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L’attesa, la gelosia e il furore amoroso di Bradamante – l’attesa, la gelosia e il furore amoroso di Troiolo

La memoria del Filostrato nell’Orlando furioso

1.4 L’attesa, la gelosia e il furore amoroso di Bradamante – l’attesa, la gelosia e il furore amoroso di Troiolo

La derivazione dal Filostrato (e dall’Elegia di madonna Fiammetta) dell’episodio di Bradamante in trepida attesa di Ruggiero e poi disperata perché convinta di essere stata tradita (non solo nel canto XXXII, come viene segnalato nei commenti, ma anche nel XXX, e con qualche eco nel XLIV)166, è piuttosto evidente, fondata come è sui motivi strutturali della fabula: separazione degli amanti, corrispondenza epistolare, promessa di ritorno entro un termine determinato, attesa impaziente misurata sul trascorrere dei giorni (con insistenza sui dati cronologici, funzionali allo sconforto per il mancato ritorno dell’amante), oscillazione tra timore e speranza, sospetto e infine certezza del tradimento trascorso il termine e intervenuta una prova (fallace nel Furioso ma comunque decisiva per la progressione del furore amoroso), disperazione e gelosia espresse in lunghi lamenti, topica del mal d’amore, conforti apportati da un terzo personaggio che è anche messaggero tra gli amanti, tentato suicidio superato dal proposito di morire combattendo.

Sulla scia dei rilievi di Pio Rajna – «sicché il Boccaccio si presenta qui con un doppio titolo di credito» –, che nella progenitrice estense ravvisava caratteristiche tali da poter accogliere sia un modello femminile sia un modello maschile167, i moderni commenti al poema riconoscono nel Filostrato e nella

166 L’episodio ha inizio nel canto XXIII (ottave 5-8; in connessione, sul piano sintagmatico, con l’impazzimento di Orlando), dopo la separazione dei due amanti raccontata nell’ultima ottava del canto precedente (XXII 98), e si snoda nei canti XXX (76-85, 87, 89), XXXI (6), XXXII (10-27, 28-47), XXXIII, (59-64), XXXV (31-80).

167 Rajna riconosceva nella Fiammetta «un’amplificazione di una parte del Filostrato; e l’amplificazione è stata messa a profitto dal poeta ferrarese unitamente alla forma primitiva, sicché il Boccaccio si presenta con un doppio titolo di credito» (p. 475); nella sua analisi, distingueva le parti derivate dal Filostrato, quelle derivate dalla Fiammetta, le memorie concomitanti ed omogenee («Vi sono poi casi nei quali davvero non oso dire quale sia il modello principale», p. 476), le contaminazioni tra le due opere («E ce n’è altresì […] dove la mescolanza riesce ben manifesta», ibid.); dunque anche rispetto al macrotesto boccacciano, evidenziando la linea genealogica Filostrato-Fiammetta, si esercita la consuetudine ariostesca di utilizzare nello stesso luogo una fonte e la fonte della fonte, consentendo il riconoscimento di entrambe. La complessità

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Fiammetta le fonti prevalenti dell’attesa di Bradamante nel canto XXXII del Furioso, rispetto alle Heroides di Ovidio (alle origini della topica elegiaca), e

all’Orlando innamorato: in particolare, richiamano le parti V, VII e VIII del poemetto in ottave (la disperazione di Troiolo alla partenza di Criseida; l’attesa; il trascorrere del termine; l’alternanza di timore e speranza; lo sconforto definitivo alla vista del fermaglio; il tentato suicidio) e i libri III, IV, V, VI, VII del romanzo psicologico (l’attesa dell’amato; il trascorrere del termine; l’alternanza di timore e speranza; la disperata gelosia di Fiammetta; lo sconforto e il furore estremo alle notizie delle nozze e di un nuovo amore di Panfilo; il tentato suicidio; la nuova speranza alla falsa notizia del ritorno dell’amato e la definitiva disillusione).

