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L A RESPONSABILITÀ CONTRATTUALE NEL CODICE CIVILE VIGENTE

La ricezione delle idee di Osti può constatarsi nella stessa lettera dell’art. 1218 c.c., il quale riassume fedelmente il concetto di impossibilità come unico limite alla responsabilità per inadempimento, eliminando ogni incertezza interpretativa che la duplice previsione degli artt. 1225 e 1226 c.c. abr., nonché il loro combinato disposto con l’art. 1224, aveva suscitato. Ma risulta ancora più chiaramente se si prende in considerazione il contenuto della Relazione al Codice, dove, in commento all’art. 1218 c.c., si legge: “L’art. 1218, logicamente connesso al 1256, ha voluto mettere in evidenza che deve trattarsi di impossibilità della prestazione in sé e per sé considerata; di guisa che non può, agli effetti liberatori, essere presa in considerazione l’impossibilità di adempiere l’obbligazione originata da cause inerenti al debitore o alla sua economia che non siano obiettivamente collegate colla prestazione dovuta; mentre d’altra parte, anche gli impedimenti che si verifichino nella persona o nell’economia del debitore dovranno aver rilievo quando incidono sulla prestazione considerata in sé e per sé”.

Da quanto sopra appare quindi possibile affermare che il nostro attuale codice civile recepisce la ricostruzione dogmatica di inadempimento professata da Osti e fondata sulla oggettivazione della responsabilità contrattuale. Richiedere, infatti, la prova dell’impossibilità ai fini della liberazione del debitore dalla responsabilità equivale ad esigere dal debitore il massimo sforzo per adempiere e non solo quello corrispondente a una diligenza media; lo sforzo, cioè, idoneo a superare qualsiasi

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Come ha sostenuto FRANZONI, la dottrina ostiana evoca “l’immagine di una società del passato: di una società nella quale ciascuno deve sopportare il rischio delle proprie azioni con la propria economia individuale”, in Colpa presunta e responsabilità del debitore, Padova 1988, p. 340 ss.

impedimento di natura oggettiva o soggettiva che non sia tale da incidere direttamente sulla prestazione rendendone impossibile l’esecuzione.

È da rilevare, però, che l’art. 1218 c.c. non contiene traccia manifesta delle caratteristiche che secondo Osti devono caratterizzare l’impossibilità di eseguire la prestazione dedotta in contratto, ossia le qualifiche di oggettiva ed assoluta; il nostro legislatore, infatti, pare essersi preoccupato soltanto della non imputabilità della causa dell’impossibilità al debitore.

La formulazione dell’art. 1218 c.c. quindi, pur avendo il fine di risolvere le dispute dottrinali preesistenti, si presta a diverse letture mantenendo in vita la contrapposizione tra teorie soggettivistiche e teorie oggettivistiche.

In particolare, sono state elaborate teorie ispirate al criterio della diligenza, previsto ora dall’art. 1176 c.c., al fine di collegare la responsabilità per inadempimento alla colpa-negligenza, intesa come violazione della diligenza ordinaria del buon padre di famiglia.

Fra queste teorie un delle più rilevanti, quantomeno per il seguito ricevuto e l’influenza operata sulle ricostruzioni successive, è quella di Giorgianni58. L’Autore, pur riconoscendo che i compilatori del codice del 1942 intesero regolare con l’art. 1218 l’intero problema dei limiti della responsabilità, riassumendo in una formula generale le varie regole specifiche disseminate nel codice del 1865, e quindi accogliere la tesi di Osti, ritiene che tale intento non è stato raggiunto se sia ha riguardo all’intero sistema di regole dettate in varie sedi per regolare l’inadempimento ai singoli contratti.

Si è così cercato di attenuare il rigore delle conseguenze di una applicazione rigida dell’art. 1218 c.c. riducendone l’ambito di applicazione ad una sola ipotesi di inadempimento: quello che si manifesta nella impossibilità sopravvenuta della prestazione. In altri termini, secondo Giorgianni, l’art. 1218 c.c. non avrebbe portata generale e regolerebbe esclusivamente l’obbligo del debitore di impedire l’impossibilità della prestazione limitando il suo sforzo al metro del buon padre di famiglia. Mentre l’art. 1176 c.c. conterrebbe una regola probatoria secondo la quale il debitore sarebbe esonerato da responsabilità offrendo la prova di essere stato diligente, limitando al parametro del buon padre di famiglia lo sforzo che il debitore

deve compiere di fronte alla difficoltà di adempimento59. Di conseguenza, quando il debitore si trovi di fronte ad un impedimento che non può vincere con l’ordinaria diligenza, la prestazione dovrà ritenersi caratterizzata da impossibilità sopravvenuta60.

