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Le azioni di cooperazione intergovernativa: a) Gli accordi di Schengen

Nel documento Le fonti e la prassi in materia di asilo (pagine 54-61)

7. I mutamenti della politica migratoria e di asilo all'interno dell'UE

7.1 Le azioni di cooperazione intergovernativa: a) Gli accordi di Schengen

L'esigenza di creare un mercato interno unico ha condotto alla volontà di alcuni Stati di eliminare i controlli alle frontiere interne ed alla creazione di una frontiera unica esterna. Questo ha permesso di mantenere un adeguato livello di sicurezza per i cittadini degli Stati

93 Cfr. CONSORZIO ITALIANO DI SOLIDARIETÀ, op. cit., p. 26.

94 Firmata a Roma il 4 novembre del 1950, ratificata in Italia nel 1955. Essa venne adottata dallo stesso Consiglio d'Europa; quest'ultimo al contrario di quanto si potrebbe pensare, non è un'istituzione dell'UE, bensì un'organizzazione internazionale, che inizialmente era composta da 10 Stati fondatori, ma ad oggi conta 47 membri. La Cedu - intesa come Corte - è un suo organo interno.

membri e al contempo di armonizzare le politiche verso l'esterno, anche in tema di asilo. Tuttavia non tutti gli Stati erano d'accordo tanto che proseguirono il loro percorso di collaborazione al di fuori del diritto comunitario, discostandosi anche da quanto espresso dal Consiglio europeo95 e dalla Commissione96.

Si è avviato così un processo di cooperazione intergovernativa e dunque multilaterale in materia di controlli alle frontiere comuni; in particolare si sono formati alcuni gruppi di lavoro ad hoc divisi per competenza: lotta al traffico di stupefacenti, al terrorismo ed alla criminalità organizzata; cooperazione giudiziaria in materia penale; controllo delle frontiere esterne, politica dei visti e dell'immigrazione ed attività nei confronti dei rifugiati e richiedenti asilo. Tra i più importanti si annovera il Gruppo Trevi del 197597 che raccoglieva

ministri degli interni e della giustizia dei dodici paesi membri dell'epoca e si occupava delle implicazioni per la polizia e la sicurezza interna dell'apertura delle frontiere comuni CE. Ancora il Gruppo ad

hoc immigrazione istituito a Londra nel 1986 che includeva la

partecipazione della Commissione ai lavori e disponeva di un segretariato permanente presso il Consiglio dei ministri dell'Unione. Noto anche per aver contribuito alla stesura del “Documento Palma” che concerne le questioni dei passaggi alla frontiera. I lavori di questi organismi intergovernativi si svolgevano in segreto, trattandosi perlopiù di negoziati diplomatici o rapporti diretti di cooperazione tra le alte amministrazioni dei ministeri interessati, cioè senza la partecipazione della Comunità europea e i suoi organi decisionali, né 95 Il Consiglio europeo con le conclusioni rese al termine dell'incontro a Fontainebleau dal 25 al 26 giugno 1984, già manifestava la volontà di abolire i controlli alle frontiere interne, in particolare affermava la «soppressione di tutte le formalità di polizia e di dogana alle frontiere interne per la circolazione di persone». 96 La Commissione nel 1985 pubblicò un Libro Bianco sull'instaurazione del mercato comune, l'abolizione delle frontiere interne e infine l'armonizzazione delle politiche.

