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La rapamicina: modulazione farmacologica dell’autofagia

CAPITOLO 3 – L’ AUTOFAGIA

3.2 La rapamicina: modulazione farmacologica dell’autofagia

3.2.1 Cenni storici

La storia della scoperta della rapamicina ha inizio con una spedizione canadese, nel 1960, sull’Isola di Pasqua (Rapa Nui nella lingua madre) che aveva lo scopo di raccogliere campioni di piante del luogo e successivamente analizzarli. In un campione di terreno fu trovato un batterio chiamato Streptomyces hygroscopicus, in grado di produrre un metabolita secondario, attualmente noto col nome di Rapamicina, dotato di potente attività antifungina (Vezina et al, 1975; Sehgal et al, 1975). Non molto tempo dopo la sua iniziale caratterizzazione come un agente antifungino, si trovò che la rapamicina possedeva attività citostatica non solo nei confronti degli eucarioti, ma anche delle cellule tumorali umane trapiantate nei roditori (Houchens et al, 1983; Thomson et al, 2009). Tali caratteristiche così impressionanti di questo nuovo composto portarono ad indagini per identificare il target specifico della rapamicina. Sebbene nei primi tempi fosse apprezzata principalmente per la suo potenziale anti-cancerogeno e immunosoppressore, fu la sua proprietà antifungina che portò alla scoperta del suo target molecolare (Heitman et al, 1991). Infatti gli esperimenti furono condotti utilizzando una semplice selezione di mutanti spontenei del lievito Saccharomyces

cerevisiae per la capacità di formare colonie su piastre contenenti una concentrazione

citostatico di rapamicina. Tre classi di mutanti furono analizzate in questa selezione con la classe più numerosa che mostrava una resistenza recessiva alla rapamicina. Questi mutanti erano deficitari del gene FPR1, che codifica una prolina isomerasi che è un cofattore necessario obbligato per la tossicità della rapamicina. Altri due loci conferivano resistenza dominante alla rapamicina e furono chiamati TOR1 e TOR2. La clonazione e il sequenziamento di questi geni dimostrò che essi codificano diverse chiansi paraloghe che assomigliano alla PKI (Cafferkey et al, 1993; Kunz et al, 1993).

Oggi sappiamo che TOR è altamente conservato in tutti gli eucarioti e che la sua funzione non è tanto come chinasi lipidica, ma piuttosto come serina/treonina chinasi (Wullschleger et al, 2006; Shertz et al, 2010). Al farmaco, chiamato “Rapamicina” dal nome dell’isola dove fu scoperto, è stato in seguito aggiunto il nome generico di “Sirolimus”, mentre “Rapamune” è il nome registrato dall’ industria farmaceutica che lo produce e lo distribuisce (Dumont, 1996).

3.2.2 Struttura e meccanismo d’azione della rapamicina

La rapamicina è un antibiotico macrolide lipofilico derivato dalla fermentazione del batterio Streptomyces hygroscopicus, conosciuta con il nome generico di sirolimus, era inizialmente nota per la sua attività antifungina con potente attività anticandida. Studi successivi hanno messo in evidenza le sue proprietà antitumorali/antiproliferative e immunosoppressive. Numerosi studi in vivo, effettuati in modelli animali, e trials clinici in corso hanno infatti dimostrato che questa molecola ha una notevole attività nell’inibire il rigetto del trapianto di organi (Sehgal, 1998; Dumont, 1996; Augustine, 2007). In particolare nel 1999 la FDA (Food and Drugs Administration) ha rilasciato l’autorizzazione al commercio della rapamicina come farmaco immunosoppressore/anti- rigetto da impiegare nel trapianto di rene in pazienti di età superiore ai 13 anni (Sehgal, 2003). Ad oggi, anche in Europa il Sirolimus è indicato solo per la profilassi del rigetto di trapianto d’organo in pazienti adulti con rischio immunologico da lieve a moderato sottoposti a trapianto di rene. Il suo meccanismo d’azione, basato sulla sua capacità di inibire il rigetto in seguito a trapianto di organi in modelli animali, ha aumentato l’interesse per questo farmaco per uso clinico. Il sirolimus è un cristallo bianco solido con un range di fusione tra 183° e 185°C. Strutturalmente, è un lattone macrociclico lipofilico, solubile nella maggior parte dei solventi e insolubile in acqua (Figura 6).

Sebbene il primo isolamento e la prima caratterizzazione risalgono al 1975, la vera e propria conoscenza strutturale completa basata sulla cristallografia a raggi x avvenne solo nel 1981 (White and Swindells, 1981).