In questa ricostruzione la colpa-negligenza viene a costituire il fondamento della responsabilità per inadempimento, sia che questo si manifesti nella forma della impossibilità per causa imputabile al debitore, sia in tutte le altre ipotesi di inadempimento in cui la prestazione divenga impossibile. Così la diligenza diviene al contempo criterio generale di responsabilità debitoria e criterio di determinazione dell’esattezza della prestazione. In entrambe le funzioni ad essa accreditate la diligenza investe indistintamente tutta l’attività debitoria, la quale comprende non solo l’esecuzione della prestazione ma anche l’attività preparatoria. Conseguentemente, anche l’attività compiuta dal debitore per mettersi in condizione di adempiere fa parte del contenuto della prestazione e può essere soggetta a un giudizio di negligente adempimento61.

Altra teoria elaborata successivamente all’introduzione dell’art. 1218 c.c., che può definirsi mediana, partendo sempre da una lettura sistematica degli artt. 1176 e 1218 c.c., prospetta soluzioni diverse in funzione del tipo di obbligazione, distinguendo tra obbligazioni di diligenza (o di mezzi) e obbligazioni di risultato. In breve, secondo tale dottrina, l’art. 1176 c.c., pur non distinguendo tra i diversi tipi di obbligazione, enuncia un criterio (quello della diligenza del buon padre di famiglia) che trova la sua ragion d’essere nella valutazione del comportamento del debitore nelle obbligazioni che hanno ad oggetto un certo risultato, ma non è un criterio sufficiente ad escludere l’imputabilità dell’inadempimento in entrambi i tipi di obbligazione. Infatti, nelle cc.dd. obbligazioni di diligenza occorre verificare, oltre all’osservanza della diligenza, se, mancata la prestazione o la prestazione esatta, questa mancanza sia imputabile al debitore o non dipenda da causa estranea; mentre nelle obbligazioni di risultato occorre verificare se la formazione dell’opus sia stata impedita da una causa non imputabile al debitore, estranea alla sua sfera di controllo62. Quindi, il limite della responsabilità sarebbe sempre segnato dall’art. 1218

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GIORGIANNI, op.cit., p. 228 ss. 60

BIANCA, Dell’inadempimento delle obbligazioni, op.cit., p. 164. 61

BIANCA, op. ult. cit., p. 26 ss.

c.c. nella impossibilità di adempiere dipendente da causa estranea alla sfera di controllo del debitore.

Dinnanzi a questi tentativi dottrinali di elaborare teorie soggettivistiche dell’inadempimento contrattuale che limitassero il rigore della disposizione di cui all’art. 1218 c.c. che obbliga il debitore ad adempiere fino al limite della possibilità della prestazione e, quindi, accoglie un concetto di inadempimento tout court e non di inadempimento imputabile, Osti fece in tempo a ribadire la sua dottrina polemizzando con quelle che, a suo dire, potevano essere definite “deviazioni dottrinali” rispetto alla lettera della legge, la quale confortava pienamente le sue tesi63. L’Autore in particolare ribadisce che l’impossibilità sopravvenuta della prestazione dev’essere tanto obiettiva quanto assoluta. È obiettiva l’impossibilità costituita da un impedimento che si opponga all’esecuzione della prestazione in sé e per sé considerata; è assoluta l’impossibilità costituita da un impedimento che non può essere in nessun modo vinto dalle forze umane64.

Attualmente la dottrina prevalente propende per la ricostruzione oggettiva della responsabilità contrattuale ed anche la giurisprudenza afferma ripetutamente che “l’art. 1176 c.c. non è norma invocabile per identificare il contenuto di

un’obbligazione, determinato invece dalla fonte che lo costituisce”65, contrariamente a quanto sostenuto dai fautori della concezione soggettivistica della responsabilità contrattuale.