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La memoria del Teseida nell’Orlando furioso

La memoria del Teseida nell’Orlando furioso coinvolge sia il versante erotico- romanzesco, sia il versante epico-classicistico della scrittura boccacciana, e si impone all’attenzione innanzitutto sul piano della forma e del genere letterario, attraverso un’eloquente sovrapposizione dei margini dei due poemi: comune è l’esibizione, in apertura, della materia d’armi e d’amore (nell’invocazione del

Teseida e nell’incipit del Furioso), del topos dell’originalità (diversamente

declinato nelle zone proemiali e nel congedo del Teseida, e nella seconda ottava del Furioso) e, nella conclusione, dell’immagine dell’opera-nave che giunge in porto (nel congedo del Teseida e nel proemio dell’ultimo canto del Furioso).

Se nei luoghi menzionati, tuttavia, il tessuto del poema ariostesco non rivela richiami al Teseida anche strettamente verbali (come accade invece rispetto agli stessi luoghi del Filostrato), una presenza puntualmente testuale del poema boccacciano si scorge in zone del Furioso non meno rilevate: la selva avventurosa del primo canto (in particolare il duello tra Ferraù e Rinaldo e la natura amena che accoglie il sonno di Angelica) reca traccia del boschetto che nel quinto libro accoglie i lamenti e il sonno di Arcita, e lo scontro amoroso dei due amici rivali; mentre nel duello tra Ruggiero e Rodomonte, che chiude epicamente il poema, vive la memoria del duello fra Creonte e Teseo, e gli ultimi versi del poema (la morte del pagano) echeggiano, oltre alla morte del tebano, la preghiera del sovrano ateniese rivolta a Marte (nel primo libro, durante la guerra contro le Amazzoni), visibile mediazione degli archetipi virgiliano e dantesco. Sia il primo duello romanzesco del Furioso, sia quello conclusivo derivano dunque dal

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Teseida tratti essenziali, con chiara percezione ariostesca dei differenti codici

stilistici ed espressivi presenti nella costruzione boccacciana.

D’altro canto, l’attacco narrativo del Teseida («Al tempo che […]», I 6) è stato puntualmente echeggiato da Ariosto nell’episodio delle «femine omicide» (canto XX) insieme a diverse sequenze del primo libro, e forse anche nella prima ottava del poema; mentre sulla notte di nozze di Emilia e Palemone, lieto fine che esaudisce il titolo della narrazione boccacciana, è esemplata la prima notte trascorsa insieme da Doralice e Mandricardo. Inoltre (ad evidenziare solidarietà tematiche sull’asse romanzesco), apre il Furioso la promessa di Carlo Magno di concedere Angelica a chi dei due illustri cugini si fosse rivelato più ardito nella battaglia campale (proposito frustrato dalla sconfitta cristiana e dalla fuga della donna), mentre la promessa di Teseo di concedere Emilia a chi tra i due parenti tebani avesse vinto il torneo, costituisce il nucleo tematico centrale del Teseida; e anche il lieto fine del Furioso coincide con un matrimonio, annunciato ed atteso non meno delle nozze di Emilia, e similmente consentito da un esemplare gesto amicale (quello di Leone nei confronti di Ruggiero; nel Teseida, quello di Arcita morente nei confronti di Palemone).

Molte zone del Furioso svelano un utilizzo puntuale del Teseida: alcune derivazioni, protratte o invece circoscritte (episodi, luoghi tematici, raffigurazioni), coinvolgono sistemi di senso profondo, con coincidenze testuali inscritte all’interno di significative sintonie diegetiche (così avviene nell’episodio di Ruggiero presso Alcina, in quello delle «femine omicide», nella descrizione di Orlando trasfigurato dal mal d’amore); alcune sono invece più strumentali, di minore intensità semantica (le ottave che descrivono il campo scelto da Agramante per dirimere le liti in campo pagano, il concilio dei re pagani, la battaglia navale), ma comunque non decontestualizzate e rivelatrici di una disinvolta familiarità ariostesca con la sua fonte.

