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Gli atti di persecuzione e la loro difficile interpretazione

IL “SISTEMA COMUNE EUROPEO” DI ASILO

2.1. Gli atti di persecuzione e la loro difficile interpretazione

Per quanto concerne gli atti di persecuzione di cui all’art. 9 della direttiva, nel primo paragrafo sono indicati gli atti di persecuzioni previsti dalla Convenzione di Ginevra, al paragrafo 2 sono specificati gli 249 Molti Paesi dell’Unione europea hanno adottato una disciplina nazionale che

prevede una protezione aggiuntiva per motivi umanitari e caritatevoli, per esempio la Germania concede protezione a persone che hanno gravi malattie che non possono essere curate nel loro Paese di origine; oppure la Svezia concede forme di protezione aggiuntive ai c.d. rifugiati ambientali.

atti di persecuzione, essi possono assumere varie forme: a) atti di violenza fisica, psichica compresa la violenza sessuale; b) provvedimenti legislativi, amministrativi, di polizia e/o giudiziari, discriminatori per loro stessa natura o attuati in modo discriminatorio; c) azioni giudiziarie o sanzioni penali sproporzionate o discriminatorie; d) rifiuto di accesso ai mezzi di ricorso giuridici e conseguente sanzione sproporzionata o discriminatoria; e) azioni giudiziarie o sanzioni penali in conseguenza al rifiuto di prestare servizio militare in un conflitto, quando questo comporterebbe la commissione di crimini, reati o atti che rientrano nell’ambito dei motivi di esclusione di cui all’art. 12 paragrafo 2; f) atti specificatamente diretti contro un sesso o contro l’infanzia.250

La direttiva specifica altresì i motivi della persecuzione indicando agli Stati membri che nel determinarli dovranno tenere in considerazione delle indicazioni previste all’art. 10 della direttiva concernenti la definizione dei concetti di “razza”; “religione”; “nazionalità”; “gruppo sociale”.251

In tema di riconoscimento della protezione internazionale offerta dal sistema europeo comune di asilo, ricopre un ruolo fondamentale la Corte di giustizia dell’Unione europea, la quale con la sua funzione interpretativa ha, di fatto, riempito di significato le disposizioni della direttiva “qualifiche”.252

Proprio in relazione agli atti di persecuzione e ai motivi di persecuzione la Corte di giustizia dell’Unione europea ha fornito un ausilio 250 Art. 9 della direttiva “qualifiche” n. 2011/95/UE.

251 Art. 10 della direttiva “qualifiche” n. 2011/95/Ue.

252 Si veda: Corte di giustizia, sentenza del 2 marzo 2010, causa C-175/2008, caso

Abdulla e altri contro Bundesrepublik Deutschland; Corte di giustizia, sentenza del

17 febbraio 2009, causa C-465/07, caso Elgafaji c. Staatssecretaris van Justitie; Corte di giustizia, sentenza del 17 giugno 2010, causa C-31/09, caso Nawras Bolbol

contro Bevándorlási és Állampolgársági Hivatal; Corte di giustizia, sentenza 30

gennaio 2014, causa C-285/12, caso Diakité c. Commissaire général aux réfugiés et aux apatrides.

indispensabile, si pensi ad esempio alla sentenza Y e Z c. Germania253ove

la Corte ha chiarito che i richiedenti asilo omosessuali possono costituire un particolare gruppo sociale esposto al rischio di persecuzione a causa dell’orientamento sessuale (artt. 9 e 10 della direttiva), infatti, l’esistenza nel Paese d’origine di una pena detentiva per atti omosessuali qualificati come reato può, di per sé, costituire un atto di persecuzione, purché tale pena trovi effettivamente applicazione.

