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di Vojislav Pavlović

2. Due progetti per l’unione jugoslava

Il progetto dell’unione jugoslava fu ideato dal governo serbo di Nikola Pašić e promulgato, come è stato detto, nel dicembre 1914. Per dargli un carattere jugoslavo e non esclusivamente serbo, Pašić sostenne politicamente e materialmente la creazione del Comitato jugoslavo che rimase per lui un organo di propaganda finanziato dal suo governo e presentato ai governi al- leati dalla diplomazia serba. Invece, la Dichiarazione di Corfù del luglio 1917, consacrò il Comitato jugoslavo come partner del governo serbo nella creazione dell’unione jugoslava, visto che la Dichiarazione fu firmata dalle due parti. Il cambiamento nella politica serba verso il Comitato si spiega con la necessità di riavviare il progetto jugoslavo dopo l’esilio del governo e dell’esercito serbo alla fine del 1915, e soprattutto dopo i negoziati ormai

17 Cambon a Pichon, Londra, 9.9.1918, n. 628, AMAE, Serie Z, Europa 1918-1940, p. 50. 18 Pichon a Fontenay, Parigi, 10.9.1918, AMAE, Serie z, Europa 1918-1940, Jugoslavia, 31. 19 Nota del Ministero degli Affari Esteri, Parigi 14.9.1918, AMAE, Série Paix 1914-1920,

Travaux préparatifs de la Conférence de la paix, Politique de la Yougoslavie et de Monténé- gro, 2.

noti per una pace separata tra gli Alleati e l’imperatore Carlo. Il carattere propagandistico della Dichiarazione di Corfù è confermato dal modo uffi- cioso in cui essa fu notificata ai governi alleati e dall’assoluto silenzio con cui fu accolta nelle capitali alleate. Nonostante ciò, Trumbić ed il suo Comi- tato la consideravano come la base del progetto jugoslavo e la prova del par- tenariato con il governo serbo nella creazione dello stato comune. In questo modo si profilavano due progetti di unione jugoslava: la Serbia come un Pie- monte jugoslavo (idea sostenuta dal governo serbo) e la Jugoslavia come unione confederale (ipotesi portata avanti dal Comitato jugoslavo).

Le due visioni, prima dei rispettivi ruoli nel progetto jugoslavo e poi nell’attuale creazione dello stato comune, diedero luogo a una serie di accesi dibattiti dall’estate 1917 fino alla nascita della Jugoslavia. La divisione nel campo jugoslavo fu anche la ragione per la quale i governi alleati si astennero dal riconoscere il Comitato jugoslavo nei termini in cui l’avevano fatto con il Comitato cecoslovacco. L’importanza di questo dissidio fu assai limitata fino a quando le possibilità della creazione della Jugoslavia furono, esse stesse, limitate. Le cose cambiarono dopo la vittoria alleata sul fronte di Sa- lonicco a metà settembre 1918 e il seguente armistizio con la Bulgaria (29 settembre 1918), quando le porte dei Balcani si aprirono permettendo anche di prevedere una invasione dal territorio austro-ungarico partendo dalla Ser- bia che fu liberata completamente il 1 novembre 1918.

Le vittorie dei eserciti alleati sul fronte di Salonicco diedero ulteriore cre- dibilità al concetto di Pašić dell’unione jugoslava. Questi sollecitò immedia- tamente i governi alleati chiedendo loro di dichiarare ufficialmente il loro sostegno alla Serbia che, nelle sue intenzioni appunto doveva sostenere il ruolo del ‘Piemonte serbo’ per l’unione jugoslava. In questa ottica, la visita di Pašić a Parigi il 20 settembre 1918 non produsse i risultati desiderati. Nel suo incontro con il Primo Ministro serbo, Pichon si rifiutò persino di com- mentare le sue richieste di riconoscimento del ruolo della Serbia nell’unione

jugoslava20. Il Presidente della Repubblica francese Raymond Poincaré con-

sigliò a Pašić, di adottare prima alcune misure provvisorie per non pregiudi- care il futuro della Jugoslavia, ritenendo che prima dell’unione finale sarebbe stato necessario consultare le popolazioni organizzando un plebiscito. Il Pre- sidente del Consiglio francese, George Clemenceau, da parte sua, credeva

che l’unione jugoslava si sarebbe realizzata solo nel tempo21. Il rifiuto una-

nime dei francesi di accettare il ruolo della Serbia nell’unione della Jugosla- via fu rafforzato dalla reazione del governo britannico. Il Segretario di Stato

20 Rendiconto di Fontenay della conversazione di Pašić con Pichon, AMAE, Papier

d’Agents, Archives Privées, Fontenay, 347, vol. 103.