Nei libri III, IV e V del Teseida, anche attraverso ampie aperture elegiache, Boccaccio definisce la retorica erotico-romanzesca che, accolta già da Boiardo, evidenzia sintonie con il Furioso a livello del progetto complessivo;

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Arcita presta a Orlando il suo profilo di amante malinconico e di cavaliere errante “fuori di sé”, e Boccaccio si conferma auctoritas indiscussa nella rappresentazione della fenomenologia erotica; i tratti che, a poco a poco, delineano l’identità cortese e cavalleresca del tebano (un’identità divergente dalla presentazione epica con cui egli entra in scena, alla fine del II libro), confluiscono nel protagonista ariostesco vittima della passione d’amore e poi folle: la progressiva metamorfosi causata dal mal d’amore culmina in una descrizione utilizzata puntualmente da Ariosto nel raffigurare la condizione ferina di Orlando (nel canto XXIX, luogo per cui i commenti generalmente evocano il Filocolo), determinata da una metamorfosi seguita dal narratore nel suo avanzamento, come avviene nel Teseida (la descrizione viene echeggiata anche nel presentare Giocondo, nel canto XXVIII); mentre l’erranza “fuori di se” del protagonista boccacciano, da autentico cavaliere cortese e innamorato, sembra richiamata in alcuni passaggi dell’inchiesta di Orlando e del viaggio di altri personaggi similmente in preda alla passione amorosa (Rodomonte, Bradamante).

L’auctoritas boccacciana in materia erotica con il Teseida si conferma e si approfondisce, suggerendo non solo il vagheggiamento elegiaco e l’amore-follia, e una rappresentazione più smaliziata dell’eros (quella che confluisce nel congiungimento di Mandricardo e Doralice), ma anche l’amore lusinga e inganno delle apparenze; l’episodio di Alcina deriva dal regno di Venere, oltre a particolari dell’amenità dell’isola e del palazzo della maga, un’interpretazione dell’eros che, come nella chiosa boccacciana, mentre ne ribadisce l’irresistibile attrazione e la violenta irrazionalità, ne mette in luce la caducità, e su di essa condensa la più generale riflessione sull’inganno delle apparenze e sulla fragilità della ragione che fonda l’episodio; con una consonanza dunque ravvisabile nell’atteggiamento autoriale, complesso se non propriamente ambiguo. Su questa via si giunge ad evidenziare la presenza pervasiva, nelle due opere, del mito della bellezza sventurata e apportatrice di sciagure, incarnato da Emilia e da Angelica e chiaramente espresso nei loro lamenti (nel lamento di Angelica esposta all’orca marina, nel canto VIII; e nei lamenti di Emilia, durante il torneo e alla morte di

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Arcita, nei libri VIII e X); e ad avvertire nella protagonista del Teseida, non priva di ambiguità, anche un’anticipazione di Alatiel, principessa decameroniana già accostata per tratti essenziali ad Angelica.

L’avventura di Ruggiero presso Alcina richiama d’altra parte nella sua struttura complessiva, e puntualmente in alcune tessere del racconto, l’indugio di Teseo nel regno delle Amazzoni con la regina Ippolita: il raffronto testuale lascia emergere sia la comune fonte virgiliana, sia gli elementi che connotano la riscrittura boccacciana del mito, archetipo significativo dell’episodio in seno al percorso del poema in ottave.

Ugualmente nel solco di genealogie testuali che riconducono a comuni fonti classiche, ma con affinità che recuperano anche il significato della riscrittura boccacciana, il regno delle Amazzoni e la guerra mossa loro dall’esercito greco guidato da Teseo, materia del primo libro, vive nell’episodio ariostesco delle «femine omicide»: la memoria, chiaramente sollecitata dalla stretta parentela delle protagoniste, si traduce in un utilizzo puntuale dell’episodio boccacciano (nell’immagine del porto che si svela ai naviganti, nella descrizione del primo scontro, nell’eziologia della crudele e bizzarra legge del luogo, nella descrizione della piazza della città); mentre confluiscono nell’episodio anche altre zone del

