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I Balcani senza pace: dalla conferenza di Bucarest del 1913 al conflitto mondiale

di

Antonio D’Alessandri

Negli studi dedicati alla storia dei Balcani, non sempre si riesce a trovare una trattazione e, soprattutto, una valutazione critica degli eventi compresi tra la pace di Bucarest del 10 agosto 1913 (che pose fine alla seconda guerra balcanica) e lo scoppio del conflitto mondiale nell’estate dell’anno seguente. Questo torno di tempo, di circa un anno, racchiude in sé molte delle contrad- dizioni e dei dilemmi che accompagnarono i Balcani nel corso della loro sto- ria contemporanea: antagonismi reciproci fra le giovani monarchie, rivalità delle Grandi potenze proiettate sulle contese locali, corsa verso una rapida militarizzazione, ossessioni irredentistiche confliggenti, migrazioni forzate e scambi di popolazioni.

La crisi dell’Impero ottomano, anche nei suoi domini europei, deve essere inquadrata in uno scenario di tipo globale in cui, dalla fine del XVIII secolo, l’antico Impero si trovò a fronteggiare cambiamenti politici, economici e so- cioculturali, particolarmente incisivi proprio nello spazio ottomano, collo-

cato a metà tra Europa e Asia1. Soprattutto dopo il 1878, la decadenza

dell’Impero divenne ancora più evidente rispetto al passato, sia dal punto di vista geopolitico, sia sociale e culturale, con la grave crisi della secolare coa- bitazione fra i gruppi islamici e quelli cristiani. Gli Stati balcanici, inoltre, iniziarono sempre più a guardare alla Turchia come a un fardello del passato, da rimuovere in nome della modernità, e credettero di trovare nell’irredenti- smo uno strumento adatto per perseguire i loro progetti di espansione e con- solidamento. Essi furono così risucchiati in una spirale di rivendicazioni ter- ritoriali su aree dove, com’è noto, non era chiaramente individuabile una se- parazione netta tra un’etnia e l’altra. Gli Imperi, infatti, erano istituzioni che per loro natura mescolavano le popolazioni e non agivano secondo criteri di distinzione etnica, come invece iniziarono a fare gli Stati nazionali man

1 Del Zanna, Giorgio (2012). La fine dell’impero ottomano. Bologna: il Mulino, pp. 9-10;

Hanioğlu, M. Şükrü (2008). A Brief History of the Late Ottoman Empire. Princeton and Ox- ford: Princeton University Press.

mano che andavano emergendo. Il successo delle forze locali balcaniche, co- stituite dagli Stati e dai movimenti irredentistici con le loro versioni più o meno aggressive del principio di nazionalità, fu decisivo nel segnare le tappe

della ritirata ottomana dall’Europa2. A ciò, inoltre, bisogna anche aggiungere

l’incremento dell’espansionismo austriaco verso i Balcani, il quale, iniziatosi a manifestare dopo il Compromesso austro-ungherese del 1867, raggiunse l’apice con la crisi bosniaca del 1908 che, seppur ricomposta per via diplo- matica, accentuò la rivalità tra Vienna e San Pietroburgo e creò un vuoto incolmabile nelle relazioni con la vicina Serbia, che gli Asburgo avrebbero

in seguito pagato a caro prezzo3.

Schiacciato tra le vicende belliche del 1912-1913 e lo scoppio della guerra europea nell’estate del 1914, la situazione dei Balcani nell’anno in oggetto, come si accennava, è rimasta per certi versi in ombra. Ciò non significa, ov- viamente, che quanto accaduto in quel periodo non sia stato ricostruito dagli storici, tutt’altro. Sono disponibili, infatti, dei buoni contributi specialistici su alcune delle principali questioni. Ciò che invece manca è un inquadra- mento critico di quelle vicende e un’opportuna valutazione dei loro esiti e delle loro prospettive. Quel periodo potrebbe essere interpretato come una vigilia di guerra, adottando una visione teleologica a posteriori. Si potrebbe però definirlo anche un intermezzo di pace oppure una tregua armata. Ri- prendendo una nota opera di Francesco Saverio Nitti dedicata alla situazione

