Davide Ragnolin
2. Il tempo della natura e la Weltgeschichte
Al termine della Phänomenologie des Geistes si trova una significativa definizione hegeliana di natura che rimarrà sostanzialmente invariata nella filosofia hegeliana della natura più tarda. Il Geist di cui Hegel voleva ricostruire il movimento mediante una fenomenologia, ovvero una scienza dell’esperienza della coscienza, si manifesta esteriormente nel tempo guadagnando una dimensione storica, e nello spazio nella forma di natura:
il divenire dello Spirito in quanto spazio – la natura – è il suo divenire vivente immediato. Nella sua esistenza, la Natura, cioè lo Spirito esteriorizzato, non è altro che questa eterna esteriorizzazione della propria sussistenza, ed è il movimento che istituisce il soggetto.39
L’idea della natura come forma esteriorizzata dello spirito, che è attività, determinazione secondo volontà, libertà, quindi storia, si troverà affermata anche nei §§ 18, 247, 381 dell’Enzyklopädie. La natura non possiede un’autonomia ontologica propria rispetto allo spirito perché la sola realtà della natura è riposta nella relazione dello spirito con sé stesso. In tale astrusa relazione idealistica che lo spirito pone rispetto alla sua propria forma estraneata (la natura appunto), alcuni interpreti vi hanno visto la rappresentazione speculativa di un “atteggiamento pratico” in cui “la natura appare
38 F. Meinecke, Aforismi e schizzi sulla storia, cit., p. 137.
39 G.W.F. Hegel, Die Phänomenologie des Geistes, in Id., Gesammelte Werke, vol. IX, hrsg. von W.
Bonsiepen und R. Heede, Hamburg, Felix Meiner Verlag, 1980; trad. it. Fenomenologia dello Spirito, a cura di V. Cicero, Milano, Bompiani, 2008, p. 1063 [§ 433].
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all’uomo come piegata e finalizzata alle sue proprie esigenze”;40 si tratta di una
concezione idealistica della natura che può forse divenire più chiaramente intelligibile nell’interpretazione che ha offerto György Lukács:
la natura è una categoria sociale. Ciò che vale come natura ad un determinato grado dello sviluppo sociale, la struttura del rapporto tra uomo e natura ed il modo in cui l’uomo si misura con essa, quindi il senso che la natura deve avere in rapporto alla sua forma ed al suo contenuto, alla sua estensione (Umfang) ed alla sua oggettualità, è sempre socialmente condizionato.41
Al di fuori di tale relazione, la natura è solo apparenza, ma non già perché non esiste empiricamente, ma nel senso che è un’entità priva di quella Wirklichkeit posta da Hegel come condizione della realtà stessa nel § 6 dell’Enzyklopädie:
nella vita comune si dà accidentalmente il nome di realtà a ogni trovata arbitraria, all’errore, al male e ad altre cose simili, come pure a qualsiasi esistenza per quanto esile e transitoria. Già per il senso comune, però, un’esistenza accidentale non merita affatto il nome enfatico di “realtà” – l’Accidentale, infatti, è un’esistenza che non ha più valore di un Possibile, è cioè un’esistenza che può anche non essere così com’è.42
Il carattere di parvenza attribuito da Hegel a ciò che è privo di una propria ragione di esistenza viene quindi trasferito alla stessa natura: “nel suo Esserci, pertanto, la Natura non mostra nessuna Libertà, ma solo Necessità e Accidentalità”.43 Se la natura è
interpretata come “contraddizione irrisolta”,44 ciò lo si deve al fatto che da un lato essa
presenterebbe una “necessità concettuale” nella sua formazione, dall’altro essa si configura secondo un’ “irregolarità indeterminabile”.45 Vale a dire: la natura si sviluppa
40 L. Illetterati, Natura e ragione. Sullo sviluppo dell’idea di natura in Hegel, Trento, Verifiche, 1995,
p. 291.
