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Il proemio dell’ultimo canto del Furioso – il congedo del Filostrato L’arrivo in porto

Furioso XXX 94-95 Filostrato, VII 21-22 Bradamante aspettando che s’appress

1.5 Il proemio dell’ultimo canto del Furioso – il congedo del Filostrato L’arrivo in porto

Furioso, XLVI 1-2, 19 Filostrato, IX 3-5 Or, se mi mostra la mia carta il vero,

non è lontano a discoprirsi il porto; sì che nel lito i voti scioglier spero

a chi nel mar per tanta via m’ha scorto;

ove, o di non tornar col legno intero o d’errar sempre, ebbi già il viso smorto. Ma mi par di veder, ma veggo certo, veggo la terra, e veggo il lito aperto.

Sento venir per allegrezza un tuono che fremer l’aria e rimbombar fa l’onde: odo di squille, odo di trombe un suono che l’alto popular grido confonde. Or comincio a discernere chi sono

questi che empion del porto ambe le sponde.

Par che tutti s’allegrino ch’io sia venuto a fin di così lunga via. […]

Dunque a finir la breve via che resta,

non sia più indugio, or ch’ho propizio il vento;

e torniamo a Melissa, e con che aita salvò, diciamo, al buon Ruggier la vita.

Noi siam venuti al porto, il qual cercando ora fra scogli ed or per mare aperto, con zefiro e con turbo navigando, andati siam, seguendo per lo ’ncerto pelago l’alta luce e ’l venerando segno di quella stella, che esperto fa ogni mio pensiero al fin dovuto, e fé poi che da me fu conosciuto. Estimo dunque che l’ancore sieno qui da gittare, e far fine al cammino, e quelle grazie con effetto pieno, che render dee il grato pellegrino,

a chi guidati n’ha qui rendereno;

e sopra il lito, ch’ora n’è vicino, le debite ghirlande e gli altri onori porremo al legno delli nostri amori. Poi tu, posata alquanto, te n’andrai alla donna gentil della mia mente: oh, te felice che la vederai,

quel ch’io non posso far, lasso dolente! E come tu nelle sue man sarai

con festa ricevuta, umilemente mi raccomanda all’alta sua virtute, la qual sola mi può render salute225.

Cfr. anche Filoc., V 97, 1-4:O piccolo mio libretto, a me più anni stato graziosa fatica, il tuo legno sospinto da graziosi venti tocca i liti con affanno cercati, e già il vento richiamato da Eolo manca alle tue vele, e sopra essi contento ti lascia. Fermati, adunque, ricogliendo quelle, e a’ remi stimolatori delle solcate acque concedi riposo, e agli scogli dà l’uncinute ancore, e de’ segati mari e della lunga via le meritate ghirlande aspetta, le quali la tua bellissima e valorosa donna, il cui nome tu porti scritto nella tua fronte, graziosamente ti porgerà, prendendoti nelle sue dilicate mani, dicendo con soave voce: – Ben sia venuto –; e forse con la dolce bocca ti porgerà alcun bacio. La qual cosa s’avviene, chi più di te si potrà dire beato? E certo se altro merito non ti seguisse del

lungo affanno, se non che i suoi begli occhi ti vedranno, sì ti fia egli assai grande, e

glorioso potrai dire il tuo nome tra’ navicanti. Ella, la quale io sempre figurata porto nell’amorosa mente, mai i tuoi versi non leggerà che di me, tuo autore, non le torni il nome nella memoria: la qual cosa ne fia grandissimo dono.

225 Nel congedo del Filostrato, coincidente con la sua nona parte (Fl, IX 1-8), l’autore si rivolge all’opera e la invia alla donna amata.

