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L A PROVA DEI FATTI COSTITUTIVI

Il titolo, in forza del quale si aziona la pretesa giudiziale, rappresenta l’elemento costitutivo della domanda e non è mai stato posto in dubbio che dovesse essere dimostrato dal soggetto che, nella sua qualità di creditore della prestazione, si fosse determinato ad agire in giudizio.

Tuttavia una minore linearità interpretativa si riscontra nelle ipotesi in cui la situazione fatta valere non derivi da un contratto concluso secondo uno schema classico, nel quale parti hanno concordato tutti i singoli elementi dell’accordo, ma nasca da un’ipotesi di contatto sociale, ovvero da un’ipotesi di responsabilità precontrattuale, oppure l’obbligo che si invoca inadempiuto abbia un carattere accessorio non apertamente enunziato, ma derivante da una fonte di integrazione del contratto.

Procedendo per ordine occorre evidenziare che in questi casi il creditore dovrà dimostrare tutti quegli elementi di fatto dai quali si può ritenere che emerga la

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PATTI G., Responsabilità precontrattuale e contratti standard, artt. 1337-1342, in Comm.

situazione non esplicitata. Così nelle ipotesi di contatto sociale il creditore dovrà dimostrare l’instaurarsi di un vincolo ed il sorgere di quegli obblighi che si assumeranno inadempiuti. La prova dovrà essere particolarmente rigorosa poiché il diritto fatto valere ha ad oggetto una prestazione non determinata nel suo contenuto e nelle modalità della sua esecuzione, giacché deriva da un mero obbligo di corretto comportamento.

Considerazioni non del tutto dissimili possono essere svolte quando si affronti il tema degli obblighi accessori. Anche in questo caso il quesito che si pone è quello di individuare l’esistenza ed il contenuto degli obblighi nonché quello di stabilire le condizioni alle quali possono ritenersi esattamente adempiuti.

Occorre considerare che qualora si intenda far valere in giudizio la violazione di un obbligo accessorio, non esplicitato nell’accordo, la dimostrazione del solo titolo contrattuale e l’allegazione del fatto illecito non sarà sufficiente al creditore per soddisfare gli oneri messi a suo carico dall’art. 2697 c.c. posto che tali obblighi, in quanto non dichiarati, non possono ritenersi esplicitamente contenuti nel contratto.

La particolarità di tale dimostrazione consiste nel fatto che l’obbligo trova la sua genesi in una fonte legale che opera un’integrazione del regolamento contrattuale. È evidente come la sola dimostrazione del titolo, ossia del contenuto dell’accordo, sia necessaria ma non sufficiente a dar conto dell’esatta consistenza degli obblighi accessori. Invero il contratto non rappresenta direttamente il fatto storico da cui trae origine, ad esempio, l’obbligo di buona fede, ma costituisce il fatto storico dal quale consegue, ed in relazione al quale opera, la clausola generale indicata dall’art. 1375 c.c.

Cosicché, qualora si intenda far valere la violazione dell’obbligo di buona fede, si dovrà dimostrarne l’esistenza178. Sarà quindi necessario provare sia la sussistenza del contratto sia “le circostanze che hanno reso giuridicamente doveroso un atto non previsto dalle parti nel regolamento”179. In altre parole la parte interessata dovrà provare le circostanze di fatto dalle quali è possibile sussumere la nascita dell’obbligo strumentale tramite il precetto della buona fede. Quest’ultimo verrà individuato ponendo le circostanze di fatto in rapporto di strumentalità con l’interesse che la

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Una notevole eccezione la si può trovare, pure in questo caso, nelle ipotesi in cui preesista un determinato obbligo, magari di natura deontologica. Vedi infra.

clausola di integrazione è diretta a perseguire per consentire la realizzazione del programma contrattuale180.

Il contratto, frequentemente, si paleserà come un insieme complesso di clausole ed obblighi181 che talvolta discendono non tanto da una espressa pattuizione bensì dalla natura socialmente tipica del rapporto. Il creditore insoddisfatto dovrà pertanto curarsi di dimostrare il rapporto nella sua interezza, non solo per identificare l’effettivo oggetto materiale della prestazione dovuta, bensì per circoscrivere adeguatamente obblighi e responsabilità del debitore.

