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Atene e gli Eraclid

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2. Atene e gli Eraclid

L’atteggiamento di Isocrate nei confronti di Filippo, tuttavia, non è di semplice compiacenza. La menzione dei suoi interessi nelle primissime righe successive al proemio (§ 30) fa pensare che tali interessi stiano particolarmente a cuore al re macedone, e che proprio questo tipo di considerazioni abbia guidato le sue azioni fino ad adesso, forse anche a scapito delle città greche. In più punti Isocrate utilizza eufemismi per descrivere il rapporto fra Filippo e le città. Egli lo invita a non «trascurare» le poleis (32 ὀλιγωρεῖν), dove il verbo potrebbe indicare tanto che Filippo non intreccia nessun rapporto con le città, e quindi non apporta loro nessun beneficio, quanto che ha fatto guerra contro di loro senza curarsi delle loro azioni passate. In effetti, degli scontri già avvenuti con queste poleis Isocrate fa menzione poco dopo, al § 35, dove però usa un altro eufemismo, un semplice διαφοράν in luogo di termini più pregnanti, che

300 Cfr., a proposito della reciprocità in ambito individuale, il giudizio di van Wees (1998, 41): «Often, generosity is not meant to be repaid in kind at all, but to be reciprocated with long-term subordination to the benefactor» e le osservazioni di Low (2007, 46ss.). La differenza fra fare un beneficio e rispondere ad uno ricevuto è evidenziata anche in Thuc. 2.40.4-5, su cui cfr. Mitchell 1997, 39.

301 Si veda per esempio la rappresentazione del μεγαλόψυχος in Arist. EN 4.8.24b9-20, dove si ricorda come i magnanimi siano più felici di fare del bene che di riceverlo, perché in quest’ultimo caso si trovano in una posizione di inferiorità. Si noti anche la volontà di superare in favori ὁ ὑπάρξας (colui che ha preso l’iniziativa del benefici, con un verbo simile a quello di

Phil. 36 προϋπάρχειν).

302 La connessione fra rispetto del δίκαιον, o elargizione di εὐεργεσίαι, e mantenimento di alleanze in Dawson 1996, 83. Più avanti nel discorso (cfr. e.g. §§ 133 ss.) la δόξα sembrerà diventare un fine per se dell’impresa.

avrebbero rappresentato meglio l’esito bellicoso di alcune delle contese303.

Anche l’affermazione di poco successiva – che la responsabilità di tali scontri sia da attribuire sia a Filippo sia alle città greche – assume la connotazione di una gentile concessione da parte di Isocrate al fine di fondare le basi per una futura cooperazione, piuttosto che di una reale analisi dei fatti avvenuti.

Un ulteriore esempio della tensione percepibile in questo passo è il riuso che viene fatto del mito della difesa degli Eraclidi da parte di Atene, presentato già nel Panegirico (§§ 54-60)304. Le due trattazioni mostrano corrispondenze

interessanti, indizi di un concreto legame: Atene viene presentata come la «sola» ad affrontare Euristeo (Paneg. 56 μόνην ~ Phil. 34 Μόνη); le espressioni usate per definire l’avversario sono le solite (Paneg. 58 πρὸς τὴν Εὐρυσυθέως δύναμιν ~ Phil. 34 πρὸς τὴν Εὐρυσθέως δύναμιν); la sconfitta di Euristeo viene espressa in modo sostanzialmente identico (Paneg. 58 κἀκεῖνον τῆς ὕβρεως ἔπαυσαν ~ Phil. 34 ἐκεῖνόν τε τῆς ὕβρεως ἔπαυσαν). Il senso e la funzione generale del passo sono tuttavia piuttosto diversi. Nel Filippo Isocrate fornisce una versione notevolmente abbreviata del mito305, ma soprattutto utilizza questa

narrazione non tanto per affermare la superiorità di Atene, quanto per motivare i benefici che essa dovrà ricevere in cambio da Filippo. In un certo modo, quindi, il mito viene utilizzato per legittimare – se non una posizione propriamente subordinata di Atene – perlomeno il ruolo della città come destinataria di benefici, più che come dispensatrice di essi (cfr. invece l’immagine altruistica di

