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CAPITOLO 3: IL MADE IN ITALY E LA MANIFATTURA ITALIANA

3.7 Il made in Italy

Come annunciato in precedenza, il made in Italy ha un ruolo centrale nella realtà dei distretti industriali, nel processo di internazionalizzazione delle imprese e in quello decisionale dei consumatori.

Per comprendere a pieno cosa è e che legame ha con il territorio il made in Italy, riprendo una classificazione effettuata da Marco Fortis, riguardante i settori principali e di indiscussa eccellenza che caratterizzano “il fatto in Italia”.

Fortis afferma che la manifattura italiana è rappresentata dalle “4 A”, la prima indicante il settore agro alimentare, la seconda il settore dell’abbigliamento-moda, la terza il settore dell’arredo casa e infine l’ultima quello dell’automazione e della meccanica. Questi settori sono quelli maggiormente caratterizzati dalla tradizione artigiana italiana ma anche dalla dinamicità e dall’innovazione tecnologica.

Protagonisti, alla guida delle 4 A sono i distretti industriali e le piccole medie imprese italiane che rappresentano all’incirca l’85% della manifattura nazionale complessiva; questi producono all’incirca il 30% del PIL, il 40% in termini di valore aggiunto della manifattura e circa il 50% di tutte le esportazioni manifatturiere.

Così strutturato il sistema economico italiano, benché ricco e funzionante, viene però messo in crisi dalla concorrenza globale che vede come attori principali le grandi multinazionali, in particolare quelle cinesi contro le PMI italiane. La Cina fornisce un territorio, dei costi e dei materiali che possono essere sfruttati vantaggiosamente dall’Italia nei processi di delocalizzazione produttiva ma, al tempo stesso, rappresenta una grande minaccia; è infatti il paese dal quale fuoriescono la maggior parte dei prodotti e dei marchi contraffatti del made in Italy, nel quale il livello delle esportazioni è in continua crescita e le politiche di prezzo sono competitive e asimmetricamente concorrenziali.

Fortis afferma quindi che per ottenere una posizione concorrenziale sono necessari più elementi congiunti, la delocalizzazione sì ma positiva, ovvero l’inizio di una produzione al di fuori del paese ma il mantenimento della stessa anche in patria, una stretta collaborazione tra i pilastri dell’economia italiana, i distretti e R&S e la protezione dell’esclusivo design italiano, dei diritti di proprietà industriale e territoriale.

In particolare, l’investimento nei prodotti tipici del made in Italy ha iniziato a trovare giustificazione all’inizio degli anni novanta, quando la manifattura italiana non viene più vista solamente come un fattore culturale e sociale ma bensì come elemento economico sul quale fondare il vantaggio competitivo, lo sviluppo e il benessere nazionale.

Non sono all’interno del paese ma in tutto il mondo la qualità dei manufatti italiani viene diffusa e riconosciuta e questo grazie al connubio tra il sistema imprenditoriale, quello sociale e quello economico. La preziosa cultura e la capacità artigiana si sono trasformati in un design simbolo di qualità ed eccellenza, le piccole medie imprese che, a causa della limitata disponibilità ad investire, avevano avuto difficoltà ad emergere sul mercato globale, all’interno della realtà distrettuale manifatturiera sono state valorizzate e sono riuscite a perseguire gli obbiettivi di internazionalizzazione ed innovazione e, sempre grazie ai distretti, si sono create nuove opportunità lavorative, si è alzato il livello di occupazione nazionale ed è stata raggiunta una posizione di leadership indiscussa nei tipici settori manifatturieri italiani, principalmente quello della moda, del cibo e dell’arredo casa.

Per comprendere meglio la rilevanza delle 4 A del made in Italy, è importante capire cosa rientra in ciascuno di questi settori industriali e fornire alcuni dati numerici sul loro andamento. Partendo dagli anni 2000 verranno riportate a seguire alcune delle cifre più significative, a riferimento ho preso come fonte la Elaborazione Fondazione Edison sui dati ISTAT e Federalimentare.

Il primo settore è rappresentato dall’abbigliamento-moda che comprende tessuti, pellame, cuoi, quindi pelletteria, borsa e calzature, occhialeria, gioielleria e particolari metallici quali bottoni e chiusure lampo; il numero di imprese coinvolte ammontava a 108.164 già nell’anno 2001, con un livello di esportazioni pari a 50,5 miliardi di euro.