97 Gruppo che si è poi evoluto in Trevi III (1985) e poi in Trevi 1992, tutt'oggi operante soprattutto nell'ambito delle politiche europee per la sicurezza interna.

con quella dei parlamenti nazionali; solo la Commissione Europea fu ammessa, dopo notevoli resistenze, come osservatore. Uno dei primi accordi intergovernativi è stato quello franco-tedesco dell'aprile 1958, evolutosi poi nell'Accordo di Sarrebruck con cui veniva stabilita la progressiva abolizione dei controlli alle frontiere comuni. Il suo art. 15 fu ripreso l'anno successivo nel Libro Verde della Commissione europea e prevedeva la necessità di legare l'abolizione dei controlli alle frontiere comuni all'armonizzazione delle politiche in materia di ingresso e soggiorno degli stranieri. Uno degli esempi più significativi di cooperazione rafforzata è stato l'accordo di Schengen – firmato il 14 giugno del 1985 - che comprendeva 5 Stati quali Francia, Germania, Paesi Bassi, Lussemburgo e Belgio e riguardava l'abolizione graduale dei controlli alle frontiere comuni per la creazione del c.d. “Spazio Schengen”98. L'art. 17 dell'accordo racchiude la “missione” delle Parti

dell'accordo, cioè quella di eliminare i controlli alle frontiere comuni trasferendoli alle proprie frontiere esterne; mentre l'art.20 disciplina la naturale conseguenza di ciò, ossia la necessaria armonizzazione delle normative nazionali che concernono il diritto degli stranieri, e in particolare i cittadini degli Stati non membri delle Comunità europee. La difficile conciliazione tra spazio di libertà, sicurezza e giustizia, e la libera circolazione è stata bilanciata dall'introduzione di misure compensative atte a rendere efficiente la cooperazione e il coordinamento tra i servizi di polizia e le autorità giudiziarie per preservare la sicurezza interna degli Stati membri e combattere la criminalità organizzata. Solo con l'entrata in vigore della sua Convenzione di applicazione – firmata il 19 giugno del 1990 – si è avuta una concreta realizzazione dei propositi assunti dagli Stati. È entrata in vigore il 26 marzo 1995 per Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo e Spagna; mentre per gli altri

Stati aderenti (Italia, Grecia e Austria) l'applicazione era subordinata a una decisione del Comitato esecutivo – deputato alla supervisione della corretta applicazione della Convenzione stessa99. A livello di contenuto

possiamo notare alcuni parallelismi con il diritto dell'Unione, in quanto l'art. 1 sottolinea che l'obiettivo della creazione dello spazio di Schengen “coincide con quello comunitario del mercato interno senza frontiere; l'art. 134 richiama esplicitamente la compatibilità con il diritto dell'Unione e l'art. 142 prevede espressamente la possibilità di sostituire regole di Schengen con disposizioni dell'Unione. Questo ha permesso l'integrazione del sistema di Schengen nell'Unione Europea, anche se alcuni paesi quali Gran Bretagna e Irlanda erano restii alla comunitarizzazione dello stesso. Per tale ragione le istituzioni comunitarie hanno deciso di adottare uno specifico Protocollo sull'acquis di Schengen, che integrasse la Convenzione di applicazione e gli altri atti comunitari. L'integrazione è così avvenuta progressivamente tramite l'inserimento, con l'adozione nel 1997 del Trattato di Amsterdam, del sistema Schengen in parte del terzo pilastro del TUE(Titolo VI) e in parte nel Titolo IV del TCE, relativo alla libera circolazione delle persone. Con il Trattato di Lisbona il Protocollo ha assunto rilevanza autonoma e venendo inserito come Protocollo n°19 tra i protocolli allegati al nuovo TUE e al TFUE. Ecco che l'art.1 del Protocollo 19 autorizza i 25 Stati membri – esclusi Gran Bretagna e Irlanda – ad “attuare tra loro una cooperazione rafforzata nei settori riguardanti le disposizioni definite dal Consiglio che costituiscono l'acquis di Schengen. Tale cooperazione si è realizzata nell'ambito istituzionale e giuridico dell'Unione europea e nel rispetto delle pertinenti disposizioni dei trattati”. L'art. 7 del Protocollo prevede inoltre che l'acquis di Schengen e le sue prescrizioni adottate dalle 99 In particolare si prevedeva per l'Italia e l'Austria rispettivamente 26 ottobre 1997 e 1° dicembre 1997, (anche se per l'Italia venne pienamente applicata dal 1 aprile del 1998). Per la Grecia si prevedeva l'applicazione solo dopo l'entrata in vigore del Trattato di Amsterdam.

