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Segue: b) La direttiva “accoglienza”

Nel documento Le fonti e la prassi in materia di asilo (pagine 116-122)

7. I mutamenti della politica migratoria e di asilo all'interno dell'UE

7.7 Segue: b) La direttiva “accoglienza”

Altra ed ultima direttiva degna di nota è la n° 2003/9 meglio conosciuta come direttiva “accoglienza”. La prima osservazione da fare riguarda l'ambito di applicazione: rispetto alle precedenti direttive si applica solo a chi abbia fatto domanda per il riconoscimento dello status di rifugiato, non per chi richieda protezione sussidiaria. Tuttavia il 26/09/2013 – con la nuova direttiva n° 2013/33 – è stato esteso il suo ambito di applicazione193, fino a comprendere la protezione sussidiaria,

anche se restano esclusi, in base all'art. 3, par. 3, gli esodi di massa ossia l'afflusso massiccio di sfollati. Come sappiamo, riguardo al diritto di asilo, importante è la libertà di movimento dei richiedenti asilo. Tale principio nella direttiva in questione si riscontra all'art. 7 – il quale riprende l'art. 5 della CEDU – che afferma il diritto di circolare liberamente nel territorio dello Stato membro ospitante o nella parte di territorio ad essa assegnata e stabilisce degli obblighi per gli Stati solo in caso di necessità della misura di trattenimento; mentre negli altri casi vediamo che gli Stati ricorrono al trattenimento dei richiedenti asilo, adottando condizioni arbitrarie. Più chiaramente alcuni Stati provvedono al trattenimento per il solo fatto che, il richiedente sia entrato illegalmente nel loro territorio, non rispettando l'art. 7 della direttiva accoglienza con riguardo alla proporzionalità tra la misura adottata e il suo scopo, né l'art. 26 della direttiva procedure che pone il divieto di trattenimento di “una persona per il solo motivo che si tratta di un richiedente”194. Da tale analisi emerge un distacco dalla

Convenzione di Ginevra, in quanto l'art. 7 non richiama espressamente

193 Testo integrale della direttiva reperibile su: https://www.unhcr.it/sites/53a161110b80eeaac7000002/assets/543e721d0b80eee7490 0431d/Direttiva_recante_norme_relative_all_accoglienza_dei_richiedenti_protezione _internazionale___2013.pdf

194 Precedentemente l'art. 18, direttiva 2005/85, poneva il divieto di arresto di “una persona per il solo fatto che si tratti di richiedente asilo”.

l'art. 31, par. 2, della Convenzione sui rifugiati, che – come sappiamo – vieta agli Stati di prescrivere restrizioni alla libertà di movimento dei rifugiati ed anche dei richiedenti asilo. A livello procedurale, è importante richiamare l'art. 43 della direttiva procedure195 che riguarda

la possibilità che l'iter si svolga in deroga ai principi e alle garanzie fondamentali – c.d. procedura di frontiera; in base al suo par. 3196, è

possibile per gli Stati applicare detta procedura “nelle immediate vicinanze della frontiera o della zona di transito” nel caso di “particolari tipi di arrivo, o arrivi in cui è coinvolto un gran numero di cittadini di Paesi terzi o apolidi”. Importante è, infine, richiamare in questa sede l'art. 2 della direttiva sulle norme minime per la concessione di protezione temporanea, che oltre a fornire la definizione di sfollati, individua le situazioni nelle quali sono presenti: ossia, persone “fuggite da zone di conflitto armato o di violenza endemica” e quelle “soggette a rischio grave di violazioni sistematiche o generalizzate dei diritti umani o [che] siano state vittime di siffatte situazioni”. Anzitutto è opportuno chiarire che non si tratta di un elenco tassativo, cioè il Consiglio ha ampia discrezionalità nel decidere su “l'esistenza di un afflusso massiccio di sfollati” o sull'impossibilità di un rimpatrio in condizioni di sicurezza. In questo senso è possibile l'estensione dei benefici della protezione temporanea anche ai c.d. rifugiati climatici – cioè coloro che fuggono dal proprio Paese a causa di disastri naturali – e anche ai rifugiati in senso proprio, come definiti dall'art. 1 della Convenzione sui rifugiati. Tuttavia non vi è piena identità tra beneficiari della protezione temporanea e i rifugiati. La protezione temporanea è volta a impedire un respingimento di una massa di profughi e gli Stati devono dividersi l'onere di accoglierli. Tra i profughi stessi possono esserci anche i rifugiati; a tal proposito l'art. 3, par. 2 della direttiva 2001/55 prevede che “la protezione temporanea 195 Precedentemente art. 35, direttiva 2005/85.

non pregiudica il riconoscimento dello status di rifugiato ai sensi della Convenzione di Ginevra”. Venendo alla competenza sull'esame della domanda vediamo che, l'art. 18, della direttiva sulla protezione temporanea, individua lo Stato responsabile dell'esame della domanda di un richiedente in quello “che ha accettato il trasferimento di tale persona nel suo territorio”, in base a quella logica di cooperazione che sottende al funzionamento della direttiva. Una volta che tra gli sfollati vengono individuati i rifugiati – all'interno degli Stati membri e in base alle direttive, il resto si troverà una protezione precaria, che verrà meno con lo scadere del tempo.

