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Atrium et tablinum: i luoghi della storia o sacrario domestico

Primo esempio di oratoria latina, le laudationes funebres venivano trascritte e conservate nell’archivio di famiglia, tablinum, una grande stanza in cui il pater familias teneva i registri dell’amministrazione, talulae accepti et expensi, e gli atti relativi alle magistrature, i contratti di matrimonio, tabulae nuptiales, e i testamenti, tabulae supremae, così descritta da Plinio il Vecchio:

“[…] Gli archivi erano riempiti di codici e di testimonianze delle imprese relative alle

magistratureˮ339.

Esso si apriva lungo la parete dell’atrium340, la stanza di forma quadrata con cui si collegava il primo spazio privato interno con il mondo esterno e che rappresentava la parte semipubblica della casa con al centro l’impluuium, una vasca per la raccolta dell’acqua piovana proveniente dall’apertura del tetto (cumpluuium) e posta direttamente di fronte all’ingresso, dove il patronus svolgeva la propria attività e dove riceveva persone estranee alla famiglia come ospiti e clienti341, il cui nome gli veniva sussurrato all’orecchio da un servo chiamato nomenclator, nel corso della salutatio matutina342, un atto di ossequio, che si svolgeva tra la prima e la seconda ora del giorno, poco dopo il sorgere del sole, come descrive Marziale:

“[…] La prima e la seconda ora del giorno sono destinate ai salutatoriˮ343.

Lungo le pareti perimetrali dell’atrium erano esposti i busti degli antenati meritevoli che svolgevano una funzione pedagogica, attuata tramite l’oralità con l’ascolto della laudatio e la visione delle imagines maiorum nel corso del funerale e l’iconografia con l’osservazione dei busti e la lettura dei relativi tituli nel contesto privato344. Un esempio significativo lo riscontriamo nella statua in marmo datata in età repubblicana, rilevabile dal drappeggio della toga, del cosiddetto Togato Barberini345, dove un personaggio in posa tiene con orgoglio in mano due maschere dei

339

Cfr. Plin. nat. 35, 2, 7: […] Tabulina codicibus implebantur et monimentis rerum in magistratu gestarum e Apvl.

flor. 23. Sul valore dell’atrium e del tablinum cfr. ZACCARIA RUGGIU 1995, pp. 349-396 e FLOWER 1996, pp.

185-222. 340 Cfr. Fest. 356 M. 341 Cfr. MANCA-ROHR VIO 2010, p. 26. 342 Cfr. MANCA-ROHR VIO 2010, pp. 21 e 32. 343

Cfr. Mart. 4, 8, v.1: [...] Prima salutantes atque altera conterit hora.

344

Cfr. MANCA-ROHR VIO 2010, pp. 21-22.

345

72 suoi antenati, probabilmente il nonno nella mano destra e il padre nella sinistra, a simbolo delle tre generazioni e all’appartenenza alla nobilitas.

Tav. - Statua del Togato Barberini. Immagine tratta da BERTOLETTI 1999, p. 56.

Questo costume era collegato al ius imaginum, il diritto gentilizio di esporre nell’atrio della

domus le immagini in cera degli antenati, corredate dal nome e dai tituli del personaggio346.

Di solito in questi archivi privati si conservavano anche gli acta, i documenti ufficiali relativi all’attività che i membri della famiglia avevano svolto come magistrati, nonché le questioni finanziarie e patrimoniali della gens347.

L’atrium costituiva anche il centro dei rituali domestici privati, in quanto vi era situato, alla vista di tutti, il Lararium, un piccolo altare dedicato alle antiche divinità della casa, dove venivano custodite le statuette dei Larii e dei Penati, protettori della casa e della famiglia, e dei Mani, per la venerazione delle anime dei morti, nonché gli armaria348, armadi in legno con la cui apertura dei battenti si dava inizio al funerale, che contenevano le immagini di cera degli antenati, imagines, il cui numero testimoniava l’antichità, e quindi l’autorità della famiglia, esposte in base al diritto riconosciuto e regolamentato, quale privilegio, del patriziato romano di poterle esibire sia nell’atrium domestico che pubblicamente nei funerali gentilizi anche con uno scopo propagandistico con l’evidente fine di pubblicizzare l’apporto di quella famiglia alla Romana

Historia e concesso solo a chi aveva rivestito almeno la carica curule, come testimonia Cicerone

nell’orazione Pro C. Rabirio Postumo:

“[…] Preferite un rango distinto nella città, la sedia curule, i fasci, il comando, le province, il sacerdozio, i trionfi, volete trasmettere la vostra immagine ai posteri per perpetuare il ricordo del vostro nomeˮ349.