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Come già Lavezuola nel Cinquecento, i moderni commenti al Furioso indicano il congedo del Filocolo tra le fonti del proemio all’ultimo canto, il trionfante arrivo in porto dell’opera-nave226; fonte preminente, data la sua articolazione e i suoi

contenuti, rispetto ai grandi modelli classici e romanzi menzionati: Virgilio, che nel secondo libro delle Georgiche chiede al dedicatario Mecenate di assisterlo nella navigazione227, e Dante per le celebri declinazioni della metafora nautica

negli esordi del primo canto del Purgatorio (vv. 1-4) e del secondo del Paradiso (vv. 1-15); e anche rispetto a fonti più vicine nel solco della tradizione del poema in ottave, nelle quali l’immagine viene utilizzata nel congedo: il Morgante di Luigi Pulci, che con chiara allusione dantesca invoca l’aiuto divino perché l’opera, «barca», «barchetta», «legno», possa felicemente concludere il viaggio228,

e l’esordio dell’ultimo canto del Mambriano, in cui il topos viene sinteticamente

226 Cfr. Lavezuola, pp. 108-9: «A sembianza di molti eccellenti Poeti s’è servito l’Ariosto dell’Allegoria del giungere in porto a salvamento, in vece di aver dato compimento al suo Poema, così disse Ovidio nel secondo dei Fasti […] Così il Boccaccio nel fine del Filocopo: […] Virgilio si valse dell’allegoria del navigare in vece di porsi a comporre sul principio del secondo della

Georgica vers. 41. Mecenas pelagoque volans da vela patenti. Ed altrove, ivi, vers. 44. Ades, & primis lege litoris oram / in manibus terrae» (i corsivi sono nel testo). È doverosa la menzione

delle pagine dedicate alla metafora nautica da E. R. Curtius, Letteratura europea e Medio Evo

latino (1948), a cura di R. Antonelli, La Nuova Italia, Scandicci 2006, pp. 147-50, che cita la

prima ottava dell’ultimo canto del Furioso dopo l’esordio del secondo canto del Paradiso (p. 149). 227 Virgilio, Georgiche, II, 41, 44-45: «Maecenas, pelagoque volans da vela patenti. / […] ades et primi lege litoris oram; / in manibus terrae»; e IV 116-119: «Atque equidem, extremo ni iam sub fine laborum / vela traham et terris festinem advertere proram, / forsitan et pinguis hortos quae cura colendi / ornaret canerem».

228 Cfr. Luigi Pulci, Morgante, I 3-4: «Era nel tempo quando Filomena / con la sorella si lamenta e plora, / […] // quand’io varai la mia barchetta prima / per obedir chi sempre obedir debbe / la mente, e faticarsi in prosa e in rima, / e del mio Carlo imperador m’increbbe»; ivi, II 1: «O giusto, o santo, o etterno Monarca, / o sommo Giove per noi crucifisso, / che chiudesti la porta onde si varca / per ire al fondo dello oscuro abisso; / tu ch’al principio movesti mia barca, / tu sia il nocchiere intento sempre e fisso / alla tua stella e la tua calamita: / che questa istoria sia per te finita»; ivi, III 1: «O Padre, o giusto, incomprensibil Dio, / illumina il mio cor perfettamente, / […] / tu se’ colui che ’l mio legno movesti / e ’nsino al porto aiutar mi dicesti»; e il proemio e la conclusione dell’ultimo canto: «ch’io me n’andrò con l’una e l’altra volta / con la barchetta mia, cantando in rima, / in porto, come io promissi già a quella / che sarà ancor del nostro mare stella. / […] // tanto mi sprona e la voglia e ’l desio / che, mentre io batto i marinai e sferzo, / alla mia vela aggiugnerò alcun ferzo», ivi, XXVIII 2-3; «e perché in porto hai condotto mio legno, / io ti

ringrazio, Virgine beata: / con la tua grazia cominciai la istoria; / con la tua grazia alfin mi darai gloria», ivi, 154 (i corsivi sono nel testo; cito dall’edizione a cura di G. Dego, 2 voll., Rizzoli,

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proposto229; ricordando la ricorrenza dell’immagine anche nel congedo del

Teseida (omogeneo agli altri congedi boccacciani menzionati230) sembra così di potervi scorgere quasi un segnale connotativo del genere letterario.

