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L’autonomia negoziale di impresa

3 CONTRATTI DI IMPRESA E CLAUSOLE GENERALI

3.1 L’autonomia negoziale di impresa

L’autonomia contrattuale, pur in assenza di un espresso riconoscimento a livello costituzionale265, appare essere effetto diretto della proprietà e dell’impresa, intesi quali principi fondanti l’ordine economico ordo-liberale, così come emerge dalla costituzione economica266. In quest’ottica, il contratto si rileva strumento per l’attuazione dell’economia capitalistica caratterizzata dalla produzione in massa di beni e servizi267. E così, nel tentativo di dare una risposta all’interrogativo se “è il contratto che fa il mercato o il mercato che fa il contratto”268, l’impresa funge da connettivo tra il mercato e il contratto. In altri termini, non si può analizzare il rapporto tra contratto e mercato senza adeguatamente valorizzare il ruolo dell’impresa. Con sillogismo aristotelico si afferma che “se è vero che il mercato poggia sul libero scambio, e se è vero, di norma, che gli scambi avvengono attraverso contratti, è altresì vero che l’impresa, in quanto organizzazione che riduce i costi di transazione, da un lato internalizzando e gerarchizzando i rapporti di produzione e, d’altro lato, serializzando i rapporti con i terzi

265 Sul punto, G. OPPO, L’iniziativa economica (1988), in Scritti giuridici, vol. I: Diritto

dell’impresa, Padova, 1992, p. 33, ove si legge che “il contratto non viene, a livello costituzionale, in considerazione solo come strumento di iniziativa nella materia di rapporti economici, dal che non sembra si traggano sempre le conseguenze neanche nella giurisprudenza costituzionale.”

266 Nel senso di affermare un rapporto di strumentalità all’impresa e alla proprietà del principio

di libertà contrattuale, P. BARCELLONA, Diritto privato e società moderna, Napoli, 1996, p. 320, ove si legge che “proprietà privata e autonomia privata dunque sono i due principi cardine

attorno ai quali il diritto moderno organizza i rapporti giuridici individuali, dando ad essi la forma tipica dei rapporti di mercato: il diritto di appropriarsi in via esclusiva di una quota della ricchezza sociale non può non comportare anche il diritto di realizzarne il controvalore mediante un libero atto di scambio, istituendo cioè con chi è disposto a convenirlo un libero rapporto contrattuale”.

267267 In diversa prospettiva, coloro i quali affermano la tesi della c.d. estrastatualità o

extrapositività del diritto privato, l’accordo si porrebbe come una sorta di prius rispetto all’ordinamento, essendo capace di dare vita al mercato come luogo naturale dello scambio. Sul punto, cfr. P. RESCIGNO, L’autonomia dei privati, in Persona e comunità – Scritti giuridici, vol. II, Padova, 1988, p. 422 ss., il quale, riferendosi alla tesi soprariportata, definisce l’autonomia

negoziale in termini di “fenomeno sociale prima che giuridico”; F. VASSALLI, Estrastatualità del diritto civile, in Scritti giuridici, vol. III, t. II, Milano, 1960.

268 Il quesito è in questi termini posto da V. BUONOCORE, Contratto e mercato, in Giur. comm.,

(attraverso l’imposizione di contratti standard), è una presenza altrettanto essenziale nel funzionamento del sistema economico a base capitalistica”269. In sintesi, il collegamento tra impresa, mercato e contratto è stretto, a tal punto da determinare un condizionamento reciproco270: da un lato, per aversi un mercato è indispensabile un soggetto che produca, offra e compri beni o servizi; dall’altro, per aversi impresa la dottrina presuppone la destinazione al mercato dell’attività produttiva; ancora, l’impresa si avvale dello strumento contrattuale come momento centrale e necessario nel suo agire per e nel mercato.

