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La rapamicina induce il differenziamento delle U87MG

CAPITOLO 6 – RISULTAT

6.6 La rapamicina induce il differenziamento delle U87MG

L’analisi di immunoelettromicroscopia ha rivelato una significativa riduzione della positività alla Nestina all’interno delle cellule dopo trattamento con rapamicina in maniera dose dipendente (Fig 22). La Nestina, antigene di staminalità, si localizza nel

citosol in maniera diffusa e su sottili strutture filamentose (Fig 22B) ma anche nel nucleo della cellula (Fig. 22C). La riduzione di tale antigene ha un andamento molto simile tra i due compartimenti cellulari (Fig 22 e 22C).

L’analisi dell’immunopositività delle cellule U87MG per la III-tubulina, uno specifico antigene di differenziamento cellulare, ha rivelato che in condizioni di controllo le cellule esprimono bassi livelli di III-tubulina, al contrario, il trattamento per 24 ore con dosi di rapamicina 1nM e 10nM determina un aumento dell’immunopositività per tale antigene (Fig. 23A). L’aumento della III-tubulina risulta significativo per entrambe le dosi rispetto alle cellule di controllo (Fig. 23B).

CAPITOLO 7

FIGURE RISULTATI

0 20 40 60 80 100 120 0 nM 1 nM 10 nM 100 nM S o pr a v v iv e n z a c e ll u la re ( % ) E&E Trypan blu DAPI

Figura 8. La rapamicina determina una riduzione della sopravvivenza cellulare

Grafico relativo alla sopravvivenza cellulare valutata mediante conta con E/E, Trypan blu e DAPI. Tutte le metodiche di conta cellulare mostrano una riduzione della sopravvivenza per la dose di trattamento maggiore, 100nM.

*p<0.05 vs le altre concentrazioni di rapamicina

* * *

Controllo 1 nM

10 nM 100 nM

Figura 9. Effetto del trattamento con rapamicina sulla densità cellulare

Cellule U87MG di controllo e dopo trattamento con rapamicina (1nM-100nM). Le cellule sono state osservate al microscopio ottico senza colorazione, dopo fissazione. Alle dosi più alte di rapamicina è evidente una riduzione della densità cellulare, mentre nelle cellule residue aumentano i vacuoli (frecce).

Controllo 1 nM

10 nM 100 nM

Figura 10. Il trattamento con rapamicina induce cambiamenti morfologici nelle cellule U87MG

Colorazione con Ematossilina e Eosina (E/E) di cellule U87MG in seguito al trattamento con rapamicina. La rapamicina induce cambiamenti morfologici dose-dipendenti nelle cellule in coltura, che riguardano sia il corpo cellulare (dimensioni e forma) che i prolungamenti da questo emessi. Alle dosi più alte (10nM e 100nM) è possibile osservare la presenza di vacuoli (frecce). (La barra corrisponde a 15 m)

Figura 11. Il trattamento con rapamicina aumenta il numero e la lunghezza dei prolungamenti nelle U87MG

A) Immagine rappresentativa, relativa alla modalità di misurazione della lunghezza dei

prolungamenti in un’immagine acquisita a 20x (per i dettagli, vedi Materiali e Metodi, par 5.4.3).

Grafici relativi all’analisi del numero (B) e della lunghezza (C) dei prolungamenti delle cellule U87MG in seguito a trattamento con rapamicina. Si osserva un aumento di entrambi i parametri all’aumentare della dose impiegata.

*p<0.05 verso 0 e 1 nM **p<0.05 verso 0nM A B C * * * * * * * *

Controllo 1 nM

10 nM 100 nM

Figura 12. Il trattamento con rapamicina riduce l’immunopositività per la Nestina

Microscopia ottica in fluorescenza: cellule U87MG trattate con rapamicina a dosi crescenti (1nM-100nM). Le immagini mostrano una riduzione dell’immunopositività per il marcatore di staminalità Nestina, già visualizzabile alla dose più bassa di trattamento (1nM) e ancora più evidente alle dosi di 10nM e 100nM. Il grafico riporta la conta delle cellule immunopositive per la Nestina (per i dettagli, vedi Materiali e Metodi, par 5.4.5)

*p<0.05 vs controllo e 1nM (La barra corrisponde a 15 m)

