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Il convegno notturno di Ruggiero e Alcina, l’incontro amoroso di Fiordispina e Ricciardetto – i convegni notturni di Troiolo e Criseida

La memoria del Filostrato nell’Orlando furioso

1.2 Il convegno notturno di Ruggiero e Alcina, l’incontro amoroso di Fiordispina e Ricciardetto – i convegni notturni di Troiolo e Criseida

Ruggiero e Alcina

Emilio Bigi ha scorto nella trepidazione di Ruggiero in attesa notturna di Alcina (Of, VII 22-26) il «gusto di certe rappresentazioni psicologiche del Filostrato boccaccesco89», riferendosi in particolare all’ottava VII 24 del Furioso; in essa, in effetti (vedi infra), la speranza e la frenesia che producono allucinazioni («sentir credeasi, e spesso non sentiva; / poi del suo errore accorto sospirava»), l’irrequietezza («Talvolta uscia del letto e l’uscio apriva»), la retorica dell’attesa che sembra interminabile («e maledì ben mille volte l’ora / che facea al trapassar tanta dimora») riconducono alle zone del poemetto boccacciano (le ultime sequenze della V parte e la prima della VII) in cui l’attesa di Troiolo diviene particolarmente impaziente, eludendo tuttavia il dramma determinato dalla separazione degli amanti e anzi attraverso una declinazione lievemente comica: Ariosto traspone nella trepida impazienza del piacere erotico la disperata tensione dell’incertezza del ritorno dell’amata (che invece utilizzerà puntualmente nell’episodio di Bradamante); l’oscillazione tra il timore e la speranza, in una condizione di vagheggiamento pensoso sempre più irrequieto ma tuttavia non disperata, caratterizza d’altra parte l’esperienza di Troiolo nelle prime parti del poemetto (in particolare dalla notizia della disponibilità erotica della donna90).

89 Prevalenti, a suo avviso, rispetto alle fonti classiche dell’episodio, che cita accogliendo le indicazioni di Rajna (Ovidio, Heroides, XIX 53-54: «auribus intentis voces captamus et omnem / adventus strepitum credimus esse tui»; ivi, 47-50: «Postque morae minimum: “Iam certe navigat”, inquit […] an medio possis quaerimus esse freto», epistola di Ero a Leandro; e Tibullo, I 8, 65-66: «Dum mihi venturam fingo, quodcumque movetur, / illius credo tunc sonuisse pedes»); sono luoghi che anche Boccaccio ha utilizzato, e che dunque si collocano all’origine della genealogia tematica. Per qualche nota sull’episodio di Ruggiero presso Alcina, emblematico della convergenza di differenti fonti boccacciane in uno stesso luogo ariostesco, rimando al par. 2.3. 90 Cfr. ad esempio Fl, II 18: «Troiolo a questo nulla rispondea, / ma ciascuna ora più ’l viso turava; / e pure udendo ciò che promettea / Pandaro, seco alquanto più sperava, / e volea dire e poi si ritenea, / tanto d’aprirlo a lui si vergognava; / ma stimolandol Pandaro, si volse / ver lui piangendo, e ta’ parole sciolse»; ivi, II 131: «Crescea di giorno in giorno più l’ardore / e come che speranza l’aiutasse / a sostener, pur gli era grave al core, / e deesi creder che assai il noiasse; / per che più

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Il richiamo di Bigi al Filostrato può essere arricchito riconoscendo nell’attesa notturna di Ruggiero, e poi anche nell’arrivo di Alcina e nel convegno tra i due amanti, una puntuale memoria diegetica, e rispondente sul piano sintagmatico, del primo convegno amoroso tra Troiolo e Criseida (o meglio, delle sue prime battute: attesa di Troiolo, arrivo di Criseida, primi amplessi); e forse anche una concomitante ma più circoscritta memoria del loro ultimo convegno, consumato tra le lacrime nell’imminenza della partenza della donna:

Furioso, VII 22-29, 33 Filostrato, III 24-32; IV 114-115

Finir quel giuoco tosto, e molto inanzi

che non solea là dentro esser costume:

con torchi allora i paggi entrati inanzi,

le tenebre cacciar con molto lume. Tra bella compagnia dietro e dinanzi andò Ruggiero a ritrovar le piume in una adorna e fresca cameretta, per la miglior di tutte l’altre eletta.