303 Per ulteriori casi di “eufemismo”, cfr. 35 μηδὲν συμβήσεταί σοι τοιοῦτον, come se le contese con le poleis fossero eventi legati al caso, che Filippo ha dovuto subire (il fatto stesso che Isocrate utilizzi il verbo φυλάσσω, e oltretutto all’impersonale, fa pensare ad una difesa da semplici fattori involontari, difesa di cui Isocrate stesso, congiuntamente a Filippo, sembra farsi carico); 37 εἰ πρός τινας αὐτῶν ἀηδές τί σοι συμβέβηκεν, dove l’aggettivo ἀηδές nasconde probabilmente descrizioni meno concilianti degli incidenti passati.

304 L’impresa fa parte di una serie più ampia di esempi, che compaiono spesso insieme ma possono essere usati anche separatamente: cfr. Gotteland 2001, 125-31. Se le battaglie contro le Amazzoni e i Traci sono caratterizzati come guerre difensive, condotte contro il barbaro, sono invece gli Ateniesi stessi ad intervenire a favore degli Eraclidi e di Adrasto, attaccando in nome del δίκαιον altri Greci. Per la serie completa delle imprese, cfr. e.g. Dem. 60.8.

305 Vengono taciuti alcuni elementi non funzionali all’argomentazione (o addirittura controproducenti), per esempio la menzione dei benefici procurati da Eracle all’umanità, che Atene avrebbe ricambiato: cfr. Paneg. 56 ἀποδοῦναι χάριν ὑπὲρ ὧν ὁ πατὴρ αὐτῶν ἅπαντας ἀνθρώπους εὐεργέτησεν. Atene compie nel Panegirico l’azione che nel Filippo viene assegnata al re macedone (cfr. Phil. 36 ἀποδιδόντα… χάριν); invece nel Filippo l’impresa di Atene appare quasi come un’iniziativa della città, senza neppure una menzione della richiesta di aiuto da parte degli Eraclidi. Una strategia simile al Filippo in Lisia, dove si rimarca che Atene non è stata direttamente beneficata da Eracle al fine di sottolinearne l’altruismo disinteressato (cfr. 2.13 ἀγαθὸν μὲν οὐδὲν ἰδίᾳ ὑπὸ τοῦ πατρὸς αὐτῶν πεπονθότες e Todd 2007, 223-4). Ma anche nel

Panegirico isocrateo si nota una tendenza a superare la prospettiva del contraccambio di favori:

al § 60 si suggerisce che Atene è stata addirittura più efficace di Eracle nel neutralizzare la minaccia di Euristeo, e ha quindi, in un certo senso, superato i benefici di Eracle stesso. Viene similmente passata sotto silenzio nel Filippo la presenza dei Peloponnesiaci, che rappresentavano lo schieramento militare di Euristeo (Paneg. 58), per non mostrare questa battaglia come una “resa dei conti” interna alla Grecia.

Atene dedita alla giustizia più che all’utile in Paneg. 53). Un parallelo parziale con la narrazione del Panegirico è, tuttavia, particolarmente rilevante ai nostri fini. Alla fine della narrazione, infatti, Isocrate afferma che gli Spartani, dati i benefici prodigati dalla città nei confronti dei loro progenitori, non avrebbero mai dovuto invadere il territorio dell’Attica: 62 Ὥν ἐχρῆν ἐκείνους μεμνημένους μηδέποτ’ εἰς τὴν χώραν ταύτην εἰσβαλεῖν306. Qui la formulazione

è parallela a quella di Phil. 35 Τοιούτων οὖν ἁπασῶν τῶν πόλεων γεγενημένων ἔδει μὲν μηδέποτέ σοι μηδὲ πρὸς μίαν αὐτῶν γενέσθαι διαφοράν, con la differenza che le εὐεργεσίαι da tenere in considerazione non sono solo quelle di Atene, ma quelle di tutte e quattro le città307, e chi viene messo in guardia è

