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Il nucleo attivatore del Welfare generativo, come già detto, è individuato nel legame tra i diritti e i doveri sociali. In questo senso, è stata elaborata una proposta46, di cui si è tentato di

verificare la fattibilità secondo una prospettiva giuridica, muovendo innanzitutto dal piano costituzionale.

Nello specifico, l’idea in questione prevede la possibilità, «mediante una previsione legislativa da attuare e articolare in via amministrativa, di collegare l’erogazione di una prestazione erogata dal sistema integrato (nelle varie forme di integrazione pubblico-privato possibili) e tesa a garantire un diritto sociale, alla “condizione” di una “attivazione”, nei termini di un impegno sociale a vantaggio della collettività, da parte del soggetto destinatario della prestazione stessa».

Per poter riflettere su tale proposta è necessario chiarire alcuni aspetti, primo fra tutti quello che attiene alla natura giuridica della prestazione “corrispettiva” che potrebbe essere richiesta. Il termine “prestazione corrispettiva” non è da intendere come un corrispettivo per ciò che riceve il soggetto destinatario di una prestazione da parte pubblica, ovvero una sorta di “pagamento”

45 E VIVALDI, Diritti e doveri di solidarietà per realizzare a pieno la persona, in Rivista

EPP – Etica per le professioni, <www.eticaperleprofessioni.it>

46 Cfr. E. ROSSI, Prestazioni sociali con “corrispettivo”? Considerazioni giuridico-

costituzionalistiche sulla proposta di collegare l’erogazione di prestazioni sociali allo svolgimento di attività di utilità sociale – La lotta alla povertà. Rapporto 2012, 103.

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della prestazione ricevuta, da realizzarsi mediante lo svolgimento di un’attività obbligatoria.

D’altro canto, è necessario collegare la prestazione che si chiede di svolgere al servizio che viene erogato, e la categoria giuridica più adeguata sembra essere l’onere. Anche se in questo caso, si pone il problema delle conseguenze giuridiche nel caso di mancato adempimento della prestazione corrispettiva da parte del soggetto coinvolto. Tale questione si pone poiché le due prestazioni non possono essere contemporanee, ma quella tesa a garantire il diritto deve precedere l'altra.

Non sembra possibile prevedere sanzioni, anche di tipo pecuniario, in quanto ci si troverebbe in contrasto con la logica di solidarietà del Welfare generativo, quindi l'unica soluzione concretamente possibile è di sanzionare, nel caso di servizi che abbiano una continuità nel tempo, il mancato adempimento con l'impossibilità di continuare ad usufruire del servizio in questione.

Servirebbe pertanto un qualche atto volto a formalizzare la relazione tra soggetto erogante e soggetto richiedente, per definire i termini della prestazione elargita e di quella dovuta e le eventuali conseguenze del mancato adempimento.

Nel nostro ordinamento sono già presenti esempi di attività a vantaggio delle collettività previste dalla legge. Un esempio a cui far riferimento è il lavoro di pubblica utilità, che consiste nella prestazione di un’attività non retribuita a favore della collettività da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni o presso enti e organizzazioni di assistenza sociale o

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volontariato. La prestazione di lavoro, ai sensi del decreto ministeriale 26 marzo 2001, viene svolta a favore di persone affette da HIV, portatori di handicap, malati, anziani, minori, ex detenuti o extracomunitari; oppure nel settore della protezione civile, della tutela del patrimonio pubblico e ambientale o in altre attività pertinenti alla specifica professionalità del condannato.

Trattandosi di “lavoro” e non di “attività” (come sarebbe nell’ottica del Welfare generativo), è evidente che in tale normativa l’accento sia posto sugli elementi di dimensione lavorativa e non solidaristica, ma una correlazione con l'aspetto solidale lo possiamo comunque riscontrare.

Altro aspetto importante su cui riflettere è la possibilità di sottoporre la garanzia di un diritto a condizione. A tale ipotesi si è risposto in maniera affermativa, ma limitatamente alla previsione di servizi che non riguardino il livello essenziale delle prestazioni47. Infatti, non sembra né possibile né opportuno

47 I livelli essenziali di prestazione (LEP) sono indicatori riferiti al godimento dei

diritti civili e sociali che devono essere determinati e garantiti, sul territorio nazionale, con la funzione di tutelare l’unità economica e la coesione sociale della Repubblica, rimuovere gli squilibri economici e sociali e fornire indicazioni programmatiche cui le Regioni e gli enti locali devono attenersi, nella redazione dei loro bilanci e nello svolgimento delle funzioni loro attribuite. Tra questi vengono indicati la sanità, l’assistenza, l’istruzione, ecc.

La nozione di LEP è rintracciabile in interventi legislativi antecedenti la riforma del titolo V della Costituzione sia nel settore della sanità, in cui a partire dal d.lgs. 502/1992 sono stati determinati i LEA (Livelli Essenziali di Assistenza sanitaria), sia in quello dell’assistenza (nidi, non autosufficienza, handicap, dipendenze, povertà ecc.), in cui la nozione di LEP risale ai decreti della riforma Bassanini e, in modo ancora più esplicito, alla legge di riforma dell’assistenza (328/2000), nonostante il cammino di definizione normativa sia ancora molto lungo e complesso. La legge delega 42/2009 sul federalismo fiscale prevede che il finanziamento delle spese relative ai LEP sia commisurato a fabbisogni, la cui quantificazione dovrebbe avvenire con riferimento ai costi standard associati alla loro erogazione in condizioni di efficienza e appropriatezza su tutto il territorio nazionale e non alla spesa storica.

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apporre una condizione per il livello essenziale del diritto da garantire, che ne vincoli la tutela all’adempimento di alcune attività di rilevanza sociale. Per quanto eccede, invece, dal livello essenziale, la fruibilità di servizi a ciò finalizzati potrebbe essere condizionata ad un’attivazione del soggetto, nei sensi che la previsione normativa potrebbe indicare.

L’idea presa in analisi potrebbe essere considerata come una possibile soluzione in grado di consentire il mantenimento di livelli di welfare adeguati senza abbandonare la prospettiva di accessi a carattere universalistico.

Inoltre, un altro obiettivo di tale proposta può essere individuato nella «valorizzazione delle prestazioni richieste, nel senso della garanzia più piena del diritto che si vuole tutelare. La prospettiva, in altri termini, potrebbe essere quella di misure o prestazioni che possano favorire un miglior godimento dello stesso diritto che la prestazione pubblica intende garantire, in una logica di coinvolgimento attivo e partecipe del soggetto destinatario dell’intervento».

A tal fine, la previsione di una prestazione corrispettiva dovrebbe essere collegata all’elaborazione di un piano personalizzato, ovvero all’individuazione dei contesti più adeguati all’integrazione del soggetto interessato. Nella fase di elaborazione di tale piano personalizzato risulta, quindi, necessario il coinvolgimento attivo del soggetto, sia al fine di individuare il migliore apporto che egli potrebbe offrire alle esigenze della società, sia allo scopo di meglio motivarlo in

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relazione alle finalità della richiesta di una prestazione di pubblica utilità.

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