Teseida, secondo una fenomenologia della memoria boccacciana ricorrente nel Furioso: la descrizione del teatro di Atene (libro VII), che affiora sia nel porto

delle donne (contestualmente alla memoria del porto delle Amazzoni), sia nella piazza che accoglie lo scontro di Marfisa contro i dieci uomini; e lo scontro tra Arcita e Palemone (libro VIII), che vive in quello della donna contro il cavaliere nero lungo una protratta aderenza diegetica. Come nell’episodio di Alcina, la memoria boccacciana in questo luogo coinvolge significati profondi (il difficile rapporto tra i sessi), che attraversano in maniera pervasiva sia il Furioso sia il macrotesto boccacciano.

L’incidenza del primo libro del Teseida nella memoria di Ariosto è comprovata dal suo successivo affiorare in un passaggio del concilio dei re pagani (canto XXXI) e nella battaglia navale tra le flotte pagana e cristiana (canto

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XXXIX); mentre il profilo del teatro di Atene si scorge anche nel luogo scelto da Agramante a dirimere le liti in campo pagano (canto XXVIII).

Boccaccio è maestro con il Teseida di scontri guerreschi (duelli, battaglie navali, tornei) e di giovani bellezze: la descrizione di Alcina (canto VII) è mutuata da quella di Emilia (libro XII), come i commenti segnalano; mentre nella presentazione di Cloridano e Medoro (canto XVIII) vive una memoria circoscritta e puntuale delle descrizioni di Arcita e Palemone (libro III). È maestro di nature amene e di nature orride: la radura che accoglie il sonno di Angelica (canto I) e la natura edenica che connota l’isola di Alcina (canto VI) rivelano chiare derivazioni dal Teseida; mentre l’impervia entrata e la lucentezza metallica della dimora di Marte (libro VII) hanno lasciato qualche traccia, rispettivamente, nell’ingresso della casa del Sonno (canto XIV) e nel palazzo di Altante (canto IV).

Alla maggiore complessità tematica e strutturale del Teseida rispetto al poemetto di Troiolo, corrisponde una maggiore complessità delle genealogie testuali esibite nelle riscritture ariostesche: sull’asse romanzesco, il modello dell’Innamorato allontana in alcuni casi la fonte boccacciana, comunque visibile (è esemplare a tale riguardo la descrizione del regno di Alcina, in cui Ariosto contamina l’Innamorato, le Stanze di Poliziano e la loro comune fonte romanza); sull’asse epico-classicistico, le genealogie svelano l’impegno compiutamente umanistico di Boccaccio e coinvolgono gli archetipi epici (l’Eneide, la Tebaide), tuttavia contaminati da modulazioni e codici romanzeschi; alcune coincidenze testuali e contestuali lasciano anche ipotizzare che il Teseida abbia favorito l’immissione nel Furioso di stilemi e inflessioni riconducibili all’area canterina.

Il modello boccacciano può investire l’intera superficie delle ottave, e offrire soluzioni diegetiche ed espressive misurabili su sequenze testuali apprezzabili; è altrimenti svelato da un uso proverbiale, da un’immagine, da un sintagma, da uno snodo argomentativo, all’interno di contestuali affinità tematiche. Riconducibile nella sua fenomenologia ai tratti messi in luce analizzando la presenza del Filostrato nel tessuto del Furioso, accade più

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frequentemente che la memoria del Teseida investa sequenze narrative inscritte nel perimetro di tre o quattro ottave.