Veniamo adesso agli aspetti procedurali di merito. In primis è opportuno richiamare l'art. 8, par. 2, lett. c) che per ricevere protezione internazionale, l'esame della domanda deve essere “individuale, obiettivo e imparziale”; le autorità competenti devono poter disporre di fonti di informazione “precise e aggiornate”, sia nel Paese di origine, che in quello di transito. Tale disposizione riprende l'art. 4 della direttiva qualifiche, che precisa che l'esame dei fatti e delle circostanze devono essere tenuti di conto ai fini dell'esame della domanda; gli Stati devono cooperare col richiedente, ma possono sollecitare il richiedente a fornire tutti gli elementi necessari a motivare la domanda197. Il par. 5

dell'ultima disposizione citata, solleva il richiedente dall'onere della prova, qualora abbia mostrato in buona fede di essere credibile; infatti se non presenta quanto prima elementi sufficienti, potrà vedersi rigettata la domanda per manifesta infondatezza. Tuttavia, tale grave effetto è temperato dall'art. 8 della direttiva procedure, dove si esclude che “la tardiva presentazione della domanda possa essere da solo motivo di esclusione dell'esame”, cioè i fattori rilevanti e la domanda tardiva presentati contestualmente non possono costituire motivo di 197 Secondo la dottrina si tratta di un vero e proprio onere della prova, in capo al richiedente. Anche secondo l'ACNUR infatti l'onere della prova spetta a chi formula la domanda, tuttavia ha precisato che le autorità che esaminano hanno un autonomo potere di accertamento, posto che spesso il richiedente non ha prove sufficienti.

rigetto. Altro elemento imprescindibile della procedura è la fase del colloquio personale: il richiedente ha la facoltà di chiederlo e lo Stato interessato deve concedere tale possibilità. Ciononostante sono previste alcune deroghe, delle quali gli Stati possono avvalersi. In particolare abbiamo l'art. 14, par. 2198, dell'attuale direttiva procedure,

che ammette l'esclusione del colloquio nei casi dell'art. 31, par. 8, lett. a), b), e), f) e g) della direttiva procedure199. Questi prevedono

l'adozione di procedure prioritarie e accelerate, in caso di “non pertinenza delle questioni sollevate dal richiedente; natura poco convincente delle dichiarazioni che costui ha rilasciato; domande tese al solo scopo di ritardare o impedire l'esecuzione di una misura di allontanamento e a quelle reiterate”200, solo se il richiedente provenga

da un Paese terzo sicuro201.

I principi e le garanzie esposti finora sono da rispettarsi in tutte le procedure di ammissione del richiedente alla protezione internazionale, salvo alcune deroghe. Infatti viene prevista una deroga alla procedura ordinaria all'art. 24 della vecchia direttiva procedure, ossia in caso di domande reiterate, domande presentate alla frontiera o nelle zone di transito e per quelle provenienti da individui che siano entrati o in procinto di entrare illegalmente in uno Stato membro del territorio di un Paese terzo europeo sicuro. Questa è stata oggetto di una pronuncia di annullamento da parte della Corte di Giustizia stessa202. Il caso delle

domande presentate alla frontiera o nelle zone di transito è molto comune nella prassi, proprio perché i richiedenti non hanno alcun mezzo che presentare domanda. La seconda deroga riguarda l'inammissibilità della domanda, disciplinata all'art. 33203 o il mancato

198 Precedentemente art. 12, par. 2, direttiva 2005/85.

199 Precedentemente art. 23, par. 4, lett. a), c), g), h) e j), direttiva 2005/85. 200 F. CHERUBINI, op. cit., p. 256.

201 Nella prassi il concetto di Paese terzo sicuro ha una scarsa rilevanza.

202 Sentenza della Corte di Giustizia del 6 maggio 2008, causa C-133/06, che ha annullato anche l'art. 36, par. 3 della direttiva procedure.

