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principi costituzionali di riferimento; - 7. Azioni a corrispettivo sociale (ACS); - 8. Il ruolo del Terzo settore; - 9. Considerazioni conclusive.

1. Premessa

In parallelo allo sviluppo del Terzo settore si è assistito ad una progressiva trasformazione del sistema di welfare. A partire dagli anni ’60 si era diffusa l’idea che solo un modello di welfare universalistico e a prevalente presenza pubblica potesse garantire lo sviluppo e l’erogazione uniforme di servizi indispensabili alla crescita sociale ed economica della comunità. Proprio sulla base di questa idea, lo Stato italiano organizzò le proprie istituzioni per rispondere in modo esclusivo ad una domanda di prestazioni socio-assistenziali sempre più crescente, limitando l’intervento del settore privato. La situazione riuscì a mantenersi in sostanziale equilibrio per qualche decennio, ma già nei primi anni ’80, per ragioni economiche, politiche, sociali e culturali, il sistema di welfare prevalentemente o esclusivamente pubblico lascia un maggior spazio a un sistema di welfare plurale.

Si manifesta così un’inversione di tendenza, causata dalla necessità di arrestare la dinamica espansiva della spesa pubblica e dalla consapevolezza della grave inefficienza del sistema pubblico. In questo contesto si ha il passaggio da un sistema di erogazione dei servizi tipicamente centralizzato (welfare state),

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ad uno in cui si integrano le risorse possedute dalle istituzioni pubbliche con quelle disponibili nei soggetti del cosiddetto privato sociale (welfare mix).

In particolare, il modello di welfare mix si concretizza con un ruolo dello Stato nell’organizzazione della “cornice”, individuando gli obiettivi da raggiungere e i livelli essenziali delle prestazioni, e un ruolo dei soggetti dell’economia sociale nella gestione concreta dei servizi, a cui viene riconosciuta pari dignità e rilevanza rispetto alle istituzioni pubbliche.

Recentemente si è osservato come le soluzioni fin qui adottate faticano a rispondere in modo adeguato ai cambiamenti della nostra società e a comprendere i relativi bisogni, sempre più multiproblematici e complessi. Si ritiene, invece, che sia necessario promuovere sperimentazioni di modelli di welfare in cui i soggetti privati partecipano e sono coinvolti anche nella fase della progettazione e della verifica degli interventi. È questo

il concetto di Welfare community, che attribuisce

all’amministrazione pubblica la funzione di regolazione dei servizi e non più di gestione degli stessi.

Una declinazione di questo modello è la proposta avanzata nel Rapporto 2012 sulla lotta alla povertà realizzato dalla Fondazione “Emanuela Zancan”29, ovvero quella di un Welfare

generativo, che trova nella generatività il suo paradigma metodologico e la sua esplicazione operativa.

29 Cfr. Vincere la povertà con un welfare generativo – La lotta alla povertà. Rapporto

2012, Bologna 2012. La Fondazione Zancan è un centro di studio, ricerca e

sperimentazione che opera da oltre cinquant'anni nell'ambito delle politiche sociali, sanitarie, educative e dei servizi alla persona, con l’intento di contribuire alla riduzione delle disuguaglianze e alla lotta alla povertà.

37 2. Le origini del Welfare State

Il modello di Welfare State30 nasce alla fine del 1800 come

politica in grado di far accettare il funzionamento del mercato capitalistico. Infatti la sua logica si basa sulla contrapposizione forte che si crea nella società moderna, quella tra Stato e mercato, in cui al mercato è affidata la massimizzazione della produzione utilizzando come unico criterio l’efficienza (attraverso il perseguimento dell’interesse personale), e allo Stato è affidata la redistribuzione delle risorse in modo da

ovviare alle diseguaglianze prodotte attraverso il

funzionamento del mercato, e alle necessità dei soggetti dei quali il mercato non si interessa.

In realtà, se vogliamo parlare di Welfare State nel moderno senso del termine, non si può non ricordare l’approvazione del pacchetto Beveridge in Inghilterra (1942) con il quale nasce il primo Sistema Sanitario Nazionale, l’educazione diventa gratuita per tutti fino ad una certa età e si fornisce assistenza a portatori di handicap e anziani non autosufficienti. Il welfare

30 Il concetto Welfare State è oggetto di svariate definizioni e interpretazioni.

Titmuss (1986) lo definisce come “l'insieme di decisioni e azioni, attribuibili a vari soggetti, tra di loro connesse e mirate alla soluzione dei problemi collettivi”. Donati (1998) invece lo qualifica come l'insieme più o meno coerente di principi ed azioni che determinano la distribuzione ed il controllo sociale del benessere di una popolazione per via politica. Ed ancora, Colozzi (2002,) afferma che la politica sociale è l'insieme di specifiche norme e modalità operative con cui nei vari stati- nazione si produce e si distribuisce il benessere dei cittadini da parte delle sfere sociali differenziate (Stato, mercato, terzo settore, famiglie). Per Ferrera (2006) lo Stato Sociale è determinato dalle politiche sociali come corsi d’azione volti a definire norme, particolarmente rilevanti per le condizioni di vita e dunque meritevoli di essere garantite dall'autorità dello Stato.