È proprio la Corte di giustizia dell’Unione europea che nella sentenza Abdulla254ha affermato che il diritto europeo d’asilo rappresenta una

variazione del diritto internazionale, e che la direttiva “qualifiche”, in particolare, contiene norme più favorevoli di quelle offerte dal diritto internazionale della Convenzione di Ginevra del 1951, sebbene la Convenzione, ad avviso della Corte di giustizia, costituisca la pietra angolare del sistema di protezione internazionale.255

Quest’orientamento della Corte di giustizia è confermato dalla lettera dell’art. 78, paragrafi 1 e 2, così come dall’art. 18 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, e dai considerando numeri 3, 4, 23 e 24 della direttiva “qualifiche”.

Nella sentenza Bolbol256, la Corte di giustizia ha precisato che la direttiva

deve essere applicata e interpretata nel rispetto della Convenzione di 253 Corte di giustizia ue, sentenza del 7 novembre 2013, cause riunite c-199/12 e c-

201/12, caso X,Y e Z contro Minister voor Immigratie en Asiel (C-201/12).

254 Cgue, sentenza Aydin Salahadin Abdulla e altri c. Bundesrepublik Deutschland,

Cause riunite c- 175/08; c.176/08, c-179/08, del 2 marzo 2010.

255 Corte di giustizia eu, Abdulla, c-175/08, paragrafo 52; Corte di giustizia ue,

sentenza del 9 novembre 2010, cause riunite C- 57/09 e C101/09, caso

Bundesrepublik Deutschland contro B e D, paragrafo 77; Corte di giustizia ue X,Y e Z c-199/12 e c-201/12, paragrafo 39; Corte di giustizia ue, sentenza 2 dicembre 2014

cause riunite C-148/13, C-150/13, caso A, B e C contro Staatssecretaris van

Veiligheid en Justitie, paragrafo 45; Corte di giustizia ue, sentenza del 26 febbraio

2015, causa C- 472/13, caso Shepherd contro Bundesrepublik Deutschland paragrafo 22.

Ginevra, ma tale interpretazione deve parimenti essere operata, come deriva dal decimo ‘considerando’ della direttiva, nel rispetto dei diritti fondamentali nonché dei principi riconosciuti segnatamente nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

La presente ricerca ha lo scopo di mettere in risalto le divergenze tra il sistema del diritto dell’Unione e quello del diritto internazionale, pertanto si opererà il confronto tra le due discipline in tema di riconoscimento della protezione internazionale.

La direttiva “qualifiche” è molto più dettagliata della Convenzione di Ginevra del 1951, infatti, mentre la Convenzione individua solo il criterio del “fondato timore” della persecuzione, la direttiva definisce ulteriori specificazioni: gli atti di persecuzione; i soggetti persecutori e i soggetti che devono offrire protezione. Inoltre, il diritto dell’Unione europea fa propri e si conforma ai principi di diritto elaborati dalla Corte Edu, ciò è parso particolarmente significativo in ragione dell’individuazione del fondamento della definizione stessa di rifugiato e, in altre parole, del concetto di “timore”. Quale definizione è corretto dare al timore, alla “paura” di subire la persecuzione? Si potrebbe adottare un approccio meramente formalistico e dunque seguire pedissequamente le indicazioni dettate dalla norma; oppure un approccio individualista che prenda in considerazione la condizione personale del richiedente; altrimenti si potrebbe scegliere di procedere con un’analisi prospettiva.

Individuare la corretta interpretazione del fondato timore è il problema fondamentale per l’applicazione della direttiva. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha scelto di adottare un approccio oggettivo.257

257 Corte Edu, caso 2345/02 Said c. Olanda, sentenza 5 luglio 2005:«La sussistenza di atti persecutori, tra i quali possono ricomprendersi la tortura o i trattamenti inumani o degradanti in caso di diserzione, oppure il rischio concreto e attuale di tale pericolo può essere ritenuta prova di persecuzione o di timore grave di persecuzione»; Corte. Edu, caso Singh c. Belgio, sentenza 2 ottobre 2012; Corte Edu,

Anche con riguardo agli atti di persecuzione, indicati all’art. 9 della direttiva, vanno interpretati alla luce del rispetto dei diritti umani e non solo in conformità alla Convenzione. La Convenzione di Ginevra non ha alcun ruolo significativo nella interpretazione della protezione sussidiaria, come sempre, se ne richiede la conformità a essa, ma è evidente che la stessa non fornisce nessun apporto nella funzione interpretativa di questo istituto nato nel diritto dell’Unione.

