GLI ASPETTI CRITICI DEL RAPPORTO FIDUCIARIO
3. L'atipicità dello scopo fiduciario.
I tentativi di qualificazione in termini giuridici del negozio fiduciario hanno portato, una parte autorevole della dottrina228, a configurare tale fattispecie quale
226 MARICONDA, “Il pagamento traslativo”, in Contratto e impresa, 1988, p. 744; F. BENATTI, “Il pagamento con cose altrui”, estratto da Studi urbinati, Milano, 1975, p. 18; U. NATOLI, “L'attuazione del rapporto obbligatorio. Appunti dalle lezioni”, II, Milano, 1967, p. 45 e ss.
227 U. CARNEVALI, “Negozio fiduciario”, (voce) in Enc. giur. Treccani, XX, Roma, 1990, p. 6. 228 C. GRASSETTI, “Del negozio fiduciario e della sua ammissibilità nel nostro ordinamento
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paradigma unitario e autonomo. Siffatta ricostruzione, però, è stata accolta dalla giurisprudenza di legittimità solo in alcune isolate pronunce229.
Si tratta di una soluzione volta a coniugare e non ad esasperare il problema di fondo relativo all'ammissibilità nel nostro ordinamento di un atto traslativo
fiduciae causa, il quale caratterizzandosi in un'attribuzione particolarmente
atteggiata del diritto di proprietà in capo al fiduciario, comunque mette in luce, superandolo, quell'aspetto insanabile e, per lo più, di rottura del sistema, che si pone tra i due piani dell'intento fiduciario e delle cause traslative tipiche dei negozi di trasferimento dei diritti.
L'autonomia funzionale del negozio fiduciario dà luogo, dunque, alla configurabilità di un vero e proprio contratto atipico, connotato da una causa
fiduciae interna ed anch'essa atipica, che consisterebbe <<nella funzione di
utilizzazione della titolarità di un diritto reale ad un fine più ristretto di ciò che la titolarità medesima comporterebbe, e quindi nel circoscrivere con effetti obbligatori un'attribuzione effettuata senza limiti sul piano reale con la conseguente possibilità di abusi>>230.
Tale contratto fiduciario atipico sarebbe meritevole di tutela ai sensi dell'art. 1322 c.c., ciò comportando, sotto il profilo dell'inquadramento causale, la rilevanza del tipo d'intento voluto dalle parti che, sia pure qualificato in sé dalla realizzazione dello scopo fiduciariamente espresso nel pactum fiduciae, comunque darebbe altresì luogo all'ultroneo effetto ad esso collegato, quale il passaggio della
“Fiducia e rappresentanza indiretta”, in Diritto civile: metodo, teoria, pratica. Saggi,
Milano, 1951, p. 270.
229 Tra le quali si annoverano, in un elenco che non vuole essere esaustivo, Cass., 16 aprile 1937, in Giur. it., 1937, I, p. 658; Cass., 15 febbraio 1939, in Giur. it., 1939, I, p. 511; Cass., 30 gennaio 1968, n. 296; Cass., 23 gennaio 1971, n. 146; Cass., 7 agosto 1982, n. 4438; Cass., 29 novembre 1983, n. 7152; Cass., 29 novembre 1985, n. 5085.
230 A. DE MARTINI, “Il concetto del negozio giuridico e la vendita a scopo di garanzia”, in
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proprietà dal fiduciante al fiduciario, realizzandosi in tal modo anche l'atto traslativo contemplato nell'economia dell'accordo fiduciario.
In questi termini si spiega come la causa fiduciae sia intesa quale giustificazione interna del negozio fiduciario atipico, atteso che, secondo tale ricostruzione, proprio il rapporto obbligatorio integrerebbe l'elemento causale e non già una limitazione dell'effetto tipico del modello contrattale traslativo di riferimento, utilizzato dalle parti.