Nel quinto libro del Filocolo Boccaccio invita il suo piccolo libretto a sciogliere dopo lunga e ardua navigazione le vele in porto, e ad attendere i meritati onori dalla donna amata e destinataria della fatica («e de’ segati mari e della lunga via le meritate ghirlande aspetta, le quali la tua bellissima e valorosa donna […] ti porgerà, dicendo con soave voce: – Ben sia venuto –»), con un’immagine che gli è particolarmente cara e che ricorre nelle sue opere231.

Si svela tuttavia più vicino al dettato ariostesco il congedo del Filostrato, invece non segnalato dai commenti, sia per la costruzione complessiva dell’immagine affidata al ritmo delle ottave, sia per alcuni dettagli che si appoggiano anche su ricorrenze verbali e stilistiche; senza dover escludere una concomitante memoria del Filocolo (oltre all’accoglienza di chi aspetta sul lido, noto il sintagma «lunga via»), secondo una fenomenologia della memoria boccacciana individuata anche in altri luoghi del poema.

Mentre nel Filocolo l’autore saluta l’opera nel momento in cui essa è giunta sul lido («il tuo legno […] tocca i liti con affanno cercati»), nel Filostrato e nel Furioso viene messo in scena un progressivo avvicinamento al «porto», molto raffinato nel poema ariostesco (Fl: «sopra il lito, ch’ora n’è vicino»; Of: «Ma mi par di veder, ma veggo certo, / veggo la terra, e veggo il lito aperto»; «Or

229 Mambr., XLV 1: «Poscia che sotto il bel castalio manto / Il debil mio intelletto alberga e vive, / Non gli negate in questo ultimo canto / Il favor vostro, o sacre e immortal dive; / Ma degnatevi ancor quel scorger tanto, / Che giunger possa a le bramate rive, / E quivi terminar l’opra sua in modo / Che di quella riporti premio e lodo».

230 Cfr. Ts, XII 85-86: «E perciò che tu primo col tuo legno / seghi queste onde, non solcate mai / davanti a te da nessuno altro ingegno, / ben che infimo sii, pure starai / forse tra gli altri d’alcuno onor degno; / intra li qual se vieni, onorerai / come maggior ciaschedun tuo passato, / materia dando a cui dietro hai lasciato. // E però che i porti disiati / in sì lungo peleggio già tegnamo, / da varii venti in essi trasportati, / le vaghe nostre vele qui caliamo, / e le ghirlande, e i don meritati, / con l’ancore fermati, qui spettiamo, / lodando l’Orsa che con la sua luce / qui n’ha condotti, a noi essendo duce»; rimando al par. 2.14 per la memoria di questo congedo nell’ultimo proemio del

Furioso.

231 Per la ricorrenza dell’“arrivo in porto dell’opera” nel macrotesto boccacciano cfr. il commento di Surdich.

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comincio a discernere chi sono / questi che empion del porto ambe le sponde232»); nelle due opere in ottave, l’intenzione di rendere i dovuti ringraziamenti a chi ha guidato la navigazione, con lo stesso pronome relativo («a chi») in evidenza ad inizio di verso (Fl: «e quelle grazie con effetto pieno, / […] / a chi guidati n’ha qui rendereno»; Of: «sì che nel lito i voti scioglier spero / a chi nel mar per tanta via m’ha scorto»); e l’anelito alla conclusione del viaggio (Fl: «far fine al cammino»; Of: «a finir la breve via che resta»); inoltre i sintagmi «mare aperto» (nel Filostrato, in rima con ’ncerto:esperto) e «lito aperto» (nel Furioso, in rima con “certo”, nel distico baciato), che chiudono due versi assimilabili anche per la cadenza anaforica che ritma i due emistichi (Fl: «ora […] ed or per mare aperto»;

Of: «veggo […] e veggo il lito aperto»); infine, la preferenza accordata al più

concreto singolare «lito» rispetto al plurale «liti» (presente nel Filocolo, come anche «mari»), e la menzione del «porto», parola assente nel romanzo in prosa (Fl: «Noi siam venuti al porto»; Of: «non è lontano a discoprirsi il porto»).