La vera guida nell’interpretazione della direttiva è fornita dalla giurisprudenza della Corte Edu sull’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.258

In questa prospettiva parrebbe interessante operare un confronto tra questi diversi livelli di tutela: quella apprestata dal diritto internazionale attraverso la Convenzione di Ginevra e quell’offerta dal diritto dell’Ue, così come integrata e orientata dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.

Come già indicato nel capitolo I, la Convenzione di Ginevra enuncia i requisiti che una persona deve dimostrare al fine di poter richiedere il riconoscimento dello status di rifugiato, ma non ne definisce né chiarisce il significato.

Nel preambolo della Convenzione di Ginevra del 1951 si fa preciso riferimento alla Carta delle Nazioni Unite e alla Dichiarazione Universale dei diritti umani del dicembre 1948, strumenti di diritto internazionale che hanno affermato il diritto di ogni essere umano di godere dei diritti fondamentali e della libertà senza discriminazioni. Nel preambolo si rileva altresì che lo scopo delle Nazioni Unite è di assicurare ai rifugiati il più ampio godimento dei diritti fondamentali e

caso AF. c. France, sentenza del 15 gennaio 2015.

258 Si veda C. GRABENWARTER, European Convention on Human Rights, commentary,

Article 3, ed. C. H. BECK, HART, NOMOS, HELBING, LICHTENHAHN, VERLAG, 2014, pp. 31-51.

delle libertà, e com’è noto la funzione del preambolo dei trattati è quella di indicare la corretta interpretazione degli stessi. Pertanto si può ritenere che benché la Convenzione non specifichi gli atti che costituiscono persecuzione, nel senso che non indica la violazione di quale bene giuridico della persona possa generare la paura di subire una persecuzione, si possa pervenire alla conclusione che: oltre alla violazione del bene della vita e della libertà, debbano rientrare negli atti di persecuzione tutte quelle violazioni di altri diritti umani specialmente quelli garantiti dalla Dichiarazione Universale dei diritti umani del 1948 e da altri strumenti internazionali a tutela dei diritti umani.259

Secondo l’UNHCR occorre andare al di la della minaccia alla vita o alla libertà della persona, e quindi individuare gli atti di persecuzione in tutte quelle gravi violazioni dei diritti umani che generano nella mente di una persona un sentimento di apprensione, paura e insicurezza riguardo alla propria esistenza futura.260Inoltre, sempre ad avviso dell’UNHCR la

persecuzione non deve necessariamente derivare da un singolo atto, ma può anche essere l’effetto di azioni cumulative, ciò ad esempio si verifica quando un richiedente può essere stato soggetto a varie azioni discriminatorie, ciascuna di per sé non costituirebbe una persecuzione, ma il loro accumularsi produce nella mente del richiedente il sentimento di fondato timore.261

Anche la dottrina si è molto interrogata sull’interpretazione del concetto 259 La Convenzione internazionale dei diritti civili e politici del 1966, UN Doc.

A/RES/2200 (XXI) del 16 dicembre 1966; la Convenzione internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, UN Doc. A/RES/2200 (XXI) del 16 dicembre 1966; la Convenzione per l’eliminazione delle discriminazioni razziali, UN Doc. A/RES/2106 (XX) del 21 dicembre 1965; la Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne, UN. Doc. A/RES/34/180 del 18 dicembre 1979; la Convenzione sui diritti dell’infanzia, UN. Doc A/RES/44/25 del 20 novembre 1989; la Convenzione sui diritti delle persone disabili, UN. Doc A/RES/61/106 del 13 dicembre 2006.