Tutte queste diverse definizioni sono comunque accomunate dall'idea che la politica sociale abbia a che fare con la risposta ad una serie di bisogni collettivi, attraverso i quali, se soddisfatti, lo Stato e altre entità cercano di risanare le diseguaglianze sociali ed economiche, tutelando i diritti considerati essenziali in uno stato di diritto.

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diventa quindi universalistico31. In seguito si espande in Europa,

e non solo, con diverse caratteristiche in base alla matrice culturale del Paese in cui si stava sviluppando.

In generale possiamo dire che oggi, con il termine Welfare State, si è soliti indicare un complesso di politiche pubbliche messe in atto da uno Stato che interviene, in un’economia di mercato, per garantire l’assistenza e il benessere dei cittadini, modificando in modo deliberato e regolamentato la distribuzione dei redditi generata dalle forze del mercato stesso. Il welfare comprende pertanto il complesso di politiche pubbliche dirette a proteggere e assicurare la collettività di un paese da rischi specifici a carattere individuale come disoccupazione, malattia, vecchiaia, disabilità e ridistribuire risorse al fine di alleviare le varie forme di povertà e disuguaglianza32.

31Ferrera (1993) individua un criterio neutro e di natura esclusivamente descrittiva

per classificare i sistemi di welfare. Egli parte dall’analisi del modello di copertura, cioè le regole di accesso ai principali schemi di protezione sociale, che lo porta ad individuare due principali varianti: un modello universalistico, in cui gli schemi di protezione sociale coprono tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro posizione lavorativa; e un modello occupazionale, in cui la rete di protezione assicurativa è riservata ad alcune categorie di lavoratori dipendenti e la solidarietà pubblica è frammentata secondo demarcazioni occupazionali che danno origine ad una pluralità di comunità a rischio.

Il modello universalistico è il modello adottato dai paesi anglo – scandinavi, che ha creato un unico grande bacino di solidarietà e redistribuzione.

Il modello occupazionale, invece, è il modello adottato dalla maggioranza dei paesi europeo – continentali e che ha assecondato le tradizionali demarcazioni tra settori produttivi e gerarchie occupazionali, frammentando la comunità politica in tante diverse comunità redistributive. Questi due modelli sono identificati al solo scopo classificatorio, poiché nella realtà si possono suddividere in quattro modelli: occupazionale puro e misto, universalista puro e misto. Così, ad esempio, l’Italia, che nel corso degli anni Settanta si caratterizzava per un modello “occupazionale”, con l’introduzione del sistema sanitario nazionale a copertura universale si ricolloca nell’ambito di un modello di welfare “occupazionale misto”.

32 R. ARTONI e A. CASARICO, Welfare State and Economic Theory, ECONPUBBLICA,

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Nei Paesi occidentali più industrializzati, quindi, si diffonde, in

corrispondenza con l’accettazione dei nuovi principi

dell’economia keynesiana, quella forma di organizzazione politico-costituzionale della società capitalistica individuata come Stato sociale33.

Questo modello vive l’apice del suo sviluppo dalla fine della Seconda guerra mondiale ai primi anni Settanta, quando l’intensa crescita economica e sociale ne favorisce la rapida e pervasiva espansione in tutti i sistemi democratici occidentali.

3. Crisi del Welfare State

Dopo la straordinaria crescita economica e sociale che negli anni Cinquanta e Sessanta aveva accompagnato e sostenuto la fase espansiva del welfare, dagli anni Settanta si è assistito al lento declino di questo modello, provocato non solo dall’ingente spesa di protezione sociale, ma anche dalla difficoltà di realizzare tali interventi in maniera efficiente ed efficace.

Varie teorie contribuiscono ad individuare alcuni fattori che hanno messo in crisi la sostenibilità economica del welfare per come era stato costruito. Da una parte, si osserva come l'evoluzione della società, l'aspetto demografico e quindi i cambiamenti della famiglia siano rilevanti in questo senso. A partire dagli anni '80, infatti, si evolvono gli stili di vita e i valori, e questo mutamento è accompagnato anche da un cambio strutturale demografico: la vita media della popolazione

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è in continuo aumento e ciò comporta il prolungamento dell’erogazione dei servizi in termini assistenziali, e secondo alcuni, questa estensione è una delle maggiori cause di crisi del Welfare State34.

Altra trasformazione importante riguarda le famiglie. Le famiglie di stampo patriarcale erano soggetti molto uniti e capaci di sfruttare in modo collaborativo la numerosità dei membri. Grazie alla loro capacità organizzativa, esse riuscivano a far fronte alle maggiori necessità, costituendo così un vero e proprio ammortizzatore sociale.

Attualmente, invece, si assiste alla nascita di nuove tipologie di famiglie, come le famiglie monoparentali o costituite da unioni libere, il cui benessere è influenzato in maniera particolare dalla disoccupazione (che in passato poteva essere in qualche modo attenuata dall'economia familiare), la quale oltretutto comporta maggiori spese per lo Stato.