E poi che di confetti e di buon vini di nuovo fatti fur debiti inviti, e partir gli altri riverenti e chini, et alle stanze lor tutti sono iti; Ruggiero entrò ne’ profumati lini che pareano di man d’Aracne usciti, tenendo tuttavia l’orecchie attente, s’ancor venir la bella donna sente.

Ad ogni piccol moto ch’egli udiva, sperando che fosse ella, il capo alzava:

sentir credeasi, e spesso non sentiva;

poi del suo errore accorto sospirava. Talvolta uscia del letto e l’uscio apriva, guatava fuori, e nulla vi trovava:

Era la notte oscura e tenebrosa come Troiol voleva, il quale attento mirando andava ciascheduna cosa, non forse alcuna desse sturbamento poco o assai alla sua amorosa

voglia, la qual del suo grave tormento fosse sperava; ed in parte segreta

sol se n’entrò nella casa già cheta.

E ’n certo loco remoto ed oscuro, come imposto gli fu, la donna attese, né gli fu l’aspettar forte né duro, né ’l non veder dove fosse palese, ma baldanzoso, con seco, sicuro,

spesso diceva: «La donna cortese

tosto verrà, ed io sarò giocondo più che se sol signor fossi del mondo». Criseida l’aveva ben sentito

venire; per che, acciò ch’ei la ’ntendesse com’era posto, ella aveva tossito, e perché l’esser non gli rincrescesse spesso parlava con suono espedito, e avacciava che ciascun sen gisse

volte del suo gran fervore / stimar si può che lettere dittasse. / Alle quai quando lieta e quando amara / risposta gli veniva, e spessa e rara»; e III 20: «Rimase Pandar di Troiol contento, / e ciascheduno a sue bisogne attese. / Ma come ch’a Troiolo ogni dì cento / paresse d’esser con quella alle prese, / pur sofferia, e con sommo argomento / in sé reggeva l’amorose offese, / dando a’ pensier d’amor la notte parte, / e ’l dì co’ suoi al faticoso Marte». L’emistichio che chiude l’ottava II 8 del Filostrato è utilizzato da Ariosto nell’ottava XXXVIII 41 del Furioso, nella stessa sede: «Indi la lingua a tai parole sciolse» (il re Marsilio si rivolge ad Agramante durante il concilio dei re pagani); la derivazione è segnalata da Romizi e da Bigi; cfr. anche Of, XLIII 96: «Costei con grata vista lo raccolse, / e poi la lingua a tai parole sciolse» (la bella fanciulla che si fa incontro ad Adonio).

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e maledì ben mille volte l’ora che facea al trapassar tanta dimora.

Tra sé dicea sovente: – Or si parte ella; –

e cominciava a noverare i passi

ch’esser potean da la sua stanza a quella donde aspettando sta che Alcina passi; e questi et altri, prima che la bella donna vi sia, vani disegni fassi. Teme di qualche impedimento spesso, che tra il frutto e la man non gli sia messo. Alcina, poi ch’a’ preziosi odori

dopo gran spazio pose alcuna meta

venuto il tempo che più non dimori, ormai ch’in casa era ogni cosa cheta,

de la camera sua sola uscì fuori; e tacita n’andò per via secreta

dove a Ruggiero avean timore e speme gran pezzo intorno al cor pugnato insieme.