260 UNHCR Handbook, paragrafo 51 a 53 reperibile sulla pagina web http://www.unhcr.org/4d93528a9.pdf

di persecuzione, la tesi dominante è quella di un’interpretazione in linea con gli standard di tutela dei diritti umani.262

Autorevole dottrina invoca l’approccio interpretativo in conformità ai diritti umani, rifiutando al tempo stesso di operare una distinzione tra diritti umani “di base”, “fondamentali” o “importanti” e diritti umani che non lo sono.263I sostenitori di questa tesi propongono di considerare ogni

singolo caso e valutare se il diritto minacciato è garantito ampiamente in un trattato sui diritti umani; occorre valutare altresì se lo scopo del diritto è limitato e se la minaccia ricevuta conduce a un danno grave oppure no.264

Altri autori ritengono che il significato sostanziale della persecuzione comprenda la minaccia della privazione della vita e della libertà fisica.265

Tuttavia, ad avviso di questi stessi autori, in un senso più ampio del concetto di persecuzione possono rientrare anche atti meno evidenti della minaccia alla vita o alla libertà. In questa prospettiva potrebbero rientrare anche: l’imposizione di condizioni economiche gravi e più svantaggiate; il divieto di accesso al lavoro, alle professioni, o all’istruzione, o altre restrizioni alle libertà tradizionali garantite in una società democratica come la libertà di espressione, di associazione, di sindacato, o la libertà di circolazione. Al fine di valutare se tutte queste potenziali violazioni rappresentino una persecuzione, secondo quest’orientamento dottrinale, sarà necessario valutare caso per caso la natura e la gravità della violazione.266

Secondo un diverso orientamento dottrinale, il significato essenziale 262 Così H. DÖRIG, Asylum Qualification Directive 2011/95/UE, in EU Immigration

and Asylum Law, a commentary, II edizione, 2016, cit., p.1167.

263 J.C. HATHAWAY, M.FORSTER, The Law of Refugee Status, Cambridge University,

2014, p. 204.

264 Ibidem, pp. 204-207.

265 In questo senso G. GOODWIN-GILL, J. MC ADAM, The Refugee in International

Law, 2007, p- 92.

della protezione dalla persecuzione è rappresentato dalla difesa della dignità umana.267La dignità umana è violata ogni qualvolta sono inflitte a

una persona condizioni insopportabili che gli impediscono di vivere la propria vita senza paura, e il timore di essere ad esempio condannato per le proprie convinzioni politiche, oppure quando una persona è privata del diritto di essere riconosciuto quale parte della società e dunque subisce serie e gravi discriminazioni. Affinché si possa parlare di persecuzione in un contesto come quello descritto di evidenti violazioni alla dignità umana occorre che la violazione sia così grave da violare un aspetto chiave della dignità umana.268

Da ultimo, in dottrina c’è chi ritiene che la persecuzione debba essere intesa come grave violazione del diritto internazionale e in particolare come violazione del diritto internazionale umanitario.269

La direttiva “qualifiche” è il primo strumento normativo che elabora nel dettaglio il concetto di persecuzione contenuto nell’art. 1 A della Convenzione di Ginevra. Il legislatore europeo all’art. 9 della direttiva “qualifiche” ha cercato di meglio definire il concetto di persecuzione, precisandolo molto più di quanto previsto dalla Convenzione di Ginevra. Secondo la direttiva “qualifiche” due condizioni devono, almeno alternativamente, essere soddisfatte: gli atti devono o essere sufficientemente gravi per la loro natura o per la loro ripetizione da generare una grave violazione dei diritti umani fondamentali, in particolare di quei diritti per i quali è esclusa qualsiasi deroga ai sensi dell’art. 15 della Cedu, oppure costituisce persecuzione il cumulo di più atti di violazione dei diritti fondamentali di equivalente gravità. Al 267 In questo senso A. ZIMMERMANN, MAHLER, The 1951 Convention Relating to the Status of Refugees and its 1967 Protocol, commentary, ed. A. Zimmermannp, Oxoford, 2011, p. 347.