D’altra parte veri e propri topoi boccacciani possono dirsi la lontananza degli amanti, la corrispondenza epistolare168, l’attesa sconsolata, il lamento elegiaco e il dolore scomposto sopra il letto, nella solitudine della camera: e infatti nel XVI secolo Lavezuola, benché «non colse nel segno» (così Rajna), ricordava per alcuni particolari della disperazione di Bradamante nel canto XXXII del

Furioso l’attesa di Biancifiore separata da Florio nel III libro del Filocolo169. Sono

i topoi elegiaci di matrice lirica e vitanovesca consolidati da Boccaccio in seno alla tradizione romanzesca, che, come detto, avevano già conosciuto significativi svolgimenti nel poema di Boiardo, contribuendo al rinnovamento del codice

con cui Ariosto costruisce il personaggio di Bradamante, che accoglie sia funzioni maschili sia femminili (come rilevato già da Rajna), è stata illustrata nei successivi percorsi della critica, con analisi interessanti in particolare sul versante dei gender studies: cfr. Shemek, Dame erranti, cit., pp. 107-57 (cap. III: Generi, dualismi e i sacrifici della storia: Bradamante nell’«Orlando

furioso»); e Bruscagli, Invenzione e ricominciamento nel canto I, cit., p. 71: «Nel Boiardo […] non

c’è la benché minima avvisaglia di questa inversione dei ruoli, né il minimo sospetto di una attribuzione esclusiva del ruolo attivo a Bradamante, né tanto meno un’ombra di men che perfetto e ardente amore in Ruggiero»; per l’innovazione del personaggio rispetto alla tradizione cfr. E. Stoppino, Bradamante fra i cantari e l’«Orlando furioso», in Boiardo, Ariosto e i libri di

battaglia, cit., pp. 325-39; M. Villa, Tra “inchiesta” e “profezia”: Bradamante nel «Furioso», in

“Acme”, LIV, 2001, 3, pp. 141-73; cfr. anche F. Ferretti, Bradamante elegiaca. Costruzione del

personaggio e intersezione di generi nell’«Orlando furioso», in “Italianistica”, XXXVII, 2008, 3,

pp. 63-75; Id., La follia dei gelosi. Lettura del canto XXXII dell’«Orlando furioso», in “Lettere italiane”, LXII, 2010, pp. 20-62, in cui vengono anche illustrati i debiti del canto nei confronti di Boccaccio.

168 Cfr. G. Chiecchi, Narrativa, “amor de lohn”, epistolografia nelle opere minori del Boccaccio, in “Studi sul Boccaccio”, XII, 1980, pp. 175-95.

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epico-cavalleresco170: in particolare il lamento e la notte insonne di Orlando nella rocca di Albraca (Inn., I xxv, 51-61) deve aver costituito una fonte dell’episodio di Bradamante, interessante nella prospettiva di questa ricerca anche perché rivela la memoria degli stessi luoghi boccacciani utilizzati contestualmente da Ariosto.

I debiti del Furioso nei confronti del Filostrato (e della Fiammetta) investono dunque nel suo complesso la sequenza elegiaca di cui Bradamante è protagonista, nei canti XXX e XXXII. All’ascendenza boccacciana si può ascrivere non solo la passionalità della donna, innovazione del personaggio rispetto alla tradizione, ma anche la loquacità e la tensione raziocinante, suoi tratti peculiari in seno al poema, espressi nei lunghi monologhi in cui la condanna della (presunta) infedeltà dell’amante si intreccia ad una desolata disamina dell’irrazionalità del sentimento d’amore, proprio come avviene nei lamenti di Troiolo; anche sul versante retorico-stilistico, sebbene siano certamente e innanzitutto il modello petrarchesco e la retorica petrarchista ad offrire il lessico e le figure che costruiscono le movenze concettose dei lamenti della donna (come degli altri lamenti del poema171), si riconosce la suggestione dei lamenti di Troiolo: in essi l’insistenza sul proprio dolore, la condanna dell’infedeltà di Criseida, la preferenza accordata alla morte piuttosto che alla vita sono affidati ad una retorica non meno ricca di antitesi, personificazioni e immagini ricercate; e da Boccaccio deriva, in maniera puntuale, il linguaggio dell’attesa misurata sul trascorrere dei giorni, e della fenomenologia erotica (notti insonni, furore amoroso).