Filippo e non Sparta. In questo modo, Isocrate sembra suggerire che Filippo abbia preso il posto degli Spartani, e si sia quindi comportato in modo simile a quell’avversario tracotante e imperialista di Atene, duramente criticato nel Panegirico. La critica è solo parzialmente mitigata dal successivo riferimento alla comune condizione umana (cfr. nota a 35 ἅπαντες πλείω πεφύκαμεν ἐξαμαρτάνειν κτλ.). La paradossalità della situazione è ancora più evidente, se si considera che Isocrate aveva chiuso il passo del Panegirico ricordando come non fosse πάτριον che i beneficati – cioè gli Spartani – comandassero sui benefattori – gli Ateniesi (§ 62).

Isocrate, quindi, sembra avvertire Filippo delle sue mancanze e di come egli debba mutare atteggiamento verso le principali poleis greche (un tema che verrà sviluppato più estesamente nella sezione successiva, §§ 39-56); al tempo stesso, egli non presenta la sua proposta solo come un’occasione per riparare gli errori passati (una prospettiva non particolarmente invitante per Filippo), ma come una grande opportunità di guadagnare addirittura credito presso i Greci.

§ 29b

Ἃ μὲν οὖν ἐβουλόμην κτλ.

Una simile formula di passaggio in Paneg. 14-15 Περὶ μὲν οὖν τῶν ἰδίων ταῦτά μοι προειρήσθω. Περὶ δὲ τῶν κοινῶν κτλ. (si noti la ricorrenza del verbo προλέγειν e della correlazione μὲν οὖν… δέ). — μὲν οὖν segnala il passaggio ad un nuovo argomento, rinviando a quanto detto prima e segnalando un momento di “ricapitolazione” (Bäumlein 1861, 178-9; Denniston 1954, 470-3; cfr. anche Bonifazi – Drummen – de Kreij 2016, 4.3.11.5, §§144-6 su Tucidide, spec. §146: «μὲν οὖν… marks a stepping out from the preceding flow of narration»). Solitamente usato da Isocrate in formule di transizione fra macro- sezioni di un discorso (Ljungdahl 1871, 50-4): cfr. §§ 83 (fra prima e seconda parte del discorso), 95 (prima della sezione dedicata alla παρασκευή

306 Sul referente di tale passo, cfr. la nota di Usher 1990, 162-3 ad loc.

307 Il primato di Atene viene comunque sottilmente suggerito dalla notevole insistenza su di essa nei due paragrafi precedenti: cfr. in particolare il § 34, che contiene un’argomentazione per certi versi simile a quella di Phil. 35, ma si concentra sulla χάρις che tutte le altre città, e non solo Filippo, dovrebbero avere verso Atene. Sul ruolo ipotizzabile per Atene nel progetto politico del

dell’esercito di Filippo). Ma può segnalare anche la transizione fra passi di estensione minore (cfr. §§ 16, 57) o fra parti di uno stesso passo (§§ 7, 59, 61 [passaggio fra Alcibiade e Conone], 89 [Agesilao – Diecimila], 110). La formula di transizione presenta in diversi casi, come qui, pronome dimostrativo + εἶναι: cfr. Antid. 13 ταῦτ’ ἐστίν, Panath. 39 ταῦτ’ ἐστίν, 118 αὗται δ’ οὖν ἦσαν, Ep. 7.7 ταῦτ’ ἐστίν; altri esempi in Ljungdahl 1871, 50-1. È spesso presente, come anche in tutti i casi sopraccitati eccetto § 57, un secondo membro con δέ che segnala il nuovo argomento (Denniston 1954, 472; al § 57 il nuovo argomento è segnalato da τοίνυν). Ma ai §§ 94 e 113 il δέ segnala una semplice contrapposizione con quanto detto nel primo membro; al § 86 il secondo membro manca completamente. Per variazioni di questa formula di transizione, cfr. anche note a 83 Περὶ μὲν οὖν τῶν ἐμῶν, 89 μὲν οὖν, 95 Ταῦτα μὲν οὖν οὕτως.