La memoria dei congedi boccacciani che menzionano la donna-stella richiamandosi esplicitamente alle invocazioni proemiali rafforza l’ipotesi che identifica anche nel Furioso la guida della navigazione con la donna invocata in apertura d’opera233; in essi, in effetti, la metafora nautica, di matrice classica,

232 Una simile costruzione narrativa nell’ottava VII 8 del Filostrato: «Però non ci rincresca l’aspettare, / Pandaro mio, io ten priego per Dio; / noi non abbiam or altra cosa a fare, / non ti gravi seguire il mio disio, / e s’io non erro, veder la mi pare: / deh, guarda in giù, non vedi tu quel ch’io? – / – No, – disse Pandar – se ben gli occhi sbarro, / quel che mi mostri pare a me un carro. –» (noto l’eco «veder la mi pare» - «Ma mi par di veder»).

233 Cfr. Romizi: «Accenna alla sua donna Alessandra Benucci, che non soltanto gli ha concesso di mantenere la promessa fatta nella protasi del poema, ma lo ha anche sorretto nel lungo e difficile lavoro»; altre ipotesi menzionano Ippolito d’Este, le Muse o Apollo (si vedano i commenti moderni); la difficoltà dell’identificazione con la donna consiste nella differente richiesta rivolta in apertura, di concedere una remissione della follia (confermata dall’esordio al canto XXXV, ove viene evocato l’ingegno perduto del poeta): nel primo canto essa sembrerebbe impedire, nell’ultimo proteggere e favorire la scrittura del poema; identifica senz’altro la guida del viaggio con la donna amata, secondo logiche interne all’opera (la conquistata saggezza dei personaggi, e anche del narratore-autore, con cui si avvia la conclusione) A. Casadei, Il finale e la poetica del

«Furioso», in “Chroniques italiennes web19”, I, 2011, pp. 1-21:3-4. Ricordo a margine che anche

tra il proemio e il congedo del Filostrato si registrano alcune divergenze, che hanno inciso nella valutazione estetica del poemetto e della sua compiutezza; cfr. Baldassarri, “Adfluit incautis

amor”: la precettistica ovidiana nel «Filostrato», cit., p. 33: «La donna, indicata nel proemio

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assimila l’immagine della donna-stella che guida la navigazione verso un pacifico approdo esistenziale, diffusa nella tradizione lirica romanza234. In questa prospettiva la memoria del Filostrato riscontrata nella zona proemiale (nella proposizione del tema e nell’invocazione) consolida il riconoscimento della sua incidenza nel congedo, mentre in tale circolarità tra proemio e congedo del poema sembra ravvisabile anche un residuo o meglio un’allusione a modalità costruttive della narrazione canterina (sebbene sia una donna, e non la Vergine o i Santi, a consentire la scrittura)235.

L’accoglienza della donna destinataria dell’opera sulla riva può essere richiamata dalla folla festante che si svela sul lido, pubblico implicito e orizzonte d’attesa del poema: la teoria di poeti, intellettuali, cortigiani, donne celebri, accorta e preziosa celebrazione della civiltà ferrarese ed italiana verso cui il