La sequenza di cui Bradamante è protagonista costituisce l’episodio del

Furioso maggiormente omogeneo al Filostrato; è vero, la storia di Bradamante è

170 Oltre a Donnarumma, Presenze boccacciane, cit., pp. 563 e 580-7, cfr. E. Curti, “Le lacrime e i

sospiri degli amanti”: lamenti di eroine e cavalieri tra «Inamoramento de Orlando» e «Orlando furioso», in Boiardo, Ariosto e i libri di battaglia, cit., pp. 433-51.

171 Oltre ai commenti al poema, cfr. l’analisi di Cabani, Fra omaggio e parodia, cit., pp. 211-25, che nei lamenti di Bradamante individua ricchissime filigrane petrarchesche, destinate ad infittirsi negli ultimi canti del poema («un quadro che non lascia posto a parole non evocative», p. 213; «il discorso si presenta come un vero e proprio esercizio letterario, come un’imitazione fin troppo ridondante, eccessiva», p. 214). A Bradamante Ariosto attribuisce nove lamenti elegiaci (tutti nella seconda metà del poema): ne fornisce l’elenco Ferretti, in Bradamante elegiaca, cit., p. 63 n 4.

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destinata ad un lieto fine, diversamente da quella di Troiolo, ma la rappresentazione del mal d’amore e della gelosia della progenitrice estense non tradisce la dimensione elegiaca su cui si muove l’affanno di Troiolo; e il comune motivo del mancato suicidio illumina, oltre a una ripresa tematica puntuale, una sintonia che coinvolge i parametri ideologici e i principi costituitivi delle due narrazioni, determinando, sia nel Furioso sia nel Filostrato (come anche nella

Fiammetta), la sospensione ironica dell’esito tragico della passione d’amore (la

morte per Troiolo arriverà sul campo di battaglia per mano di Achille, e il narratore le dedicherà solo un verso172). Le due vicende sono modulate su una continua oscillazione tra il timore e la speranza, mentre la storia dell’amore passionale e della follia di Orlando, benché si nutra del poemetto boccacciano in maniera non meno pervasiva e puntuale, e spesso insistendo sugli stessi segmenti della fabula utilizzati da Ariosto per l’attesa e la gelosia di Bradamante (la topica del mal d’amore, con l’insonnia notturna e il soliloquio entro la camera; il timore e la speranza fino alla prova che fa precipitare il dramma), muove quell’oscillazione verso esiti inaspettati.

172 Cfr. Fl, VIII 27: «L’ira di Troiolo in tempi diversi / a’ Greci nocque molto sanza fallo, / tanto che pochi ne gli uscieno avversi / che non cacciasse morti del cavallo, / sol che ei l’attendesser, sì perversi / colpi donava; e dopo lungo stallo, / avendone già morti più di mille, / miseramente un dì l’uccise Achille»; un’anticipazione alla fine del canto precedente, Fl, VII 106: «E ’n più battaglie poi con gli avversari / fatte, mostrò quanto in arme valea, / e’ suoi sospiri e gli altri pianti amari / che per loro operare avuti avea, / oltre ogni stima li vendea lor cari, / non però quanto l’ira sua volea; / ma morte poi, ch’ogni cosa disface, / amore e la sua guerra pose in pace».

134 1.4.1 Il canto XXX

Ariosto sembra offrire a chi legge un segnale dell’ascendenza boccacciana degli «amorosi tormenti» di Bradamante già nel canto XXX, quando “lasciando” Ruggiero ferito negli accampamenti di Agramante, “torna” alla progenitrice estense che grazie all’ambasciata di Ippalca riceve notizie del suo «desire», terminologia ricorrente nel macrotesto boccacciano («disio», «disiro»), ad indicare la persona amata, come i commenti al poema segnalano173:

Furioso, XXX 75-76 Filostrato, III 28; IV 124; VII 67 […]

Non più di questo; che tornar bisogna a chi Ruggiero invan sospira e agogna.