21 Rendiconto di Fontenay della conversazione di Pašić con Poincaré e Clemenceau, Paris,

per gli Affari Esteri, Arthur Balfour, informò Pašić che il governo britannico non poteva accettare la Serbia come promotrice della Jugoslavia, poiché esi- steva un altro progetto di unione jugoslava sostenuto dal Comitato jugo-

slavo22.

Anche la proposta di unione jugoslava portato avanti da Trumbić e dal Comitato jugoslavo fu notevolmente rivisto dopo la vittoria degli eserciti al- leati sul fronte di Salonicco. In settembre, Trumbić scrisse a Pašić per ricor- dargli che il governo serbo e il Comitato jugoslavo avevano firmato la Di- chiarazione di Corfù come partner uguali. Quindi, secondo lui era giunto il momento in cui il Comitato doveva essere riconosciuto come il rappresen- tante ufficiale degli Sloveni, Croati e Serbi che ancora vivevano sotto il do- minio degli Asburgo. Secondo Trumbić, Pašić non poteva più fingere di par- lare a nome sia dei Serbi della Serbia, sia degli Sloveni, Croati e Serbi dell’Austria-Ungheria. Insistette, in particolare sul fatto che la Serbia non aveva firmato alcun documento formale che le conferiva il diritto di liberare o annettere territori, come nel caso del trattato di Londra firmato dall’Italia. Pertanto, se la Serbia aveva l’intenzione di agire unilateralmente senza il consenso dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni dell’Austria-Ungheria o del loro legittimo rappresentante, cioè il Comitato jugoslavo, le sue azioni pote-

vano essere considerate imperialistiche e annessioniste23. Le differenze tra

Pašič e Trumbić si confermarono durante il loro incontro del 27 settembre a Parigi. La principale divergenza apparve subito essere lo statuto degli Slo- veni, Croati e Serbi che vivevano in Austria-Ungheria. Pašić era convinto che se fossero stati riconosciuti come nazione, questo sarebbe stato un primo passo verso la riforma trialista della Doppia Monarchia che ne avrebbe pro- lungato la vita. Trumbić, invece era categorico quando affermava che i Serbi, i Croati e gli Sloveni avevano il diritto di decidere sul loro futuro e il diritto

di essere riconosciuti come attori nel processo della loro liberazione24. Seb-

bene le richieste di Trumbić rispecchiassero la nuova sensibilità politica de- gli Alleati verso le nazionalità, annunciata già all’epoca di Wilson nei suoi 14 punti, il veto italiano, come spiegava Pichon a Trumbić il 29 settembre, era sempre un ostacolo insormontabile per gli Alleati che impediva loro di

riconoscere il Comitato jugoslavo25.

22Seton-Watson, Hugh, Seton-Watson, Christopher (1981). The Making of a New Europe.

Seattle: University of Washington Press, p. 312.

23Trumbić a Pašić, Parigi, fine settembre 1918; Krizman, Bogdan; Janković, Dragoslav.

Gradja o stvaranju jugoslovenske države, vol. I, Belgrado, Institut društvenih nauka, 1964,

pp. 311-316.

24 Rendiconto di Trumbić sul colloquio con Pašić, Parigi, 27 ottobre 1918, Ivi, pp. 320-

330.

Tuttavia, l’inarrestabile declino dell’Austria-Ungheria nelle ultime settimane della Grande Guerra e il sempre più importante ruolo che si erano ritagliate le nazionalità nel processo del suo smantellamento, fecero sì che Trumbić (con le sue proposte) fosse in perfetta sintonia con la tendenza politica dell’epoca. Cosi, quando fu ricevuto da Balfour, il 9 ottobre 1918, si dichiarò in favore di una federazione jugoslava, poiché, secondo lui, Pašić aveva l’intenzione di creare una Grande Serbia. Secondo Trumbić, l’unico modo possibile per contrastare il progetto del Primo Ministro serbo era riconoscere ufficialmente il Comitato jugoslavo come rappresentante delle

nazionalità jugoslave26. Rendendosi conto che la tendenza politica stava

cambiando, cosa che gli avevano fatto notare anche i suoi interlocutori sia a Parigi che a Londra, Pašić fu costretto ad abbandonare il concetto della Serbia come paladina della Jugoslavia per riprendere quello della collaborazione con il Comitato jugoslavo espresso nella Dichiarazione di

Corfù27.