Furioso tende le vele, e che lungo diciannove ottave amplifica l’antica metafora

che suggestivamente assimila la scrittura letteraria ad un viaggio per mare e dunque la sua conclusione all’arrivo in porto236 (Fl: «E come tu nelle sue man sarai / con festa ricevuta»; Of: «Par che tutti s’allegrino ch’io sia / venuto a fin di così lunga via»); il congedo del Filostrato (come gli altri simili congedi

del Filostrato una fonte d’ispirazione che ha il potere di elevare l’animo del poeta»; così come netta è la divergenza tra l’identificazione iniziale con le virtù di Criseida, e invece la divergenza tra la condanna conclusiva della protagonista a fronte dell’immutato valore di Filomena (cfr. ibid.). 234 Nell’invocazione proemiale la donna è identificata con la stella tramontana che guida la navigazione, e l’immagine è ribadita nell’invocazione che apre la parte terza (cfr. Fl, I 2 e III 1); cfr. il commento di Surdich e cfr. Natali, Progetti narrativi e tradizione lirica in Boccaccio, cit., pp. 391-2. Casadei, Il percorso del «Furioso», cit., p. 32 n, aveva segnalato la coincidenza di immagini fra il proemio del Furioso e un sonetto ariostesco (III, 1-4), «forse non irrilevante per l’interpretazione del passo del poema»: «O sicuro, secreto e fidel porto, / dove, fuor di gran pelago, due stelle, / le più chiare del cielo e le più belle, / dopo una lunga e cieca via m’han scorto».

235 Cfr. Cabani, Le forme del cantare epico-cavalleresco, cit., pp. 48-50.

236 Per le caratteristiche, l’ampliamento e le trasformazioni lungo le tre edizioni del poema di questa folla festante, e la sapiente regia con cui i personaggi appaiono raggruppati secondo aree geografico-culturali, parametri cronologici ed interessi intellettuali, cfr. Casadei, La strategia

compositiva nell’esordio del canto XLVI, in Id., La strategia delle varianti, cit., pp. 105-49; cfr.

anche M. Santoro, “Non è lontano a discoprirsi il porto” (1983), in Id., Ariosto e il Rinascimento, cit., pp. 82-9. Ricordo l’accenno di Italo Calvino, Un progetto di pubblico (1974), in Id., Una

pietra sopra, Torino 1980, pp. 336-9: «Nell’ultimo canto dell’Orlando Furioso, Ariosto

rappresenta nel poema i lettori del poema. […] È quella la prima volta, credo, che non il lettore singolo e solitario ma il “pubblico” appare riflesso nel libro come in uno specchio; o meglio, il libro vede se stesso come riflesso negli occhi di una folla di lettori» (p. 337).

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boccacciani) anticiperebbe dunque anche il procedimento di “letteralizzazione della metafora” riconosciuto in queste e in altre ottave ariostesche (la metafora nautica che diviene un vero e proprio arrivo in porto237).

L’incertezza e la difficoltà del viaggio («lo ’ncerto / pelago» del

Filostrato; il timore «o di non tornar col legno intero / o d’errar sempre» nel Furioso) assume nel poema ariostesco una più intensa pregnanza, veicolata da

quell’errare (commettere un errore di giudizio, sbagliare la strada) così semanticamente centrale nella costruzione dell’opera – l’errare dei cavalieri nella selva, l’errare della mente dietro false immagini e fantasmi interiori, ma anche l’errare del narratore tra le fila della sua tela238 –, che richiama in questa sede

innanzitutto il timore del narratore, dichiarato nell’invocazione, di non concludere l’opera perché sopraffatto dalla passione d’amore, e poi ripetuto lungo il poema in luoghi di particolare evidenza tematica e strutturale239.

237 Cfr. Cabani, Fortune e sfortune dell’analisi intertestuale, cit., p. 20: «Nel Furioso la letteralizzazione della metafora è un meccanismo fondamentale che consente di assimilare anche a livello narrativo il codice petrarchesco […]. Ecco allora che […] il porto cui tende la simbolica nave della vita diviene un porto di mare […]. Anche l’episodio centrale del poema, del resto, è tutto giocato sulla resa narrativa, la traduzione nei fatti, di una metafora centrale della lirica: la malattia d’amore condotta ai suoi limiti parossistici di follia». Può dunque essere riferito anche al congedo del Filostrato quanto osservato da Sergio Zatti sul proemio dell’ultimo canto del Furioso, date le caratteristiche del narratore boccacciano, non meno delineato come personaggio del narratore ariostesco: «la rimotivazione tematica che qui restituisce piena funzionalità alla logora immagine del viaggio testuale», è attuata grazie all’«opzione ariostesca di un doppio statuto di narratore e personaggio» (Zatti, Il «Furioso» fra epos e romanzo, cit., p. 22).