Gli amorosi tormenti che sostenne Bradamante aspettando, io v’ho da dire. A Montalbano Ippalca a lei rivenne, e nuova le arrecò del suo desire. […]

Avea la donna un torchio in mano acceso, e tutta sola discese le scale,

e Troiol vide aspettarla sospeso, cui ella salutò; poi disse quale ella poté: – Signor, s’io t’ho offeso, in parte tale il tuo splendor reale tenendo chiuso, priegoti per Dio, che mi perdoni, dolce mio disio. – […]

quand’ella, risentendosi, un sospiro grandissimo gittò, Troiol chiamando. A cui el disse: – Dolce mio disiro, or vivi tu ancora? – E lagrimando, in braccio la riprese, e ’l suo martiro, come potea, con parole alleggiando, la confortò, e l’anima smarrita tornò al core onde s’era fuggita. […]

L’udir talvolta nominare il loco dove dimori, o talvolta vedere chi di là venga, mi raccende il foco nel cor mancato per troppo dolere, e par ch’io senta alcun nascoso gioco nell’anima legata dal piacere,

e meco dico: “Quindi venissi io onde quel viene, o dolce mio disio!”

173 La fedeltà di Bradamante crea un forte chiaroscuro rispetto alla volubilità di Doralice, che occupa le ottave precedenti del canto, secondo un principio di variatio costitutiva della narrazione ariostesca; anche nella volubilità di Doralice, tuttavia, si avvertono echi boccacciani, in particolare alcuni tratti di Emilia suggeriti anche dalla situazione (lo scontro tra due pretendenti per il possesso della donna); il mutamento tonale interno al canto non tradisce dunque l’autorità boccacciana.

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La prima occorrenza citata dal Filostrato è collocata nel contesto del primo incontro amoroso di Troiolo e Criseida, che Ariosto ha utilizzato puntualmente nel convegno notturno di Alcina e Ruggiero; la seconda nel contesto dell’ultimo convegno d’amore, nel momento del tentato suicidio di Troiolo, interrotto dal rinvenimento di Criseida erroneamente creduta morta (scena che anticipa il secondo e più drammatico tentativo, impedito dall’intervento di Pandaro e più vicino a quello di Bradamante); la terza in una zona del poemetto utilizzata da Ariosto nel canto XXXII (trascorso il termine promesso, la disperazione di Troiolo è alimentata anche dal sospetto del tradimento174).

La corrispondenza epistolare

Ha dunque inizio nel canto XXX l’attesa di Bradamante, che nella lettera di Ruggiero legge il proposito di tornare dopo quindici o venti giorni («Termine a ritornar quindici o venti / giorni avea Ruggier tolto», Of, XXX 81). Si rileva una certa affinità tra la scrittura (menzione del foglio, della carta, delle parti della composizione, nel canto XXV), la chiusura (lettere piegate e suggellate) e l’accoglienza (lacrime, baci, lettura reiterata) di questa lettera presso Bradamante, e gli scambi epistolari tra Troiolo e Criseida (in particolare il primo):

174 Oltre a questi luoghi Bigi, ricordando l’ascendenza catulliana dell’espressione, rimanda a Ts, III 85: «E così detto, per fornir la ’mposta / fattoli da Teseo, a cavalcare / incominciò; ma dolente si scosta / dal suo disio, il qual quanto mirare / poté il mirò, pigliando talor sosta, / vista faccendo di sé racconciare»; e a due luoghi dell’Innamorato: «Iroldo se coperse il capo e il volto, / E già con gli occhi non volìa vedere / Che il suo caro desio li fosse tolto» (I xii, 61); «Quel giovanetto m’ha ferito il core, / Ed è tutto il mio bene e ’l mio disio» (II ix, 22, Morgana di Ziliante, parlando ad Orlando); la prima occorrenza cade nella novella di Iroldo e Tisbina, di diretta derivazione boccacciana: cfr., oltre al commento di Bruscagli al testo dell’Innamorato, P. Savj Lopez, La

novella di Prasildo e di Tisbina («Orlando Innamorato», I, XII), in Raccolta di studii critici dedicata ad Alessandro D’Ancona, Barbèra, Firenze 1901, pp. 53-7; R. Alhaique Pettinelli, Di alcune fonti del Boiardo (1970), in Ead., L’immaginario cavalleresco nel Rinascimento ferrarese,

cit., pp. 136-52; W. Moretti, Una novella boccaccesca dell’«Orlando Innamorato», in Il Boiardo e

la critica contemporanea, cit., pp. 330-7; Donnarumma, Presenze boccacciane, cit., pp. 550 e ss.