dell’Europa dopo la Grande Guerra, L’Europa senza pace4, il titolo di questo

contributo vuole significare che, in fondo, una vera e propria situazione di pace non ci fu ma, allo stesso tempo, non ci fu neanche una vera e propria guerra. Si trattò dunque di un momento di sospensione e d’incertezza, sul quale vale la pena soffermarsi, senza alcuna pretesa di esaustività, ma cer- cando di mettere in luce le principali questioni, utili a comprendere fino a che punto si possa parlare di polveriera d’Europa riguardo ai Balcani, come a lungo è stato detto, spesso anche ai nostri giorni.

La pace di Bucarest è, dunque, il punto di partenza delle riflessioni con- tenute in queste pagine. Presentata a lungo come un trionfo della diplomazia della Romania, che assurgeva a un supposto ruolo di arbitro del Sud-est eu-

2 Dogo, Marco (2003). «‘Tenere insieme l’impero’. Declino ottomano e province di fron-

tiera nei Balcani». Rivista storica italiana, CXV (II), p. 516.

3 Basciani, Alberto, D’Alessandri, Antonio (a cura di) (2010). Balcani 1908. Alle origini

di un secolo di conflitti. Trieste: Beit.

ropeo, essa fu un successo anche per la Grecia e la Serbia che ottennero ter-

ritori a lungo desiderati5. Vi è stato anche chi, spingendosi più oltre, ha so-

stenuto che i maggiori vantaggi furono conseguiti dalla sola Serbia, mentre

la Bulgaria fu lo Stato che uscì più malconcio dalla crisi del 1912-136. La

Romania, in effetti, raggiunse gli obiettivi della sua politica estera: il confine strategico in Dobrugia e, soprattutto, un ruolo egemone nei Balcani, tanto che il Paese, nell’intermezzo fra l’estate del 1913 e quella del 1914, fu eti-

chettato come il ‘gendarme dei Balcani’7.

Le principali analisi storiografiche, tuttavia, pur riconoscendo all’accordo siglato a Bucarest un ruolo decisivo nel riportare la calma nei Balcani, diver- gono sulle sue conseguenze. Diversi decenni fa Alan J.P. Taylor osservò che «benché si sia parlato spesso del trattato di Bucarest come di una semplice tregua che non venne a capo di nulla, i limiti di frontiera che esso definì rimasero invariati fino ai nostri giorni», a eccezione della Bulgaria, mentre, continuava Taylor, «le frontiere delle Grandi Potenze sono mutate […] in

modo ben più radicale»8. Al di là del valore di questa affermazione riguar-

dante le modifiche territoriali, su cui si potrebbe discutere a lungo, ciò che Taylor intendeva sostenere era che, nel 1913, i Balcani erano finalmente tor- nati ai popoli balcanici, i quali potevano da allora cominciare a ‘fare da sé’. Tale conclusione è stata ripresa e confermata anche da recenti ricerche, sulle

quali s’intende tornare nelle conclusioni di questo saggio. Leften Stavrianos9,

invece, sostenne in modo netto che la pace di Bucarest non aveva risolto nulla ma aveva solamente aggiustato la situazione, offrendo così un mo-

mento di respiro alle varie contese ma nulla di più. Barbara Jelavich10, vice-

versa, ha assunto una posizione più sfumata e ha sostenuto che la situazione dei Balcani dopo la pace di Bucarest era relativamente calma, poiché nessuno Stato (né fra i vincitori, né fra gli sconfitti delle guerre balcaniche) era in condizioni di scatenare nuovi conflitti. Il campo diplomatico, a suo giudizio, non era particolarmente intricato. Quantomeno (è questo il punto fissato dalla

5 Hall, Richard C. (2002). The Balkan Wars 1912-1913. Prelude to the First World War.

London and New York: Routledgem p. 125.

