magistrato predisponeva una tenda sul luogo e da lì

effettuava l’osservazione. Cicerone guardava con grande rispetto all’arte divinatoria e non c’era nulla – egli affermava65 – che potesse distoglierlo dalla fede nel culto

tradizionale degli dei. Nel de republica66, egli aveva definito gli auspicia e il senato duo

firmamenta rei publicae, e gli auspicia, ancora ai suoi tempi, venivano mantenuti con

grande vantaggio per la salvezza dello Stato67. Aveva sempre creduto che i rituali religiosi

non potessero essere trascurati e riteneva che Romolo e Numa Pompilio avessero gettato le fondamenta di Roma: il primo ricorrendo agli auspici, il secondo creando il rituale religioso. Il grande rispetto con cui il romano guardava agli auspicia risulta chiaramente da un aneddoto raccontato da Cicerone inerente a Tiberio Sempronio Gracco, padre dei tribuni della plebe, che si rivolse al collegio degli auguri per informarlo di un grave episodio accaduto poco tempo prima. Durante il suo consolato, mentre si trovava presso il Campo Marzio dove si tenevano i comizi per l’elezione dei consoli dell’anno successivo, Tiberio non aveva tenuto conto di un segno sfavorevole; deferì allora la questione al senato il quale, dopo aver consultato gli aruspici, confermò la natura nefasta dell’omen e stabilì quindi che l’assemblea elettorale era illegittima. Inizialmente Sempronio non prese in considerazione questo parere e tornò al Campo Marzio per

63 G. Dumézil, La religion romaine archaïque, Paris, Payot, 1974, p. 569, trad. it. La religione romana

arcaica, Milano, Rizzoli, 2001, p. 509; J. Champeaux, La religion romaine, Paris, Librairie générale française, 1998, trad. it. La religione dei romani, Bologna, Il Mulino, 2002, p. 94.

64 Cic. de div. 1.2. 65 Cic. nat. deor. 3.5. 66 Cic. de rep. 2.10.17. 67 Ivi, 2.10.16.

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concludere le operazioni elettorali, ma poco tempo dopo, dalla lettura dei libri augurali, si rese effettivamente conto di aver mancato di rispetto alle norme sacrali e che, incurante della decisione del senato, aveva consentito che si concludessero le elezioni. Si rivolse allora nuovamente agli auguri, il cui parere fu esposto al senato e i magistrati eletti dovettero rassegnare le loro dimissioni68.

Accanto al volo degli uccelli, che acquistò col tempo un valore puramente convenzionale, furono usate altre forme per indagare sulla volontà divina: gli auspicia

caelestia, derivanti dall’osservazione dei fulmini e dei tuoni e, a partire dal III secolo, gli auspicia pullaria, inerenti al modo di mangiare dei polli. Data la complessità del

formalismo divinatorio, i magistrati si avvalevano spesso della collaborazione di consiglieri, ma conservavano ugualmente una grande libertà d’azione: potevano affermare di aver ricevuto dal loro assistente un auspicio favorevole, anche se ciò non fosse stato vero. Più che il segno, ciò che contava veramente era la loro volontà e gli auguri, nonostante l’indiscutibile potere di cui erano dotati, non avevano mezzi per opporsi concretamente ad un magistrato. Fu per questo che verso la fine della repubblica l’interrogazione degli auspici perse il suo carattere religioso per acquistarne uno squisitamente politico. È vero che gli auguri godevano di una certa autonomia nell’interpretare il diritto sacro, che erano liberi di affermare di aver visto un segno o di negarne l’esistenza, ma potevano farlo solo con il magistrato e dietro sua richiesta.