41 G. Lukács, Geschichte und Klassenbewußtsein. Studien über marxistische Dialektik, Berlin, Malik-
Verlag, 1923, trad. it. Storia e coscienza di classe, Milano, SugarCo Edizioni, 1978, p. 291. L’interpretazione del concetto hegeliano di natura offerta da Alexander von Humboldt nel suo Kosmos, invece, pare ridursi ad una mera riedizione della posizione gnoseologica kantiana: “[…] il mondo esterno non esiste per noi se non in quanto, per la via dell’intuizione, lo riflettiamo nel nostro interno. […] del pari il mondo esterno si confonde, quasi senza nostra saputa, con le nostre idee ed i nostri sentimenti. I fenomeni esterni, dice Hegel nella sua Filosofia della natura, sono in alcun modo tradotti nelle nostre rappresentazioni interne. Il mondo obiettivo pensato da noi, in noi riflesso, è sottoposto alle leggi eterne e necessarie del nostro essere intellettuale” (A. von Humboldt, Kosmos – Entwurf einer physischen Weltbeschreibung, Stuttgart-Tübingen, Cotta, 1845-47 (vol. I, 1945), trad it. Cosmos. Saggio di una descrizione fisica del mondo, 4 voll., a cura di G. Vallini, Venezia, Gattei, 1846, p. 72).
42 G.W.F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio (1830), a cura di V. Cicero, cit.,
p. 101.
43 Ivi, p. 423 [§ 248]. 44 Ibid.
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da un punto di vista formale mediante leggi naturali ma, da un punto di vista empirico, si manifesta esteriormente in modo accidentale. La trattazione hegeliana dell’elemento naturale nella Weltgeschichte deve quindi muovere da tale presupposto teoretico che conferisce alla natura un carattere di accidentalità, chiarito da Hegel nell’Anmerkung dello stesso § 250:
spesso si è esaltata nelle formazioni naturali l’infinita ricchezza e molteplicità delle forme e, in modo del tutto irrazionale, l’accidentalità mista a ordine esteriore, come se in ciò risiedesse l’alta libertà della Natura, e persino il suo carattere divino, o quanto meno come se ciò attestasse la divinità entro la Natura. Scambiare l’Accidentalità, l’arbitrio, l’assenza di ordine, per la Libertà e Razionalità è tipico del procedimento rappresentativo sensibile.46
Dal punto di vista hegeliano l’Idea racchiude dunque un grado maggiore di
Wirklichkeit rispetto alla natura, poiché se la prima “non è così impotente da dover-essere
soltanto”,47 la seconda è solo possibilità, è l’“in sé” della realtà, ed al contrario dell’Idea
è dunque “impotente” (ohnmächtig). L’ “in sé” della storia dei popoli nella prospettiva hegeliana trova corrispondenza terminologica e concettuale con quel “momento della determinatezza geografica e climatica”48 da cui l’esistenza di un Volksgeist può avviare
la propria storia. Storia e tempo, tuttavia, non si presentano affatto come sinonimi poiché nell’esposizione hegeliana sembra piuttosto che la prima stia al secondo come la
Wirklichkeit sta alla possibilità, o ancora come l’idea mossa da una necessità razionale
sta di fronte all’accidentale. Il tempo della natura, in cui pure si trovava il Volksgeist nella sola condizione di oggetto della geografia, e non soggetto della storia, è privo di una differenza qualitativa nel proprio svolgimento, e pertanto condivide con la natura la condizione di un eterno presente:
nella natura, d’altra parte, in cui il tempo è Ora, non si perviene alla differenza sussistente di quelle tre dimensioni; esse si trovano necessariamente e soltanto nella rappresentazione soggettiva, nel ricordo, nella paura o nella speranza.49
L’“elemento naturale” è sì affermato essere “soggetto al tempo”,50 similmente ai
popoli che sono nella storia, ma non possiede propriamente una storia quale forma di 46 Ibid. 47 Ivi, p. 101 [§ 6]. 48 Ivi, p. 867 [§ 548]. 49 Ivi, p. 443 [§ 259]. 50 Ivi, p. 441 [§ 258].