In tale contesto l’autonomia contrattuale dei privati risulta valorizzata, nel senso del riconoscimento di un’autonomia imprenditoriale attuativa della liberà di iniziativa economica la quale si specifica in un regime che, per modalità, termini e contenuti risulta molto peculiare. La libertà negoziale infatti, quando entra in contatto con il contesto economico, risulta inesorabilmente modificata al servizio dell’attività d’impresa da un duplice ordine di fattori: autonomi ed eteronomi.

Da un lato, quindi, la libertà di iniziativa economica, costituzionalmente riconosciuta e tutelata dall’art. 41, comma 1, Cost., assiste l’interesse economico concreto del suo titolare il quale si specifica nell’attività contrattuale d’impresa: si giustificano così quelle soluzioni creative ed interpretative che l’imprenditore assume, discostandosi dalle regole tradizionali, onde adeguare il comando contrattuale all’interesse per il raggiungimento del quale il contratto è stato concluso271.

Dall’altro lato invece, dal momento che le soluzioni adottate in autonomia secondo una logica meramente economica alle volte non appaiono conformi all’utilità sociale, ossia alla finalità di benessere generale impressa dall’ordinamento al sistema economico, si giunge a limitare l’autonomia d’impresa, così realizzandosi un contemperamento tra la libertà di iniziativa economica e gli altri valori fondamentali tutelati dalla Costituzione e dall’Unione europea. L’attività di controllo eteronomo quindi, si traduce inevitabilmente in una sorta di intrusione nella sfera di autonomia organizzativa e attuativa dell’attività imprenditoriale, finalizzata a reprimere comportamenti abusivi delle libertà concesse, ivi compresa la libertà contrattuale. Specie quando nel mercato si realizzi un rapporto di

269 Così, D. CORAPI, voce “Impresa”, in Enc. dir. - Annali, vol. I, 2007, p. 735.

270 In tal senso, V. BUONOCORE, Contratto e mercato, in Giur. comm., 2007, I, p. 379 ss. 271 Così, V. BUONOCORE, Contratto e mercato, in Giur. comm., 2007, I, p. 379 ss.

consumo, sopravviene una diversa prospettiva della contrattazione d’impresa: quella di tutela della parte contrattuale debole. Tale tratto caratterizzante la contrattazione d’impresa è letto, talaltro, dalla dottrina come una gerarchia di valori, nel senso che sulla logica della regolazione del mercato dovrebbero prevalere i doveri inderogabili di solidarietà sociale di cui all’art. 2, Cost., nonché l’obbligo in capo allo Stato di rimuovere gli ostacoli all’eguaglianza socio-economica sostanziale di cui all’art. 3, comma 2, Cost., imponendosi così all’impresa precipui divieti e obblighi conformativi della propria attività272.

E’ proprio dal rilievo che la Costituzione ha dato all’impresa, quale principale forma di iniziativa economica, che emerge la sopraesposta tensione tra valori costituzionalmente rilevanti e la conseguente necessità di conciliazione tra opposte esigenze di tutela: “infatti proprio perché l’attività imprenditoriale produce ricchezza ed è preordinata alla circolazione di questa con una positiva ricaduta sulla comunità, la Costituzione repubblicana ne indica i caratteri, le finalità e pone ad essa limiti da osservare […] senza, peraltro, dimenticare che, essendo la libertà d’impresa un valore e uno strumento di crescita economica, essa deve coesistere con altre libertà, quali le libertà dei lavoratori, dei consumatori e delle altre imprese”273. Il fenomeno imprenditoriale è così elevato a forma principale di esercizio dell’iniziativa economica, riconosciuto, protetto, e al contempo limitato dalla carta costituzionale, mentre il problema dei limiti dell’autonomia contrattuale d’impresa appare risolversi nella dicotomia tra interessi individuali del singolo274.

272 Per un approfondimento circa la limitazione dell’attività d’impresa in ottica di tutela del

consumatore quale adempimento di obbligazioni di rango costituzionale, si rinvia a P. PERLINGIERI, La contrattazione tra imprese, Il diritto civile nella legalità costituzionale

secondo il sistema italo-comunitario delle fonti, Napoli, 2006, p. 376 ss.