Per altre occorrenze dell’espressione nel macrotesto boccacciano cfr. Ts, II 22: «Teseo adunque, come fu smontato / di mare in terra, in sul carro salio, / degli ornamenti reali addobbato; / e sopra quello appresso il suo disio, / Ipolita, gli stette dall’un lato, / da l’altro Emilia fu, al parer mio»; ivi, IX 50: «e nella trista mente / ogni parola con doglia notava, / imaginando ch’omai per niente / pace daria a sé con isperanza, / poi che perduta avea sua disianza»; e Fiamm., V, p. 102: «Tra questi adunque mirando, vedeva alcuna volta alcuni con occhi intentissimi mirare il suo disio».

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Furioso, XXV 92; XXX 79-80 Filostrato, II 107, 114, 128; V 45; VII 76 In simili parole si diffuse

Ruggier, che tutte non so dirvi a pieno; e seguì con molt’altre, e non concluse fin che non vide tutto il foglio pieno; e poi piegò la lettera e la chiuse,

e suggellata se la pose in seno,

con speme che gli occorra il dì seguente chi alla donna la dia secretamente. […]

Baciò la carta diece volte e diece,

avendo a chi la scrisse il cor diritto.

Le lacrime vietar, che su vi sparse,

che con sospiri ardenti ella non l’arse.

Lesse la carta quattro volte e sei,

e volse ch’altretante l’imbasciata replicata le fosse da colei

che l’una e l’altra avea quivi arrecata, pur tuttavia piangendo: e crederei che mai non si saria più racchetata, se non avesse avuto pur conforto di rivedere il suo Ruggier di corto.

Scritte adunque tutte queste cose in su una carta, per ordin piegolla, e ’n sulle guance tutte lagrimose bagnò la gemma, e quindi suggellolla, e nelle mani a Pandaro la pose, ma molte volte e più prima basciolla: – Lettera mia – dicendo – tu sarai beata, in man di tal donna verrai. – […]

Partissi Pandar poi gliel’ebbe date, ed essa, vaga molto di vedere

quel che dicesser, sue cagion trovate, le compagne lasciò, ed a sedere ne gì nella sua camera, e spiegate,

lesse e rilesse quelle con piacere,

e ben s’accorse che Troiolo ardea vie più assai che ’n atto non parea.

E poi che ella ebbe in tal guisa detto,

la ripiegò e suggellolla e diella

a Pandaro, il qual, tosto il giovinetto Troiol cercando, a lui n’andò con ella, e presentagliel con sommo diletto; il qual, presala, ciò che scritto in quella era con festa lesse sospirando,

secondo le parole il cor cambiando. […]

Nessuna ora del giorno trapassava che non la nominasse mille fiate; sempre il suo nome in la bocca gli stava. e ’l suo bel viso e le parole ornate nel cuore e nella mente figurava; le lettere da lei a lui mandate, il dì ben cento volte rileggea, tanto di rivederle gli piacea. […]

Quinci la diede a Pandar suggellata, che la mandò; e la risposta invano da essi fu per più giorni aspettata: onde il dolor di Troiol più che umano perseverò, e fugli raffermata

l’oppinion del sogno suo non sano; non però tanto ch’el non isperasse che pure ancor Criseida l’amasse.

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Le riprese verbali, quasi dei tecnicismi, e delle immagini, sono determinate dal carattere rituale della pratica epistolare (Fl: «per ordin piegolla, // […] // […] e quindi suggellolla»; «la ripiegò e suggellolla»; «la diede a Pandar suggellata»;

Of: «piegò la lettera e la chiuse, / e suggellata175») e dalla topica elegiaca (Fl: «molte volte e più prima basciolla»; «lesse e rilesse quelle con piacere»; «ben

cento volte rileggea»; Of: «Baciò la carta diece volte e diece // […] Le lacrime

vietar, che su vi sparse, / che con sospiri ardenti ella non l’arse176»; «Lesse la

carta quattro volte e sei»), mentre l’eco del verbo pose, proprio perché

semanticamente poco rilevato e utilizzato in immagini differenti (Fl: «nelle mani a Pandaro la pose»; Of: «e suggellata se la pose in seno»), costituisce un’ulteriore spia della memoria diretta dei luoghi boccacciani.