Il pensiero di Cicerone emerge anche nel discorso De lege agraria:

346 Cfr. MANCA-ROHR VIO 2010, pp. 21 e 32. 347 Cfr. VALENTINI 2012, pp. 185-186. 348

Cfr. Plin. nat. 35, 2, 6. Sul tema cfr. MANCA-ROHR VIO 2010, p. 22.

349

Cfr. Cic. Rab. Post. 7, 16: […] Delectat amplissimus ciuitatis gradus, sella curulis, fasces, imperia, prouinciae,

73 …“[…] Esiste il costume, o Romani, e le abitudini dei nostri antenati che coloro che dovevano alla vostra gentilezza il privilegio di tramandare le loro immagini alle loro famiglie, non parlino la prima volta davanti a voi che per partecipare all’espressione di riconoscere loro l’apologia dei loro antenati. Per me, o Romani, non posso parlarvi dei miei antenati, non tanto perché essi non sono stati come vedete noi che siamo stati creati dal loro sangue e formati dai loro esempi, ma perché essi non hanno conosciuto né il prezzo della popolarità né l’omaggio dei vostri onoriˮ350.

Perdeva il diritto di sfilare in processione e di avere le imagines degli antenati al proprio funerale colui che aveva subito delle condanne, come ci riferisce Tacito nei suoi Annales, a proposito del funerale di Giunia Terzia detta Tertulla, nipote di Catone, moglie di Gaio Cassio e sorella di Marco Bruto, deceduta nel 22 d.C., sotto il principato di Tiberio, il quale permise che il suo funerale fosse onorato con l’elogio funebre dai rostri e con tutti i riti tradizionali:

“[…] Precedevano il feretro i busti delle venti famiglie più illustri, i Manlii, i Quinzii ed altri nomi di pari rango. Ma fra tutti risaltavano le figure di Cassio e di Bruto, proprio per il fatto che le loro immagini non dovevano comparireˮ351.

Il testo della laudatio veniva conservato e riutilizzato varie volte come indica Cicerone nel

Brutus:

“[…] E, per Ercole, ne restano molte: infatti le stesse famiglie le conservavano quasi come titoli d’onore e come documenti sia per servirsene in caso di morte di un membro della stessa famiglia, sia per tramandare il ricordo delle glorie familiari, sia per celebrare la propria nobiltàˮ352.

Alla redazione originaria venivano aggiunte le eventuali modifiche, mantenendo sempre immutata la parte riservata alla laudatio della familia, al fine di trasmettere alle successive generazioni lo stimolo ad emulare le gesta e la gloria degli illustri antenati e contemporaneamente

350

Cfr. Cic. Leg. agr. 2, 1, 1: […] Est hoc in more positum, Quirites, institutoque maiorum, ut ei qui beneficio uestro

imagines familiae suae consecuti sunt eam primam habeant contionem, qua gratiam benefici uestri cum suorum laude coniungant. Mihi, Quirites, apud uos de meis maioribus dicendi facultas non datur, non quo non tales fuerint qualis nos illorum sanguine creatos disciplinisque institutos uidetis, sed quod laude populari atque honoris uestri luce caruerunt.

351

Cfr. Tac. ann. 3, 76: [...] Uiginti clarissimarum familiarum imagines antelatae sunt, Manlii, Quinctii aliaque

eiusdem nobilitatis nomina. sed praefulgebant Cassius atque Brutus eo ipso quod effigies eorum non uisebantur.

352

Cfr. Cic. Brut. 62: […] Et hercules eae quidem exstant: ipsae enim familiae sua quasi ornamenta ac monumenta

seruabant et ad usum, si quis eiusdem generis occidisset, et ad memoriam laudum domesticarum et ad illustrandam nobilitatem suam.

74 con tali orazioni funebri le gentes glorificavano i propri defunti, esaltandone le gloriose azioni e permettendo così che se ne perpetuasse la memoria353.

Anche i testi degli elogia venivano conservati nell’archivio privato di una gens e arricchivano così il corpus delle testimonianze sulla storia della famiglia, diventando materiale per la composizione delle laudationes funebres successive, incrementando il liber commentarius, che assumeva il significato di libro dei ricordi, in quanto autobiografico, nel quale veniva descritta in prosa la storia della famiglia, senza pretese di finalità letterarie, con lo scopo di arricchire, conservare e trasmettere ai discendenti le imprese degne di essere ricordate, compiute da coloro che si erano distinti per un prestigioso cursus honorum.

353

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