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Il negozio fiduciario come species del negozio indiretto

Nel vigente ordinamento giuridico, il fenomeno della fiducia connota, come si è

137 G. PALERMO, “Sulla riconducibilità del “trust interno” alle regole civilistiche”, in Riv. dir.

comm., 2000, I, p. 148; L. GATT, “Dal Trust al Trust. Storia di una chimera”, II ed., Napoli,

2010. In tale monografia, la Gatt sostiene che il trust italiano non è una figura spuria con rinvio ad una legge straniera, come il trust interno (l'A. configura un vero e proprio “trust” di diritto interno, sulla base di regole dell'ordinamento italiano di fonte giurisprudenziale, dottrinale, nonché in forza di regole provenienti dalla prassi notarile); M. LUPOI, “Trusts”, Giuffrè, Milano, 2001, in cui l'A. sostiene l'ammissibilità di un trust interno all'ordinamento giuridico italiano. Si considerino anche alcune pronunce giurisprudenziali di ammissibilità di trust interno come Trib. Bologna, 1 ottobre 2003; e Trib. Napoli, 16 giugno 2005.

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detto, una peculiare tipologia di negozi giuridici, noti come negozi fiduciari, che la dottrina maggioritaria fa rientrare nella peculiare categoria dei negozi indiretti138, non senza che però sul punto si registrino più articolati e complessi dibattiti139.

I negozi fiduciari, dunque, alla luce di un'impostazione largamente accettata, costituiscono una species dei negozi indiretti, in quanto quest'ultimi si caratterizzano per la <<dissonanza>>140 tra la funzione tipica del negozio posto in essere e lo scopo pratico perseguito dalle parti. In particolare, viene in rilievo il dato giuridico della configurazione di un negozio idoneo a conseguire un risultato ultroneo rispetto a quello stabilito dal legislatore per quel tipo di contratto.

Con il negozio indiretto141, infatti, i privati intendono ottenere un determinato effetto giuridico realizzando, però, la funzione tipica di un altro negozio. In tal modo, l'assetto d'interessi concretamente voluto dai contraenti si attua de relato,

138 T. ASCARELLI, “Il negozio indiretto e le società commerciali”, Città di Castello, 1930, pp. 11-12; L. CARIOTA-FERRARA, “I negozi fiduciari”, Padova, 1933, Cedam, pp. 39-40, secondo cui: <<I negozi indiretti comprendono i negozi fiduciari, i quali non costituiscono l'unico esempio di negozi indiretti. [omissis] Si può dire, quindi, che si è in presenza d'un negozio fiduciario, sempre che si ha una contrapposizione tra un rapporto reale e un rapporto obbligatorio, e un'eccedenza del mezzo sullo scopo; si ha invece negozio indiretto, in genere, tutte le volte che si presenta una semplice dissonanza tra il mezzo adoperato e il fine perseguito>>.

139 A. AURICCHIO, “Negozio indiretto”, in NDI, XI, p. 220; PUGLIESE, “La simulazione nei

negozi giuridici”, Milano, 1938, p. 45; RUBINO, “Il negozio giuridico indiretto”, Milano,

1937.

140 Vedi nota 51 riguardo L. CARIOTA-FERRARA, “I negozi fiduciari”, Padova, 1933, Cedam, p. 40.

141 Il negozio indiretto si contraddistingue anche dalla donazione indiretta, la cui disciplina è prevista all'art. 809 del codice civile. In particolare, nella donazione indiretta le parti, pur ponendo in essere un negozio diverso dalla donazione, attuano tuttavia un risultato di liberalità. Ciò sta a significare che la donazione indiretta non si caratterizza per il perseguimento di una finalità anomala o ulteriore rispetto al modello tipico utilizzato dalle parti e legislativamente previsto, prova ne è il fatto che l'effetto giuridico voluto dai contraenti si pone in linea con lo schema contrattuale impiegato, non essendo ulteriore rispetto ad esso. Si pensi, a mero titolo esemplificativo, alla figura giuridica della remissione del debito.

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atteso che lo scopo proprio dell'intera operazione negoziale risulta essere diverso da quello che, di regola, si perseguirebbe con il corrispondente schema negoziale tipico impiegato.

È opportuno, tuttavia, chiarire che nel negozio indiretto le parti realmente vogliono gli effetti dell'atto posto in essere, anche se tali effetti risultano strumentali rispetto agli scopi ulteriori perseguiti. In altri termini, sebbene i privati si prefiggano fini ulteriori rispetto a quelli propri dell'atto impiegato, ciò non toglie che l'atto formalizzato sia realmente voluto, diversamente da quanto accade per il negozio simulato142, in cui le parti invece escludono la produzione degli effetti discendenti dall'atto formalmente stipulato.

Nonostante l'intento di realizzare per vie traverse fini propri di altro contratto, il negozio indiretto gode di piena validità nel nostro ordinamento, per il quale si prevede che il regime giuridico da applicare a tale programma contrattuale sia quello fissato per il negozio effettivamente concluso dalle parti.

