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CAPITOLO 2: COUNTRY OF ORIGIN EFFECT (CoO)

2.2 Le prime analisi sul CoO effect

I primi studi in materia, risalgono al 1965 quando Schooler, successivamente alla creazione del CACM (Common American Central Market), ha dimostrato l’esistenza di un legame reale tra il paese di provenienza e il comportamento di acquisto di un individuo, sottolineando che ogni nazione è contraddistinta da degli stereotipi che spingono la popolazione ad avvicinarsi, od allontanarsi, dai prodotti e servizi provenienti dai luoghi che ritengono più lontani, a livello di caratteristiche e abitudini, al proprio paese.

Schooler prende in considerazione un campione di 200 rispondenti dei paesi del centro America e li divide in quattro gruppi da 50 ciascuno; le località considerate sono il Guatemala, la Costa Rica, El Salvador e il Messico, insieme a luoghi prossimi a quest’ultimo come elemento per confronti aggiuntivi. Inizialmente studia il mercato del Guatemala ed ipotizza la presenza di differenze statistiche significative sulla base della valutazione dell’origine di un

prodotto e differenze statistiche non rilevanti sulla base del prodotto in sé. Come seconda ipotesi assume che gli individui, nel processo di formulazione delle proprie preferenze e dei propri pregiudizi, considerino oltre alla la mentalità dei diversi paesi e le esperienze di viaggio, anche il governo vigente, la struttura economica del paese, l’organizzazione del lavoro e le caratteristiche delle persone.

All’attenzione di questi 200 individui, vengono posti due diversi prodotti, un succo di frutta e un campione di tessuto di colore beige, entrambi di origine guatemalese; i prodotti in questione vengono scelti con le caratteristiche più neutrali possibili per non condizionare ulteriormente la mente degli acquirenti. Per testare l’influenza sulle scelte di consumo, le etichette dei prodotti, riportanti l’origine di provenienza del Guatemala, sono state sostituite con etichette non reali degli altri paesi considerati. L’esame è stato svolto attraverso un questionario, tradotto appositamente in lingua spagnola che ha mostrato interessanti risultati.

Facendo riferimento alla prima ipotesi è emerso che il campione considerato valuta in maniera identica i succhi di frutta e i tessuti provenienti dal Guatemala e dal Messico, considerandoli inoltre ad un livello qualitativo superiore rispetto ai prodotti provenienti dalle aree della Costa Rica e di El Salvador. Risulta quindi importante la provenienza e non la tipologia di bene considerato in questo caso.

La verifica della seconda ipotesi mostra invece che l’elemento popolazione influisce molto sulla decisione di consumo e in uno dei due casi, un’incidenza marginale è stata prodotta anche dal governo; non sono invece stati considerati di rilievo, la struttura del lavoro, il settore industriale e le relazioni con l’estero.

Schooler conclude quindi la sua ricerca affermando che l’origine di provenienza indicata sulle varie etichette dei prodotti, spinge i consumatori a valutare beni completamente identici, in maniera diversa, a causa di paure, preconcetti e preferenze della popolazione locale nei confronti delle altre straniere. (R.D. Schooler, 1965)

Il grande limite di questa analisi si riscontra nel fatto che è stato utilizzato un approccio di tipo single cue, ovvero una metodologia che sfrutta un solo tipo di informazione/segnale (cue appunto) in questo caso rappresentato dalla provenienza, senza tener in considerazione altri variabili di incidenza (ad esempio prezzo o qualità).

Con la stessa metodologia sono proseguiti gli studi sul country of origin effect, fino al 1982 con le analisi di Bilkey e Nes. Loro hanno dimostrato che il CoO è una variabile che influenza in generale il prodotto, le classi di prodotto, i brand specifici e i paesi sviluppati rispetto a quelli meno sviluppati.

Negli anni ‘80 ad esempio hanno notato un netto miglioramento dell’immagine della produzione giapponese, rispetto a una diminuzione nelle valutazioni di quella americana anche

se i consumatori americani tendono sempre a preferire i prodotti con la propria origine di provenienza rispetto a quelli stranieri.