6 Liddell Hart, Basil H. (1973). La Prima guerra mondiale 1914-1918. Milano: Rizzoli, p. 39. 7 Dinu, Rudolf (2014). «L’asse latino della Triplice alleanza ai tempi delle guerre balca-

niche. La Romania e i rapporti con l’Italia (1912-1913)». D’Alessandri, Antonio; Dinu, Ru- dolf (a cura di). Fra neutralità e conflitto. L’Italia, la Romania e le guerre balcaniche. Roma: Società editrice Dante Alighieri, pp. 53-54.

8 Taylor, Alan J.P. (1961). L’Europa delle Grandi potenze. Da Metternich a Lenin. Bari:

Laterza, p. 719.

9 Stavrianos, Leften Stavros [1958] (2008). The Balkans since 1453. London: Hurst &

Company, p. 542.

10 Jelavich, Barbara (1983). History of the Balkans. Twentieth Century. Cambridge: Cam-

Jelavich) nulla lasciava prevedere che le complicazioni balcaniche avrebbero potuto scatenare un conflitto su larga scala, come in seguito avvenne. Lo

storico tedesco Edgar Hösch11, al contrario, si è attestato sulla tesi di Stavria-

nos, osservando che la pace di Bucarest non aveva portato la calma sperata fra gli Stati dei Balcani. Analoghe osservazioni sono state fatte anche da

Georges Castellan12, che ha posto l’accento su come le guerre balcaniche

fossero state un disastro per tutti gli Stati della regione, poiché avevano creato odi, contrapposizioni e rancori durati fino alla Seconda guerra mon- diale. Secondo il giudizio di Egidio Ivetić, infine, la conferenza di Bucarest segnò la fine dell’assetto disegnato a Berlino nel 1878 e la chiusura della fase avviata con la crisi del 1908. «A pace conclusa – ha scritto Ivetić – emersero le contraddizioni e i problemi nei territori acquisiti; furono i preliminari per

altri attriti»13.

Le questioni rimaste insolute alla fine delle guerre balcaniche, dunque, erano più di una e devono essere distinte in due gruppi. Il primo riguarda le aspirazioni che si potrebbero definire revisionistiche, indirizzate ossia al cambiamento dell’assetto scaturito a Bucarest (e a Londra), manifestate so- prattutto dalla Bulgaria che, progressivamente, si staccò dalla tutela russa per stringere alleanza con gli Imperi centrali. Durante la Prima guerra mondiale, fu determinante per Sofia, nella scelta delle alleanze, la speranza di includere

la Macedonia entro i confini statali14. La Serbia, inoltre, era interessata alla

liberazione di tutti i territori abitati dagli slavi del Sud per creare un forte ed esteso Stato jugoslavo (obiettivo primario era la liberazione della Bosnia dal dominio austro-ungarico). Dopo il 1913 fu chiaro che, per compiere la mis- sione di liberare i Balcani, sarebbe stato necessario un confronto diretto con l’Impero asburgico. La Bulgaria e la Grecia non avevano interesse in ciò, né avevano confini con la Duplice Monarchia. Di più, la Bulgaria riteneva che

era suo vitale interesse stringere ancor più i legami con l’Austria-Ungheria15.

Il secondo gruppo di questioni insolute è invece di carattere più concreto, soprattutto dispute territoriali e di confine. Le più importanti, forse meno note e sulle quali vale dunque la pena soffermarsi, furono essenzialmente due: la questione albanese e quella delle isole egee. In entrambi i casi, la Grecia fu impegnata in un aspro confronto con le sue controparti per ottenere

11 Hösch, Edgar (2005). Storia dei paesi balcanici. Dalle origini ai giorni nostri. Torino:

Giulio Einaudi editore, p. 183.

