• Non ci sono risultati.

Il “rimedio” alla scrittura: Filippo come lettore ideale

Indicazioni per la consultazione

2. Il “rimedio” alla scrittura: Filippo come lettore ideale

Procediamo quindi con il confronto con gli altri due testi citati sopra (sezione 1).

Per Platone, nel Fedro, il discorso scritto non si oppone direttamente a quello orale. Anzi discorsi orali e scritti vengono, almeno in una prima fase della discussione, considerati insieme (258d4-5 Ἀλλ’ ἐκεῖνο οἶμαι αἰσχρὸν ἤδη, τὸ μὴ καλῶς λέγειν τε καὶ γράφειν ἀλλ’ αἰσχρῶς τε καὶ καλῶς). L’attività di chi pronuncia discorsi orali, tuttavia, viene in ultima analisi fatta rifluire nella categoria della scrittura di discorsi: anche gli uomini politici che non hanno pubblicato discorsi per paura di essere chiamati sofisti (257d4-8), in realtà desiderano più di ogni altra cosa lasciare per iscritto le proprie proposte di legge (257d9ss.). Inoltre, la critica al discorso scritto viene fatta coincidere più generalmente con la critica alla retorica – per come questa era tipicamente intesa – e alla fissità delle sue tecniche (si veda la rassegna sulle τέχναι λόγων in 266d ss.). La vera differenza sta per Socrate nella qualità del discorso, e nella sua corrispondenza con le caratteristiche della ψυχή del destinatario (269d- 272b). Il dialogo si chiude con una critica più specifica alle presunte potenzialità del discorso scritto (274b-278e): il discorso scritto non è uno strumento per la memoria (μνήμη), ma solo per la ὑπόμνησις di chi già sa; inoltre, se viene interrogato dice sempre la stessa cosa, ed ha sempre bisogno della presenza dell’autore che lo difenda. La produzione di opere scritte non sembra essere totalmente rifiutata, ma essa è subordinata alla conoscenza della verità e può essere vista solo come attività complementare alla più nobile pratica della dialettica (277e5-278b2).

Con il Fedro sembra intrattenere uno stretto rapporto l’epistola 1 del corpus isocrateo, indirizzata a Dionisio268. Qui si oppone l’invio di un testo scritto alla

situazione in cui l’autore presenti il suo discorso direttamente al destinatario. Vengono elencati tre vantaggi di quest’ultimo caso (§§ 2-3): 1) è più facile parlare direttamente ad una persona che esprimersi per mezzo di una lettera (2 ῥᾷον ἄν τις παρὼν πρὸς παρόντα φράσειεν ἢ δι’ ἐπιστολῆς δηλώσειεν); 2) tutti prestano più fede al parlato che allo scritto (2 πάντες τοῖς λεγομένοις μᾶλλον ἢ τοῖς γεγραμμένοις πιστεύουσιν): i discorsi orali, infatti, vengono ascoltati come εἰσηγήματα, quelli scritti come ποιήματα (ibid.); 3) inoltre – e su questo punto è o fra i primi, dettato quelle norme retoriche, sulle quali si basa, d’allora in poi, la tecnica prosastica classica». Al di là dell’annotazione piuttosto impressionistica e psicologizzante di Treves, non è in effetti impossibile rilevare un certo orgoglio di Isocrate – anche alla luce degli altri usi del verbo ὑποδείκνυμι (è riferito ad Eracle al § 111; per l’uso di ὑποδείκνυμι in riferimento ad un autore che propone un “esempio di stile” innovativo, è interessante il parallelo di Arist. Rhet. 3.2.04b25-6 ὅπερ Εὐριπίδης ποιεῖ καὶ ὑπέδειξε πρῶτος).

268 L’autenticità dell’epistola è discussa (cfr. Mathieu-Brémond 4.167-8 con bibliografia), così come il suo legame con il Fedro (cfr. Eucken 1983, 136 con nn. 53-4).

posto particolare rilievo – qualora il destinatario non comprenda o non ritenga credibile qualcosa (3 ἢν ἀγνοηθῇ τι τῶν λεγομένων ἢ μὴ πιστευθῇ), chi parla può venire in soccorso al discorso (παρὼν ὁ τὸν λόγον διεξιὼν ἀμφοτέροις τούτοις ἐπήμυνεν).

