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Autofagia, glioblastoma multiforme e mTOR

CAPITOLO 3 – L’ AUTOFAGIA

3.3 Autofagia, glioblastoma multiforme e mTOR

Negli ultimi anni gli oncologi molecolari hanno mostrato grande interesse riguardo l’identificazione di nuovi potenziali target capaci di regolare il processo autofagico (Barbieri et al, 2011). Questo perchè diversi dati suggeriscono che l’autofagia potrebbe essere coinvolta nella prognosi dei gliomi di alto grado e nella risposta alla terapia (Miracco et al, 2007; Pirtoli et al, 2009).

È noto da tempo che i gliomi sono resistenti alle terapie che inducono apoptosi, ma meno resistenti a quelle che inducono autofagia (Furnari et al, 2007). Il primo studio che ha evidenziato il ruolo dell’autofagia come potenziale target terapeutico per la cura del GBM è stato quello di Lefranc nel 2006. Questo lavoro ipotizza che poiché mTOR risulta coinvolto nella macroautofagia, la sua inattivazione potrebbe indurre la morte autofagica. mTOR è un effettore a valle del signalling PI3K/Akt, ed è anche un modulatore centrale della proliferazione cellulare nei gliomi (Takeuchi et al, 2005). Infatti, una rapida proliferazione tumorale, che presenta bassi livelli apoptotici, potrebbe contribuire alla radioresistenza caratteristica del GBM, e l’alterazione del signalling di mTOR mediante somministrazione di rapamicina farebbe riconvertire la radioresistenza delle cellule di GBM (Eshleman et al, 2002). Takeuchi e coll (2004) avevano già mostrato che la rapamicina era in grado di indurre autofagia, ma non apoptosi, in linee cellulari di glioma, le U87-MG e T98G, attraverso l’inibizione di mTOR. Al contrario, in linee cellulari resistenti all’azione della rapamicina, le U737-MG, l’effetto inibitorio della rapamicina risultava ridotto (Takeuchi et al, 2004). Un inibitore di PI3K, LY294002 e un inibitore di Akt, 7-idroxystaurospaurine sensitizzavano sinergicamente le U87-MG e le T98G così come le U373-MG alla rapamicina attraverso l’induzione della via autofagica (Takeuchi et al, 2005). Sulla base di questi dati, Takeuchi e coll. Conclusero che la rapamicina fosse in grado di esercitare un effetto antitumorale sulle

cellule di GBM inducendo l’autofagia, e suggerirono che in queste cellule una alterazione del pathway di segnalazione PI3K/Akt avrebbe potuto migliorare notevolmente l’efficacia degli inibitori di mTOR (Lefranc et al, 2005).

La correlazione tra glioblastoma e autofagia può essere identificata ad uno stadio precoce, a livello di cellule staminali/progenitrici, dove è noto che una alterazione del sistema autofagico comporta l’inibizione del differenziamento delle cellule gliali (Zhao et al, 2010). Infatti, c’è una differenza nel comportamento delle cellule staminali neuronali (NSCs) e le cellule staminali progenitrici del glioma (GSPCs) poiché le prime possono avere una differenziazione completa e totalmente spontanea che porta alla formazione di cellule gliali e neuronali, mentre nelle seconde questo fenomeno non è spontaneo, ma si pensa possa essere legato ad un evidente aumento nei livelli di autofagia. Infatti Zhao e collaboratori nel loro lavoro (2010) hanno osservato che i livelli di autofagia iniziano ad aumentare quando le GSPCs, coltivate in mezzo di differenziazione, aderiscono al fondo della fiasca e iniziano la differenziazione. Al contrario, le cellule che non aderiscono e rimangono in sospensione nel mezzo non differenziano spontaneamente e mantengono bassi livelli di autofagia.

La capacità della rapamicina di inibire la crescita del GBM è stata indagata in un recente studio (Arcella et al, 2013) effettuato in vitro su colture cellulari primarie derivate da pazienti affetti da GBM. L’effetto anti-proliferativo si è dimostrato tempo e dose dipendente e in grado di indurre morte cellulare autofagica, con un minimo coinvolgimento della via apoptoica. Le indagini sono state poi estese alla somministrazione della rapamicina in vivo, in topi nudi CD1 xenotrapiantati con cellule U87MG. I risultati ottenuti hanno mostrato una riduzione del volume del tumore pari al 96% nei topi trattati con rapamicina rispetto ai controlli (Arcella et al, 2013).