Il raffronto testuale svela sintonie diegetiche ed espressive tra le due opere a diversi livelli della costruzione retorica e narrativa, e consente di ravvisare nella “macchina narrativa” del Teseida gli elementi costitutivi destinati a nutrire il laboratorio ariostesco: aperture elegiache all’interno della trama romanzesca, determinate da una concezione totalizzante dell’eros; una dimensione epico- classicistica della scrittura, consentita da una rinnovata e diretta lettura dei classici; intenzioni gnomico-riflessive, affidate alla voce narrante, o ad alcuni personaggi. Il proemio boccacciano dedicato all’instabilità della Fortuna (VI libro), usufruito da Ariosto anche a livello tematico, istituzionalizza lo spazio deputato alla voce narrante nel Furioso, e suggella sintonie tra gli autori sul piano delle grandi questioni antropologiche. L’ambizione di dotare la nascente letteratura italiana di un poema epico255, la materia classica (la guerra di Teseo contro le Amazzoni e contro Creonte; la genealogia tebana), assunta con stretta aderenza ai modelli (Virgilio e soprattutto Stazio), sono nel Teseida congiunte alla natura romanzesca di motivi strutturanti (le peregrinazioni di Arcita, il duello tra i rivali, il torneo), alla matrice cavalleresca dei protagonisti, a momenti di effusione lirica (i lamenti di Arcita nel boschetto), di analisi psicologica, ma anche a tratti stilistici e tematici più facili e disinvolti, di ascendenza canterina.

La molteplicità dei codici e dei registri stilistici coinvolti da Boccaccio nel tessuto del Teseida, e dunque la discontinuità tematica, hanno esercitato la riflessione critica; seguendo attitudini differenti, sono stati evidenziati il travestimento medievale operato sulla materia classica, la tendenza a presentare in forme classiche un contenuto moderno, il conflitto fra il modello epico e la dimensione lirica ed elegiaca, il tentativo di recupero classicistico dei modelli epici e una pervasiva dimensione cortese-romanzesca. Al poema è stata riconosciuta una peculiare singolarità tra le opere boccacciane scritte a Napoli e

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nei primi anni dopo il ritorno a Firenze: della giovanile e feconda sperimentazione boccacciana il Teseida rappresenterebbe l’«acme classicistico» (per quanto «malcerto256»), ma sono stati ugualmente messi in luce gli elementi romanzeschi

della trama, di più recente matrice medievale257, e la dimensione lirico-elegiaca, ovidiana e romanza258. L’analisi del poema in prospettiva storica, all’interno della

carriera letteraria di Boccaccio (la progressiva realizzazione della vocazione narrativa, dalle prime prove napoletane al Decameron), ne ha messo a fuoco gli aspetti che anticiperebbero, a livello dello stile e a livello del contenuto, l’esperienza novellistica maggiore: il realismo e l’analisi psicologica (che affiorano in alcuni tratti della protagonista femminile); alcuni passaggi della prosa delle chiose259. Questi elementi allontanano decisamente il dettato boccacciano dai moduli narrativi e descrittivi dei cantari, la cui incidenza nell’invenzione e nella scrittura del Teseida era stata evidenziata dalle prime riflessioni di Vittore Branca sul cantare trecentesco e sulle opere in ottave di Boccaccio; letture successive hanno ridimensionato la “componente canterina” del poema fino a

256 Cfr. A. Limentani, Boccaccio “traduttore” di Stazio, in “La Rassegna della Letteratura italiana”, LXVI, 1960, pp. 231-42: «Nel “curriculum” del Boccaccio l’esperienza “epica” non si ripeterà più; il Teseida resta per questo suo aspetto un fatto isolato nell’opera dello scrittore: il culmine della sua frequentazione classicistica intesa come scuola di poesia, magistero di esercizio creativo» (p. 241).

257 Cfr. G. Di Pino, Lettura del «Teseida», in “Italianistica”, VII, 1970, 1, pp. 26-37: 26: «Nell’arco delle prime scritture del Boccaccio, il Teseida è l’opera che più direttamente sembra avvalersi dell’esperienza romanzesca del Filocolo [...] Quella del poema è una peripezia di amore e di morte nella quale virtù e lealtà, cortesia e onori regali tessono un ordito che resta unico nella scrittura boccaccesca» (p. 36); sui legami profondi del Teseida con la corte angioina e con la cultura cortese e cavalleresca, cfr. anche D. Branca, La morte di Tristano e la morte di Arcita, in “Studi sul Boccaccio”, IV, 1967, pp. 255-64; R. Librandi, Corte e cavalleria della Napoli angioina

nel «Teseida» del Boccaccio, in “Medioevo Romanzo”, IV, 1977, pp. 53-72.