§ 30

διαλλάξαι

Il verbo contribuisce a rappresentare Filippo come un mediatore – un διαλλακτής, appunto – che dovrà risolvere i motivi di contesa fra i Greci. Tale posizione poteva implicare una qualche forma di superiorità da parte del re macedone, ed è interessante notare come, in Dem. 14.40, proprio il Gran Re aspirasse ad un ruolo del genere per avere l’opportunità di sottomettere la Grecia al proprio volere (τοὺς Ἕλληνας ὁρᾷ δεομένους ἤτοι τινὸς ἑκουσίου ἢ ἀκουσίου διαλλακτοῦ κτλ.).

τήν τε πόλιν τὴν Ἀργείων κτλ.

L’individuazione di Argo, Sparta, Tebe e Atene come le quattro principali città greche compare anche in altre fonti, fra cui Diod. 15.60.2. In Diod. 12.75.3, oltre ad Atene e Sparta altre quattro città compaiono come le più importanti, fra cui Argo e Tebe (le rimanenti sono Corinto ed Elis). Già nel Panegirico Isocrate indicava le quattro città qui elencate come le μέγισται della Grecia (§ 64), ma l’argomentazione allora volgeva soprattutto alla dimostrazione della superiorità di Atene sulle altre poleis (su questo passo, cfr. anche Premessa §§ 39-56 [1]). Un accenno alle città più importanti anche in De pac. 138 τῶν πόλεων ταῖς προεχούσαις.

συστῆσαι

Il verbo è utilizzato a più riprese nel discorso, anche per indicare la fondazione di città (§ 122) o in contesti simili al nostro (§ 57). Il verbo è utilizzato, per esempio, per indicare la formazione di un’alleanza (Dem. 2.9 ὅταν μὲν γὰρ… τὰ πράγματα συστῇ), ma non è possibile inferirne, tuttavia, una più specifica caratterizzazione del tipo di “unione” che Isocrate prospettava per i Greci: cfr. Bouchet 2014, 178.

οὐ χαλεπῶς

Primo accenno all’argomento del δυνατόν e soprattutto del ῥᾴδιον, sviluppato più avanti (§§ 57-67).

§ 31

Ἅπασαι γάρ εἰσιν ὑπὸ ταῖς εἰρημέναις

La frase rispecchia quella del proemio del Panegirico in cui si rimarca la divisione delle città greche fra Atene e Sparta: 16 Τῶν γὰρ Ἑλλήνων οἱ μὲν ὑφ’ ἡμῖν, οἱ δ’ ὑπὸ Λακεδαιμονίοις εἰσίν. L’espressione usata per indicare la dipendenza delle città è la stessa (ὑπό + dat.), e anche il meccanismo alla base della conciliazione panellenica è il solito: basta mettere d’accordo le due principali città per creare la concordia fra tutte le altre (ibid. Ὅστις οὖν οἴεται τοὺς ἄλλους κοινῇ τι πράξειν ἀγαθὸν πρὶν ἂν τοὺς προεστῶτας αὐτῶν διαλλάξῃ, λίαν ἁπλῶς ἔχει καὶ πόρρω τῶν πραγμάτων ἐστίν). A differenza di allora, tuttavia, la ripartizione è fra quattro città, e non solo due. La bipartizione prospettata nel Panegirico, del resto, era poco veritiera già al tempo della pubblicazione di quel discorso (cfr. la nota di Usher 1990, 153-154 ad loc.) e il quadro alla metà del IV secolo era notevolmente mutato: non solo Tebe aveva assunto un’importanza militare e politica che ne faceva la sostanziale guida della Grecia in questo periodo, ma anche Argo poteva essere inclusa fra τοὺς δυνατωτάτους da Senofonte (Hell. 7.2.2; del resto, la città anche durante il V secolo si era mostrata degna di una qualche considerazione: Thuc. 5.28.2, dove si parla della sua aspirazione all’egemonia). Sembra che qui l’intento di Isocrate sia quello di sottolineare la perdita dell’hegemonia da parte di Sparta e Atene, forse causata dal loro stesso comportamento politico (per una discussione del problema, cfr. Premessa §§ 39-56 [1]).