Il grado di sviluppo del paese è un altro fattore molto rilevante, è stato riscontrato che paesi poco sviluppati o in via di sviluppo, vedono svalutati i propri prodotti rispetto a quelli molto sviluppati e che generalmente per vicinanza o lontananza di cultura e sistema politico, alcune nazioni possono valutare positivamente e alcune molto negativamente, un bene proveniente dalla stessa determinata area geografica; quindi anche la componente politica e la mentalità delle persone hanno una valenza significativa.

Vengono prese in considerazione diverse variabili: le caratteristiche demografiche, la personalità, la promozione, il rischio percepito e le condizioni di acquisto. All’epoca è stato riscontrato che le persone più anziane, la popolazione femminile e gli individui che presentano un elevato grado di istruzione, preferiscono i prodotti stranieri rispetto a quelli nazionali, purché essi non provengano da paesi sottosviluppati.

A livello di personalità, vengono considerati il dogmatismo e il conservatorismo in relazione all’immagine del prodotto; viene riscontrata una relazione inversa di queste due variabili nei confronti della propensione all’acquisto di prodotti esteri.

Un altro aspetto molto importante che è stato considerato è la correlazione tra l’effetto made in e l’attività di promozione e comunicazione svolta dall’impresa venditrice. Innanzitutto, la popolazione considera e valuta in maniera differente il prodotto nazionale generale rispetto ai specifici prodotti; al fine di ottenere una pubblicità efficace, questa deve quindi essere modulata in base alle caratteristiche specifiche del bene considerato, non solo in base a quelle della nazione di origine.

È stato riscontrato che pubblicità di prodotti e con testimonial famosi americani hanno ottenuto un successo maggiore rispetto ad altri paesi valutati in quel periodo inferiormente. L’advertising può incidere molto sulla sfera decisionale di un consumatore, a meno che i pregiudizi maturati nei confronti di paesi estranei al proprio non siano radicati in profondità e quindi difficili da modificare. La qualità del bene stesso viene percepita differentemente se l’attività di promozione è efficace e se vengono utilizzati per la distribuzione, retailer prestigiosi e con una ottima reputazione alle spalle.

Il rischio percepito è un’altra variabile rilevante. È stato comparato il rischio percepito su prodotti US, fabbricati proprio negli Stati Uniti e prodotti US fabbricati esternamente; quelli prodotti a distanza sono stati influenzati negativamente in quanto il rischio percepito su quei specifici beni è stato considerato come superiore, soprattutto se il paese di produzione è uno di quelli sotto o mediamente sviluppati.

Al contrario, quando un luogo ha una reputazione molto buona collegata ad uno specifico articolo, acquisisce anche la fama di distributore principale del prodotto finito e delle materie prime utilizzate per la sua creazione. Ne è un esempio il caso del caffè liofilizzato prodotto e distribuito dal Brasile.

La qualità percepita viene inoltre influenzata dalle caratteristiche dei fornitori utilizzati e dell’offerta finale; infatti la location in primis, la dimensione, il prezzo e la rapidità di consegna sono tutti elementi di rilievo. (Warren J. Bilkey, Erik Nes 1082, Country of origin effect on product evaluation)

In conclusione, anche Bilkey e Nes affermano che il country of origin ha un’incidenza molto forte sulla scelta d’acquisto ma anche in questo caso i limiti risiedono nel fatto che la loro analisi considera solo un indizio, un single cue, e lo esamina attraverso beni tangibili ma attraverso test di consumo basati su affermazioni e prodotti astratti; non si capisce inoltre quale sia il migliore dei modi per affrontare i pregiudizi e la cattiva reputazione che la popolazione attribuisce a determinate aree geografiche e la natura di questi preconcetti, se superficiale e quindi facilmente modificabile attraverso una buona strategia di marketing, o se radicata profondamente nella mente dei consumatori stranieri.