Controllo 1 nM

10 nM 100 nM

Figura 13. Il trattamento con rapamicina aumenta l’immunopositività per la βIII-tubulina

Microscopia ottica in fluorescenza: cellule U87MG trattate con rapamicina a dosi crescenti (1nM-100nM). Le immagini mostrano un aumento dose-dipendente dell’immunopositività per il marcatore di differenziamento neuronale βIII-tubulina, già visualizzabile alla dose più bassa di trattamento (1nM). Il grafico riporta la conta delle cellule immunopositive per la βIII-tubulina (per i dettagli, vedi Materiali e Metodi, par 5.4.5)

*p<0.05 verso controllo e 1nM (La barra corrisponde a 13 m)

Controllo 1 nM

10 nM 100 nM

Figura 14. Il trattamento con rapamicina aumenta lievemente l’immunopositività per la GFAP

Microscopia ottica in fluorescenza: cellule U87MG trattate con rapamicina a dosi crescenti (1nM-100nM). Le immagini mostrano una scarsa immunopositività per la GFAP (proteina fibrillare acida della glia) sia nel controllo che dopo trattamento con rapamicina. Il grafico, che riporta la conta delle cellule immunopositive per la GFAP (per i dettagli, vedi Materiali e Metodi, par 5.4.5), mostra che solo la dose maggiore di trattamento è in grado di produrre un lieve incremento dell’immunopositività per la GFAP. (La barra corrisponde a 13 m)

Controllo 1 nM

10 nM 100 nM

Figura 15. Il trattamento con rapamicina determina una riduzione dell’immunopositività per l’-sinucleina.

Microscopia ottica in fluorescenza: cellule U87MG trattate con rapamicina a dosi crescenti (1nM-100nM). Le immagini mostrano una evidente riduzione dell’immunopositività per l’- sinucleina all’aumentare della dose di trattamento somministrata.

Il grafico riporta la conta delle cellule immunopositive per l’-sinucleina (per i dettagli, vedi Materiali e Metodi, par 5.4.4)

*p<0.05 verso controllo e 1nM (La barra corrisponde a 17,5 m).

Figura 16. Effetto della rapamicina sull’immunopositività delle cellule U87MG per i vari marker indagati.

Il grafico mostra in maniera riassuntiva gli effetti di dosi crescenti di rapamicina (1nm-100nM) sull’immunopositività delle U87MG per i vari marker valutati nello studio.

Figura 17. La rapamicina determina induzione della via autofagica

Microscopia elettronica a trasmissione (TEM): (A) cellula di controllo con nucleo (N) con cromatina dispersa. Nel citoplasma sono presenti mitocondri (M), reticolo endoplasmatico rugoso e molto glicogeno (freccia rossa). (B) Cellula U87MG dopo trattamento con rapamicina 1nM con nucleo con cromatina diffusa, reticolo endoplasmatico rugoso e mitocondri. Sono presenti pochi vacuoli autofagici (frecce). (C) Cellula U87MG dopo trattamento con 10nM rapamicina con nucleo con cromatina dispersa, nel citoplasma si osserva il reticolo endoplasmatico, i mitocondri e diversi vacuoli autofagici (frecce). (D) Grafico relativo al numero di vacuoli autofagici per cellula in seguito a trattamento con rapamicina (1nM e 10nM).

*p<0.0001 vs gli altri gruppi

(La barra corrisponde a: A) 0,63 m; B) 0,83 m; C) 0,9 m)

Fig 18. La rapamicina induce la formazione di vacuoli autofagici positivi per Beclin 1 e LC3.

Microscopia elettronica a trasmissione (TEM) e immunogold per Beclin 1 e LC3 in una cellula U87MG trattata con rapamicina 10nM. La figura mostra l’immunopositività dei vacuoli autofagici per i due componenti del pathway autofagico: Beclin 1 (frecce rosse, particelle d’oro di 20nm) e LC3 (frecce nere, particelle d’oro 10 nm). I vacuoli autofagici mostrati in figura, a differente stadio maturativo, presentano diverse caratteristiche ultrastrutturali. Vacuolo con doppia membrana e materiale rarefatto al suo interno (*), vacuolo multi membranoso ed elettrondenso (**).