258 Cfr., ad esempio, l’Introduzione di Limentani alla sua edizione del Teseida, pp. V-XXVIII; e L. Surdich, Boccaccio, Laterza, Roma-Bari, 2001 (cap. 3.2: Il «Teseida», pp. 47-57).

259 Alberto Limentani, Tendenze della prosa del Boccaccio ai margini del «Teseida», in “Giornale storico della letteratura italiana”, CXXXV, 1958, pp. 525-51, individuava nella prosa del Teseida un passaggio decisivo della sperimentazione che avrebbe condotto al capolavoro; Salvatore Battaglia, Schemi lirici nell’arte di Boccaccio, in “Archivum Romanicum”, XIX, 1935, pp. 61-78, avvertiva nel poema una «maggiore determinazione psicologica» degli elementi sentimentali ed elegiaci ricorrenti nelle opere napoletane di Boccaccio, e un «senso più sicuro dell’unità novellistica» rispetto al Filocolo e alla Fiammetta (p. 68); sulle anticipazioni decameroniane del poema (stilistiche oltre che tematiche) cfr. anche G. Marzot, Elementi artistici della «Teseide», in “La Nuova Italia”, XIV, 1943, pp. 53-7.

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negarla del tutto, almeno sul piano della sintassi e dei moduli narrativi se non su quello del sistema rimico260.

Le oscillazioni nelle valutazioni sono sintomatiche di una certa eterogeneità dell’opera, e di una tensione in essa non sempre risolta tra codici e istanze differenti. A tale riguardo è emblematico il carattere di Emilia (persino le sue descrizioni, nei libri III e XII, sono riconducibili a tradizioni figurative differenti): sulla giovane donna (e amazzone), il cui fascino ingenuo ricorda le figure femminili dei cantari, Boccaccio esercita una raffinata analisi psicologica, non risparmiandole tratti di interessante ambiguità. Il personaggio ha così potuto suggerire ad Ariosto, oltre alla perfetta bellezza di Alcina, la volubilità di Doralice, il dolore di Issabella e anche il lamento di Angelica, che si nutre (come i lamenti di Emilia) di un autentico sentimento tragico della propria bellezza261: questo è il luogo di emersione del mito di Elena, pervasivo nella costruzione del

Furioso e non meno nell’immaginario boccacciano (destinato a sfociare nella

figura di Alatiel).

La tradizione epica classica e la più recente tradizione romanzesca, la letteratura francese e la lirica stilnovistica offrono dunque motivi, suggestioni stilistiche e modalità retoriche alla realizzazione di una storia di armi e d’amore raccontata in ottave. Questi elementi danno evidentemente ragione dell’enfasi con cui nel Teseida, nonostante alcuni limiti estetici determinati forse anche dagli intenti programmatici, e prescrittivi, con cui l’opera ha visto la luce, è stato ravvisato l’atto fondativo della tradizione epico-cavalleresca italiana, che avrebbe raggiunto la sua fioritura e acquisito definitivi tratti distintivi a Ferrara tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo.

260 Cfr. Branca, Il cantare trecentesco e il Boccaccio, cit.; per i moduli di origine canterina presenti nella scrittura del Teseida cfr. anche l’Introduzione di Limentani, cit.; ridimensiona l’influenza della poesia popolare sul Teseida Carlo Muscetta, Boccaccio, cit. Vittore Branca, che aveva comunque avvertito il peso dell’erudizione nel poema, e anche la presenza di esigenze culturali nuove, insistendo sull’ambiguità del personaggio di Arcita (sospeso tra dimensione classica e atmosfere medievali) è giunto a riconoscere nel Teseida un «poema decisamente epico» (Il Mito e

il Concetto dell’Eroe nel Boccaccio, in Essays in Honour of John Humphreys Whitfield, ed. by H.