Con amarezza Cicerone dovette riconoscere che la scienza augurale aveva subito molti cambiamenti a causa delle sue consuetudini, dei suoi insegnamenti, della sua vetustà. É vero che i riti, le regole e il diritto degli auguri furono conservati, ma solo per non urtare le credenze popolari e per salvaguardare i vantaggi che da ciò potevano derivare allo Stato69. A volte la negligentia auspiciorum ebbe effetti devastanti sui campi di battaglia:

fu il caso dei consoli Publio Claudio e Lucio Giunio che subirono gravi sconfitte per aver

68 Sull’episodio di Tiberio Gracco v. J. Scheid, “Le délit religieux dans la Rome tardo-republicaine”, in

Le délit religieux dans la cité antique. Actes de la table ronde de Rome (6-7 avril 1978), École franҫaise de Rome, 1981, p. 142 s. e p. 145; Id., “Il sacerdote”, in A. Giardina (a cura di), L’uomo romano, Roma, Laterza, 1989, p. 65; A. Giardina, “Perimetri”, in A. Giardina (a cura di), Roma antica, Roma-Bari, Laterza, 2005, p. 23.

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rifiutato di obbedire ad auspici sfavorevoli70 o quello di Caio Flaminio che inaugurò il

consolato lontano da Roma senza aver preso gli auspici riportando una clamorosa sconfitta sul lago Trasimeno71. Ma Cicerone era perfettamente consapevole di quali

fossero stati i veri motivi che avevano portato al decadimento dell’arte augurale: gli abusi che spesso venivano compiuti erano quasi sempre a vantaggio di intrighi politici. Si era verificato ad esempio che ci fossero stati auguri che, invece di agire per il bene del popolo, avevano mentito, affermando di essere stati presenti all’approvazione di una lex curiata che invece non era mai stata approvata72. E indubbiamente politica fu la decisione presa

nel 58 dal tribuno Clodio di far approvare la lex de iure et tempore legum rogandarum la quale, annullando il dispositivo di due leggi precedenti, la lex Aelia e Fufia, stabiliva che nessun magistrato avrebbe potuto osservare i segni del cielo nei giorni in cui il popolo era chiamato a dare il voto su una proposta di legge. Indirettamente Clodio attaccava Cicerone73 che invece lodava queste leggi, di cui la prima stabiliva il diritto

all’obnuntiatio, cioè il diritto di opporsi, a seguito dei segni celesti, alla convocazione dei comizi e la seconda stabiliva l’azione penale contro i trasgressori. È evidente che tali disposizioni rappresentassero un’arma degli optimates per intralciare le innovazioni legislative ed è altrettanto chiaro che la loro abrogazione avrebbe consentito ai populares di intervenire sulle assemblee. I progressi dell’ellenismo e la diffusione della filosofia greca portarono il romano colto allo scetticismo e ciò rese l’arte divinatoria uno strumento potente nelle mani di soggetti ambiziosi e avidi di potere74.

Dopo le guerre civili, il sistema degli auspici fu orientato politicamente da Augusto. Si impossessò degli auspicia urbana ed essendo l’unico detentore d’imperium potè disporre anche degli auspicia militiae. Formalmente tutto rimaneva come prima, tant’è

70 Ibid. Lucio Giunio si suicidò dopo la battaglia, mentre Publio Claudio tornò a Roma e dovette

affrontare il popolo. Fu accusato davanti ai comizi di perduellio, pena poi convertita per intercessione tribunizia in una multa: in proposito v. Scheid, “Le delit religieux”, cit., p. 142 ss.

71 Val. Max. 1.6.6.

72 Cic. ad Att. 4.17.2. Sul tema cfr. M. Sordi, “La ‘costituzione’ di Romolo’”, in Scritti di Storia romana,

Milano, Vita e pensiero, 2002, p. 479.

73 Cass. Dio. 38.13.

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che gli auspicia continuarono ad essere un requisito giuridicamente indispensabile per tutti gli atti pubblici importanti; di fatto, si ridussero ad una mera formalità75.

Mariangela Ravizza

Università degli Studi di Firenze Dipartimento di Scienze Giuridiche

mariangela.ravizza@unifi.it

S. Mannoni, “Miti della storia del diritto internazionale: un appunto”, Jura Gentium, ISSN 1826-8269, XII, 2015, 2, pp. 131-132