Fig 19. La rapamicina induce aumento dell’espressione di Beclin 1 in maniera dose- dipendente

Il grafico mostra l’espressione di Beclin 1 nelle cellule U87MG di controllo e trattate con rapamicina 1nM e 10nM. Tale valore è stato ottenuto dal numero di particelle d’oro per cellula. *p<0.001 vs controllo

Fig 20. La rapamicina induce aumento dell’espressione di LC3 ad alte dosi

Il grafico mostra l’espressione di LC3 nelle cellule U87MG di controllo e trattate con rapamicina 1nM e 10nM. Tale valore è stato ottenuto dal numero di particelle d’oro per cellula. I dati ottenuti mostrano un aumento significativo dell’espressione di LC3 alla dose più alta (10nM).

Fig 21. La rapamicina induce la formazione di vacuoli autofagici positivi per l’sinucleina

Microscopia elettronica a trasmissione (TEM) e immunogold per l’-sinucleina. La figura mostra l’immunopositività per la proteina misfolded -sinucleina (frecce, particelle d’oro di diametro di 10nm) in una cellula U87MG trattata con Rapamicina 10nM.

Fig 22. La rapamicina riduce l’espressione della Nestina in maniera dose-dipendente

Microscopia elettronica a trasmissione (TEM) in una cellula U87MG (controllo): Immagine rappresentativa dell’immunopositività per la Nestina (frecce). Il grafico mostra l’espressione della Nestina nel nucleo (Fig. B) e nel citosol (Fig. C), ottenuta dal numero di particelle d’oro per cellula. I dati ottenuti mostrano una significativa riduzione dell’espressione della Nestina in maniera dose-dipendente.

*p<0.05 vs controllo; **p<0.0001 vs controllo (La barra corrisponde a: 41,6 nm)

B C

Fig 23. La Rapamicina induce l’espressione della III-tubulina in maniera dose- dipendente

Microscopia elettronica a trasmissione (TEM) in una cellula U87MG trattata con rapamicina (10nM): Immagine rappresentative dell’immunopositività per la III-tubulina (frecce nere) vicino ai filmanenti del citoscheletro (frecce rosse). Il grafico mostra l’espressione della III- tubulina, ottenuta dal numero di particelle d’oro per cellula. I dati ottenuti mostrano un aumento significativo dell’espressione di -tubulina in maniera dose-dipendente.

*p<0.05 vs controllo; **p<0,001 vs gli altri gruppi (La barra corrisponde a: 0,11 m)

CAPITOLO 8

DISCUSSIONE

Il glioblastoma multiforme (chiamato anche GBM) rappresenta il più comune e maligno tra le neoplasie della glia. È caratterizzato da una popolazione eterogenea di cellule con un alto potere di infiltrazione, necrosi, angiogenesi e resistenza alla chemioterapia (Ramirez et al, 2013). Può essere distinto in primario e secondario dove con primario si identifica quel tipo di tumore che insorge ex novo nei soggetti più anziani ed è più resistente alla terapia con radiazioni, mentre il secondario normalmente deriva da un astrocitoma diffuso o anaplastico, e in genere si manifesta in soggetti più giovani. La prognosi per i pazienti affetti da questa forma tumorale non è favorevole, con una sopravvivenza media di soli 14 mesi circa. La terapia attualmente impiegata nei pazienti con glioblastoma consiste nella chirurgia associata a radioterapia e chemioterapia (Huse et al, 2010).

Per spiegare l’origine del GBM, negli ultimi tempi è emersa l’ “ipotesi delle cellule staminali cancerogene (“The cancer stem cells hypothesis”): secondo questa ipotesi, il glioblastoma viene considerato un tumore eterogenero, ovvero composto sia da cellule tumorali vere e proprie che da una piccola popolazione di cellule staminali cancerogene (CSCs). Alla base dell’ipotesi delle CSCs vi è l’idea che all’origine del GBM vi sia una cellula o un gruppo di cellule che presenta lesioni neoplastiche e ciò comporta la loro trasformazione in cellule cancerogene (Dirks, 2001; Dirks, 2008; Stiles and Rowitch, 2008). Si tratta di cellule multipotenti, ovvero con capacità di differenziare in cellule neuronali, astrociti o oligodendrociti, in grado di auto-rigenerarsi, dare origine al tumore, sostenere la crescita tumorale e conferire un certo grado di resistenza alla terapia (Pilkington, 2005). Infatti recentemente, le cellule staminali del glioma (CSCs) sono state identificate come la principale causa della propagazione tumorale o della sua