273 Così, V. BUONOCORE, voce “Impresa”, in Enc. dir. – Annali, vol. I, 2007, p.763. L’autore

continua affermando come “la conferma viene da una considerazione di ordine sistematico: l’art.

41 è inserito in un titolo – il III della parte I – della Costituzione che, intitolato ai “Rapporti economici”, riguarda, in realtà e in modo più o meno diretto, l’impresa: se, infatti, è vero che, oltre che nell’art. 41, questa è espressamente menzionata solo negli art. 43 e 46, è anche vero che pure le altre norme, comprese nel titolo III – specialmente quelle contenute negli art. 35-40 e 45 -, hanno ad oggetto la tutela del lavoro e dei lavoratori e quindi sottintendono e anzi presuppongo l’impresa”.

274 Al riguardo, G. OPPO, Le ragioni del diritto: il diritto commerciale, in Scritti giuridici, vol.

VI, 2000, p. 147, afferma che “le ragioni del diritto commerciale debbono esser ricercate e

collocate sul piano degli interessi coinvolti nella sua azione di mercato e anzitutto sul piano dei rapporti con gli interessi generali della collettività con i quali devono confrontarsi tutti gli interessi che chiedono tutela all’ordine giuridico.”

Così preliminarmente introdotto il tema dell’autonomia contrattuale di impresa, occorre ora inquadrare il fenomeno nell’ambito del dettato costituzionale, per poi evidenziare quelli che sono i problemi riconnessi al tema dei limiti dell’autonomia dell’impresa, avuto in particolar modo riguardo alle conseguenze derivanti dal riconoscimento di una suddetta autonomia contrattuale d’impresa, tutelata nell’alveo della libertà d’iniziativa economica e agli strumenti utilizzati per limitare il naturale abuso frutto del potere economico dell’imprenditore sul mercato.

Ebbene, l’impresa si colloca nell’ambito del dettato costituzionale di cui all’art. 41, comma 1, Cost. come modo di esercizio di una libertà, nello specifico, libertà di iniziativa economica. Posta la non coincidenza tra il concetto di libertà di iniziativa economica (di cui all’art. 41, Cost.) e la definizione di imprenditore (di cui all’art. 2082 c.c.), ne deriva che il contenuto di tale iniziativa economica può esser principalmente oggetto di attività esercitata in forma d’impresa (ossia in forma economica, organizzata, professionale e rivolta allo scambio di beni o servizi nel mercato), ma non solo275. L’attività d’impresa

275 All’attività di impresa la dottrina riconosce un ruolo centrale nell’attività d’iniziativa

economica di cui all’art. 41, Cost., pur tuttavia ricomprendendovi anche altre attività latu sensu economiche. Al riguardo, G. OPPO, L’iniziativa economica (1988), in Scritti giuridici, vol. I, p. 24 ss. afferma “nell’art. 41 l’economicità è colta in termini di iniziativa e non solo di impresa.

Malgrado i noti dissensi, l’identificazione tra i due termini è da rifiutare, anche nella prospettiva costituzionale ed il punto interessa non solo il rapporto tra le diverse forme dell’iniziativa privata ma il rapporto tra iniziativa privata e pubblica”. Ed ancora: “l’iniziativa può avere carattere non professionale”; “l’economicità dell’impresa […] non è fatta solo di economicità del risultato ma anche di economicità del modo, o metodo o <<criterio>> di produzione”. Il lavoro autonomo e

le professioni intellettuali sono poi ricomprese nell’iniziativa economica, senza tuttavia ricadere nell’ambito dell’impresa. In tal senso, V. BUONOCORE, voce “Impresa (dir. priv.)”, in Enc.