Di conseguenza, il profilo causale nel negozio fiduciario, così inteso, comporterebbe un vero e proprio adattamento del diritto reale tipico alla particolare situazione connotata dall'intento fiduciario, perseguito dai privati contraenti. In particolare, la causa fiduciae modellerebbe la titolarità del diritto reale sulla base di quei soli effetti voluti dalle parti dell'accordo fiduciario, circoscrivendoli a quanto stabilito nel pactum fiduciae, ovverosia comprimendoli negli angusti confini delimitati dal vincolo obbligatorio.
Tale interpretazione teoretica, che si ispira alla ricostruzione di un modello autonomo ed unitario del negozio fiduciario, è stata oggetto di numerose critiche, incentrate su consolidate ed imprescindibili logiche che informano di sé il sistema privatistico.
In particolare, le repliche mosse da una parte della dottrina231 si sono incentrate sulla non contemplata possibilità, nel nostro ordinamento, di derogare al principio relativo alla tipicità dei negozi traslativi. In tal senso, non giova invocare il principio della autonomia negoziale, disciplinato all'art. 1322 c.c., in quanto fuorviante.
Profili di dissenso232 si sono, poi, registrati anche in ordine ad aspetti tutt'altro che
231 L. CARIOTA-FERRARA, “Azioni sociali e negozio fiduciario”, in Giur. it., 1937, I, p. 665. 232 Si considerino, le critiche a tale ricostruzione del negozio fiduciario mosse da S.
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marginali, riguardanti l'obiettiva sussistenza e l'effettiva operatività del principio del numerus clausus dei diritti reali. Infatti, l'accoglimento di un negozio fiduciario atipico porterebbe a profilare l'idea di una proprietà “originale”, dal carattere, cioè, temporaneo ovvero funzionale oppure formale, che il nostro sistema giuridico non contemplerebbe.
Il suddetto principio, tuttavia, non va inteso in modo rigoroso, data la recente tendenza del sistema di riconoscere fattispecie relative a diritti reali, connotati da una certa duttilità, in termini di un loro adattamento ad alcune vicende negoziali, che lo stesso legislatore ammette. Esso risulta, invece, essere inderogabile nella parte in cui afferma che i diritti reali non sono suscettibili di essere creati dall'autonomia delle parti, dovendo gli stessi trovare un'espressa previsione nella legge.
Pertanto, si obietta proprio il fatto che il nostro ordinamento non conosce la cd. “proprietà fiduciaria”, vale a dire quel tipo di proprietà che si caratterizza per l'assenza del carattere della perpetuità e per la mancanza in capo al titolare della piena facoltà di disposizione sul bene.
È anche vero, però, che, sulla base delle risultanze del diritto sostanziale e delle copiose pronunce della giurisprudenza di legittimità, l'ordinamento interno non nega a priori la logica di una diversificazione contenutistica della proprietà, sia in relazione agli interessi sottesi all'operazione negoziale, sia in ordine ai soggetti
PUGLIATTI, “Fiducia e rappresentanza indiretta”, in Diritto civile: metodo, teoria, pratica.
Saggi, Milano, 1951, p. 270; F. SANTORO-PASSARELLI, “Dottrine generali del diritto civile”, Napoli, 1967, p. 180; N. LIPARI, “Il negozio fiduciario”, Milano, Giuffrè, 1964, p.
278; L. CARRARO, “Il mandato ad alienare”, Padova, 1947, p. 84. Anche la giurisprudenza prevalente si pone in antitesi alla prospettazione della fattispecie fiduciaria quale negozio unitario e autonomo, si vedano, ex multis, Cass., 24 gennaio 1967, n. 215; Cass., 30 gennaio 1968; Cass., 19 febbraio 1971, n. 435; Cass. 3 aprile 1980, n. 2159; Cass., 7 agosto 1982, n. 4438; Cass., 29 novembre 1983, n. 7152; Cass., 18 ottobre 1988, n. 5663; Cass., 29 maggio 1993, n. 6024.
102 intestatari coinvolti nell'accordo.
La precisazione, ovviamente, non equivale affatto ad affermare che nel sistema giuridico vigente sussista e sia accolto un vero e proprio riconoscimento della scissione tra proprietà formale e proprietà sostanziale, principio, invece, contemplato nei sistemi di common law.