Parallelamente alla trasformazione familiare si ha l'evoluzione dei bisogni esistenti e la nascita di nuove esigenze verso la quale vi è l'incapacità del sistema di adattarsi rapidamente.

Dall’altra parte, si nota come la crisi economica generalizzata, i costi di gestione crescenti e l'impatto della globalizzazione abbiano certamente accentuato i fattori di crisi del Welfare State35, riducendo notevolmente le risorse per il sociale.

34 N. GILBERT, Transformation of the Welfare State, in Fosti (a cura di), Rilanciare il

welfare locale. Ipotesi e strumenti: una prospettiva di management delle reti,

Milano, Egea, 2013, 19 ss.

35 L. GILL, All'origine delle crisi: sovrapproduzione o sottoconsumo, Università degli

studi di Brescia: facoltà di Economia, 2009

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Sembra un paradosso, ma ad influire sui costi del welfare è anche il progresso tecnologico, poiché, da un lato, ha permesso un positivo miglioramento della qualità della vita, nonché un allungamento della stessa, generando però squilibri nei sistemi pensionistici e sanitari36; dall'altro ha contribuito alla creazione

di strumentazioni (soprattutto in campo medico) sempre più sofisticate e ad un conseguente aumento dei costi nelle prestazioni sanitarie.

Un ulteriore aspetto economico che influisce sullo Stato Sociale è la globalizzazione. La globalizzazione, intesa come libero scambio di merci può certamente contribuire allo sviluppo economico, nella misura in cui favorisce le specializzazioni produttive e valorizza i vantaggi competitivi dei diversi territori. Tuttavia, globalizzazione significa anche maggiore mobilità degli investimenti, i quali possono essere guidati dalle differenze esistenti nei sistemi di protezione sociale e nei livelli di tassazione. La globalizzazione, quindi, può comportare una “pressione competitiva” nei confronti dei governi e tradursi, a seconda dei casi, in una perdita di “sovranità fiscale”, in una contrazione delle risorse finanziarie necessarie al finanziamento del Welfare State o in un deliberato ridimensionamento di quest’ultimo.

36 P. R. ORSZAG e STIGLITZ J., “Ripensare la riforma delle pensioni: dieci miti sui

sistemi di previdenza sociale”, in Mirabile M. L. e L. Pennacchi (a cura di) Il pilastro debole, Ediesse, Roma, 2001.

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A questi fattori aggiungiamo la convinzione, derivante dal diffondersi del modello neoliberista37 che si sviluppa dalla fine

degli anni ’70, che una elevata spesa pubblica possa compromettere la crescita economica in quanto il mercato deve operare senza nessun vincolo e che dunque lo Stato debba diminuire sempre più il suo intervento nell’economia, riducendo così le politiche di stabilizzazione macroeconomica alla sola politica monetaria. Inoltre, con la realizzazione dell’Unione Monetaria Europea, gli Stati che ne fanno parte, cedono completamente al nuovo organismo comunitario la sovranità monetaria, restando di fatto incapaci di agire sul contesto macroeconomico.

Insieme a questi fattori, concorrono a determinare la crisi dei modelli di Welfare State le stesse caratteristiche organizzative di tali modelli e la scarsa flessibilità degli strumenti tradizionali delle politiche pubbliche, che non hanno permesso di rispondere ai numerosi cambiamenti di natura economica e sociale avvenuti dagli anni ’70 in poi.

Da queste considerazioni capiamo di trovarci di fronte a due problemi: da una parte gli Stati non sono più in grado di spendere quanto vorrebbero per garantire ai cittadini la

37 Il modello neoliberista è un modello economico opposto alle teorie keynesiane,

che ha dominato il mondo dagli anni ’80 ad oggi. Tale modello propone la superiorità della libera impresa sul protezionismo di Stato, attribuendo quindi un ruolo allo Stato di mantenimento della stabilità dei prezzi attraverso il contenimento dell’offerta di moneta. In base a ciò, dunque, lo Stato passava dall’essere un soggetto attivamente coinvolto nella definizione del benessere dei cittadini e dell’iniziativa economica, all’essere inteso come un’entità essenzialmente neutrale, e il cui principale obiettivo diveniva quello di creare quella stabilità monetaria tale da consentire ai mercati di interagire senza vincoli e condizionamenti esterni. Risulta chiaro che, in una condizione del genere, le precedenti prerogative proprie del potere pubblico vengono decisamente ridimensionate.

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soddisfazione dei propri bisogni; dall’altro, fattori sociali e culturali trasformano i bisogni stessi delle persone, rendendo il modello di welfare costruito nel secondo dopoguerra largamente inefficiente e inefficace.

Queste ragioni portano alla nascita di un dibattito sulle modalità di trasformazione del sistema di protezione sociale, essenzialmente introducendo due possibili vie di uscita: da un lato, lo smantellamento del sistema di Welfare State, affidando al mercato e alle imprese la risoluzione di qualsiasi problema (welfare capitalism); dall’altro, la promozione di un sistema di welfare mix.

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