268 Ibidem.

269 H . STOREY, What Constitutes persecution? Towards Working Definition, in

paragrafo 2 dell’art. 9 il legislatore europeo ha inserito una lista, comunque non esaustiva, di atti che possono costituire condotte persecutorie.

L’art. 9 ha una struttura tripartitica: al paragrafo 1 fornisce una definizione generale di cosa costituisce persecuzione; al paragrafo 2 contiene, come si è già detto, una lista non esaustiva di possibili atti persecutori; al paragrafo 3 descrive la necessaria connessione tra gli atti di persecuzione e le ragioni di persecuzione anch’esse poi individuate all’art. 10 della direttiva stessa. Proprio la disposizione del paragrafo 3 rappresenta un cambiamento rispetto alla precedente direttiva del 2004, nel senso che nella precedente versione si prevedeva la necessaria connessione tra atto persecutorio e motivo della persecuzione; nella direttiva 2011, invece, si dice in modo esplicito che la connessione tra atto persecutorio e motivo è soddisfatta anche tra atto persecutorio e assenza di protezione verso quell’atto.270

È evidente come, la nuova direttiva “qualifiche” 2011 miri a una tutela dei diritti sempre più ampia: sia con riferimento all’estensione della protezione internazionale a una categoria più ampia di soggetti; sia con riferimento al riconoscimento dei diritti umani.

Attraverso l’interpretazione della direttiva “qualifiche”, la Corte di giustizia ha esteso la propria competenza anche all’alveo dei diritti umani, riconoscendo e imponendo il rispetto di diritti fondamentali quali il diritto al credo religioso nella sentenza Y e Z271, e alla libertà sessuale

nella sentenza X,Y e Z.272 Quel che emerge dalla giurisprudenza della

Corte di giustizia è che l’art. 9 della direttiva deve essere interpretato in conformità alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione.

270 Proposta della Commissione, COM (2009) 551, cit., p. 6 e ss.

271 Corte di giustizia ue, sentenza del 5 settembre 2012, casua C 71/11 e C-99/11.

caso Y e Z. contro Bundesrepublik Deutschland.

2 . 2 . I diritti connessi al riconoscimento della protezione internazionale: la direttiva “qualifiche” e la Convenzione di Ginevra, una lettura in parallelo

Per quanto concerne, invece, i diritti garantiti ai rifugiati nel senso del contenuto della protezione offerta dal sistema europeo comune di asilo, occorre precisare che dagli artt. 20-35 della direttiva “qualifiche” emerge una tutela più ampia di quella offerta dalla Convenzione di Ginevra. Il contenuto della protezione internazionale è indicato al capo VI della direttiva e in esso sono previsti i seguenti diritti: il rispetto del principio di non refoulement, con l’eccezione di poter respingere il richiedente ove questo costituisca grave pericolo per lo Stato in cui si trova o perché, essendo stato condannato con sentenza passata in giudicato per un reato di particolare gravità, costituisce un pericolo grave per la comunità dello Stato membro in cui si trova273; il diritto all’informazione sui diritti e gli

obblighi previsti dallo status di protezione applicabile274; diritto al

mantenimento dell’unità familiare, consentendo così ai familiari del rifugiato o beneficiario di protezione sussidiaria di ricongiungersi con esso anche se non possiedono i requisiti per ottenere la protezione internazionale275; il permesso di soggiorno, il quale prevede per

beneficiari dello status di rifugiato, e ai suoi familiari, il rilascio, da parte dello Stato membro che ha riconosciuto la protezione, di un permesso di soggiorno valido per un periodo di durata di almeno tre anni rinnovabile, purché non ricorrano imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine 273 Art. 21 direttiva “qualifiche” 2011/95/UE.