ricomparsa dopo terapia (Johannessen et al, 2008; Bao et al, 2006). È possibile isolare le CSCs distinguendole dalle cellule nervose differenziate attraverso specifici marker staminali localizzati sulla superficie cellulare, tra cui CD 133 e Nestina sono i più conosciuti (Castillo et al, 2008). L’idea che cellule staminali possano dare origine al tumore è supportata anche dal fatto che nell’adulto vi sono due nicchie principali contenenti cellule staminali neurali: il giro dentato dell’ippocampo e la zona subventricolare (Basak and Tylor, 2009).

Da un punto di vista molecolare, la delezione sul cromosoma 10 della proteina soppressore tumorale PTEN, il più importante modulatore negativo del pathway di PI3K, è riscontrata in più del 50% dei casi di glioblastoma muliforme e rappresenta il terzo meccanismo di attivazione costitutiva della via di PI3K/Akt/mTOR (Choe et al, 2003; Ermoian et al, 2002). In particolare, mTOR risulta up-regolato nelle cellule di glioblastoma, e perciò in grado di inibire la via autofagica (Galan-Moya et al, 2011). Appare dunque chiaro come l’inibizione di mTOR rappresenti un valido target terapeutico e per questo motivo nel presente studio è stata utilizzata la rapamicina, potente inibitore di mTOR (Hara et al, 2002; Kim et al, 2002), in grado di stimolare l’autofagia in vitro e in vivo (Ravikumar et al, 2006; Erlich et al 2007; Arcella et al, 2013). Negli ultimi tempi, infatti, il ruolo dell’autofagia è stato ampiamente indagato per il suo coinvolgimento a livello terapeutico: dati in letteratura dimostrano che questo pathway sia coinvolto nella modulazione della vitalità e della sopravvivenza di cellule di glioma umano dopo trattamento con radiazioni ionizzanti (IR), combinato o no con il temozolomide (TMZ) (Palumbo et al, 2012). Tale effetto è stato confermato non solo in

vitro, ma anche in vivo; in particolare, un recente lavoro (Arcella et al, 2013) ha

dimostrato come il trattamento con rapamicina sia in grado di ridurre la crescita della massa tumorale in topi nudi CD1 xenotrapiantati con cellule di glioblastoma.

La relazione esistente tra autofagia e GBM è stata indagata a partire dal 2006, quando Lefranc e i suoi collaboratori definirono il pathway autofagico come il “cavallo di Troia” per combattere il glioblastoma (“Autophagy, the Trojan horse to combat

glioblastomas”, 2006): questo perché le cellule di GBM sembravano essere scarsamente

resistenti all’attivazione della via autofagica e una deregolazione della via di segnalazione mostrava una evidente attivazione del processo autofagico (Lefranc et al, 2006). In particolare è stato osservato nelle cellule staminali/progenitrici del glioblastoma (GSPCSs) che vi è un’alterazione della via autofagica (Zhao et al, 2010): i livelli di autofagia aumentano nelle GSPCSs quando queste cellule iniziano il processo di differenziamento, al contrario di quelle non differenziate che invece mantengono bassi livelli di autofagia.

Partendo da questi presupposti relativi alla relazione esistente tra GBM, mTOR e autofagia, nel presente lavoro abbiamo trattato con rapamicina, alle dosi di 1, 10 e 100nM per 24 ore, le cellule U87MG, linea cellulare di glioblastoma umano.

Il primo effetto analizzato è stato quello relativo alla vitalità cellulare, tramite una conta con E/E, Trypan blu, e DAPI. I risultati ottenuti mostrano l’effetto anti-proliferativo della rapamicina alla dose maggiore di trattamento, alla quale si osserva una significativa riduzione della vitalità cellulare. In particolare, alla dose 100nM, la sopravvivenza cellulare si riduce rispetto ai controlli, in cui è al 100%, divenendo del 75,8% per l’E/E, del 76,7% per il Trypan blu e del 75,6% per il DAPI.