καταφεύγουσιν, ὅταν φοβηθῶσιν

Le leghe attorno a singole città potenti non vengono semplicemente viste come strumento di oppressione (anche se questo possono diventare), ma traggono la loro origine dalle esigenze di difesa dei più deboli. Cfr. De pac. 138 ἐφ’ ἡμᾶς ἅπαντες οἱ δεδιότες καὶ κακῶς πάσχοντες καταφεύξονται, πολλὰς ἱκετείας καὶ δεήσεις ποιούμενοι, καὶ διδόντες οὐ μόνον τὴν ἡγεμονίαν, ἀλλὰ καὶ σφᾶς αὐτούς. Sembra essere ripresa qui l’idea della formazione sostanzialmente “volontaria” di tali leghe: cfr. e.g. De pac. 30 παρ’ ἑκόντων τῶν Ἑλλήνων τὴν ἡγεμονίαν ἐλάβομεν, Thuc. 1.95-6.

ἐφ’ ἣν ἂν τύχωσιν τούτων

A differenza che nel Panegirico (§ 16), Isocrate non stabilisce una differenziazione fra πολιτεῖαι che motiverebbe il ricorrere di una città all’una o all’altra delle potenze egemoniche. I destinatari delle richieste di aiuto sono totalmente casuali (τύχωσιν); in questo modo, Isocrate sembra prefigurare la situazione descritta più avanti (§§ 42-5), in cui principio guida delle città greche non è altro che il proprio ὠφέλιμον. Sull’omissione del participio legato a

τύχωσιν (anticipato in καταφεύγουσιν), cfr. Schneider 1888, 89-90 ad Areop. 29.

εὖ φρονεῖν

Alle città viene assegnata la caratteristica precipua degli uomini ben formati secondo il modello isocrateo: cfr. Böhme 97. L’analogia è supportata dall’equivalenza fra ψυχή di un uomo e πολιτεία di una città, esposta in Areop. 14: Ἔστι γὰρ ψυχὴ πόλεως οὐδὲν ἕτερον ἢ πολιτεία, τοσαύτην ἔχουσα δύναμιν ὅσην περ ἐν σώματι φρόνησις. Per l’assimilazione delle città ad individui, cfr. anche 38 τοῖς ἰδίᾳ μαχομένοις.