Come si vide il successor d’Astolfo

sopra apparir quelle ridenti stelle, come abbia ne le vene acceso zolfo, non par che capir possa ne la pelle. Or sino agli occhi ben nuota nel golfo de le delizie e de le cose belle:

salta del letto, e in braccio la raccoglie, né può tanto aspettar ch’ella si spoglie91;

ben che né gonna né faldiglia avesse; che venne avolta in un leggier zendado che sopra una camicia ella si messe, bianca e suttil nel più escellente grado. Come Ruggiero abbracciò lei, gli cesse il manto; e restò il vel suttile e rado, che non copria dinanzi né di dietro, più che le rose o i gigli un chiaro vetro.

Non così strettamente edera preme pianta ove intorno abbarbicata s’abbia, come si stringon li dui amanti insieme, cogliendo de lo spirto in su le labbia

tosto a dormir, dicendo ch’ella avea tal sonno che vegghiar più non potea. Poi che ciascun sen fu ito a dormire, e la casa rimase tutta queta, tosto parve a Criseida di gire dov’era Troiolo in parte segreta, il qual, com’egli la sentì venire, drizzato in piè e con la faccia lieta, le si fé ’ncontro, tacito aspettando, per esser presto ad ogni suo comando.

Avea la donna un torchio in mano acceso, e tutta sola discese le scale,

e Troiol vide aspettarla sospeso, cui ella salutò; poi disse quale ella poté: – Signor, s’io t’ho offeso, in parte tale il tuo splendor reale tenendo chiuso, priegoti per Dio, che mi perdoni, dolce mio disio. –

A cui Troiolo disse: – Donna bella, sola speranza e ben della mia mente, sempre davanti m’è stata la stella del tuo bel viso splendido e lucente; e stata m’è più cara particella

questa, che ’l mio palagio certamente, e dimandar perdono a ciò non tocca. – Poi l’abbracciò e basciaronsi in bocca.

Né si partiron prima di quel loco, che mille volte insieme s’abbracciaro

con dolce festa e con ardente gioco,

e altrettante e vie più si basciaro, sì come quei ch’ardevan d’egual foco, e che l’un l’altro molto aveva caro; ma come l’accoglienze si finiro, salir le scale e ’n camera ne giro.

Lungo sarebbe a raccontar la festa, ed impossibile a dire il diletto

che ’nsieme preser pervenuti in questa; ei si spogliaro ed entraron nel letto,

91 L’immagine verrà utilizzata nella similitudine che coglie Bradamante nella rocca di Tristano, in un contesto non erotico: «Come s’allegra un bene acceso amante / ch’ai dolci furti per entrar si trova, / quando al fin senta dopo indugie tante, / che ’l taciturno chiavistel si muova» (Of, XXXII 74).

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suave fior, qual non produce seme indo o sabeo ne l’odorata sabbia.

Del gran piacer ch’avean, lor dicer tocca; che spesso avean più d’una lingua in

bocca.

[…]

Stava Ruggiero in tanta gioia e festa, mentre Carlo in travaglio et Agramante, di cui l’istoria io non vorrei per questa porre in oblio né lasciar Bradamante, che con travaglio e con pena molesta pianse più giorni il disiato amante, ch’avea per strade disusate e nuove veduto portar via, né sapea dove.

dove la donna nell’ultima vesta

rimasa già, con piacevole detto

gli disse: – Spogliomi io? Le nuove spose son la notte primiera vergognose. –

A cui Troiolo disse: – Anima mia, io te ne priego, sì ch’io t’abbi in braccio ignuda sì come il mio cor disia. –

Ed ella allora: – Ve’ ch’io me ne spaccio. – E la camiscia sua gittata via,

nelle sue braccia si ricolse avaccio; e strignendo l’un l’altro con fervore, d’amor sentiron l’ultimo valore.

[…]

Criseida, quando ora e tempo fue, com’era usata, con un torchio acceso, sen venne a lui, e nelle braccia sue il ricevette, ed esso lei, compreso da grieve doglia, e mutoli amendue nasconder non potero il core offeso; ma abbracciati sanza farsi motto incominciaro un gran pianto e dirotto.

