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C AUSE ED EFFETTI DELLA “ SEMPLIFICAZIONE ” DEL REGIME PROBATORIO

Il nuovo corso della giurisprudenza ha prodotto l’effetto di indurre una maggior tutela della posizione creditoria. Abbiamo visto come quest’evoluzione sia passata attraverso una diversa ripartizione ed un’assoluta semplificazione degli oneri probatori. All’origine della scelta sono stati posti motivi di razionalità ed efficienza, ma le conseguenze che ne sono derivate hanno sicuramente superato queste spinte iniziali suscitando effetti di grande rilievo nel sistema della responsabilità contrattuale. Il rischio della soccombenza si è spostato sul debitore, sul quale pesa la probabilità di non riuscire a soddisfare i più pregnanti oneri probatori posti a suo carico. Il meccanismo è noto e deriva da una delle funzioni principali del precetto stabilito nell’art. 2697 c.c. Il giudice è tenuto ad emettere una decisione anche quando i fatti non sono stati provati, facendo ricadere l’esito negativo di quest’attività sulla parte che era gravata dall’onere di procurarne la dimostrazione. L’art. 1697 c.c. determina infatti una distribuzione del “rischio del mancato convincimento del giudice”172.

La ripartizione dei carichi probatori si riflette direttamente sulla disciplina sostanziale del rapporto; d’altra parte l’efficienza dei rimedi non può che esser misurata nel momento della pronunzia giudiziale e, dunque, ecco confermati il rilievo delle dinamiche processuali e dell’onere della prova173. Il ruolo di quest’ultimo spicca

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PATTI, Prove. Disposizioni generali., in Comm. Scialoja-Branca, p. 4. Peraltro questo rischio deriva non soltanto dalla possibilità di non riuscire a fornire la prova richiesta, ma anche dalla possibilità che questa, sebbene offerta, non sia stata capace di persuadere il giudicante in merito alla sua fondatezza. Accollare l’onere della prova significa quindi addossare un rischio, che aumenterà proporzionalmente all’aggravarsi del contenuto degli oneri probatori.

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Una lettura di estremo interesse sul ruolo degli oneri probatori è data dal saggio di VETTORI,

Libertà di contratto e disparità di potere, in Contratto e Costituzione in Europa, Padova 2005, p. 231

ss., ove il tema viene affrontato sotto questo profilo: “La disparità può essere rilevante solo in presenza del dettato di una norma, dell’uso di una clausola generale o del richiamo positivo del fatto. In tutti questi casi, (…) la rilevanza della disparità non si ha nel momento della identificazione della situazione soggettiva ma nel momento dell’accertamento giudiziale della disuguaglianza. Ciò significa che la specificità non va ricercata solo sul piano della differenziazione sostanziale del potere o del diritto, ma anche sul piano delle dinamiche dell’iniziativa processuale e dell’onere della prova e ne segue una conclusione di grande interesse. (…) essendo pienamente consapevoli di quanto la ripartizione dell’onere della prova, effettuata dalla giurisprudenza, incida sulla disciplina sostanziale del rapporto e sulla sua concreta regolazione” ivi p. 255 e ss. Ed ancora, nelle conclusioni, “la fattispecie contrattuale basata sulla disparità di potere delle parti richiede forme flessibili modellate sulle circostanze soggettive delle parti, la concretezza del fatto e la efficienza del rimedio costruito

perché si trova a governare l’applicazione concreta dei rimedi. L’impianto della responsabilità contrattuale è stato costruito anche sui temi probatori se consideriamo che l’art. 1218 c.c. pone espressamente alla base dell’esclusione di responsabilità non un fatto, ma la sua prova. Concetto che negli ultimi anni la giurisprudenza, ma anche il legislatore, ha sempre più affinato, adoperandolo, unitamente a quello stabilito dall’art. 2697 c.c., per adattarlo alle singole situazioni, talvolta predisponendo un’inversione degli oneri probatori, oppure indicando esattamente le modalità di esecuzione di una determinata obbligazione, ossia codificando il comportamento che il debitore deve tenere per adempiere esattamente il contratto.

