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Una ricognizione sul concetto di imperium Mariangela Ravizza

5. Monarchia etrusca e imperium

Le cose tuttavia erano destinate a mutare col passare del tempo. L’esigenza di stabilità, di difesa e di unità di una pluralità di villaggi, manifestatasi inizialmente con la ripartizione della popolazione in tribù e curie, ebbe una vera e propria svolta tra la seconda metà del VII e il VI secolo a.C., con la dominazione di monarchi di origine etrusca. Controversa è la questione se essi fossero dei tiranni di tipo greco, connotati da uno spiccato dispotismo militare diretto ad annullare qualunque libertà dei sudditi o se invece rispondessero semplicemente al bisogno di un forte potere centrale da opporre alle minacce esterne e alle forze centrifughe interne30 o, ancora, se si identificassero con i

grandi riformatori delle istituzioni e creatori di nuovi equilibri31. Quel che appare certo è

che il loro apporto nel campo dell’economia e dell’organizzazione sociale fu di indiscutibile rilevanza. Fu infatti proprio sotto la dominazione dei re etruschi che nacquero la proprietà privata, la coltura intensiva, la divisione del lavoro. Ciò portò tuttavia, inevitabilmente, a disuguaglianze e a disordini interni che richiesero un ordinamento diverso, tale da accentrare la maggior parte dei poteri pubblici nelle mani del re che doveva rappresentare questa nuova compagine socio-politica. Nacque così la

28 E. Gabba, Dionigi e la storia di Roma antica, Bari, Edipuglia, 1996, p.136

29Ivi, p. 137 ss. che sottolinea il diverso concetto che invece ha Cicerone della storia costituzionale e

politica di Roma; l’Arpinate vede infatti, lo sviluppo costituzionale romano in totale contrasto con quello delle città greche, frutto non dell’opera di un unico legislatore ma di molti nel corso di parecchie generazioni.

30 De Martino, Storia, I, cit., p.119.

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polis, un centro urbano in rapida espansione sia da un punto di vista demografico che

territoriale. Era altrettanto ovvio che dal lato militare essa avvertisse l’esigenza di un’organizzazione sempre maggiore, in grado di adeguarsi alla posizione dominatrice di Roma: non più l’uso di cavalli che aveva caratterizzato la guerra alle origini della civitas, non più l’uso di soldati privi di scudo e corazza ed armati di sole armi offensive, ma uno schieramento di fanti muniti di una robusta armatura in bronzo in grado di avanzare compatti verso il nemico. In questo contesto occorreva un sovrano dotato di forti poteri militari, tale da costituire una presenza effettiva in caso di guerra e di avvalersi eventualmente di ausiliari come i tribuni militum. Nell’Urbe, l’organo sovrano non era più il senato: tutti i poteri, religiosi e politici, si concentravano ormai nella persona del

rex, simbolo dell’unità quiritaria, ma anche comandante supremo ed arbitro assoluto delle

sorti del popolo romano.

La maggior parte della dottrina è oggi concorde nell’attribuire al re etrusco, a differenza del re latino detentore di semplice potestas32, il potere d’imperium, potere che

appunto trovava il suo fondamento nella nuova struttura della società e nelle mutate condizioni economiche e sociali33.

Opinioni contrastanti si hanno invece tra gli studiosi riguardo la nascita e l’estensione di tale potere: se esso, cioè, fosse o meno, originario, assoluto e illimitato. Coloro che

32 P. Voci, “Per la definizione dell’imperium”, in Studi in memoria di E. Albertario, Milano, Giuffrè,

1953, p. 79; Guarino, Storia cit., p. 105; Capogrossi Colognesi, L’età monarchica, cit., p. 20: la potestas del re venne tuttavia a rafforzarsi nel corso del tempo assumendo caratteri sempre più accentuatamente militari. Nella fase latino-sabina, il re si poneva solitamente a capo dell’esercito in guerra, ma i suoi poteri di capo della comunità non erano espressi col termine e col concetto militare di imperium, ma col termine di potestas. Questo termine stava ad indicare un’autorità politico-religiosa sulla civitas sostanzialmente analoga a quella spettante ai patres sulle gentes e sulle familiae; tuttavia la potestas del rex, fuori dal campo militare, veniva a ridursi al cerimoniale esteriore, al simbolismo supremo dell’unità cittadina.

33 Contra Capogrossi Colognesi, L’età monarchica, cit., p. 29 che ritiene una tale ricostruzione non

degna di fede. Il termine imperium per l’età regia è accettabile, a suo avviso, se miri unicamente ad evidenziare il carattere militare del supremo comando; per tutta la fase monarchica, infatti, non è possibile l’uso tecnico del termine imperium, il cui valore non sarebbe ancora distinguibile da quello di potestas; molto più sfumata, tuttavia, appare successivamente la sua posizione in Le strade del potere, cit., p. 62. Nega l’esistenza del concetto d’imperium in età regia anche Coli, “Regnum”, cit., p. 428; R. Orestano, I fatti di normazione nell’esperienza romana arcaica, Torino, Giappichelli, 1967, p. 133, ritiene invece più appropriato parlare di manus, concetto che si presta assai bene a rappresentare l’unità di un potere vastissimo; Grosso, Storia, cit., p. 48, n. 1 e p. 59, n. 5, ritiene improprio l’uso del termine imperium solo se riferito alla monarchia latina; il suo significato tecnico, infatti, che verrà poi a caratterizzare il potere dei supremi magistrati repubblicani, trova le radici nella dominazione etrusca. Ciò è confermato dai simboli esteriori di questo potere, tutti di derivazione etrusca.

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propendono per un imperium che trovava in se stesso la propria legittimazione basano il loro assunto sulla necessità di dover escludere che le facoltà militari, civili e religiose del re potessero essere state conseguite a seguito di usurpazioni o di leggi che avessero autorizzato l’esercizio di attività diverse dal comando militare34. Sarebbe potuta essere

questa, infatti, a loro avviso, l’unica giustificazione possibile per concepire l’imperium regio come un potere derivato e non originario. Di conseguenza la strada da seguire – secondo tali studiosi – dev’essere necessariamente quella di ritenere che l’imperium fosse insito nel potere carismatico del rex e che trovasse in se stesso il proprio fondamento di legittimità. Implicita in questa teoria la convinzione che il sovrano, al pari del successivo magistrato repubblicano35, fosse collocato costituzionalmente al di sopra del ius civile e

quindi fosse dotato di un imperium illimitato e libero da ogni vincolo. Solo successivamente, come conseguenza di un’evoluzione naturale, la tradizione vi avrebbe posto dei limiti.