E forte insieme amendue si stringieno

di lagrime bagnati tutti quanti, e volendo parlarsi non potieno, sì gl’impedivan gli angosciosi pianti e’ singhiozzi e’ sospiri, e nondimeno si basciavan talvolta, e le cascanti lagrime si bevean, sanza aver cura ch’amare fossero oltre lor natura.

Le ottave del Filostrato citate suggeriscono ad Ariosto non solo l’introspezione dell’impazienza di Ruggiero (insieme ad altre zone del poemetto), ma anche la complice atmosfera che avvolge l’appuntamento notturno (il buio, la casa silenziosa), l’arrivo dell’amata e il congiungimento dei due amanti; le riprese verbali, sempre determinate da corrispondenze contestuali e situazionali, sono talmente fitte da sfiorare l’intenzione allusiva. Ariosto deve aver còlto la divergenza con cui i due amanti preparano e attendono l’incontro amoroso – la trepidazione romantica di Troiolo e la saggia amministrazione di Criseida – che vive nell’ardore di Ruggiero e nell’accorto indugio di Alcina; è anzi ipotizzabile

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che questo motivo poetico abbia attivato la memoria, e che su questo piano innanzitutto la fonte distenda la sua allusività tematica: la divergenza è potenziata nel Furioso, al centro della rappresentazione e dell’intero episodio, poiché Ruggiero è vittima dell’inganno di Alcina, nominato «il successor d’Astolfo» proprio al momento in cui la donna gli appare innanzi, ad eliminare ogni residua possibilità di idealità amorosa92; ma anche l’abbandono sensuale degli amanti

boccacciani, rappresentato con un indugio che Ariosto elude (il racconto della notte d’amore prosegue fino all’ottava 50 della III parte), non può dirsi alieno dall’inganno dell’eros, considerato il destino dello sfortunato Troiolo.

Accosto dunque la sospensione, la tensione e il timore dei due amanti (Fl: «il quale attento / mirando andava ciascheduna cosa / non forse alcuna desse sturbamento / poco o assai alla sua amorosa / voglia»; «e Troiol vide aspettarla sospeso»; Of: «tenendo tuttavia l’orecchie attente, / s’ancor venir la bella donna sente»; «Teme di qualche impedimento spesso, / che tra il frutto e la man non gli sia messo»; «dove a Ruggiero avean timore e speme / gran pezzo intorno al cor pugnato insieme93»); i monologhi impazienti: (Fl: «con seco, sicuro, / spesso

diceva: «La donna cortese / tosto verrà»; Of: «Tra sé dicea sovente: – Or si parte

ella; – / e cominciava a noverare i passi»); il silenzio notturno che avvolge la casa (Fl: in parte segreta / sol se n’entrò nella casa già cheta»; «Poi che ciascun sen fu

ito a dormire, / e la casa rimase tutta queta»; Of: «et alle stanze lor tutti sono iti»;

«ormai ch’in casa era ogni cosa cheta», in rima con “secreta”; Ariosto coglie la suggestione del particolare descrittivo94, che è tuttavia meno funzionale nel

92 Cfr. Bigi: «la perifrasi ricorda, con discrezione, proprio nel momento della più intensa voluttà, la reale natura di Alcina». Per la psicologia di Criseida cfr. V. Pernicone, Il «Filostrato» di Giovanni

Boccaccio (1929), in Id., Studi danteschi e altri saggi, a cura di M. Dillon Wanke, Università degli

Studi di Genova, Genova 1984, pp. 163-210: 198-203; e G. Di Pino, Troiolo, Criseida e la poesia

dell’“acqua furtiva”, in “Italianistica”, VII, 1978, 3, pp. 459-72.

93 Troiolo non è titubante mentre attende la donna nelle tenebre, ed è anzi còlto in un momento di rara baldanza (cfr. Fl, III 25: «né gli fu l’aspettar forte né duro»); l’ottava ariostesca in cui Bigi avverte atmosfere del Filostrato (Of, VII 24) e che rappresenta l’incertezza di Ruggiero evoca, come detto, altre zone del poemetto (ed è infatti l’unica della sequenza citata a non rivelare stringenti contatti testuali con la descrizione del convegno notturno boccacciano).