dir., Annali, vol. I, 2007, p.763ss., il quale prima afferma che “se è vero che, a stretto rigore, l’art. 41, Cost. non è riferibile alla sola impresa, nel senso che indica i caratteri e le finalità non dell’attività imprenditoriale tout court, bensì dell’attività economica, è anche vero che dal contesto della norma, e segnatamente dal limite dell’ “utilità sociale” posto all’esercizio dell’attività economica, e dai “fini sociali” indicati al legislatore ordinario come criterio ispiratore dei programmi e dei controlli, si desume con tranquillità che l’attività economica cui il costituente ha voluto conferire rango costituzionale è quella organizzata ad impresa, che è poi ciò che si verifica nella quasi totalità dei casi”. Pe contro “l’esercizio di una qualsiasi attività economica non può considerarsi sinonimo di esercizio di attività d’impresa”, da ciò ricavandosi che “1. La possibilità di distinguere dall’impresa il lavoro autonomo, che è pure attività economica: l’esclusione di esso dall’attività d’impresa può dipendere o dalla mancanza di organizzazione o dal diverso rapporto tra attività del soggetto e mezzi impiegati; 2. La possibilità di distinguere dall’esercizio dell’impresa l’esercizio delle professioni intellettuali: imprenditore e professionista intellettuale producono entrambi un servizio, ma il secondo – id est il professionista singolo – non può essere considerato imprenditore non tanto e non solo perché,

non esaurirebbe cioè la libertà di iniziativa economica, ben potendo essa esser realizzata per mezzo di attività svolte in altre forme, pena un’irragionevole compressione di tale libertà. L’iniziativa economica si tradurrebbe allora in un’attività276 che può trovare diverse forme di espressione giuridicamente rilevanti, il cui dato comune è rappresentato dall’essere economiche. Tra di esse, l’impresa si colloca quale forma principale, giuridicamente rilevante, di esercizio della libertà di iniziativa economica, assumendo così valore di modo di esercizio di un’attività che concorre ad identificare la stessa iniziativa economica di cui la Costituzione predica la libertà di esercizio, senza tuttavia che con ciò ne si debba esaurire l’ambito e la portata277. Ove si accolga la tesi in esame, ossia cioè si riconosca l’attività imprenditoriale come principale attività ricompresa entro la libertà di iniziativa economica costituzionalmente tutelata, ciò favorirebbe il progressivo espandersi del fenomeno imprenditoriale stesso. In altri termini, si permetterebbe all’applicazione di almeno parte dello statuto imprenditoriale a tutte le forme di esercizio di un’attività economica organizzata che opera sul mercato: tali attività risulterebbero assoggettate alle regole generali riguardanti l’impresa, quali ad esempio quelle relative alla ditta, della concorrenza sleale278, del diritto antitrust e agli stessi contratti di impresa279.

salvo l’esercizio in forma associata e salva l’ipotesi prevista nell’art. 2238 c.c., non produce il servizio attraverso l’organizzazione dei fattori della produzione, ma anche perché l’esclusione è frutto di una scelta legislativa dettata dalla particolare natura dell’attività esercitata e dalla considerazione della dignità e della personalità della di lui opera [...]”.

276 Il termine attività è qui inteso nel senso di atti tra loro coordinati al fine di realizzare uno scopo

comune, così come indicato da G. AULETTA, voce “Attività (dir. priv.)”, in Enc. dir., v. III, 1958, p. 983 s.

277 Così, M. BIANCHINI, La contrattazione d’impresa tra autonomia contrattuale e libertà di

iniziativa economica (Profili ricostruttivi) – Parte seconda, Torino, 2006, p. 39 s.

278 La parziale estensione dello statuto imprenditoriale alle professioni intellettuali è corroborata

dal dato testuale di cui all’art. 3, comma2, della legge n. 247 del 2012 di riforma dell’Ordinamento forense, ove, accanto ai valori tradizionali della professione forense, vengono richiamati anche i principi della corretta e leale concorrenza, aprendosi così la via alla tutela concorrenziale dei segni distintivi dello studio professionale. In tal senso, F. GALGANO, Le professioni intellettuali e il

concetto comunitario d’impresa, in Contr. impr. Eur., 1997, pp. 4 e 17.