Malauguratamente, il rapido susseguirsi degli eventi si rivelò troppo rapido per Pašič, le cui proposte sembravano sempre un passo indietro rispetto allo sviluppo della situazione nella Duplice Monarchia. La creazione del Consiglio nazionale degli Sloveni, Croati e Serbi nelle province jugoslave dell’Austria-Ungheria all’inizio dell’ottobre 1918, assicurò al Comitato jugoslavo l’appoggio della rappresentanza legittima delle nazioni jugoslave. Il Consiglio proclamò il 29 dicembre l’indipendenza dello stato degli Sloveni, Croati e Serbi nelle province jugoslave dell’Austria-Ungheria.

Il nuovo stato fu persino più grande della Serbia28. I due progetti d’unione

jugoslava ormai avevano nuovi protagonisti. Durante la conferenza di Ginevra (6-9 novembre 1918) convocata per decidere la sorte dell’unione jugoslava, Pašić si trovò di fronte a una coalizione composta dal Comitato jugoslavo, dal Consiglio nazionale dei Sloveni, Croati e Serbi e dall’opposizione serba. La soluzione confederale, che fu la forma scelta per lo stato comune, somigliava fortissimamente all’Ausgleich austro-ungherese, visto che soltanto un numero limitato di prerogative fu attribuito ad un governo comune composto da un identico numero dei ministri dall’una e dall’altra parte dell’antica frontiera tra la Serbia e l’Austria-Ungheria. Per tutte le altre questioni le due parti avrebbero mantenuto il quadro amministrativo e giuridico

esistente29. La sorte dell’unione jugoslava dipendeva ormai dalla decisione degli

Alleati di riconoscere o meno lo stato degli Sloveni, Croati e Serbi nelle province

26Šepić, Dragutin (1970). Italija saveznici i jugoslovensko pitanje…, cit., pp. 357-358. 27Nota del governo serbo, 12 ottobre 1918, Krizman B., Janković D. Gradja..., cit., vol.

I, p. 357.

28 Ivi, pp. 81-82. 29 Ibidem.

jugoslave dell’Austria-Ungheria e, attraverso esso, l’unione confederale jugoslava.

Questo dilemma era stato, in verità, già risolto durante la riunione del Consiglio supremo di Guerra tenutosi a Versailles dal 29 ottobre al 3 novembre 1918. Dopo la vittoria italiana a Vittorio Veneto (28 ottobre 1918) l’esercito austro-ungarico si dissolse lungo le linee etniche e la Duplice Monarchia inoltrò una richiesta formale di armistizio i cui termini furono

decisi durante la conferenza di Versailles30. Il Consiglio Supremo di Guerra

decise di onorare gli obblighi assunti nel Trattato di Londra, consentendo così all’Esercito e alla Marina italiani di realizzare immediatamente l’obiettivo principale dell’Italia nella guerra. L’armistizio con l’Austria- Ungheria fu firmato il 3 novembre 1918 a Villa Giusti, vicino Padova. Le

condizioni dell’armistizio sarebbero state applicate dalle autorità italiane31.

In un accordo separato Clemenceau aveva promesso al Presidente del Consiglio italiano, Vittorio Emanuele Orlando, che la Francia non avrebbe riconosciuto alcuno Stato jugoslavo prima che i termini dell’armistizio

fossero stati pienamente attuati32. La promessa di Clemenceau fu d’estrema

importanza perché le uniche altre forze militari presenti alle frontiere dell’Austria-Ungheria erano l’esercito serbo e l’esercito francese, ambedue ancora parti delle forze alleate sul fronte di Salonicco sotto il comando del generale francese Franchet d’Espèrey.