Nei tempi recenti si conferma una lettura della responsabilità costruita in una preminente ottica processuale, la quale pare assurgere a baricentro sul quale regolare gli equilibri patologici del rapporto contrattuale. Ed ecco allora che il processo supera la propria dimensione di mezzo per l’attuazione del diritto sostanziale, per divenire il luogo dal quale muovere per regolare la responsabilità debitoria174.

Nella determinazione dell’onere della prova dinanzi ai giudici assumono un peso crescente i criteri della vicinanza e riferibilità della prova, della migliore attitudine175, della più adeguata capacità176 e della giustizia. Canoni che ruotano attorno alla convinzione secondo la quale “ciascuna parte deve provare i fatti che hanno origine nell’ambito del proprio dominio, e conseguentemente sopportare il

dalla norma o dal giudice con una peculiare attenzione alla ripartizione dell’onere probatorio” ivi, p. 260.

174 Nell’ambito del rapporto tra regole sostanziali e processo è interessante cogliere il ruolo assegnato alla fattispecie, quale costruzione su cui si fonda necessariamente la regola di ripartizione degli oneri probatori. La figura è sempre più osservata criticamente poiché da tempo vi è una marcata tendenza ad abbandonare la qualificazione degli istituti in categorie e conseguentemente a sfaldare la costruzione di fattispecie; ciò non di meno è possibile scorgere un nuovo utilizzo di questo strumento nella sua veste prettamente processuale. Autorevole dottrina ha sostenuto che “Senza la teoria della fattispecie non vi può essere la teoria dell’onere della prova” (SACCO, La parte generale

del diritto civile, 1, Il Fatto, L’Atto, Il Negozio, in Tratt. Dir. Civ. dir. da Sacco, Torino 2005) e tale

affermazione merita di essere portata alle sue conseguenze. Senza la teoria dell’onere della prova, infatti, non sempre si può giungere ad una sentenza giacché il principio sancito dall’art. 2697 c.c. è necessario per regolare la definizione di un processo ogniqualvolta non sia raggiunta la prova necessaria all’accoglimento della domanda ed il giudice debba decidere l’esito della controversia. Dunque per avere una decisione può occorrere la fattispecie. Anche il ricorso a questo schema concettuale – considerando che assieme al contratto sorge sia il diritto alla prestazione sia il diritto ai rimedi – deve, dunque, essere letto nell’ottica del processo, ove non troverà più una coincidenza perfetta con quella sostanziale poiché dovrà esser costruita oltreché dai fatti costitutivi anche dalla qualità dei soggetti, dalla natura specifica degli interessi in gioco, ed anche dalle allegazioni, quale imprescindibile attività della parte attrice.

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Cass. 28.5.2004, n. 10297. 176 Cass. 21.6.2004, n. 11488.

rischio del mancato chiarimento di tali fatti”177. Qualora il debitore non sia in grado di adempiere alla propria obbligazione dovrà farsi carico del rischio dello scioglimento del contratto o del risarcimento dei danni. La mera in attuazione dell’obbligo sposta sul debitore il rischio di sopportarne le conseguenze, trovandosi gravato dall’onere di dimostrare la propria liberazione o le ragioni che la giustificano.

Nel nuovo corso giurisprudenziale, inoltre, non è difficile scorgere una riduzione del ruolo che si assegnava agli aspetti soggettivi, e dunque alla colpa, all’interno degli istituti che presiedono alla tutela del contratto.

Il sistema della responsabilità professionale sembra uniformarsi in regole uniche, ma l’apparenza supera la realtà in molti aspetti.

La questione che si pone è quella di verificare se la ripartizione degli oneri probatori, tracciata dalla giurisprudenza, sia una regola valida per l’intero settore della responsabilità professionale.

Il problema è sicuramente complesso e conviene muovere da un’analisi di singoli casi concreti nei quali è stata affrontata la suddivisione degli oneri probatori.