12 Castellan, Georges (1999). Storia dei Balcani XIV-XX secolo. Lecce: Argo, p 431. 13 Ivetić, Egidio (2006). Le guerre balcaniche. Bologna: il Mulino, p. 147.

14 Pitassio, Armando (2012). Storia della Bulgaria contemporanea. Passignano sul Trasi-

meno: Aguaplano, p. 27.

15 Petrovich, Michael Boro (1976). A History of Modern Serbia 1804-1918. Vol. II. New

ancora più vantaggi in termini territoriali rispetto a quanto già ottenuto alla fine delle guerre balcaniche.

Per quanto riguarda quella che, per convenzione e comodità, si definisce in queste pagine Albania (anche se si trattava, più precisamente, di porzioni di vi-

layet ottomani che, in quel periodo, andavano man mano configurandosi come

il futuro Stato albanese), va ricordato che essa era al centro degli appetiti di tutte le monarchie balcaniche. Queste, nel corso dei conflitti del 1912-1913, ne occu- parono varie città e regioni, nel tentativo non solo di aumentare i loro domini ma anche di impedire la nascita di uno Stato albanese che, invece, trovava d’accordo Austria-Ungheria e Italia, in chiave soprattutto antiserba e per ragioni connesse all’equilibrio nell’Adriatico. Le due Potenze interessate alla nascita dello Stato albanese intendevano così impedire a serbi, montenegrini e greci di controllare

direttamente il basso Adriatico16. A seguito dell’effimera proclamazione d’indi-

pendenza del 28 novembre 1912, la conferenza degli ambasciatori delle Grandi potenze firmatarie del Trattato di Berlino, riunitasi a Londra a partire dal dicem- bre di quell’anno, era giunta, dopo lunghe discussioni, a stabilire che l’Albania dovesse essere costituita in Principato autonomo e neutralizzato (protocollo del 29 luglio 1913). Con il successivo protocollo di Firenze (17 dicembre 1913) fu-

rono stabiliti i confini del nuovo Stato17. Proprio la questione dell’estensione ter-

ritoriale del Principato fu uno dei motivi di maggiore attrito fra gli Stati balcanici e fra questi e le Grandi Potenze. La Serbia occupava alcune aree del Nord dell’Albania e il Kosovo. Ciò creava tensione nella regione, ma soprattutto tra Belgrado e Vienna che, infatti, nell’ottobre del 1913 intimò alla Serbia il ritiro di tutte le truppe di occupazione, circostanza che effettivamente si verificò poco tempo dopo. Analogamente a quanto accadeva nel Nord, anche nel Sud esisteva una situazione di incertezza nella definizione dei confini, poiché vaste aree

dell’Epiro erano ancora sotto l’occupazione greca18. In questo caso, inoltre, tale

questione finiva per intrecciarsi con quella delle isole egee sotto occupazione italiana a seguito della guerra italo-turca.

In questo secondo caso, i problemi derivavano dal fatto che quelle piccole isole avevano un’importanza strategica fondamentale, sia per la Grecia (che ne rivendicava il possesso anche per motivazioni di carattere nazionale), sia per l’Impero ottomano, in quanto collocate geograficamente lungo le coste dell’Asia minore, in particolare la disputa era su Chio e Mitilene ma non solo

16 Clayer, Nathalie (2007). Aux origines du nationalisme albanais. La naissance d’une

nation majoritairement musulmane en Europe. Paris: Karthala, p. 704; Duce, Alessandro

(1983). L’Albania nei rapporti italo-austriaci 1897-1913. Milano: A. Giuffrè.

17 Giannini, Amedeo (1940). L’Albania dall’indipendenza all’unione con l’Italia (1913-

1939). Milano: Istituto per gli studi di politica internazionale.