279 Per un approfondimento si rimanda a M. BIANCHINI, La contrattazione d’impresa tra

autonomia contrattuale e libertà di iniziativa economica (Profili ricostruttivi) – Parte seconda,

Torino, 2006, p. 41 ss. L’autore rinviene un chiaro esempio di tale espansione nella disciplina sui ritardi dei pagamenti nelle transazioni commerciali di cui al D. lgs. n. 231 del 2002, affermando che “l’art. 2, comma 1, lett. c), raggruppa sotto l’unico ombrello, costituito dall’assorbente figura

dell’imprenditore, ogni soggetto esercente un’attività economica organizzata o una libera professione”.

L’esercizio della libertà di iniziativa economica, nel cui ambito, come prima detto, l’attività imprenditoriale fa da padrona, incontra il suo limite nell’utilità sociale e negli altri valori costituzionalmente tutelati: il nodo dell’attuazione dello stato sociale di diritto sta nel rapporto tra libertà d’iniziativa e gli altri valori costituzionali. Occorre quindi comprendere in quale misura e con quali modalità la libertà di iniziativa può conciliarsi con altri valori latu sensu di utilità sociale, ai fini di determinare il peso che ciò comporta sull’attività imprenditoriale, posto che questa integra la più significativa espressione della prima. La libertà di iniziativa economica, e con essa l’attività organizzata in forma di impresa, è innanzitutto espressione della personalità individuale, ossia forma di estrinsecazione della più generale libertà di espressione e realizzazione della persona280: essa deve essere parametrata ai doveri inderogabili di solidarietà politica economica e sociale (di cui all’art. 2, Cost.) nonché ai doveri inderogabili della Repubblica di rimuovere gli ostacoli alla libertà e uguaglianza in senso sostanziale (di cui all’art. 3, comma 2, Cost.), in quanto a quelli si riferiscono i limiti di cui all’art. 41, comma 2 e 3, Cost., riferiti rispettivamente all’utilità sociale e ai fini sociali281. L’impresa rileva allora quale fenomeno protetto in quanto valutato come forma socialmente utile di esercizio della libertà di iniziativa economica, ma proprio per la sua capacità di incidere su altri valori protetti, è un fenomeno necessariamente regolamentato dal potere pubblico: la sua disciplina è quindi il risultato della conciliazione tra libertà di iniziativa economica privata e valori sociali superindividuali indentificati nei principi che informano il modello di economia sociale di mercato, quale emerge dalla costituzione economica coordinata con i principi generali fondanti il diritto europeo, in particolare gli artt. 2 e 3, TFUE282.

Quella di iniziativa economica è quindi libertà di svolgimento di attività economica, la quale pur tendenzialmente preordinata alla produzione di ricchezza e alla circolazione di questa, è un valore e uno strumento di crescita economica che deve coesistere con

280 La concezione della libertà di iniziativa economica privata quale diritto soggettivo assoluto

classificato tra i diritti della personalità è tradizionalmente accolta dalla dottrina. Ad esempio, R. BIN, G. PITRUZZELLA, Diritto costituzionale, Torino, 2009, p. 479 ss.

281 G. OPPO, L’iniziativa economica, cit., p.34, incisivamente afferma al riguardo che: “i valori

con i quali anche la libertà di iniziativa deve confrontarsi […] si riassumono nella solidarietà che fonda il dovere <<generale>> […] un dovere non solo nell’ordine dei valori umani […]”.