Negli ultimi anni, infine, è stato dimostrato che il processo autofagico è coinvolto nella modulazione della vitalità di cellule di glioma umano dopo trattamento con radiazioni ionizzanti (IR), combinato o no con il temozolomide (TMZ) (Palumbo et al, 2012). In particolare, le cellule T98G, ma non le U373MG, mostravano una alta radiosensibilità, specialmente a dosi di radiazioni basse e intermedie, associata con uno stato di attivazione costitutiva della via autofagica; in seguito alla somministrazione della rapamicina ed alla conseguente attivazione del pathway autofagico, da essa mediato, si osservava un ulteriore aumento della radiosensibilità nelle cellule T98G, ma soprattuto la radiosensibilizzazione anche delle cellule U373MG. Inoltre, l’inibizione della via autofagica attraverso siRNA (short interfering RNA) contro geni BECN1 o ATG-7 preveniva totalmente la diminuzione della vitalità dopo trattamento con IR e IR/TMZ solo nelle cellule radiosensitive T98G, confermando l’effetto dell’autofagia nell’indurre citotossicità dopo IR (Palumbo et al, 2012).

Il meccanismo che sta alla base dell’inibizione della crescita delle cellule tumorali neoplastiche dopo trattamento con IR, purtroppo, rimane ancora poco conosciuto. La risposta delle cellule di GBM all’IR e la comprensione dei fattori che sono correlati con la radiosensibilità di questi tumori è stata analizzata in vari studi. Recenti esperimenti, in vitro e in vivo, identificavano l’autofagia come il maggior responsabile della morte cellulare non-apoptotica, attivata dopo IR in combinazione con TMZ o da sole (Zhuang et al, 2009). È stata dimostrata l’evidenza di una maggiore suscettibilità delle cellule di glioblastoma alla morte cellulare associata all’autofagia dopo IR, più che per apoptosi (Zhuang et al, 2011). In particolare, sei linee cellulari sono state sottoposte ad aumentate dosi di radiazioni, dimostrando un aumento transiente nell’espressione degli inibitori delle chinasi ciclina-dipendenti (CDKIs), p21 e p27, che regolavano l’arresto in fase G1. In contrasto, le linee cellulari più resistenti alle radiazioni mostravano una

riduzione dei livelli di espressione di p21 e p27, correlato con un fallimento dell’arresto del ciclo cellulare. In seguito alla somministrazione delle radiazioni, si osservava un’attivazione della via autofagica dovuto alla relativa radiosensibilità delle linee cellulari (Yao et al, 2003).

Il pathway Akt/mTOR gioca un ruolo importante nella mediazione dell’oncogenesi e la radioresistenza (Kim et al, 2006). A questo riguardo, il trattamento con inibitori di Akt (1L-6-idrossimetilchiro-inositolo e 2®2-Ometil-3-O-octadecilcarbonato) riduce la vitalità cellulare nelle cellule di glioma U87MG e le rende maggiormente sensibili alle radiazioni attraverso l’induzione della via autofagica (Fujiwara et al, 2007). Studi recenti hanno indagato il ruolo dell’autofagia anche in una piccola sottopopolazione di cellule gliali maligne, chiamata GICs: si tratta di cellule con un elevato potenziale tumorigenico (in grado, quindi di dare origine al glioma) e capaci di conferire radioresistenza al glioblastoma (Bao et al, 2006). Tutto ciò porta le GICs ad essere considerate come validi e critici target terapuetici (Sanai et al, 2005). Infatti numerosi sono i lavori che dimostrano esattamente come venga mantenuta la loro staminalità e come siano in grado di influenzare la radiosensitività del glioma. Nel lavoro di Zhuang et al, 2011, si dimostra che l’induzione della via autofagica con la rapamicina rendeva le GICs, isolate da cellule di glioma derivate da pazienti, più sensibili alle radiazioni. In particolare in questo lavoro, è stato identificato che la rapamicina, in qualità di inibitore di mTOR, sensitizza le GICs nei confronti dell’effetto citotossico delle IR. Questo è associato ad una induzione della via autofagica. La rapamicina è il farmaco più utilizzato nella up-regolazione dell’autofagia (Rubinsztein et al, 2007) ed è in grado di attivare la via autofagica mediante inibizione di mTOR. I dati di Zhuang suggeriscono che l’inattivazione del pathway di mTOR era sufficiente ad indurre autofagia in vitro ed in vivo in seguito alla somministrazione di rapamicina e radiazione. Inoltre, la