Le decisioni del Consiglio supremo di Guerra furono comunicate a Trumbić dalla diplomazia francese. Philippe Berthelot, sottosegretario al Quai d’Orsay, spiegò a Trumbić il 31 ottobre 1918 che il governo francese era costretto a rispettare gli obblighi assunti nel Trattato di Londra. Di conseguenza non si poteva accettare la presenza del rappresentante del Comitato jugoslavo presso il Consiglio supremo di Guerra né riconoscere lo stato degli Sloveni, Croati e Serbi fino a quando non fossero stati attuati i termini dell’armistizio. Tuttavia, Berthelot assicurò a Trumbić che le disposizioni stabilite a Versailles erano solo temporanee e che la decisione definitiva sulle questioni territoriali sarebbe stata presa solo alla Conferenza

di Pace33. Lloyd George e Clemenceau decisero, e Berthelot, confermò che

l’armistizio doveva essere applicato dall’Esercito e dalla Marina italiani come forze alleate presenti sul fronte austro-ungarico in conformità con i termini del Trattato di Londra. Lo stato nascente degli Sloveni, Croati e Serbi

30 Le Moal, Frédéric (2006). La France et l’Italie dans les Balkans 1914-1919. Le con-

tentieux adriatique. Parigi: L’Harmattan, pp. 264-265.

31 Krizman B., Janković D. Gradja..., cit., vol. I, pp. 81-82.

32Poincaré, Raymond (1933). Au Service de la France, vol. X. Parigi: Plon, pp. 407-408. 33Nota sui colloqui tra Berthelot e Trumbić, Parigi, 31 ottobre 1918, AMAE, Série Z,

dunque non fu riconosciuto e il suo territorio fu considerato come parte di uno stato nemico sconfitto. Anche prima che l’armistizio fosse ufficialmente firmato l’Esercito e la Marina italiani iniziarono ad occupare i territori delimitati dal Trattato di Londra. Il 3 novembre entrarono in Istria e il giorno dopo presero possesso dei porti di Zara e Pola. I giorni seguenti stabilirono il controllo delle isole del Quarnaro e il 6 novembre presero possesso del porto di Sebenico. L’intero spazio dei territori promessi all’Italia nel Trattato

di Londra fu occupato entro il 19 novembre 191834.

Il nodo da scogliere dell’unione jugoslava non fu più la forma dell’unione ma l’unione stessa. Le province jugoslave ufficialmente rimasero per gli Alleati parte del territorio nemico sottoposte all’amministrazione delle forze alleate, e per quanto riguardava l’Italia essa non nascondeva la volontà di perpetuare la sua presenza. L’unione jugoslava era quindi in bilico e poiché la soluzione diplomatica nelle capitali alleate effettivamente non era più d’attualità, la guida del progetto jugoslavo passò nelle mani del Consiglio nazionale degli Sloveni, Croati e Serbi a Zagabria e a quelle dell’esercito serbo sotto il comando del reggente Alessandro a Belgrado. Nei contatti diretti tra Belgrado e Zagabria si cercò la soluzione par l’unione jugoslava e il modo di arginare l’avanzamento delle forze italiane. L’ombra italiana o la paura dell’Italia fu un elemento decisivo per il modo in cui nacque la Jugoslavia il 1 dicembre 1918.

Per il Consiglio nazionale degli Sloveni, Croati e Serbi compito essenziale era trovare il modo di diventare parte della coalizione vincente al posto di rimanere nella posizione istituzionalmente incerta e praticamente insicura delle provincie meridionali della vinta Duplice Monarchia. L’unione jugoslava con la Serbia aveva precisamente questo scopo, sapendo che l’esercito serbo sarebbe stato in grado sia di assicurare l’appoggio militare all’amministrazione nascente sia di confrontarsi con l’esercito italiano nei punti più caldi come fu il caso a Ljubljana e Rijeka /Fiume. Con l’unione jugoslava gli Sloveni, Croati e Serbi non erano più i soldati che durante quattro anni avevano combattuto con vigore e risoluzione soprattutto sul fronte italiano, ma diventarono parte di un nuovo stato creato secondo il principio del diritto dei popoli all’autodeterminazione annunciato dal presidente Wilson. Senza l’unione jugoslava per gli Sloveni, i Croati e i Serbi si profilava la sorte ungherese di un’occupazione alleata ed il pericolo di espansione della Serbia a cui – ricordiamolo – sebbene ufficiosamente, erano state promesse sia la Bosnia-Erzegovina che la costa adriatica al sud di quella assicurata all’Italia. Che i dirigenti del Consiglio nazionale degli Sloveni, Croati e Serbi avrebbero potuto ignorare le promesse fatte alla Serbia,