282 In questo senso, M. BIANCHINI, La contrattazione d’impresa tra autonomia contrattuale e

altre libertà, quali ad esempio le libertà dei consumatori e delle altre imprese283, dal momento che incontra i limiti di cui al 2° comma dell’art 41, Cost; i limiti derivanti dal necessario bilanciamento della libertà in esame con altre libertà economiche e sociali e i cosiddetti diritti sociali e, ancor prima, con i diritti fondamentali dell’individuo; i limiti frutto di controlli sullo svolgimento di attività economiche, ricavabili dalle leggi poste in virtù della riserva di cui al 3° comma dell’art. 41, Cost. Dall’assoggettamento della libertà di iniziativa economica ai limiti anzidetti e posta la necessaria strumentalità del contratto all’esercizio dell’iniziativa economica, deriva la diretta valenza o incidenza dei principi costituzionali (nello specifico quelli di cui all’art. 41) sull’autonomia negoziale di impresa, sicché per tal via si permetterebbe ad un controllo giurisprudenziale circa il rispetto dei limiti anzidetti284, intesi quali limiti interni od esterni all’autonomia imprenditoriale stessa285.

In sintesi, l’autonomia negoziale d’impresa è da intendersi quale forma principale della libertà d’iniziativa economica privata. Essa non ha uno spazio illimitato, risultando assoggettata da una parte a limiti di varia natura, vuoi più stringenti (quali quelli di sicurezza, libertà, dignità umana), vuoi più vaghi (quali quelli genericamente

283 Così, V. BUONOCORE, Iniziativa economica privata e impresa, in Cinquanta anni della

Corte Costituzionale, vol. 16, Napoli, 2006, p. 5.

284 Tale tesi è sostenuta sia dalla dottrina civilistica (al riguardo, P. PERLINGIERI, La

contrattazione tra imprese, Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo- comunitario delle fonti, Napoli, 2006, p. 324, afferma: “nel disciplinare la libera iniziativa economica privata, si riferisce all’attività d’impresa la quale, all’interno e all’esterno, non può non conformarsi alla nozione di utilità sociale ed esplicarsi nel rispetto della libertà, della dignità e della sicurezza umane”) sia dalla dottrina giuscommercialistica (al riguardo, M. LIBERTINI, Il ruolo della causa negoziale nei contratti di impresa, in Jus, 2009, p. 282-283, sostiene la

possibilità di “configurare l’autonomia privata imprenditoriale come facoltà strutturalmente

vincolata al rispetto dei limiti indicati nell’art. 41, comma 2, Cost., e quindi suscettibile di controllo giudiziale in caso di violazione di tali limiti, anche al di fuori di previsioni legislative espresse”).

285 La dottrina si divide tra chi ritiene i limiti imposti all’autonomia negoziale di impresa quali

limiti interni, predicando una sorta di conformazione dell’autonomia (e attività di impresa) a valori di utilità sociale, e chi ritiene tali limiti quali esterni, ritenendo invece essi operare sull’autonomia imprenditoriale comprimendo lo spazio di libertà d’iniziativa, senza tuttavia modificarne i tratti costitutivi. Su tale distinzione, M. BIANCHINI, La contrattazione d’impresa

tra autonomia contrattuale e libertà di iniziativa economica (Profili ricostruttivi) – Parte seconda, Torino, 2006, p. 77, afferma: “credo debba ammettersi che alla base delle diverse scelte di fondo – ossia l’utilità sociale come fonte di limiti esterni ovvero interni della libertà di iniziativa economica – stia una scelta ideologica o, se si vuole, giuspolitica, la quale, perciò, può essere condivisa o meno in base ad un giudizio di valore, in ultima analisi insindacabile: vana sarebbe dunque la pretesa di dimostrare la necessità logica della prevalenza di una ricostruzione rispetto all’altra”.

riconducibili al concetto di utilità sociale), dall’altra dovendosi conciliare con le libertà e i diritti concorrenti.

Riconosciuta così l’autonomia di impresa quale forma di attività economica costituzionalmente tutelata nell’alveo della più ampia libertà di iniziativa economica, con riferimento ai risvolti che tale riconoscimento produce e agli strumenti apprestati al fine di limitarne il naturale abuso, si è autorevolmente rilevato come la stessa autonomia d’impresa contempli una libertà di concorrenza di maniera che le autorità tutelino non solo la concorrenza, ma il sistema delle libertà286.

Il legame tra libertà di iniziativa economica e principio di tutela della concorrenza è