18 Kondis, Basil (1976). Greece and Albania 1908-1914. Thessaloniki: Institute for Bal-

(si pensi a isole minori come Imbro e Tenedo, poste proprio all’imbocco dei Dardanelli). Nel corso dell’autunno del 1913, i timori di un nuovo conflitto tra Grecia e Impero ottomano su tali questioni si facevano sempre più insi- stenti e, infatti, se si scorrono le pagine di un qualsiasi quotidiano dell’epoca o si consulta la documentazione diplomatica, la preoccupazione in proposito

era palpabile e ricorrente19. Se il trattato di Bucarest, infatti, era stato siglato

fra gli Stati balcanici per porre fine alla loro situazione di conflitto, si rendeva anche necessario che gli stessi Stati giungessero alla composizione delle loro controversie con l’Impero ottomano.

In primo luogo la Bulgaria doveva giungere alla conclusione della pace con la Turchia. Il problema maggiore era la sorte della Tracia, anch’essa fonda- mentale, secondo la diplomazia ottomana, a garantire la sicurezza strategica dell’Impero. Verso la fine di agosto, Istanbul ruppe gli indugi e penetrò con l’esercito in Tracia per imporre con il fatto compiuto il proprio dominio per lo meno sulla parte orientale di quella regione. Dinanzi alla minaccia russa di rompere le relazioni con la Sublime Porta e, di conseguenza, al pericolo di un conflitto russo-turco, le Potenze fecero pressioni su Sofia e su Istanbul affinché entrambe si accordassero direttamente, come poi avvenne il 29 settembre. In realtà, dietro quello scenario si profilava l’azione delle Potenze centrali, inte- ressate (anche con la concessione di cospicui prestiti finanziari) a procurarsi l’appoggio bulgaro in funzione antiserba. La pace di Istanbul, ultimo atto di quella che per i bulgari fu una catastrofe nazionale, è convenzionalmente vista

come il momento che pose fine alle guerre balcaniche20.

Nei mesi seguenti, inoltre, seguirono trattative fra la diplomazia ottomana da un lato e quella serba e, rispettivamente, quella ellenica dall’altro per con- cludere un accordo di pace. Naturalmente, questi negoziati si intrecciavano con i lavori della Commissione internazionale incaricata di definire i confini del nuovo Stato albanese, la quale giunse alla firma del protocollo di Firenze (19 dicembre). Mentre nel caso serbo, la composizione dei dissidi fu più ra- pida (semmai i problemi maggiori per Belgrado stavano nei contrasti con Vienna, ma questo è un altro problema), nel caso greco vi erano molte que- stioni aperte e troppe rivendicazioni contrapposte da entrambe le parti, so- prattutto da Atene. Con il raggiungimento di un accordo, seppur molto fra- gile, anche tra Impero ottomano e Grecia si posero le condizioni per la ripresa delle relazioni diplomatiche. Tuttavia, l’impegno ellenico a sgomberare l’Epiro del Nord fu a lungo disatteso, creando ulteriori tensioni lungo la

19 Kaldis, William Peter (1979). «Background for Conflict: Greece, Turkey and the Ae-

gean Islands, 1912-1914». Journal of Modern History, 51 (2), pp. 1119-1146; Mourelos, Yan- nis G. (1985). «The 1914 Persecutions and the First Attempt at an Exchange of Minorities between Greece and Turkey». Balkan Studies, 26 (2), pp. 389-413.

prima parte del 1914. Il governo di Atene usò la presenza in Epiro per mer- canteggiare concessioni a proprio favore in Asia Minore e nell’Egeo. Infatti i diplomatici greci insistettero più volte sulla necessità di risolvere la que- stione dell’Epiro insieme a quella del possesso greco sulle Sporadi orientali e sul Dodecaneso occupato dall’Italia. Se quest’ultima questione fu procra- stinata, quella delle isole egee, invece, fu più volte affrontata.

