L’urna funeraria con le ceneri del defunto veniva depositata in un sepolcro, costruito dai parenti o da loro stessi prima di morire, lungo le principali vie di accesso alla città, lungo i cui lati si distribuivano le sepolture, oppure veniva collocata nelle nicchie ricavate nei muri perimetrali del columbarium, una costruzione sepolcrale comune che apparteneva a famiglie nobili, a corporazioni o a società funeraticie, realizzato o come una semplice stanza o a più camere comunicanti, a volte a livello del terreno ma più spesso seminterrato o completamente interrato, ipogeo, in tufo e peperino nel periodo repubblicano, in laterizi in epoca imperiale.
Sulla facciata esterna del columbarium, murata sul timpano della porta d’accesso, un’iscrizione principale, titulus maior, recava i nomi dei titolari del sepolcro209
.
Tav. 4 - Ingresso del columbarium di Villa Pamphili a Roma. Immagine tratta dal sito del Ministero per i Beni e le Attività Culturali
Gli antichi colombari delle necropoli romane erano molto semplici, con poche decorazioni sulle pareti, mentre le nicchie di età augustea si distinguevano per le pitture e gli stucchi.
Tav. 13 - Particolare delle decorazioni del Colombario di Villa Pamphili, parete C, fila IV. scena 23. Immagine tratta dal sito del Ministero per i Beni e
le Attività Culturali di Roma
Tav. 5 - Particolare del colombario dei familiari di Augusto di Vigna Codini. Immagine tratta da ASTOLFI 1998, p. 16.
209
33 Nelle pareti di questo genere di camera sepolcrale venivano ricavate piccole nicchie, loculi, larghe circa 30 o 40 cm., di forma semicircolare, quadrangolare o rettangolare, disposte su più file, fino a sette piani, destinate a contenere le olle cinerarie, ollae, normalmente realizzate in terracotta, ma a volte anche in marmo o altri materiali quali vetro e metallo210.
Tav. 7 - Pianta e alzato del Monumentum Liuiae
Direttamente poste sul pavimento o ricavate all’interno di banconi, podia, le nicchie, contenenti le casse di terracotta o di marmo delle inumazioni, erano chiuse da lastre, mensae
sepulcrales, di forma rettangolare, quadrata o circolare e munite di fori che permettevano alle
libagioni di miele, latte e vino211, offerte durante le ricorrenze funebri, di raggiungere direttamente le ceneri dei defunti, che si credevano presenti alle cerimonie.
Tav. 15 - Mensa marmorea iscritta con fori di deflusso e coperchio da Porta Salaria a Roma
Tav. 16 - Mensa marmorea iscritta con fori di deflusso da Porta Salaria a Roma
Dinanzi a ciascuna nicchia parietale veniva posto il titulus, iscrizione, dipinta, graffita o incisa su appositi spazi o piccole lastre marmoree, che potevano essere semplici, scorniciate, ansate o pseudo-ansate, applicate sia tramite fori al di sotto delle cavità oppure incassate direttamente nella muratura, che ricordavano il nome, la parentela e le cariche del defunto, mentre negli arredi podiali e pavimentali, l’iscrizione era incisa lungo il perimetro o sulla superficie liscia non interessata dai fori212.
Tav. 17 - Lastra marmorea scorniciata dal colombario degli Statili a Roma
210
Cfr. TOYNBEE 1993, pp. 88-92 e DE FILIPPIS CAPPAI 1997, p. 115.
211
Cfr. BORTOLIN 2008, pp. 28-33.
212
34 Tav. 18 - Lastra marmorea pseudo-ansata dal colombario degli Statili a Roma
Tav. 19 - Lastra marmorea biansata dal colombario degli Statili a Roma
Una tomba dignitosa e ben visibile era un segno molto efficace per preservare la propria memoria e il tramite per farsi ricordare era il testamento, stilato su tavolette di cera, che venivano poi sigillate. Esso comprendeva precise disposizioni per gli eredi relative alla sepoltura, alla costruzione della propria tomba e all’obbligo della sua cura, nonché disposizioni di lasciti, i cui interessi erano talora destinati a finanziare la commemorazione del defunto, perché presso gli antichi romani era importante il culto dei morti, la cura ed il rispetto del sepolcro213.
Inoltre il proprietario poteva provvedere in vita alla realizzazione del proprio sepolcro e lo segnalava con l’espressione V o VF, uiuus o uiuus fecit / lo feci costruire in vita, nell’iscrizione della tomba. Le disposizioni del testatore potevano stabilire di consentire o vietare a congiunti, parenti o estranei di essere seppelliti all’interno del sepolcro e quantificare multe per i trasgressori. Sulle epigrafi funerarie dei sepolcri venivano incise le disposizioni testamentarie214 e per dimostrare che le volontà erano state rispettate l’epitaffio riportava la locuzione ex testamento. La più celebre iscrizione di questo genere è visibile sulla piramide di Cestio, fatta erigere dagli eredi in trecentotrenta giorni, in conformità al suo testamento215.
Le iscrizioni riportate sui monumenti sepolcrali erano accompagnate da ritratti dei defunti scolpiti e dalle rappresentazioni dei mestieri e degli strumenti di lavoro o della vita quotidiana.
L’area sepolcrale era tutelata da norme giuridiche ben definite, la cui fonte trova espressione in Ulpiano, giurista fenicio di Tiro, le cui opere servirono come fonte principale al
Digesto, opera suddivisa in cinquanta libri, divisi in titoli con l’indicazione dell’argomento
trattato, in frammenti preceduti dai riferimenti del giurista e del volume citato e in paragrafi, redatto per volontà dell’imperatore Giustiniano nel VI secolo, che lo prescrisse per la risoluzione di ogni contesa.
Manomettere una tomba era considerato un sacrilegio e danneggiare in qualsiasi modo le 213 Cfr. DE FILIPPIS CAPPAI 1997, pp. 110-111. 214 Cfr. CALABI LIMENTANI 1991, p. 183. 215
35 olle contenute all’interno delle camere sepolcrali era considerato reato, come si rileva dal libro 47, 12 del Digesto preposto all’actio de sepulchro uiolato216.
Anche i meno ricchi, soprattutto schiavi e liberti, per scongiurare la paura di morire insepolti, potevano assicurarsi una commemorazione iscrivendosi ai circoli funerari, collegia
funeraticia, che assicuravano ai propri iscritti, in cambio di un contributo mensile, una degna
sepoltura e la cura della tomba, ma soprattutto la celebrazione dei banchetti funebri da parte degli altri membri ancora in vita217.
Lo scrittore Petronio, nel suo Satyricon, ci ha tramandato una memorabile descrizione del banchetto di Trimalcione, un villano liberto, originario dell’Asia, che aveva accumulato immense ricchezze con il commercio per mare ed il prestito ad usura, durante il quale, ebbro di vino, si vantava con volgarità dei propri averi e delle sue immense proprietà e mentre offriva diverse prelibatezze, confidava ai commensali il suo testamento riguardo al funerale218.
Gli individui, attraverso le iscrizioni, si sono serviti della pietra per tramandare ai posteri segni perpetui della loro esistenza e lasciare un loro ricordo, per cui possiamo definire ogni iscrizione contemporaneamente documento archeologico, testimonianza storica e linguistica, espressione sociale e di comunicazione.
216
Cfr. Ulp. dig. 47, 12, 3.
217
Cfr. TOYNBEE 1993, pp. 41-42 e DE FILIPPIS CAPPAI 1997, pp. 115-117.
218
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