§ 32

ἀνενέγκῃς αὐτῶν τὰς πράξεις ἐπὶ τοὺς σαυτοῦ προγόνους

Il significato dell’espressione è dubbio. Si può scegliere di riferire πράξεις al complemento immediatamente successivo, e optare quindi per una traduzione «qualora tu richiami alla mente le azioni compiute in relazione ai/a favore dei tuoi antenati» (così Benseler e Laistner); in tal caso ἀναφέρειν avrebbe un significato avvicinabile a quello di Pl. Lg. 8.829e6-7 Χρὴ δὲ ἀναφέρειν παραδεικνύντα ἑαυτῷ τὸν νομοθέτην τῷ λόγῳ. Tuttavia, ci si aspetterebbe in questo caso un diverso ordine delle parole (τὰς ἐπὶ τοὺς κτλ.: cfr. Schneider 117), anche per evitare confusione con la costruzione di ἀναφέρειν; inoltre, la preposizione più adatta sarebbe probabilmente εἰς (sul modello, per esempio, di Hdt. 1.5.3 ἀδίκων ἔργων ἐς τοὺς Ἕλληνας). L’alternativa proposta da Schneider («in Beziehung setzest», accolta in questa traduzione) rimane comunque piuttosto generica e non supportata da paralleli stringenti: anche dove ἀναφέρειν viene riportato come semplice «riferire, mettere in relazione» (cfr. e.g. GI s.v. 1d), il significato nelle singole occorrenze è in realtà più specifico («imputare a» in Eur. Or. 432, Aesch. 3.215; «rimettere a» in Hdt. 3.80.6). Anche nei Physiognomica pseudoaristotelici, dove il verbo è spesso usato al medio con la costruzione ἐπί + acc., esso significa «riferirsi» nel senso di «rinviare ad una causa» (riferito ad un σημεῖον: cfr. Vogt 1999, 418). Similmente, un’interpretazione di ἀναφέρειν come «ricondurre» a tempi più remoti, «far risalire» (dando quindi ad ἀνα- un chiaro significato temporale) è piuttosto difficile: benché non manchino paralleli per questa accezione (cfr. per esempio Pl. Alc. 1 120e τὸ δ’ Ἡρακλέους τε γένος καὶ τὸ Ἀχαιμένους εἰς Περσέα τὸν Διὸς ἀναφέρεται, Dem. 24.43 τοὺς αὐτοὺς τῶν νόμων… ἀνενεγκεῖν ἐπὶ τὴν ἡμέραν κτλ. «rendere retroattive le leggi»), si tratta sempre di ricondurre qualcosa di presente al passato – e quindi che cosa significherebbe qui far risalire le azioni (attuali) delle città a tempi più antichi? Si potrebbe presupporre la caduta dell’articolo: τὰς πράξεις <τὰς> ἐπὶ κτλ. — προγόνους al plurale perché si tratta sia del fondatore della dinastia (Perdicca o Carano: cfr. nota a 105 τὸν κτησάμενον τὴν βασιλείαν), sia del progenitore mitico, Eracle (cfr. τὸν ἀρχηγὸν τοῦ γένους, infra).

πρὸς ὑμᾶς

Non un pluralis maiestatis per Filippo, ma lui e i suoi πρόγονοι.

μεγάλας εὐεργεσίας

Le εὐεργεσίαι che Filippo dovrà destinare alle città greche (§§ 36, 116, 140, 154) sono in realtà anticipate da loro stesse. Sulla pregnanza di tale termine, cfr. nota a 116 ἐπί τε τὰς εὐεργεσίας κτλ.

ὑπαρχούσας

Il valore durativo del participio contribuisce a presentare la φιλία e i benefici prodigati dalle città come un possesso presente e ancora valido di fronte a Filippo. Del resto, non si tratta solo di benefici passati ma di onori tributati ancora adesso a Eracle (Tebe, Argo) o che hanno ancora effetto sui contemporanei (Atene).

Ἄργος… πατρίς

Argo è qui πατρίς di Filippo non tanto perché Anfitrione era nato a Tirinto, in Argolide (Hes. Sc. 81, Apollod. 2.4.5-6), e quindi Eracle poteva dirsi argivo, quanto perché il primo re macedone (Perdicca o Carano: cfr. nota a 105 τὸν κτησάμενον τὴν βασιλείαν) era figlio di Temeno, che regnava su Argo (Hdt. 8.137.1). Non vedo difficoltà nell’intendere Argo come “patria” (Schneider: «hier in ungewöhnlicher Bedeutung»), benché questa sia tecnicamente il luogo di origine del fondatore della dinastia e non di Filippo stesso. Del resto, Alessandro I affermava di essere, senza mezzi termini, Ἀργεῖος (Hdt. 5.22), e più avanti Isocrate farà addirittura diventare l’intera Grecia la πατρίς di Filippo: § 127.

τὸν ἀρχηγὸν τοῦ γένους ὑμῶν

Eracle. Temeno, padre del fondatore della dinastia argeade, era appunto uno degli Eraclidi (Hdt. 8.137.1); per la discendenza degli Argeadi da Eracle, cfr. anche Vell. 1.6.5; Hammond – Griffith 1979, 3-14; Hammond 1989, 16-21. Eracle viene menzionato nuovamente, con la stessa espressione, al § 105. Il fatto che Isocrate menzioni Eracle con questa perifrasi è significativo: sembra quasi che Tebe onori la dinastia argeade.

