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CAPITOLO 3: IL MADE IN ITALY E LA MANIFATTURA ITALIANA

3.9 Le 3 B del made in Italy: Buono, Bello e Ben fatto

Il made in Italy porta al suo interno molti valori tra cui la tradizione degli abili artigiani locali, il gusto, l’eleganza, la creatività e l’innovazione e l’abilità tecnica. I beni che meglio lo rappresentano e lo nobilitano, sono quelli considerati di fascia medio-alta, simboli della moda e dello stile italiano, appartenenti ai settori dell’abbigliamento, dell’arredamento, della oreficeria e gioielleria, dell’occhialeria, delle calzature e dell’agroalimentare.

Questi prodotti espressione della “dolce vita” italiana, vengono identificati oggi come il BB&B, ovvero il bello e il ben fatto, in riferimento al mondo della moda e il buono, in riferimento ai prodotti enogastronomici tipici del nostro paese che sempre di più vengono importati dalle nazioni straniere europee ed extra europee.

La notorietà dei prodotti italiani deriva da un insieme di diversi fattori; benché il nostro territorio sia di per sé privo di tutte le raw materials necessarie e le risorse richieste per sostenere i costi energetici e i costi della manodopera siano molto elevate, fattori che lo rendono poco

competitivo a livello globale, l’insieme creato dalla componente innovativa nella tecnica e nell’utilizzo dei materiali e la “qualità estetica ed immateriale” soprattutto della moda italiana, sono il motivo del successo del bello e ben fatto (CNMI , “Il bello ben fatto”, Mario Boselli, settembre 2009).

Due sono quindi le motivazioni che spingono i beni del made in Italy verso il successo: la componente creativa che dà luogo all’“effetto rinascimento” (Mario Boselli), espressione del buon gusto e del bello e la componente tecnologica che rende efficace ed omogenea l’intera filiera produttiva, caratterizzata da impianti e macchinari efficienti e all’avanguardia, gestiti con estrema professionalità.

Complessivamente il buono, bello e ben fatto rappresentano una fetta enorme delle esportazioni italiane, le cui previsioni di crescita ammontano a 212 miliardi di euro per l’anno 2019.

Distinguendo i mercati nuovi, principalmente rappresentati da Cina, Emirati Arabi e Russia, dai mercati maturi, tra cui i più importanti sono gli Stati Uniti, il Regno Unito, la Francia, la Germania, la svizzera e il Giappone, il livello delle esportazioni italiane dei prodotti belli, ben fatti e buoni del made in Italy, aveva già nel 2012 un’incidenza del 30% sulle esportazioni complessive.

Eclatanti sono i dati raccolti sull’andamento della regione Veneto dove la componente BB&B ha un impatto molto forte sull’economia. Nei settori infatti in cui questi beni vengono prodotti la percentuale di esportazioni della regione è di molto superiore a quella complessiva dell’intera nazione. Già nel 2012 sono stati rilevati i seguenti dati per la regione: il 78,1% delle esportazioni viene rilevato nel settore agroalimentare, l’85% nell’abbigliamento, il 95,7% nelle calzature, il 99,6% nell’arredo casa, il 90,1% nel settore dell’occhialeria, dato strabiliante confrontato con la percentuale italiana del 55% e il 95,1% nell’oreficeria e gioielleria. (Elaborazione regione Veneto- Sezione Sistema Statistico Regionale e Prometeia su dati Istat). Ovviamente ci sono paesi che hanno per l’export del made in Italy una rilevanza maggiore rispetto ad altri, benché infatti i nuovi mercati siano molto “interessanti”, quelli maturi come ad esempio gli Stati Uniti d’America giocano un ruolo fondamentale. Proprio questi ultimi importano beni dall’Italia per un ammontare pari all’incirca a 28 miliardi di dollari annui, di cui 4 miliardi solo per i prodotti del settore moda nel 2015 (ilsole24ore, impresa e territori, “Dopo Trump, il made in Italy a rischio stretta negli USA”). Esportare in America prevede già numerosi dazi ma l’America First del presidente Donald Trump potrebbe peggiorare l’andamento dell’export nazionale nel dare precedenza al lavoro e alla produzione americana in primis, rispetto a tutte le altre. Il piano americano prevede infatti di dare importanza all’attività economica e ai lavoratori degli stati uniti d’America aumentando la quantità di

prodotti fabbricati all’interno del paese, agevolando i lavoratori e gli imprenditori attraverso una minore tassazione dei prodotti interni, a discapito invece di una maggiore per tutti i prodotti proveniente dall’esterno.

L’America first foreign policy e l’imposizione di una broader tax molto elevata dovrebbero però colpire principalmente i prodotti del settore siderurgico, metallurgico e del settore dell’automotive; sembra infatti che i prodotti del bello, buono e ben fatto non ne risentiranno. Proprio l’ambasciatore Michael Froman, capo negoziatore commerciale per l’amministrazione dell’ex presidente Obama e negoziatore dei trattati commerciali internazionali del trans-Pacifico, in un’intervista tenuta da Confidustria afferma che “l’America ama l’Italia(..), ama i suoi prodotti, ama andarci come turista, l’Italia è sinonimo di stile e ciò si riflette anche nelle relazioni commerciali tra i due paesi e in molti dei prodotti commercializzati negli Stati Uniti; essa costituisce un forte surplus commerciale pari a 28 miliardi di dollari” (EDV 2017- Intervista a Michael Froman, Council on foreign relations).

Un’altra minaccia molto grande per i prodotti italiani è riscontrata nel commercio dei beni alimentari in America, dove molto spesso viene fatto un utilizzo improprio della denominazione di origine. Si trovano infatti sul mercato pietanze che riportano lo stesso nome di prodotti 100% made in Italy ma di origine puramente statunitense; viene ad esempio chiamato e venduto come Parmigiano o anche il formaggio prodotto in America. Questo molte volte può danneggiare le vendite dei prodotti italiani, favorendo l’acquisto di alimenti di qualità e caratteristiche differenti da quelli originali.

In ogni caso il successo indiscusso dei prodotti del bello, buono e ben fatto deriva da una capacità produttiva ineguagliabile sotto diversi punti di vista che rende il made in Italy leader in termini di eccellenza e qualità.