Prima di completare l’analisi riguardante l’Egeo, bisogna ricordare che, in quei primi mesi dell’anno, continuava a tenere banco nell’opinione pub- blica e nei lavori delle Cancellerie la questione albanese, soprattutto la situa- zione di anarchia e caos in cui versava il Paese, alla quale non seppe porre argine nemmeno la sfortunata e per certi versi maldestra esperienza del go-

verno del principe Guglielmo di Wied21. Lo scoppio del conflitto mondiale

travolse nuovamente l’Albania, sancendone la sparizione22. Com’è noto, solo

all’indomani della guerra, il Paese poté finalmente avviare la costruzione delle infrastrutture statali, divenendo a tutti gli effetti uno Stato pienamente indipendente e sovrano.

Nei primi mesi del 1914, come si è già accennato, accanto al problema albanese tornarono di attualità nuove tensioni fra Grecia e Impero ottomano. A norma degli accordi precedenti, la decisione sulla sorte delle Isole egee era stata affidata alle Grandi potenze le quali, nel febbraio, inviarono una nota in cui era stato deciso che, a eccezione di Imbro e Tenedo, le altre isole sareb- bero state attribuite alla Grecia, ma ciò avrebbe avuto effetto solo quando

quest’ultima avesse sgomberato l’Epiro del Nord23. La soluzione fu ipocrita-

mente accettata dalle due parti ma in realtà le posizioni rimanevano inconci- liabili. Entrambi i Paesi, infatti, rivendicavano il possesso di tutte le Sporadi orientali. In questo contesto vanno anche visti gli acquisti, da parte sia otto- mana sia ellenica, di navi da guerra, in previsione di un futuro confronto mi- litare per risolvere definitivamente le controversie in atto fra quei due Paesi.

Dunque tensioni e scontri di vario genere non mancarono, continuando così a creare nuove frizioni. Caso emblematico e particolarmente significa- tivo, fu il tentativo da parte turca di imporre la migrazione forzata di popo- lazione ellenica dall’Asia Minore, a seguito della nuova situazione venutasi a creare. Questo primo esperimento di ingegneria etnica, peraltro ridotto, è

21 Salleo, Ferdinando (2000). Albania: un regno per sei mesi. Palermo: Sellerio. 22 D’Alessandri, Antonio (2015). «Da un’occupazione all’altra. L’Albania e la Grande

guerra», in Guida, Francesco (a cura di). «La Grande guerra e l’Europa danubiano-balcanica», num. monogr., Il Veltro, LIX (1-6), pp. 147-158.

23 Jesné, Fabrice (2014). «L’Italia e la questione dell’Epiro durante le guerre balcaniche».

D’Alessandri, Antonio; Dinu, Rudolf (a cura di). Fra neutralità e conflitto. L’Italia, la Roma-

comunque significativo, poiché costituì la premessa di quanto sarebbe avve- nuto dopo la fine della guerra mondiale e incoraggiò la dirigenza turca a pro- seguire su quella linea, al fine di giungere a una completa turchizzazione

dell’Anatolia24. Allo stesso tempo, le notizie di maltrattamenti subiti da

greci, per opera delle autorità turche, ebbero negative ripercussioni nei rap- porti fra Atene e Istanbul, che faticosamente la diplomazia internazionale stava cercando di ricomporre. Pochi mesi dopo, per la precisione in giugno, in Europa si cominciò a parlare nuovamente di una concreta possibilità di una guerra greco-turca che, tuttavia, in quel momento non avvenne.

In conclusione, si può affermare che, all’indomani del trattato di Buca- rest, i Balcani continuavano a essere in fermento, come del resto erano ormai da decenni. La grande differenza, però, rispetto al passato stava nel fatto che, in quel momento, le Grandi potenze non erano più in grado di gestire gli attriti che si venivano a creare fra di loro, non solo nei rapporti politici nella penisola balcanica ma, più in generale, in tutto il complesso delle relazioni a livello globale. Insomma, il cosiddetto Concerto europeo delle Potenze che,