τιμῶσιν καὶ ταῖς προσόδοις καὶ ταῖς θυσίαις κτλ.

Le fonti attestano la presenza di un santuario di Eracle, oltre ad un ginnasio e ad uno stadio dedicati al dio, a sinistra della porta Elettra (per chi entrava a Tebe: Paus. 9.11.4-7). Al santuario sembra accennare anche Pindaro (Isthm. 4.61 = 79 Sn.-M.) e lo scolio al verso menziona feste annuali in onore dei figli di Eracle, uccisi dal padre in preda alla follia (schol. Pind. Isthm. 4.104b-c). Sul culto di Eracle a Tebe, cfr. Demand 1982, 49-52; Stafford 2012, 182-3. Sulla possibilità di ipotizzare un tempio dedicato ad Eracle anche all’interno della città, nel suo luogo di nascita, cfr. Symeonoglou 1985, 128-9. — τοὺς θεοὺς τοὺς ἄλλους: sulla posposizione di ἄλλος, cfr. Strange 1834/1835, 599.

§ 33

Λακεδαιμόνιοι δὲ κτλ.

I due re spartani facevano risalire la propria origine a Eracle, e precisamente al suo discendente Aristodemo o ai figli gemelli di quest’ultimo, Euristene (progenitore della famiglia degli Agiadi) e Procle (progenitore degli Euripontidi); cfr. per un albero genealogico Stafford 2012, 138. La leggenda della spartizione del Peloponneso viene narrata in Apollod. 2.8.4-5. Le più antiche attestazioni delle genealogie dei re spartani si trovano in Hdt. 7.204 e 8.131 (rispettivamente per Leonida e per Leotichide). La βασιλεία rimanda all’esercizio del potere in città, mentre la ἡγεμονία è la prerogativa del comando in guerra, assegnato ai re secondo la costituzione di Licurgo (Xen. Lac. 13, 15.2). La menzione del ruolo assegnato ai discendenti di Eracle a Sparta potrebbe alludere al fatto che gli Spartani sarebbero ben contenti di affidare un ruolo di primo piano a Filippo stesso – se non la βασιλεία perlomeno l’ἡγεμονία militare nella spedizione contro i barbari.

οἷς περὶ τῶν παλαιῶν πιστεύομεν

Isocrate rimarca l’antichità di tali fatti, come succede – proprio in riferimento agli Eraclidi – in Archid. 42 ἀρχαῖα καὶ πόρρω τῶν νῦν παρόντων e Hdt. 9.27.5 παλαιῶν μέν νυν ἔργων ἅλις ἔστω. Le non meglio precisate fonti di Isocrate potrebbero essere poetiche (cfr., per un esempio conservato, gli Eraclidi di Euripide) ma non necessariamente: potrebbe trattarsi anche di un riferimento agli oratori incaricati di pronunciare gli epitafi. – οἷς περὶ: Non sembra necessaria la congettura di Blass, accettata anche da Mathieu-Brémond (οἷσπερ περὶ), che è probabilmente motivata dalla volontà di salvare in parte la lezione di Γ. La lezione della seconda famiglia, infatti, è perfettamente accettabile, e rende conto anche della lezione di Γ (che potrebbe originare da un errore del copista di questo stesso manoscritto, dal momento che οἷσπερ è proprio l’ultima parola del f. 169r, con conseguente cambio di pagina, e si trova quindi in un punto particolarmente delicato).