Il passo dell’epistola 1 presenta numerosi punti di contatto con il Filippo, testo con cui condivide la natura epistolare. Anche nell’epistola 1 non si tratta di un’opposizione fra discorso improvvisato e discorso preparato269; la discussione

su oralità e scrittura si chiude, in modo simile al Filippo, con la speranza che Dionisio – un destinatario fuori dal comune – sappia mettere da parte le δυσχέρειαι legate alla ricezione del discorso scritto, farsi equo κριτής di ciò che l’autore dirà e prestare attenzione alle sole πράξεις (§ 3 s.f.)270. Ma la distanza

fra l’epistola 1 e il Filippo è significativa. Solo il punto 2 fra quelli sopra elencati riguarda i preconcetti del fruitore nei confronti del discorso scritto271; il

focus della discussione del Filippo è invece tutto su questo aspetto. Non vengono mai sottolineati effettivi svantaggi del discorso scritto per quanto riguarda l’espressione dei contenuti: non si fa menzione, per esempio, dell’impossibilità di spiegare meglio il contenuto del discorso “venendo in suo soccorso”. La differenza fra i due passi è significativa anche per quanto riguarda il “rimedio” ai problemi del discorso scritto. Nell’epistola 1 sembra indicata come situazione ideale la presentazione di un testo scritto con eventuali chiarimenti da parte dell’autore272. Nel Filippo, invece, si esprime una maggiore

fiducia nelle potenzialità del testo scritto: esso stesso può risolvere – con la collaborazione del fruitore – eventuali problemi di comprensione273. Grazie alla

presenza di un testo scritto, il destinatario potrà ritornare su determinati punti ed esaminarli nel loro contenuto (§§ 28-9). La diversità dell’approccio adottato dal Filippo è tanto più evidente se lo mettiamo a confronto con il Fedro. Mentre 269 Cfr. Eucken 1983, 134: «Ob die gesprochene Rede improvisiert oder schriftlich vorbereitet ist, spielt hier keine Rolle».

270 In entrambi i testi il destinatario monarchico diventa il fruitore migliore del discorso. Cfr. Eucken 1983, 134-135: «Die hier ausgedrückte Erwartung, jener werde besser urteilen als das allgemeine Publikum, ist mehr als eine Floskel der Höflichkeit. Sie läßt erkennen, weshalb sich Isokrates mit seinem Anliegen überhaupt an ihn als Monarchen wendet».

271 Ep. 1.2 πάντες … τῶν μὲν ὡς εἰσηγημάτων, τῶν δ’ ὡς ποιημάτων ποιοῦνται τὴν ἀκρόασιν. La differenza è vista proprio come relativa all’atteggiamento del pubblico nella fruizione del discorso (ποιοῦνται τὴν ἀκρόασιν: una fruizione comunque sempre aurale). L’osservazione sembra implicare che il pubblico non dedica la necessaria attenzione ai discorsi scritti, ritenendoli testi destinati al solo intrattenimento.

272 Nell’epistola 1 il testo scritto mantiene comunque la sua centralità: il ruolo dell’autore è al massimo quello di ὁ διορθώσων (§ 3). Nel Fedro, invece, l’ἔλεγχος a cui vengono sottoposti gli scrittori di discorsi ha come risultato, se dimostra l’effettiva conoscenza del vero da parte di questi scrittori, quello di far apparire φαῦλα gli scritti (278c6-7). Platone richiede che il soccorso da portare al λόγος debba attuarsi con cose che siano di maggior valore (τιμιώτερα 278d8).

273 Un riflesso di questa impostazione si potrebbe vedere anche al § 24. Se nell’epistola I un διορθώσων si rende necessario qualora qualcosa μὴ πιστευθῇ (§ 3), nel Filippo qualora qualcosa appaia μὴ πιστόν si richiede al lettore di proseguire nella lettura fino in fondo: il discorso spiegherà se stesso.

l’epistola 1 è strettamente legata alla concezione espressa da questo dialogo, il Filippo sembra attaccarla direttamente: non è vero che il testo scritto, qualora gli si pongano delle domande, ἕν τι σημαίνει μόνον ταὐτὸν ἀεί (Phdr. 275d9). La lettura e rilettura del testo permette invece di comprenderne sempre meglio il significato e di afferrarne le implicazioni meno evidenti. La funzione dell’autore che viene in soccorso del suo discorso (Phdr. 275e4-5 τοῦ πατρὸς ἀεὶ δεῖται βοηθοῦ· αὐτὸς γὰρ οὔτ’ ἀμύνασθαι οὔτε βοηθῆσαι δυνατὸς αὑτῷ) viene in un certo senso svolta dal fruitore stesso, grazie alle sue capacità analitiche.