Dalle colorazioni con E/E sono visibili cambiamenti nella morfologia cellulare indotti dal trattamento con rapamicina, in maniera dose-dipendente: il corpo cellulare, fusiforme nel controllo, aumenta di dimensioni e diventa multipolare al crescere della dose di trattamento. Si assiste, inoltre, ad un aumento della lunghezza e del numero dei prolungamenti cellulari: mentre nelle cellule di controllo il numero medio di

prolungamenti è pari a 2,12±0,13 per cellula, tale valore aumenta significativamente fino alla dose di 10nM (4,16±0,15), per poi arrestarsi con un plateau a 100nM (4,06±0,14). Allo stesso modo si osserva un aumento della lunghezza dei prolungamenti cellulari che è di 38±2,7 m nelle cellule di controllo e aumenta in maniera dose- dipendente fino ad un valore massimo di 76±3,1 m alla dose di 100nM.

La colorazione con E/E, oltre ai cambiamenti morfologici, mostra che il trattamento con rapamicina a basse dosi induce la comparsa di vacuoli autofagici osservati sia in microscopia ottica che in microscopia elettronica a trasmissione. I risultati ottenuti dall’analisi ultrastrutturale hanno evidenziato la formazione di vacuoli a diversi stadi di maturazione e positivi per Beclin1 e LC3, due marker autofagici. La rapamicina sembrerebbe esercitare un effetto dose-dipendente, molto più evidente per Beclin 1, mentre relegato solo alla dose maggiore per LC3.

Un’ ulteriore conferma del coinvolgimento della via autofagica è derivato dalle indagini in microscopia ottica ed elettronica a trasmissione per una proteina, l’-sinucleina, substrato specifico dell’autofagia e perciò considerata marker di questo pathway (Castino et al, 2008). Le analisi in microscopia ottica mostrano una riduzione dell’espressione dell’-sinucleina rispetto alle cellule di controllo, segno tangibile dell’attivazione della via autofagica. Tale dato è confermato dalla percentuale di immunopositività per l’-sinucleina, che è del 90% nei controlli e si riduce significativamente al 7,1% nella dose maggiore di trattamento.

Il fenomeno è confermato anche in microscopia elettronica a trasmissione dove si evidenziano, a livello ultrastrutturale, vacuoli autofagici positivi per l’-sinucleina. Successivamente sono stati indagati vari marker di staminalità e differenziamento tramite microscopia ottica ed elettronica a trasmissione. Le immagini in microscopia ottica mostrano una significativa riduzione delle cellule immunopositive per la Nestina,

un marcato aumento dell’imunopositività per la III-tubulina e solamente un lieve incremento delle cellule GFAP immunopositive. Tali dati sono confermati dall’analisi quantitativa dell’immunopositività per ciascun marcatore. In particolare, l’immunoposititivà per la Nestina si riduce dal 90% nel controllo al 18% nella dose maggiore di rapamicina, per la III-tubulina aumenta dal 17% nei controlli al 60% alla dose di 100nM e per la GFAP presenta un lieve aumento dal 8,1% nei controlli al 17,3% per la dose maggiore di trattamento.

L’analisi effettuata in microscopia elettronica a trasmissione ha confermato sia la riduzione dell’immunogold per la Nestina che l’aumento dell’immunogold per la III- tubulina, ottenuti tramite la conta delle particelle d’oro per cellula nei vari gruppi di trattamento. Dai risultati possiamo concludere che il trattamento con rapamicina induce un differenziamento in senso neuronale delle cellule U87MG in maniera dose- dipendente.

In conclusione possiamo distinguere gli effetti della rapamicina in quattro categorie: 1) effetto sulla vitalità cellulare

- riduzione della sopravvivenza cellulare 2) effetti morfologici

- cambiamento della morfologia del corpo cellulare; - aumento del numero dei prolungamenti cellulari -aumento della lunghezza dei prolungamenti cellulari 3) effetti sul pathway autofagico

- aumento della formazione dei vacuoli autofagici

- aumento dell’immunogold per Beclin 1 e LC3

4) effetti sull’immunopositività (differenziamento in senso neuronale) - riduzione dei livelli di immunopositività per la Nestina

- aumento dei livelli di immunopositività per la III-tubulina - moderato aumento dei livelli di immunopositività per la GFAP

CAPITOLO 9

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