istituzioni comunitarie devono essere preventivamente e integralmente accettate dagli Stati che vogliono entrare a far parte dell'UE100. Gli

accordi di Schengen prevedono inoltre l'adozione di misure uniformi in materia di asilo in particolare dagli articoli 28 a 38 della Convenzione di applicazione degli accordi, e riguardano la responsabilità dello Stato per l'esame delle domande di asilo. L'art. 28 concerne gli obblighi in capo agli Stati in base alla Convenzione di Ginevra del 1951 e del Protocollo del 1967, di cui tutti gli Stati aderenti a Schengen, fanno parte e la loro disponibilità a collaborare con l'ACNUR. L'art. 29 ai parr. 1 e 2 pone in capo agli Stati firmatari l'obbligo di garantire l'esame delle domande di asilo presentate nel territorio di uno di essi, salvo i casi di allontanamento e respingimento consentiti dalle norme nazionali conformemente agli obblighi internazionali. Questo mette in luce un aspetto importante: la separazione del campo di applicazione delle norme sull'ingresso dei richiedenti asilo da quello delle norme relative ai cittadini di Stati terzi tout court101. Precisa che non vi è alcun

obbligo dello Stato di ammettere uno straniero, anche il richiedente asilo, sul loro territorio e sancisce la competenza di un solo Paese membro ad esaminare la domanda secondo i criteri dell'art. 30. Questo articolo introduce il criterio gerarchico che indica i parametri per stabilire quale Paese sia competente a esaminare la richiesta di asilo. In particolare si prevede che l'onere spetti al Paese che per primo ha rilasciato il visto d'ingresso allo straniero. Nel caso specifico in cui il visto fosse stato rilasciato da più Stati membri in contemporanea, si applicherebbe il criterio per cui prevale lo Stato che ha concesso il visto con validità maggiore. Nel caso in cui, invece, si tratti di ingresso illegale nel territorio di uno degli Stati membri, si occuperà di esaminare la domanda di asilo, il Paese dal cui territorio è avvenuto l'ingresso illegale nell'area Schengen. L'art. 30 prevede però due 100 Cfr. E. BENEDETTI, op. cit., p. 119 e ss.

deroghe. La prima è disciplinata dal già citato art. 29, par. 4 dove si afferma che «per ragioni attinenti soprattutto alla legislazione nazionale, un Paese possa decidere di esaminare una domanda di asilo anche se secondo il disposto dell'art. 30, non sarebbe di sua diretta competenza»102. La seconda è collocata all'art. 35 della Convenzione di

attuazione dell'accordo di Schengen dove si prevede che “1. La parte contraente che ha riconosciuto ad uno straniero lo status di rifugiato e gli ha concesso il diritto di soggiorno è tenuta ad assumere la responsabilità dell'esame della domanda di asilo di un membro della sua famiglia, sempre che gli interessati siano consenzienti. 2. Sono membri della famiglia ai sensi del paragrafo 1 il coniuge o il figlio non sposato di età inferiore ai diciotto anni oppure, se il rifugiato è celibe o nubile di età inferiore ai diciotto anni, il padre o la madre”. Tale articolo è innovativo rispetto alla Convenzione di Ginevra, perché questa non fa alcun riferimento al diritto alla riunificazione familiare. Tuttavia la Convenzione di attuazione presenta anche un aspetto negativo perché non tutela in maniera adeguata i rifugiati, in special modo i c.d. “rifugiati in orbita”. Questi ultimi sono definiti come «individui che vengono rinviati da un Paese all'altro, a causa di ripetute declinazioni di responsabilità da parte dei Governi chiamati in causa», detti anche “struck to and from like tennis balls”103. Altro problema

aperto e lasciato irrisolto è il fenomeno delle “domande multiple” noto anche come asylum shopping ossia la presentazione contestuale di domande di riconoscimento dello status di rifugiato, presso più Paesi membri per avere più possibilità di ottenerlo. L'art. 30 della Convenzione di attuazione, come criterio di prevalenza, adotta quello di prossimità allo Stato che per primo aveva rilasciato il visto all'individuo, o in mancanza a quello che gli aveva garantito il primo ingresso; ed è importante perché stabilisce le condizioni comuni per 102 E. BENEDETTI, op. cit., p.130.

l'ingresso dei cittadini di Stati terzi alle frontiere esterne, esclusi i rifugiati104.