l’esercito serbo ne aveva piena conoscenza come fu dimostrato dal tenente colonnello Dušan Simović, inviato dello Stato maggiore serbo presso il Consiglio nazionale degli Sloveni, Croati e Serbi. Simović, a titolo personale, disse al Consiglio nazionale il 13 novembre che, dopo tanti sacrifici sopportati dalla Serbia per l’unione jugoslava, riteneva inaccettabile che venisse creato uno Stato indipendente (lo stato dei degli Sloveni, Croati e Serbi) ai suoi confini. In questo modo, concludeva, tutti i frutti delle vittorie serbe sarebbero stati raccolti da coloro che avevano combattuto dalla parte opposta. Nella sua veste ufficiale informò il Consiglio nazionale che secondo l’armistizio firmato con il governo ungherese di Mihaly Karolyi, il cui contenuto era stato approvato da Franchet d’Esperèy, l’esercito serbo aveva ottenuto il diritto di essere presente nella parte orientale della Slavonia, nella Bosnia-Erzegovina e nella Dalmazia fino ai limiti stabiliti dal Trattato di Londra. Al di là dei confini così definiti, il Consiglio nazionale poteva, secondo Simović, decidere di unirsi o meno alla Serbia. Il vicepresidente del Consiglio nazionale degli Sloveni, Croati e Serbi, Ante Pavelić, (l’omonimo del capo degli Ustaša) rispose che la questione dell’unione non si poneva nemmeno e che l’unico dilemma era l’organizzazione di uno Stato futuro comune, poiché il Consiglio era favorevole a una soluzione federale. Simović era dell’opinione che la questione dovesse essere lasciata all’Assemblea costituente e che fosse innanzitutto necessario stabilire uno stato comune di fronte ai pericoli esterni. Tuttavia, aggiunse, la divisione della Serbia prebellica in più elementi di una possibile federazione jugoslava era

inconcepibile35. Con la chiarezza di un ufficiale, Simović aveva esposto le

possibili alternative per il futuro delle provincie meridionali della defunta Austria-Ungheria, precisando la posizione dell’esercito serbo e quindi anche del suo comandante supremo il reggente Alessandro Karadjordjević.

Queste erano dunque le alternative alla creazione della Jugoslavia nel novembre 1918. La creazione di uno stato degli Sloveni, Croati e Serbi nei territori delle provincie meridionali della Duplice Monarchia non era possibile, perché gli Alleati non erano pronti a riconoscerlo. L’unione federale, che supponeva la divisione della Serbia quale era prima del 1914 in varie entità, come affermava Simović era inconcepibile. In assenza dell’unione jugoslava, l’esercito serbo guidato dal reggente Alessandro era in grado di rivendicare la creazione di una Grande Serbia. Se si teneva conto della presenza italiana nell’Adriatico, lo spazio rimanente, privo di ogni riconoscimento internazionale si sarebbe trovato in una posizione impossibile. L’unione jugoslava era anche per il Consiglio degli Sloveni,

35 Krizman, Bogdan (1989). Hrvatska u Prvom svetskom ratu. Hrvatsko-srpski politički

Croati e Serbi la migliore o la meno sgradevole soluzione. Il suo vicepresidente Pavelić poteva soltanto, durante la proclamazione solenne dell’unione jugoslava 1 dicembre 1918, esprimere nel suo discorso il desiderio che le amministrazioni esistenti fossero mantenute nel periodo precedente il voto della costituzione dello stato comune. Questo fu il massimo delle condizioni, o meglio dei desideri, che il rappresentante degli Sloveni, Croati e Serbi volle o poté esprimere.

Lo Stato jugoslavo creato in questo modo era stato il compromesso tra il progetto serbo e quello croato dell’Unione jugoslava nato all’ombra italiana, il cui destino ora dipendeva dalla scelta dell’organizzazione interna. Concepito sotto la minaccia italiana nonostante l’assenza di riconoscimento ufficiale da parte degli Alleati, il Regno degli Sloveni, Croati e Serbi era in sostanza una promessa per il futuro, i cui fondatori dimostrarono successivamente di non essere in grado di realizzarlo pienamente.