Considerazioni non dissimili possono essere svolte anche sui temi probatori della responsabilità precontrattuale.

Come noto in dottrina resta assai discussa la natura giuridica di questa responsabilità, mentre in giurisprudenza esiste un orientamento consolidato che le riconosce natura aquiliana182, e alla diversa qualificazione è stata attribuita una rilevante portata nel campo della ripartizione degli oneri probatori.

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In sintesi si è affermato: “l’oggetto della prova relativa alla sussistenza dell’obbligo di buona fede si riconduce alla prova della esistenza del contratto e alla prova delle circostanze dalle quali si individua la strumentalità di una determinata condotta o, ancor meglio, di un determinato atto, rispetto al conseguimento delle utilità economiche che i contraenti avevano convenzionalmente previsto. È opportuno precisare che la prova della sussistenza delle circostanze in base alle quali la buona fede è chiamata a operare, e in base alle quali sorge quindi il relativo obbligo, abbraccia anche l’attualità delle circostanze, posto che la stessa si traduce nell’attualità dell’obbligo medesimo. Il fatto storico che configura il fatto costitutivo dell’obbligo di buona fede è quindi un fatto composito, dato per un verso dalla fattispecie contrattuale, e per altro verso dalle circostanze (aventi carattere di incidentalità), le quali intervengono nella sua vicenda dinamica; è altresì un fatto qualificato dalla sua attualità, posto che le circostanze sono idonee a modificarsi secondo dinamiche estranee alla vicenda contrattuale, e la loro modificazione può comportare la sopravvenuta estinzione dello stesso obbligo di buona fede” op. ult. cit., p. 509.

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Il contratto costituisce un regolamento di interessi “che abbraccia non soltanto le conseguenze giuridiche necessarie per realizzare il precetto negoziale, ossia il risultato avuto presente dai contraenti nella loro comune intenzione, ma anche tutti gli effetti predisposti in vario modo dalle numerose disposizioni di legge con le quali si concreta l’intervento dello Stato nell’opera di ricezione degli atti giuridici”, SCHLESINGER, Complessità del procedimento di formazione del contratto ed unità

del negozio contrattuale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1964, p. 1352 ss.

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All’interno di questo dibattito occorre dar conto come, in una recente pronunzia delle Sezioni Unite sia stato affermato che “per le ragioni già da tempo poste in luce dalla migliore dottrina e puntualmente riprese dalla sentenza di questa Corte n. 19024 del 2005 – alla quale si intende su questo punto dare continuità – la violazione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto assume rilievo non soltanto nel caso di rottura ingiustificata delle trattative, ovvero qualora sia stipulato un contratto invalido o inefficace, ma anche se il contratto concluso sia valido e tuttavia risulti pregiudizievole per la parte rimasta vittima del comportamento scorretto; ed in siffatta ipotesi il risarcimento del danno deve essere commisurato al minor vantaggio, ovvero al maggior aggravio economico prodotto dal comportamento tenuto in violazione dell’obbligo di buona fede, salvo che sia dimostrata l’esistenza

La giurisprudenza, fedele alla propria interpretazione sulla natura della culpa

in contrahendo, afferma che l’attore, il quale abbia invocato il risarcimento dei danni

per violazione dell’art. 1337 c.c., deve dimostrare che il comportamento dell’altra parte ha generato un legittimo affidamento ed ha esulato dai limiti della buona fede e correttezza postulati dalla norma183. I giudici onerano dunque l’attore della prova del fatto illecito, ossia della condotta che si ritiene causa del danno.

In conclusione, nel settore della responsabilità professionale, la prova del titolo in forza del quale il creditore agisce in giudizio non trova differenze tra i diversi tipi di prestazione professionale, mentre riscontra variazioni sostanziali qualora si proceda ad un’indagine in verticale, ossia nelle singole fasi attraverso le quali il rapporto si va formando.