274 Art. 22 direttiva “qualifiche” 2011/95/UE.

275 Art. 23 direttiva “qualifiche” 2011/95/UE: Gli Stati membri provvedono a che i

familiari del beneficiario di protezione internazionale, che individualmente non hanno diritto a tale protezione, siano ammessi ai benefici di cui agli articoli da 24 a 35 in conformità delle procedure nazionali e nella misura in cui ciò sia compatibile con lo status giuridico personale del familiare.

pubblico, salvo sempre il rispetto del principio di non refoulement così come articolato all’art. 21 della direttiva. Al comma 2 l’art. 24 stabilisce che il permesso di soggiorno, rilasciato al beneficiario della protezione sussidiaria e ai suoi familiari, ha un periodo di validità di almeno un anno ed è rinnovabile per un periodo di almeno due anni276; ai beneficiari

di protezione internazionale sono rilasciati documenti di viaggio nella forma prevista dall’allegato alla Convenzione di Ginevra; è garantito l’accesso all’occupazione277e l’accesso all’istruzione278; l’accesso alle

procedure di riconoscimento delle qualifiche; il diritto a un’adeguata assistenza sociale alla stregua dei cittadini dello Stato membro che concede la protezione internazionale; al paragrafo secondo la norma introduce una deroga per i beneficiari di protezione sussidiaria stabilendo che gli Stati possono limitare l’assistenza sociale concessa alle sole prestazioni essenziali279; diritto a un’adeguata assistenza sanitaria che

includa anche il diritto alla cura da disturbi psichici a soggetti particolarmente vulnerabili come le donne in stato di gravidanza, i disabili, le vittime di torture, stupri o altre gravi forme di violenza psicologica, fisica o sessuale, o i minori che abbiano subito qualsiasi forma di abuso, negligenza, sfruttamento, tortura, trattamento crudele, disumano o degradante o che abbiano sofferto gli effetti di un conflitto armato280; tutela specifica per i minori non accompagnati281; l’accesso

all’alloggio alle stesse condizioni previste per i cittadini di Paesi terzi regolarmente soggiornanti, gli Stati dovrebbero altresì adoperarsi per attuare politiche dirette a prevenire le discriminazioni nei confronti dei beneficiari di protezione internazionale e a garantire pari opportunità in 276 Art. 24, comma 2 della direttiva “qualifiche” 2011/95/UE.

277 Art. 26 della direttiva “qualifiche” 2011/95/UE. 278 Art. 27 della direttiva “qualifiche” 2011/95/UE. 279 Art. 29 della direttiva “qualifiche” 2011/95/UE. 280 Art. 30 della direttiva “qualifiche” 2011/95/UE. 281 Art. 31 della direttiva “qualifiche” 2011/95/UE.

materia di accesso agli strumenti di integrazione.282

La direttiva “qualifiche”, tuttavia non copre tutti gli aspetti compresi dalla Convenzione di Ginevra come ad esempio il divieto di imporre sanzioni ai rifugiati che fanno ingresso nello Stato di rifugio in modo irregolare.

Secondo la dottrina prevalente la direttiva – così come la Convenzione di Ginevra – non riconosce un diritto d’ingresso in uno Stato membro al fine di accedere alle procedure per il riconoscimento della protezione internazionale. Ai rifugiati che bussano alla porta dell’Europa si garantirebbe in questa prospettiva solo il diritto a non essere respinti verso uno Stato in cui la persona potrebbe subire una persecuzione o possa subire danni gravi.283I richiedenti dovrebbero poter sempre

accedere alle procedure per la presentazione della domanda di asilo in un Paese terzo sicuro e formalizzare lì la richiesta anche attraverso l’ausilio di ambasciatori degli Stati membri e attraverso l’UNHCR.284

Come si è già anticipato nel primo capitolo, ad avviso di chi scrive il principio di non refoulement non può essere interpretato solo in un’accezione negativa, in altre parole nell’imporre agli Stati un mero obbligo di non facere e quindi di non respingere, ma si ritiene diversamente che questo principio contenga in se il diritto del richiedente