238 Ricordo, tra i molti luoghi del poema che svelano queste raffigurazioni dell’errore, che Orlando, iniziata l’inchiesta amorosa di Angelica, «sì come era uscito di se stesso / uscì di strada» (Of, XII 86); lo notava, citando questa ottava, R. Manica, Preliminari sull’«Orlando furioso»: un

paradigma ariostesco, Bulzoni, Roma 1983 («La narrazione del Furioso molto somiglia

all’erranza di Orlando», p. 63); per la pregnanza semantica dell’errore e dell’errare nel poema cfr. poi Zatti, Il «Furioso» fra epos e romanzo, cit., pp. 20-31; sul proemio all’ultimo canto: «È la legittima soddisfazione di una promessa fatta agli amici e che si temeva di non poter adempiere. Infatti, portare la nave del poema in porto superando gli scogli dell’“errore” è quella speciale inchiesta che il poeta si è assunto fra tanti personaggi che ugualmente agognano di condurre a termine l’impresa nonostante gli sbandamenti, i disorientamenti, gli inganni. Questo viaggio testuale non va però esente da errori o distrazioni o digressioni, così come i personaggi non solo sono sviati nella selva dai sentieri labirintici, ma anche dalle varie tempeste che puntualmente dirottano verso altri lidi chi si avventura per terra, per cielo e per mare» (p. 22).

239 Certamente l’insistenza del poeta sul timore di non concludere l’opera, a partire dalle ottave esordiali, costituisce una consapevole affermazione di perfetto controllo sulla materia e sulla sua costruzione (cfr. R. Durling, The Figure of the Poet in Renaissance Epic, Harvard University Press, Cambridge, Mass,, 1965, pp. 114-31); scriveva tuttavia R. Bacchelli, Arte e genio

171 1.6 Il narratore amante e praeceptor amoris

Lo statuto di poeta amante, che esibisce un’esplicita corrispondenza tra la propria sofferta esperienza d’amore e quella del suo protagonista, costituisce, come più volte si è accennato, un elemento di pervasiva sintonia tra il Furioso e le due opere in ottave di Boccaccio oggetto di questo studio: dall’esperienza d’amore, dichiarata sia nel Furioso sia nel Filostrato e nel Teseida sulle soglie dell’opera e poi in luoghi tematicamente e strutturalmente nodali, deriva la fisionomia del narratore, la sua costante presenza lungo il racconto, la sua competenza in materia erotica espressa attraverso tensioni teoriche e gnomico-precettistiche che aprono zone discorsive disseminate lungo la fabula, conferendo alla scrittura anche un valore (ambiguamente) esemplare240.

dell’Ariosto (1956), in Id., La congiura di don Giulio d’Este e altri scritti ariosteschi, Mondadori,

Milano 1958, pp. 545-633, commentando il proemio dell’ultimo canto: «non avrebbe scritto così, se il timore d’aver a “errar sempre” in quel “mare”, non fosse stato vero e sentito» (p. 549); e a p. 552: «la metafora marina e marinaresca del proemio all’ultimo canto, è, ad un tempo, esagerazione satirica, iperbole affettiva e fantasiosa, e, di fatto, verace confidenza d’artefice»; e ricordo le considerazioni di Italo Calvino, La struttura dell’«Orlando» (1974), in Id., Perché leggere i

classici, Mondadori, Milano 1995, pp. 68-77: «L’Orlando Furioso è un poema che si rifiuta di

cominciare, e si rifiuta di finire. Si rifiuta di cominciare perché si presenta come la continuazione d’un altro poema, l’Orlando Innamorato di Matteo Maria Boiardo, lasciato incompiuto alla morte