94 Per l’atmosfera in cui il convegno notturno si consuma cfr. Di Pino, Troiolo, Criseida e la

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Furioso, dove l’incontro dei due amanti vive della complicità degli abitanti del

palazzo di Alcina, che lo favoriscono affrettando la conclusione della cena); l’arrivo delle donne (Fl: «e tutta sola discese le scale»; Of: «de la camera sua sola

uscì fuori»), che incontrano entrambe la trepidazione dell’amante (Fl: «e Troiol

vide aspettarla sospeso»; Of: «dove a Ruggiero avean timore e speme / gran pezzo intorno al cor pugnato insieme»); le ultime corrispondenze suggellano la differenza con cui gli amanti attendono e preparano il convegno amoroso, poiché solo gli uomini vivono l’attesa impaziente (le due ottave, simili anche nell’organizzazione dell’enunciato, ne costituiscono una chiara conferma). Il carattere di Criseida, già tratteggiato attraverso i suoi dialoghi con Pandaro, si approfondisce e si arricchisce di nuova malizia: all’ardore di Troiolo la donna contrappone un’accortezza tutta pratica; e una gestione disinvolta dell’eros che culmina nella battuta rivelatrice rivolta a Troiolo («Spogliomi io? Le nuove spose / son la notte primiera vergognose»).

La puntualizzazione sul dibattimento tra timore e speranza, nell’ottava VIII 26 del Furioso («dove a Ruggiero avean timore e speme / gran pezzo intorno al cor pugnato insieme»), era assente nella prima redazione del poema95: il

che Criseida lo raggiunga; il tossire intenzionale e rassicurante di lei, e quelle voci che, al piano superiore, fanno intendere che la donna ha fretta che gli altri della casa vadano a dormire: tutto questo forma una pittura d’ambiente minuta e sapiente, nella quale tutte le linee, anche quelle più arretrate, convergono ordinatamente sulla figura di Criseida che sola, nel silenzio della casa, scende le scale»; Boccaccio sarà ancora maestro di interni e di atmosfere per Ariosto, suggerendogli, con la novella di Ambrogiuolo (Dec., II 9), la fumosa osteria in cui gli uomini discutono della fedeltà delle loro mogli (il luogo viene segnalato nei commenti al poema).

95 Così si presentava il distico baciato nell’edizione del 1516: «dove Ruggier, con palpitante core / aspettata l’hauea forse quattro hore» (Ludovico Ariosto, Orlando furioso secondo la princeps del

1516, ed. critica a cura di M. Dorigatti, Olschki, Firenze 2006; da questa edizione saranno tratte le

successive citazioni); cfr. Bigi: «In A, più realisticamente»; la correzione, apportata nella seconda edizione, è segnalata da Alberto Casadei (Il percorso del «Furioso», cit., pp. 93-6) tra i «cambiamenti di frasi» riconducibili alla «propensione allo smorzamento, o meglio al passaggio dall’esplicito all’implicito, dal detto all’accennato»; nel caso esaminato lo studioso non ravvisa «evidenti costrizioni grammaticali», mentre la correzione consente un’elusione della «concessione al “comico” propria del poema cavalleresco anteriore al Furioso» (p. 96). Commenta la variante, analizzando l’episodio, A. Baldi, Orlando e Ruggiero: appunti per un’analisi dei canti VII-XI del

«Furioso», in “Carte italiane”, X, 1989, 1, pp. 23-40: 36: «“I vani disegni” e le proiezioni della

fantasia turbata si compongono in una scena che acquista maggiore coerenza inventiva nella redazione del ‘32. L’intervento correttorio è minimo, ma attesta un’intenzione di approfondimento della diagnosi emotiva. […] Se dunque la versione originale reca senso puramente denotativo e

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percorso variantistico ariostesco ha consentito un approfondimento dell’introspezione psicologica attraverso una resa più esplicita del motivo poetico dominante il poemetto boccacciano (l’oscillazione elegiaca che conduce al cuore del Filostrato e, come si vedrà nei successivi paragrafi, al cuore della sua sintonia con il Furioso).