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esistenza nella temporalità propria dei soggetti, dei Geistes. Lo svolgimento dei processi naturali nel tempo si configura piuttosto come “immediatezza senza processo” (prozeßlose Unmittelbarkeit),51 o come “abitudine aprocessuale” (prozeßlose
Gewohnheit),52 poiché tale è il carattere dello spazio e di ciò che esiste meramente in
modo spaziale:
passato e futuro essenti nella Natura, invece, sono lo spazio. Lo spazio è infatti il tempo negato [die negierte Zeit], per cui lo spazio rimosso è innanzitutto il punto, e poi, sviluppato per sé, è il tempo.53
L’esistenza di tutti i popoli cade quindi nel tempo, poiché ogni Volksgeist esiste certamente anche come entità naturale geograficamente determinata, ma non tutti i popoli hanno una storia, partecipando quindi alla Weltgeschichte. Tale presupposto storico- filosofico, benché formulato in modo originale all’interno della filosofia della natura hegeliana, non rappresenta né una novità nella storia della storiografia, né un giudizio isolato nell’ambito della filosofia della storia settecentesca. La categoria di immobilità aveva dominato la rappresentazione storiografica europea dei popoli extraeuropei secondo una concezione storico-filosofica di sviluppo unilineare e “stadiologica”: “alcuni popoli – osservava Condorcet – sono rimasti, da tempo immemorabile, in uno di quegli stati che abbiamo appena percorsi”.54 Nell’osservazione della Cina e di altre regioni
asiatiche Condorcet constatava la “vergognosa immobilità” di vasti imperi, la cui longeva esistenza storica in una condizione di tramonto avrebbe addirittura “disonorato da così lungo tempo l’Asia”:
i popoli che vi abitano sono i soli presso i quali si sia potuto osservare allo stesso tempo quel grado di incivilimento e quella decadenza. Quelli che occupavano il resto del globo sono stati arrestati nei loro progressi, e ci presentano ancora i tempi dell’infanzia del genere umano, o sono stati trascinati dagli avvenimenti attraverso le ultime epoche delle quali ci resta da tracciare la storia.55
51 Ivi, p. 585 [§ 338]. 52 Ivi, p. 631 [§ 375]. 53 Ivi, p. 443 [§ 259].
54 M.J.N. (marquès de) Condorcet, Esquisse d’un tableau historique des progrès de l’esprit humain,
Paris, Agasse, 1795; trad. it. Abbozzo di un quadro storico dei progressi dello spirito umano, a cura di M. Minerbi, Torino, Einaudi, 1969, p. 24.
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Similmente, secondo Wilhelm von Humboldt la vita orientale si caratterizzava per la sua inerzia, ma a ben guardare in tale condizione di inerzia erano incluse anche altre civiltà extraeuropee come quella egiziana nel Vicino Oriente o quella messicana.56 L’idea
di nazioni “insignificanti”57 che affiora nelle pagine humboldtiane trova un più
sistematico tentativo di formulazione nell’idea hegeliana di popoli collocati al di fuori della Weltgeschichte. L’evidenza empirica di una differenza nei gradi di sviluppo storico dei popoli avrebbe consentito al filosofo idealista di maturare una specifica prospettiva storico-filosofica, in cui quella di tipo illuminista sarebbe risultata ‘tolta’ e ‘mantenuta’ al contempo. Il materiale storico-geografico veniva piegato alle esigenze di una narrazione storica forse più filosofica rispetto a quella illuminista. In primo luogo va osservato che Hegel non era interessato alla relatività geografico-naturale della distinzione tra Oriente ed Occidente, ma si riferisce all’Oriente ed Occidente storici, cioè alle determinazioni spirituali che l’uomo può conoscere come estremi assoluti di uno svolgimento storico-educativo del Geist, dalla sua limitazione naturale alla sua autocoscienza.58 In secondo luogo, Hegel supera la prospettiva storico-naturalistica di un
Übersehen che coglie dall’alto l’insieme quantitativo delle storie particolari per adottare
un criterio selettivo della storia di determinati popoli che, come tasselli, compongono assieme la stessa Weltgeschichte.59
56 W. von Humboldt, Gesammelte Schriften, im Auftrag der Preussische Akademie der Wissenschaften,
hrsg. von A. Leitzmann et alii, Berlin-Behr, 1903-1936: Betrachtungen über die bewegenden Ursachen der Weltgeschichte, 1812-14 (vol. II, 1904), trad. it. Considerazioni sulle cause motrici della storia universale, in Id., Scritti filosofici, a cura di G. Moretto e F. Tessitore, Torino, UTET, 2007, p. 510: “la forza d’inerzia viene in luce nella vita animale, intellettuale e morale delle nazioni e dei singoli, che diviene animale in virtù dell’abitudine e della passione. L’uniformità degli Egiziani, Indiani, Messicani ecc. è un prodotto di questa forza”.