radiazione da sola non è risultata altrettanto in grado di portare ad un significativo cambiamento nei livelli di LC3-II e l’attività basale di autofagia nelle GICs non trattate con rapamicina è risultata essere molto bassa (Zhao et al, 2010). Per confermare il link osservato tra autofagia e radiosensitizzazione, Zhuang ha somministrato rapamicina in combinazione con trattamento di IR alle GICs. Infatti la capacità di determinare radiosensitizzazione attraverso inibizione mTOR è stata mostrata in studi precedenti (Paglin et al, 2005; Sinohora et al, 2005). I risultati di Zhuang mostrano, allo stesso modo, che la rapamicina sensibilizza le cellule GICs alle radiazioni. In studi più recenti è stato poi confermato che l’attività autofagica nelle GICs è minima e correlata con l’inibizione della differenziazione delle GICs (Zhao et al, 2010). Per determinare come l’autofagia agisca nel processo di differenziazione delle GICs, i livelli di espressione dei marker progenitori /staminali neurali e marker di differenziamento sono stati esaminati nei vari gruppi GICs. Sebbene CD133 possa essere considerato come un marker universale di staminalità tumorale, nel suo studio, Zhuang ha considerato diversi marcatori come Nestina, Sox2 e Musashi, oltre a CD133 (Vescovi et al, 2006). Dai risultati ottenuti è emerso che, sia in vitro che in vivo, l’induzione di autofagia ha un effetto profondo sul differenziamento e la radiosensibilità di queste cellule. Con l’induzione dell’autofagia veniva inibito in vitro il self-renewal delle GICs, mentre era promossa la differenziazione e la radiosensibilizzazione, in maniera marcata. L’aumentata radiosensibilizzazione era accompagnata ad una ridotta sopravvivenza, vitatlità cellulare e minore efficiente capacità di riparazione dei danni al DNA. Nei topi con le GICs trapiantate intracranialmente e trattati con rapamicina e IR, non solo l’attività autofagica delle GICs era aumentata, ma le GICs acquisivano caratteristiche tipiche di differenziazione. In vivo, l’i induzione dell’autofagia nelle GICs si traducevano in una ridotta capacità di generare neurosfere e una significativa aumentata

sopravvivenza negli animali con aumento della radiosensitività. Questi risultati mostrano che l’autofagia, come detto in precedenza, è critica per la differenziazione delle cellule progenitrici/staminali GICs. Si ricordi che le GICs rappresentano una popolazione cellulare che conferisce al glioma radioresistenza e potrebbe essere la causa della ricorrenza del glioma dopo la radiazione. Per determinare in che modo l’aumentata sensitività alla radiazione nelle GICs risulta dall’induzione dell’autofagia, Zhuang ha usato un inibitore dell’autofagia, la 3MA, che inibisce la PI3K tipo III, iniziatore del pathway autofagico: il triplo trattamento (rapamicina + IR + 3-MA) non promuove differenziazione dell GICs e radiosensibilità. Sulla base di questi risultati, si può pensare che sia effettivamente la via autofagica a determinare gli effetti postumi della combinazione IR+rapamicina. In conclusione, l’inibizione di mTOR promuove la differenziazione delle GICs inducendo l’autofagia e l’up-regolazione dell’autofagia è richiesta nel processo di differenziazione delle GICs; inoltre, le cellule differenziate di glioma riparano i danni al DNA indotti dalle IR meno efficacemente delle GICs (Bao et al, 2006; Vescovi et al, 2006). L’autofagia può giocare un ruolo critico nella differenziazione delle GICs, sebbene il meccanismo per questo processo non sia ancora ben delineato. Alcune posssibili ipotesi inlcudono aberrazioni nei pathway oncogenici implicati sia nello sviluppo del glioma (EGFR, PTEN e mTOR) o alcuni pathway di cellule staminali. Ad esempio, la perdita di funzione di PTEN nelle GICs è uno dei meccanismi che porta ad una scarsa auofagia nelle GICs (Zhao et al, 2010). Queste osservazioni, insieme ai risultati precedentemente analizzati, incoraggiano ad indagare le funzioni della via autofagica nella regolazione delle GICs e il suo ruolo nella radiosensitizzazione del GBM attraverso il controllo della differenziazione delle GICs.

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