συναιτίαν γενέσθαι τῆς ἀθανασίας

Atene fu, secondo Diod. 4.39.1, la prima a celebrare sacrifici in onore di Eracle in quanto dio, e non semplicemente eroe. Paus. 1.32.4 assegna questo primato specificamente a Maratona; Plut. Thes. 35.2, invece, narra che Teseo dedicò tutti i suoi santuari ad Eracle. Meno probabile, ma non impossibile, vedere qui un riferimento ai misteri eleusini, cui Eracle sarebbe stato iniziato (Eur. HF 610-13, Apollod. 2.5.12, Diod. 4.25.1, [Pl.] Ax. 371e; per una discussione delle fonti e ulteriori riferimenti, cfr. Parker 1996, 89-100; Colomo 2004, 87-8). Secondo questa interpretazione, sarebbe più facile capire il silenzio di Isocrate (ἐμοὶ δὲ νῦν εἰπεῖν οὐ καιρός), come se il retore non volesse violare il riserbo religioso sui misteri. Ma tale connotazione religiosa è dubbia, e l’iniziazione di Eracle è legata, nella narrazione delle sue imprese, alla discesa agli Inferi e alla cattura di Cerbero, non alla prospettiva di una vita dopo la morte.

La lezione di Γ2 συναιτίαν è evidentemente corretta, in quanto la responsabilità

della divinizzazione di Eracle non risiede solo presso Atene, anzi essa è stata determinata principalmente da Zeus. Inoltre, è facile che si sia prodotto un passaggio συν > οὖν dopo μέν, dal momento che μὲν οὖν è una combinazione di particelle frequente in Isocrate. Rimane tuttavia il dubbio, alla luce anche della tendenza razionalizzante dei paragrafi successivi (cfr. in particolare § 143), che Isocrate volesse lasciar intendere qui che è soprattutto il culto prodigato da Atene a Eracle, e la conseguente fama, ad averne fatto un dio. Se non vi fosse stata tale iniziativa, Filippo non avrebbe potuto vantare una discendenza da un essere divino. L’aggettivo συναιτίαν si riferisce propriamente solo al primo complemento, mentre della salvezza degli Eraclidi Atene è stata la principale e unica artefice (cfr. Paneg. 61 τὴν δι’ ἡμῶν αὐτοῖς γενομένην σωτηρίαν). Il contributo degli Eraclidi stessi nella battaglia contro Euristeo è invece sottolineato in Diod. 4.57.6 οἱ δ’ Ἡρακλεῖδαι, βοηθούντων αὐτοῖς τῶν Ἀθηναίων.

αὖθις

Per il significato cfr. LSJ s.v. II.3; una simile contrapposizione con νῦν in Dem. 21.218.

καιρός

Sul significato retorico del termine, cfr. nota a 110 τὸν δὲ καιρὸν.

τοῖς δὲ παισὶ τοῖς ἐκείνου τῆς σωτηρίας

L’intervento a favore degli Eraclidi faceva parte del repertorio tipico degli epitafi, finalizzato a sottolineare l’impegno di Atene nel difendere la giustizia e i più deboli: cfr. Lys. 2.11-16, Pl. Mx. 239b, Dem. 60.8, e Arist. Rhet. 2.22.96a12-14, che identifica questa e altre imprese mitiche come gli elementi necessari ad un oratore per lodare Atene (su una linea simile Xen. Hell. 3.5.10). Hdt. 9.27.2 è la più antica testimonianza dell’uso di questo mito nella retorica encomiastica di Atene (cfr. Asheri 2006, 214); la presenza del mito nel discorso di Procle di Fliunte riportato da Xen. Hell. 6.5.47 testimonia che esso doveva avere una certa rilevanza nel determinare le relazioni fra Atene e altre città anche nel IV secolo (cfr. Zingg 2017, 553). Isocrate l’aveva usato nel Panegirico per giustificare il diritto all’egemonia di Atene (§§ 54-60): essa, infatti, si era mostrata superiore alle altre città e aveva procurato loro considerevoli benefici; su questo passo e sulle sue corrispondenze con il Filippo, cfr. Premessa [2]. Per altri usi del mito in Isocrate, cfr. Hel. 31 (dimostra la εὐσέβεια di Teseo), Areop. 75 (dimostra che gli Ateniesi hanno una natura superiore), Panath. 194 (Atene segue la giustizia e non la πλεονεξία). Per ulteriori testimonianze letterarie ed artistiche del mito, cfr. Wilkins 1993, xiv- xix, xxxi-xxxiii; Gotteland 2001, 167-98. Come in tutti gli altri passi degli