Ruggiero aveva scritto la sua lettera durante la notte negli accampamenti di Agramante («Più non s’indugia, e salta de le piume; / si fa dar carta, inchiostro, penna e lume», Of, XXV 85177) con una competenza dittatoria non inferiore a quella dei personaggi boccacciani: «Egli comincia a scrivere, e i saluti / (come si suol) nei primi versi manda» (ivi, 86). Troiolo, nella prima lettera inviata a Criseida per significarle il suo amore, abbandonandosi a giochi etimologici (secondo una retorica un po’ concettosa non affatto estranea ai lamenti di Bradamante) dichiara di sopprimere la salutatio, mentre nella lettera scritta nel drammatico momento del mancato ritorno della donna chiede perdono dell’errato

175 Cfr. anche Ts, I 112 (le lettere di Ippolita a Teseo, durante la guerra): «E poi che l’ebbe scritte e suggellate, / le lettere donò alle donzelle, / le quali avanti avea molto onorate».

176 Per questa e simili immagini (Of, II 18: «con sospir che parean del fuoco usciti»; ivi, XXV 29: «coi sospir di fuoco»; ivi, XXVII 117: «Di cocenti sospir l’aria accendea») cfr. anche Fl, IV 41 («Mille sospiri più che ’l fuoco ardenti»); ivi, 111 («e ’i suoi sospiri son tanto cocenti»), V 55 («con un sospir di maggior fuoco»); Ts, III 27 («producean fuor sospiri assai cocenti»); ivi, IV 26 («sospir gittava caldi come foco»), e X 67 («e fuor gittando sospiri cocenti»); Romizi e i moderni commenti al Furioso segnalano l’accostamento tra Of, II 18 e Fl, IV 41 (ma erroneamente riportano IV 111).

177 Evidenziando la diffusione del topos in seno alla tradizione cavalleresca italiana e francese, Rajna, p. 374, ricorda che Tristano scrive ad Isotta durante la notte, unico a vegliare, per chiederle pazienza del prolungamento della sua lontananza. Lo scambio epistolare tra amanti è motivo diffuso anche in seno cultura umanistica (cfr. Ferretti, La follia dei gelosi, cit., p. 69). Cade nella prima parte del canto XXV (nel monologo di Ruggiero) il termine «ossedion» (Of, XXV 91), per cui Romizi, in una nota lessicale accolta da Bigi, rimandava a Ts, VI 21, «ossidione» .

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ordine del dittare178; la corrispondenza tra i due viene evocata in vari luoghi del poemetto179, nel quale Boccaccio riporta per esteso tre lettere degli amanti (Fl, II 96-106, 121-127, VII 52-75).

Segue il primo lamento di Bradamante (Of, XXX 81-83), che si interroga sui casi dubbi determinati dalla guerra, e rimprovera a Ruggiero la fedeltà ad Agramante; evidenzio l’espressione «ch’avendoti amato io più di me stessa», presente anche nel lamento di Troiolo che segue la vista del fermaglio («che più che me t’amava»), in un’ottava affine anche contestualmente, che si scorge infatti anche nel successivo lamento di Bradamante (nel canto XXXII, vedi infra); è l’espressione già analizzata nella sua ricorrenza nel primo canto - “amare più che la propria vita” –, ma priva, nei due luoghi che cito a seguire, del sostantivo “vita” (dato il suo carattere formulare, un piccolo indizio di derivazione diretta180, insieme alla memoria contestuale; e si avverte l’eco «chi aria creduto» - «Chi crederà»):

178 Cfr. Fl, II 96: «Come può quei che in affanno è posto, / in pianto grave e in stato molesto / come sono io per te, donna, disposto, / ad alcun dar salute? credo chesto / esser non dee da lui; ond’io mi scosto / da quel che gli altri fanno, e sol per questo / qui da me salutata non sarai, / perch’io non l’ho se tu non la mi dai»; e ivi, VII 74: «Perdona se nell’ordine dettando / io ho