L’arredo casa comprende invece il mobilio, i dispositivi per l’illuminazione e le lampade, materiali quali legno, quindi anche tutti gli articoli in legno, ceramica per le piastrelle e pietre; nel 2001 questo settore era contraddistinto da 93.948 imprese.

L’automazione e la meccanica riguardano invece le macchine, i motocicli e le biciclette, gli elettrodomestici, le imbarcazioni, gli accessori sportivi e i prodotti di materiale metallico; nel 2001 era il settore rappresentato dal maggior numero di imprese, 141.620 e da 68,6 miliardi di euro in esportazioni, con un’incidenza di quasi il 26% sul totale dell’export italiano.

In ultimo, il settore agroalimentare che comprendete la lavorazione di carni e pesce, di frutta e verdura e l’industria del latte e delle bevande, esportati per un valore di 14 miliardi di euro, è costituito da 66.936 imprese. Molto rilevanti sono soprattutto i prodotti tipici della cosiddetta dieta mediterranea, in grado di procurare un saldo attivo di 7 miliardi di euro.

Sul totale manifatturiero, composto da 542.876 aziende, solo le 4 A racchiudevano complessivamente 410.668 imprese, incidendo sull’occupazione nazionale in misura pari al 65% circa e esportando articoli per un valore di 150,9 miliardi di euro nell’anno 2001.

Pochi anni dopo si manifesta però un arresto della crescita del settore manifatturiero italiano, l’Italia comincia a perdere quote importanti nel mercato mondiale, perde competitività a livello internazionale e il saldo subisce un calo consistente.

Il livello delle esportazioni italiane cala ma è vero anche che fatta eccezione per la Cina, il cui export cresce nell’arco di un decennio di 4,6 punti, lo stesso trend e con cifre peggiori, si verifica anche in Francia, Germani, Giappone, Regno Unito e Stati Uniti d’America.

All’interno della classifica mondiale di competitività del WEF, la posizione occupata dall’Italia non è delle migliori, fattori rilevanti sono i costi dell’energia e del trasporti, il sistema burocratico e bancario e i tassi di cambio monetari.

Le cause che invece spiegano il deterioramento del saldo attivo commerciale si possono trovare nella forte crescita del prezzo del petrolio e del gas, nella perdita di esportazioni dovuta all’incidenza negativa dell’euro come moneta e all’aggressiva concorrenza asiatica, in termini di tassi di cambio, il peggioramento rapporti commerciali con i paesi dell’Europa del nord e il livello e la tipologia di consumo della popolazione italiana (Fortis, 2005).

Il principale concorrente nel settore manifatturiero dell’Italia, la Cina, è pericoloso perché il loro tipo di concorrenza è asimmetrico e provoca fenomeni di dumping sociali, ambientali e monetari. È un paese molto attrattivo cresciuto rapidamente e secondo la classifica di competitività del World Economic Forum, essa occupa la 28 posizione, negli anni 2016-2017, mentre l’Italia si trova al quarantatreesimo posto.

Proprio l’invasione dei beni cinesi, sia esportati dalla Cina che importati da altri paesi europei in Italia, aveva provocato la crisi del sistema manifatturiero nazionale. Nel 2003 il paese asiatico è addirittura arrivato a rappresentare il più grande fornitore di beni appartenenti al settore dell’abbigliamento e del tessile, dell’arredo casa e dell’automazione e meccanica.

La contraffazione poi dei prodotti made in Italy non porta solo gravi danni al sistema economico italiano ma anche a quello sociale-ambientale e alla buona immagine e reputazione del paese. I prodotti asiatici non originali infatti sono ben lontani dagli standard qualitativi italiani e, anche se in molti casi posso essere imitati molto bene sul piano estatico, si quello della salute e della sicurezza possono invece risultare scadenti e addirittura dannosi per il consumatore finale.

Oltre a ciò la reputazione meglio conosciuta come produttrice di valore e di qualità, subisce un duro colpo tra chi non è in grado di riconoscere i prodotti originali da quelli invece contraffatti.

Tutti gli elementi e gli eventi fino ad ora esposti rendono quindi molto facile comprendere come sia importante proteggere, valorizzare e allo stesso tempo comunicare in maniera

opportuna il fattore made in Italy che è da sempre un valore aggiunto alla produzione nazionale italiana.