Le cause di questo fenomeno sono da ricondursi alle enormi disparità che sussistono tra le diverse legislazioni nazionali degli Stati membri e che danno vita a diversi esiti di una stessa domanda di asilo. All'art. 32 si prevede che “la Parte contraente responsabile per l'esame della domanda di asilo effettua tale esame conformemente al proprio diritto nazionale”; applicando tale disposizione nella prassi, emerge la mancanza di armonizzazione tra gli Stati membri riguardo alle procedure per il riconoscimento del diritto di asilo. Infatti il riconoscimento del diritto di asilo dipende dall'interpretazione che si attribuisce all'elemento della persecuzione, influenzato da fattori politici economici e culturali. Non essendoci uno standard internazionale di valutazione e di percezione di tale elemento, le legislazioni nazionali non sono in grado di tutelare adeguatamente i rifugiati. Per cercare di rimediare a tale inconveniente l'Atto finale della Convenzione di Schengen invita gli Stati a cercare di rendere il più uniforme possibile le proprie politiche nazionali sull'asilo; tuttavia tale impegno non ha alcuna scadenza, e per di più la Dichiarazione non è vincolante, per cui tale invito lascia il tempo che trova. In questo clima, dunque, si poteva pensare solo a un'armonizzazione giurisdizionale che non fosse fonte di disaccordo, bensì di un buon funzionamento per l'Europa senza frontiere interne; mentre erano da escludersi armonizzazioni sostanziali e procedurali sulle quali era difficile accordarsi. A pagare le conseguenze di ciò erano solo i richiedenti asilo.

Alcuni Stati erano dubbiosi riguardo alla compatibilità di tale accordo con la Convenzione di Ginevra, ed è per questo che non l'hanno voluta ratificare. Il caso più noto è quello del Consiglio di Stato olandese,

secondo cui il fatto che la Convenzione prevedesse il trasferimento della responsabilità sulla decisione ad un altro Stato che decidesse secondo la propria legge nazionale sull'asilo, mal si conciliava con gli obblighi previsti dalla Convenzione sui Rifugiati. Per cui chi avesse ratificato il Trattato avrebbe avuto la possibilità di venir meno alle responsabilità che la Convenzione addossava loro. Altro argomento che il Consiglio di Stato olandese ha usato a sostegno della sua opinione è quello della mancata previsione di un obbligo di riconoscimento a carico degli Stati membri di decisioni positive prese da altri Stati per assicurare lo status di rifugiato e dell'esistenza del c.d. effetto negativo vincolante opzionale. Quest'ultimo costituisce un limite ai diritti dei rifugiati e la violazione del dovere di buona fede che gli Stati membri della Convenzione di Ginevra dovrebbero adottare tra loro. I membri di Schengen hanno cercato di ovviare a questo problema assicurando un'interpretazione uniforme della Convenzione di Ginevra, ma senza alcun risultato posto che non esisteva un sistema giurisdizionale di controllo. Di conseguenza per qualsiasi problema interpretativo o applicativo era necessario appellarsi al “Comitato Esecutivo di Schengen”, composto da rappresentanti di ciascun Governo nazionale. La scelta di un arbitro ha dato vita a ovvi problemi di legittimazione e lo standard di protezione dei rifugiati ha rischiato di essere messo in discussione e abbassato. Solo con il Trattato di Amsterdam si è giunti a un compromesso su tale aspetto105.

Nel documento Le fonti e la prassi in materia di asilo (pagine 54-61)