esame della domanda da parte di uno Stato. Quest'ultimo caso si ha quando lo Stato non è competente a esaminare la domanda, in base ai criteri del regolamento Dublino III – che come più volte ricordato cerca di attuare lo scopo del Regolamento Dublino II: eliminare l'asylum shopping e il fenomeno dei “rifugiati in orbita”. Il suo art. 7204

elenca alcuni criteri di competenza per l'esame della domanda: la tutela del minore, la tutela dell'unità familiare, stretto legame a uno Stato per titolo di soggiorno, di visto, o per transito, avvenuto anche in violazione delle norme sull'ingresso o nelle zone “internazionali” di un aeroporto. In questi casi l'esonero per lo Stato richiesto del riconoscimento, viene a creare una presunzione di sicurezza dello Stato membro di destinazione – che in base a Convenzione di Ginevra e la CEDU, andrebbe analizzato in via individuale – perché lo esime dal rispetto del principio di non refoulement durante la consegna. Infatti lo Stato “di consegna” potrebbe essere “a rischio”. Tale circostanza non era contemplata dal regolamento Dublino II205, ma lo è dall'entrata in

vigore del Regolamento Dublino III. Questo è perfettamente in linea con l'art. 4 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, ove prevede l'impossibilità di trasferire un richiedente verso uno Stato se “si hanno fondati motivi di ritenere che sussistono carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza” che implichino un rischio di trattamento inumano e degradante206. Abbiamo

poi l'inammissibilità della domanda disciplinata dall'art. 33 della presente direttiva procedure: nel caso in cui il richiedente che gode 204 Precedentemente art. 5, Regolamento Dublino II.

205 A riguardo, la Corte europea dei diritti dell'uomo e la Corte di Giustizia avevano trovato giustificazione nella clausola di sovranità, posta dall'allora art. 3 par. 2 del regolamento Dublino II (oggi art. 17, par. 1 Regolamento Dublino III), in base alla quale lo Stato membro cui è rivolta la domanda può esaminarla in deroga ai criteri fissati dall'art. 5 ss (oggi art. 7); pertanto, gli Stati membri avevano ed hanno una certa discrezionalità nel determinare lo Stato responsabile dell'esame della domanda. Vedi sentenza della CEDU del 30 giugno 2005, ricorso n° 45036/98, Boshporus c.

Irlanda reperibile su www.echr.coe.int

206 Tratto da http://asiloineuropa.blogspot.it/2013/07/dublin-guide-il-regolamento- dublino-iii.html#more

dello status di rifugiato in un altro Stato membro o di una forma di protezione analoga in un Paese terzo; nel caso di un Paese non membro che è considerato uno Stato di primo asilo del richiedente a norma dell'art. 35; nel caso di uno Stato non membro che sia considerato Paese terzo sicuro per il richiedente a norma dell'art. 38; nel caso di domanda reiterata, qualora non siano emersi nuovi elementi. Il concetto di Paese terzo sicuro, è conforme alla Convenzione di Ginevra e alla CEDU; tuttavia l'ACNUR ha precisato che tale concetto: “non può elidere l'esame individuale della domanda; deve basarsi su determinati elementi, volti a accertare la natura sicura del Paese terzo in questione; quest'ultimo deve avere un legame con il richiedente, ammetterlo ed essere disposto ad esaminare la sua domanda di protezione”. I primi due criteri non pongono molti problemi e vengono, nella maggior parte dei casi, rispettati. L'ultima condizione non richiede un elevato livello di legame, posto che è sufficiente anche il mero transito. L'aspetto più problematico è quello dell'ammissione della domanda. Vediamo cosa succede in caso di esito positivo: il beneficiario acquisisce alcuni diritti. Questi ultimi si possono raggruppare in base al rifugiato e al beneficiario di protezione sussidiaria, anche se ve ne sono alcuni validi per entrambi. Ad esempio si ha, il diritto di soggiorno rinnovabile, rispettivamente, della durata di tre anni e di un anno. Altri diritti in comune si trovano in tema di revoca: il colloquio individuale, il diritto a impugnare il provvedimento di revoca e il diritto all'assistenza legale.

In caso contrario il richiedente potrà impugnare la decisione in base all'art. 46 della direttiva procedure207. Un esempio si ha nei casi di

infondatezza: quando un individuo proviene da un Paese di origine sicuro; quest'ultimo è individuabile in base ai criteri dell'Allegato I alla direttiva procedure208. In base ai dati della Commissione gli Stati sono

207 Precedentemente art. 39 direttiva 2005/85. 208 Precedentemente Allegato II direttiva 2005/85.

soliti rispettare le indicazioni di tale Allegato, sia l'obbligo di un esame individuale, idoneo a far emergere elementi che facciano venir meno la presunzione di sicurezza209.

Nel documento Le fonti e la prassi in materia di asilo (pagine 116-122)