57 W. von Humboldt, Gesammelte Schriften, im Auftrag der Preussische Akademie der Wissenschaften,
hrsg. von A. Leitzmann et alii, Berlin-Behr, 1903-1936: Das achtzehnte Jahrhundert, 1797 (vol. II, 1904), trad. it. Il secolo diciottesimo, in Id., Scritti filosofici, cit., p. 300: “dobbiamo perciò mettere in rilievo singoli individui, che realizzano tali connotati e possiamo passare sotto silenzio intere nazioni, insignificanti sotto questo profilo”.
58 Dal punto di vista hegeliano, la storia dell’umanità non è altro che un “processo educativo per cui
dalla sfrenatezza della volontà naturale si giunge all’universale e alla libertà soggettiva”, A. Giugliano, “Hegel e il problema dell’Oriente”, in R. Bonito Oliva, G. Cantillo (a cura di), Fede e sapere. La genesi del pensiero del giovane Hegel, Milano, Guerini e Associati, 1998, p. 382.
59 Tale aspetto è rilevato con particolare acutezza da G. Bonacina, Storia universale e filosofia del
diritto. Commento a Hegel, Napoli, Guerini, 1989, p. 182: “[…] ma questa apparente insensatezza è lo scotto pagato dalla Weltgeschichte al suo essere concretamente e coscientemente radicata in un mondo determinato, di cui è la storia; essa non pretende quindi di guardare il mondo dal di fuori, come vorrebbero gli storici universali, che pongono a oggetto delle loro storie universali la terra abitata in generale, cadendo
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Non solo, quindi, per Hegel il mondo in senso fisico-geografico non coincide con l’ecumene, cioè con il più ristretto spazio geografico abitato dai popoli, ma questa, a sua volta, non coincide con la Weltgeschichte. Il mondo storico, insomma, corrisponde ad un mondo fisico senza coincidere con esso:60 i suoi confini appaiono al Denkhistoriker
estremamente più ristretti. In ciò è possibile misurare la distanza di Hegel da quei pensatori come Herder, oppure come Hans Ferdinand Helmolt (1865-1929), allievo di Ratzel e autore di una Weltgeschichte (1913-1922) improntata all’idea secondo cui ogni ‘divenuto’, ogni fenomeno ed ogni popolo è suscettibile di interesse per lo storico della
Weltgeschichte.61 Se dal punto di vista herderiano “l’intera Terra è fatta per l’uomo e questi è fatto per l’intera Terra”,62 nella prospettiva storico-filosofica hegeliana non tutta
la Terra è fatta per i popoli storici. L’elemento di demarcazione tra le due prospettive di filosofia della storia si può rinvenire nei loro diversi presupposti del rapporto tra uomo e natura: se la storia è una determinazione naturale, ovunque si può trovare il terreno della
Weltgeschichte; se la storia è concepita invece idealisticamente come determinazione
spirituale, attività del Geist in opposizione alla natura, allora la storia sarà ristretta ad uno spazio geografico minore, e paradossalmente limitata secondo una prospettiva filosofica deterministica.
Per lo spazio temporale del solo teatro geografico-naturale della Weltgeschichte, nella prospettiva hegeliana poteva valere ciò che un filosofo della storia novecentesco disse per l’era glaciale: si trattava di una mera “successione degli eventi nella loro elementarietà”,63
un teatro ancora privo di soggetti.
così per Hegel nell’astrattezza; sorte che finiscono col condividere anche quei filosofi che fanno proprio il punto di vista del genere umano tutt’intero, o delle culture in generale, prescindendo dal luogo ove queste nazioni sono nate”.
60 Su tale nozione di corrispondenza (Entsprechung) tra natura e spirito nella Weltgeschichte hegeliana
molto utile la precisazione nel medesimo studio di Bonacina, ivi, pp. 102-103.
61 Sul carattere estensivo e non selettivo, ovvero humboldtianamente “intensivo”, di tal forma di
Weltgeschichte, si veda D. Conte, Storicismo e storia universale. Linee di un’interpretazione, Napoli, Liguori, 2000, p. 139.
62 J.G. Herder, Ideen zur Philosophie der Geschichte der Menschheit, in Id., Werke in zehn Bänden, vol.
VI, cit., p. 35.
63 O. Spengler, Frühzeit der Weltgeschichte, München, Verlag C.H. Beck, 1966, trad. it. Albori della
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