Tuttavia, si può verificare l'ipotesi in cui la validità del negozio indiretto sia inficiata dalla ricorrenza di una duplice condizione, quale l'evenienza che i contraenti, con la stipulazione dell'atto, si prefiggano la realizzazione di un intento fraudolento ovvero che gli stessi perseguano motivi illeciti comuni ad entrambi143. L'opzione sistematica prevalente, inoltre, ricostruisce la causa del negozio indiretto in termini di compatibilità tra il fine ultroneo che le parti si propongono di attuare e la causa del contratto effettivamente stipulato. E ciò in quanto l'elemento causale del modello negoziale prescelto non sarebbe affatto denaturato in forza della diversa modalità di impiego - appunto indiretta - del contratto da

142 Ciò vale non solo nel caso di simulazione assoluta, laddove cioè le parti non vogliono in realtà concludere alcun contratto, ma anche nell'ipotesi di simulazione relativa, in cui le parti intendono realizzare solo il contratto dissimulato.

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parte dei contraenti. Anzi si afferma, a tal riguardo, che comunque si realizzerebbe l'effetto tipico del contratto.

Altra impostazione ermeneutica144, a contrario, muovendo da premesse che qualificano lo scopo ultroneo perseguito dalle parti come un mero motivo, giunge a negare la stessa rilevanza giuridica al negozio indiretto.

Il che vale a dire che l'irrilevanza del “motivo/scopo ulteriore” comporta come conseguenza che il negozio indiretto non è ricostruibile in termini di categoria dogmatica autonoma, ma esso consisterebbe in una semplice terminologia per indicare la modalità di attuazione di una operazione negoziale, caratterizzata da un fine che vada oltre quello desumibile dalla tipologia dello strumento contrattuale utilizzato dalle parti.

Tale tesi affonda le sue radici su un concetto di causa quale funzione economico- sociale: concezione oramai superata sia dalla letteratura accademica che da quella giurisprudenziale. Alla luce della suddetta teoria, infatti, la causa viene ad indicare la totalità o la sintesi degli effetti che il contratto produce. Di conseguenza gli effetti che il tipo legale prescelto sprigiona rimangono comunque gli stessi, con la sola accezione che essi sarebbero meramente strumentali rispetto al perseguimento di uno scopo ulteriore.

In sostanza, si discute se il negozio indiretto costituisca una categoria autonoma. In particolare, si sostiene che mentre per la teoria della causa quale funzione economico-individuale, il negozio indiretto non costituirebbe affatto una categoria giuridica, ma servirebbe solo ad indicare che lo stesso si configura come uno strumento per conseguire uno scopo che si pone al di là di quello scaturente dal

144 A. AURICCHIO, “Negozio indiretto”, in NDI, XI, p. 220; PUGLIESE, “La simulazione nei

negozi giuridici”, Milano, 1938, p. 45; RUBINO, “Il negozio giuridico indiretto”, Milano,

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tipo negoziale, riducendo il fine ulteriore ad un semplice motivo. Invece, alla stregua della diversa teoria della causa in concreto, viene ben messo in luce l'inaccettabilità di tali speculazioni giuridiche.

Partendo, infatti, dalla definizione di causa in concreto, quale ragione pratica dell'affare, in termini, cioè, di composizione di interessi contrapposti e in concreto perseguiti dalle parti, il fine ulteriore non può che “entrare” nella causa, incidendo sulla sua configurazione e conferendogli autonoma rilevanza.

Infatti difficilmente comprensibile appare il ragionamento secondo cui si rinvenirebbe una stessa causa tra il negozio tipico posto formalmente in essere dalle parti e la correlativa operazione negoziale che tenga conto, vieppiù, del fine indiretto. Si consideri, infatti, a mero titolo esemplificativo l'ipotesi della stipulazione tra le parti di un contratto di vendita fiduciaria, con il conseguente obbligo, cioè, di ritrasferire l'immobile. Ebbene, la causa di tale negozio risulta estranea, ossia non corrispondente alla causa della vendita, tradizionalmente intesa, quale scambio della cosa contro prezzo.

In conclusione, il contratto fiduciario, secondo parte della dottrina, risulta essere sì un particolare tipo di negozio indiretto145, tuttavia esso si caratterizza per il peculiare aspetto relativo all'eccedenza del mezzo utilizzato rispetto allo scopo perseguito, in quanto i contraenti, impiegando uno schema negoziale tipico, intendono conseguire una finalità che non è, però, tipicamente riconducibile alla fisionomia legale del negozio stipulato.

145 L. CARIOTA-FERRARA, “I negozi fiduciari”, Padova, 1933, Cedam, p. 40, secondo cui: <<Negozi indiretti che non siano ad un tempo negozi fiduciari non sono difficili a trovarsi: si pensi ad esempio al caso in cui A per fare una donazione a B lo rende suo amministratore e lo dispensa dalla resa dei conti; qui, com'è evidente, non c'è nessun trasferimento di diritto (proprietà, credito) per uno scopo minore (garanzia, mandato), non è il mezzo che eccede il fine; ma è questo che va al di là del primo; dunque non v'è negozio fiduciario, eppure v'è negozio indiretto in quanto si fa uso di un raggiro, ricorrendosi ad un mandato per attuare una donazione>>.

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