Figura 6. Struttura della rapamicina (Sehgal et al, 2003)

Classicamente la rapamicina è in grado di indurre l’apoptosi in una determinata tipologia di cellule, nello specifico uccide le cellule dendritiche ma non ha alcun effetto citotossico su monociti e macrofagi, come dimostrato dal lavoro di Woltman e collaboratori del 2001. Inoltre, la rapamicina può sensitizzare le cellule all’apoptosi indotta dal trattamento con cisplatino (un noto chemioterapico) (Shi et al, 1995). È possibile che l’effetto apoptotico indotto da trattamento con alte dosi di rapamicina sia dovuto ad un effetto su mTORC2, che è implicato nella sopravvivenza cellulare nelle cellule cancerogene (Foster et al, 2009; Oh and Jacinto, 2011). Tuttavia, Sonenberg e colleghi recentemente hanno riportato che la proliferazione cellulare è controllata anche dal fattore 4E-BP, fosforilato da mTORC1 (Choo and Blenis, 2009). Dunque, la soppressione della fosforilazione di 4E-BP1 potrebbe essere responsabile degli effetti ad alte dosi del trattamento con rapamicina (Yellen et al, 2011).

Poiché è noto da tempo che la rapamicina è in grado di attivare sia l’apoptosi (Woltman et al, 2001; Hosoi et al, 1999) che l’autofagia (Shigemitsu et al, 199; Kanzawa et al,

2004), per comprendere quale tra questi meccanismi fosse indotto nelle cellule di glioma, nel 2005 il gruppo guidato da Takeuchi ha trattato tali cellule con rapamicina e cisplatino. I risultati ottenuti hanno mostrano che solo nelle cellule trattate con cisplatino c’era stata attivazione dell’apoptosi, indicando che la rapamicina non è in grado di stimolare questa forma di morte cellulare nelle cellule di glioma (Takeuchi et al, 2005). Il passo successivo è stato quello di indagare il ruolo della via autofagica come responsabile della morte cellulare osservata in seguito al trattamento delle cellule di GBM con rapamicina. È stato dimostrato che la rapamicina ha effetti sul ciclo cellulare poiché è in grado di bloccare le cellule in fase G1, riducendo così la vitalità cellulare in maniera dose-dipendente. In particolare nelle cellule di glioma, la rapamicina porta all’attivazione delle via autofagica, quando somministrata a basse dosi (Ravikumar et al, 2006).

L’effetto dell’inibizione di mTOR è stato ampiamente studiato in trial clinici usando la rapamicina o analoghi (rapaloghi) che inibiscono specificamente mTORC1. La rapamicina interagisce con l’immunofilina che lega la proteina FK506 (FKBP12) e il complesso che ne deriva (FKBP12-rapamicina) lega un dominio specifico su mTOR, determinando l’inibizione di mTORC1 (Guertin et al, 2009) (Figura 7). Al contrario di mTORC1, mTORC2 non è sensibile ai rapaloghi a tempi di esposizione brevi (Thoreen and Sabatini, 2009); tuttavia, vi sono diversi tipi di cellule in cui la rapamicina può determinare una inibizione di mTORC2 se sottoposte a prolungate esposizioni (Sarbassov et al, 2006). Studi preclinici hanno mostrato che la rapamicina esercita un effetto anti-cancerogeno inibendo la proliferazione cellulare. Essa infatti è in grado di ridurre la sintesi proteica necessaria per la progressione del ciclo cellulare, portando ad un arresto del ciclo cellulare stesso in fase G1 (Easton and Houghton, 2006). A livello molecolare, l’inibizione di mTORC1 induce la defosforilazione di 4E-BP1 che a sua

volta lega il fattore eIF4E, impedendogli di interagire con la regione contenente il cap 5’ non tradotto dell’mRNA. Di conseguenza, l’inizio della traduzione cap-dipendente non può avvenire, e da qui l’importanza di 4E-BP1 come target di mTOR in grado di influenzare la crescita tumorale (Ma and Blenis, 2009). Ciò è testimoniato dal fatto che le cellule di rabdomiosarcoma che presentano bassi livelli di 4E-BP1 sono resistenti agli effetti inibitori sulla crescita determinati dal trattamento con rapamicina (Dilling et al, 2002). In aggiunta all’effetto di 4E-BP1, la rapamicina, e i suoi analoghi, possono anche inibire la progressione del ciclo cellulare dalla fase G1 alla fase S bloccando la fosforilazione della proteina del retinoblastoma (pRb). Da un lato, la rapamicina riduce l’espressione della ciclina CD1, abbassando di conseguenza il livello del complesso chiasi ciclina dipendente (cdk)/ciclina D1 che regola la fosforilazione della pRB. Dall’altro lato, i rapaloghi son in grado anche di up-regolare l’espressione di p27 che colpisce negativamente cdk (Kawamata et al, 1998; Nagamine et al, 1998).

Figura 7. Meccanismo d’azione della rapamicina (Mendiburu-Elic et al, 2013). La rapamicina e i

suoi analoghi sono in grado di legare principalmente la proteina intracellulare FKBP12; il complesso che si forma, rapamicina-FKBP12 va a sua volta a legarsi al dominio di legame (FRB) presente nella struttura di mTOR, determinando l’inattivazione della sua attività chinasica sui suoi effettori a valle, p70S6 e il fattore 4EBP1 (factor 4E binding protein-1) (Vogt et al, 2001).

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