Nel tratteggiare la più pacata attesa di Alcina, che si reca dall’amante quando, diciamo con Bigi, «pose termine alla lunga operazione di profumarsi», forse Ariosto ha echeggiato un particolare dell’ultimo convegno notturno degli amanti boccacciani (Fl: «quando ora e tempo fue»; Of: «venuto il tempo che più non dimori»); peraltro qui Criseida, come nel primo appuntamento e come i paggi di Alcina all’inizio della sequenza sopra citata, sfida le tenebre con un torchio in mano (Fl, IV, 114; sarà il torchio consumato a misurare la notte trascorsa e l’approssimarsi del congedo; ivi, 126).

Anche gli amplessi di Troiolo e Criseida sono stati richiamati nel convegno di Ruggiero e Alcina (Fl: «nelle sue braccia si ricolse avaccio; / e

strignendo l’un l’altro con fervore»; «E forte insieme amendue si stringieno»,

nell’ultimo incontro; Of: «salta del letto, in braccio la raccoglie», con un’inflessione lievemente comica assente in Boccaccio; «come si stringon li dui

amanti insieme»; Fl: «ei si spogliaro ed entraro nel letto»; Of: «né può tanto

aspettar ch’ella si spoglie»); e così l’attenzione alla camicia, ultimo indumento che copre Criseida (suggerendole la più disincantata delle battute) e che indossa anche Alcina, è stata còlta da Ariosto, che ugualmente indugia sul modo in cui cade il manto (Fl: «nell’ultima vesta rimasa già»; «E la camiscia sua gittata via»;

Of: «che venne avolta in un leggier zendado / che sopra una camicia ella si messe

/ bianca e suttil»; «gli cesse / il manto; e restò il vel suttile e rado»), componendo, attraverso un’immagine derivata da altre opere boccacciane, una raffigurazione

qualifica uno stato d’animo (“con palpitante core”), posto in relazione a un elemento di realtà commensurabile (“aspettata l’avea forse quattro ore”), la riscrittura espunge l’approssimazione cronologica a favore di un indeterminato “gran pezzo”, che può convenire anche a un dissidio immaginativo, disancorato dal fluire del tempo. Per altro verso si introduce un avviso di maggior tensione (“avean timore e speme [...]”), sia pur ossequente ad archetipi vulgati (si pensi anche soltanto alla “battaglia de li diversi pensieri” di dantesca memoria)».

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più preziosa: «il vel suttile e rado, / che non copria dinanzi né di dietro, / più che le rose o i gigli un chiaro vetro» è un’immagine sensuale particolarmente cara a Boccaccio (utilizzata anche nel Teseida a raffigurare Venere, in un luogo che ha lasciato altre più visibili tracce nell’episodio di Alcina96). Noto anche l’eco

sintattica «come […]» ad inizio verso, a trasmettere la velocità dei passaggi (Fl: «ma come l’accoglienze si finiro»; Of: «Come si vide il successor d’Astolfo»; «Come Ruggier abbracciò lei»).

Ricorre nelle due opere l’immagine della stella o delle stelle, cui sono assimilati Criseida e gli occhi di Alcina («sempre davanti m’è stata la stella» - «sopra apparir quelle ridenti stelle»); e ricorre inoltre un lessico tipicamente boccacciano – «festa», «gioco», «gioia» (Fl: «con dolce festa e con ardente

gioco»; Of: «Stava Ruggier in tanta gioia e festa»97) – e la medesima rima (piuttosto attesa) festa:questa. In entrambi i luoghi, infine, l’ineffabilità del piacere erotico sollecita un intervento del narratore: troppo lungo sarebbe «raccontar la festa», nel Filostrato; nel Furioso, la «gioia e festa» di Ruggiero