C. Davis et al.,St. George’s Press, London 1975, pp. 53-70: 54). 261 Cfr. Di Pino, Lettura del «Teseida», cit., p. 37.

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L’Orlando Furioso in effetti presenta, esaudisce, contamina e armonizza – riducendo ad unica nota tonale – la molteplicità dei codici narrativi e stilistici assunti da Boccaccio nella sua scrittura, che mostra di contenere tutti gli elementi costitutivi della realizzazione ariostesca: motivi e trame di derivazione classica e romanza, una struttura narrativa aperta ad inserzioni liriche ed elegiache, e anche una sottile dimensione riflessiva e gnomica che, affidata nel Teseida a rari proemi e a brevi interventi del narratore, nel Furioso ha il suo spazio deputato nei proemi ai canti (anch’essi debitori dell’innovazione boccacciana), oltre a scorgersi lungo innumerevoli sospensioni della fabula. Materiali derivati da generi e tradizioni divergenti che la scrittura ariostesca ha saputo assimilare in maniera originalissima, offrendo notevoli sollecitazioni allo studio e alle ricerche delle fonti del poema fin dalla sua apparizione e, nei tempi più recenti, alla riflessione sull’intertestualità e sulle modalità di riscrittura in esso attuate. Le domande che il fittissimo dialogo con la tradizione esibito dal Furioso pone all’interprete sono per molti aspetti simili a quelle poste dall’opera boccacciana (destinate poi a ricevere una diversa risposta, dato il diverso esito e il diverso apprezzamento estetico).

Anche la ricerca delle fonti del Teseida ha costituito (e costituisce) un capitolo problematico nell’interpretazione dell’opera; anche il Teseida vive di una complessa intertestualità (mi limito a ricordare la sovrimpressione di Stazio e Dante nella morte di Creonte), evoca scenari antichi e atmosfere moderne, dialoga in modo esplicito, come si è detto, con la tradizione classica e con quella romanza262; e anche l’epicità del Teseida, non meno dell’eventuale epicità del

Furioso, costituisce un nodo critico complesso.

262 A. D. Anderson, Before the Knight’s tale: imitation of classical epic in Boccaccio’s «Teseida», University of Pennsylvania Press, Philadelphia 1988, insiste sulla modalità allusiva con cui Boccaccio si appropria dei modelli classici. Non si faticherebbe a riferire al Furioso la fenomenologia della memoria boccacciana evidenziata nelle letture del Teseida (genealogie testuali, contaminazioni di fonti eterogenee); ancora utili per lo studio delle fonti del Teseida, V. Crescini, Contributo agli studi sul Boccaccio, Loescher, Torino 1887 (in part. l’appendice al capitolo IX, pp. 220-47) e P. Savj-Lopez, Sulle fonti della «Teseide», in “Giornale storico della letteratura italiana”, XXXVI, 1900, pp. 57-78; cfr. inoltre P. Boitani, Chaucer and Boccaccio, Society for the Study of Mediaeval Language and Literature, Oxford, 1977 (in part. II: Table of the

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Dalla specola del successivo percorso del poema in ottave, è interessante il rilievo della mancata adesione psicologica di Boccaccio alla materia trattata, non del tutto consapevole; una mancata adesione generata dalla distanza storica, da una mentalità (moderna, “borghese” come solitamente si è detto) lontana dalla materia oggetto del racconto, dalla necessità tragica dell’epica classica263.

Costituisce dunque un dato originario, costitutivo del poema in ottave, il distanziamento che la scrittura attua nei confronti delle favole antiche; questo distanziamento, e il conseguente travestimento modernizzante, avrebbe dato vita con altra consapevolezza e differenti esiti alla parodia di Boiardo, che investe la tradizione letteraria che gli è alle spalle, e all’ironia ariostesca, che guarda anche altrove, oltre i perimetri della finzione letteraria.

Dunque si corrispondono, nel Teseida e nell’Orlando Furioso, non solo il dialogo con una tradizione eterogenea, la consapevole contaminazione, giustapposizione o sovrapposizione di modelli molteplici, ma anche la modalità di